mercoledì 29 aprile 2015

I bambini sanno

anno: 2015       
regia: VELTRONI, WALTER
genere: documentario
con Martina Allori, Davide Arseni, Rania Badane, Simone Bertolini, Tecla Briola, Gaia Buggiani, Luna Buggiani, Sofia Castelli, Vittorio Cerroni, Marius Cirpaci, Sabrina Civiltà, Patrizio Cuozzo, Annalisa Demaria, Piergiorgio Del Volgo, Caterina Dipace, Lorenzo Farina, Johan Ferruccio, Benedetta Fiore, Gabriele Gervasi, Giacomo Guarino, Daniel Hassan, Nathan Hassan, Winner Ibeh, Lisa La Delfa Hoedts, Michael Martini, Ilyas Mohamed, Chiara Murano, Alice Muzzi, Gabriele Panicucci, Barbara Pavia, Kevin Quinomez, Francesco Romanelli, Michele Salerno, Valerio Stancanelli, Diego Tiusaba, Davide Tonolotto, Matteo Tosto, Milo Venturoli, Giovanni Viberti
location: Italia
voto: 6,5

L'amore che Walter Veltroni nutre per il cinema è direttamente proporzionale ai danni causati come politico. Basterebbe ricordare l'introduzione, da direttore de L'Unità, dei fascicoletti monografici dell'editore Castoro, dedicati ai maggiori registi mondiali di tutti i tempi, o il coordinamento delle matinée al cinema Mignon di Roma, con dibattito annesso alla proiezione dei film o, ancora, alla firma apposta da anni sulle pagine di Ciak, all'avvio della Festa del Cinema di Roma, alla pubblicazione di un libro come Certi piccoli amori - Dizionario sentimentale dei film, alla voce prestata per il doppiaggio di Chicken Little, al romanzo che ha ispirato il film di Riccardo Milani Piano, solo e al suo primo lungometraggio, quell'atto (impuro) d'amore dedicato a Berlinguer. Una lista assai lunga, quasi quanto lo è stato il casting sofisticatissimo che è alle spalle di questa opera seconda, un documentario nel quale la voce fuori campo dell'ex sindaco di Roma interroga 39 bambini di età compresa tra i 9 e i 13 anni su questioni come l'amore, la famiglia, l'omosessualità, Dio, la crisi, il futuro (la suddivisione in capitoli è segnata da alcune vignette di Altan). Se da un lato la forza del film sta proprio nell'avere costruito una sorta di campione per quote che mira a rappresentare il ventaglio di generi, classi sociali, etnie, residenze ed età dei bambini che vivono in Italia, dall'altro alcune domande appaiono eccessivamente banali e i meriti del film, su questo piano, vanno tutti ai singoli bambini che, con la loro fantasia e i loro scarti laterali, più di una volta suscitano risate e stupori. Il bambino rom, quello colombiano adottato da una famiglia ricchissima, le due gemelle di cui una down, il genietto matematico autistico, il malato di laucemia, la figlia di una coppia lesbica sono solo alcuni volti della caleidoscopica galleria di ritratti raccolta da Veltroni: ritratti che con le loro risposte ingenue e disarmanti intenerirebbero anche i più irriducibili epigoni di Erode. E se il film riesce, il merito - oltre che ai ragazzi - va attribuito a qualche indovinata trovata di regia (su tutte, le riprese che ciascuno degli intervistati ha fatto all'interno della propria cameretta) e non certo alla musica invadente e stucchevolissima di Danilo Rea o al florilegio di  famose scene cinematografiche di bambini che corrono che si vede nell'incipit.    

lunedì 27 aprile 2015

Run all Night - Una notte per sopravvivere

anno: 2015       
regia: COLLET-SERRA, JAUME
genere: gangster
con Liam Neeson, Vincent D'Onofrio, Ed Harris, Nick Nolte, Joel Kinnaman, Bruce Mcgill, Holt McCallany, Genesis Rodriguez, Common, Boyd Holbrook, Bruce McGill, Patricia Kalember, Beau Knapp, Lois Smith, Daniel Stewart Sherman, James Martinez, Radivoje Bukvic, Tony Naumovski, Lisa Branch, Aubrey Joseph Aubrey Omari Joseph, Giulia Cicciari, Carrington Meyer, Gavin-Keith Umeh, Malcolm Goodwin, Roderick Hill, Ella June Conroy, Andy Murray, John Cenatiempo, Devon O'Brien, Dan Domingues, Barrington Walters Jr., Jelani Robert Joseph 
location: Usa
voto: 5

Jimmy Conlon (Neeson) e Shawn McGuire (Harris) sono due amici irlandesi di vecchia data legati da una fitta rete di morti ammazzati. I rispettivi  figli hanno preso strade diametralmente opposte e vivono in maniera diversissima il legame con la figura paterna. È su questo terreno narrativo che poggia la terza prova della coppia Collet-Serra/Neeson dopo i riusciti Unknown e No-stop. In questa occasione il figlio di un boss locale tanto stupido quanto ambizioso (Holbrook) la combina grossa. Quando sta per eliminare il figlio di Jimmy (Kinnaman), viene freddato da quest'ultimo. È a quel punto che il boss annuncia vendetta, tremenda vendetta, inviando i suoi sicari, più un killer professionista (Common), alla ricerca dell'amico di un tempo e di suo figlio. Nel frattempo, un ispettore di Polizia (D'Onofrio) che cerca Jimmy per costringerlo a confessare i suoi passati omicidi, rende ancora più risicate le probabilità di sopravvivenza dell'uomo nelle poche ore che gli rimangono durante la caccia.
Rispetto ai due thriller precedenti, stavolta l'aspetto muscolare e fracassone prevalgono nettamente su una trama prevedibile e telefonata fin dalla prima inquadratura e ad altissimo tasso di improbabilità, ennesima fotocopia composta con gli stessi stereotipi - incarnati da Liam Neeson - dell'antieroe solitario e alcolizzato con molti scheletri nell'armadio e un profilo che lo candida definitivamente a prendere il posto che negli anni '70 e '80 fu di Charles Bronson. Nonostante il copione pressoché identico a mille altri, l'azione è comunque garantita, alcune trovate visive come quella dell'evacuazione del palazzo abitato da drop-outs sono indubbiamente indovinate e la regia, pur adeguandosi integralmente agli stilemi del genere, mostra carattere e grande professionalità.    

domenica 26 aprile 2015

Black sea

anno: 2014       
regia: MacDONALD, KEVIN
genere: thriller
con Jude Law, Scoot McNairy, Ben Mendelsohn, David Threlfall, Konstantin Khabenskiy, Sergey Puskepalis, Michael Smiley, Grigoriy Dobrygin, Sergey Veksler, Sergey Kolesnikov, Bobby Schofield, Jodie Whittaker, Karl Davies, Llewella Gideon, Gus Barry, Tobias Menzies, June Smith
location: Regno Unito, Russia, Usa
voto: 5

Solleticato dall'idea di raccogliere un cospicuo gruzzolo, un ex capitano di sottomarini fresco di licenziamento e di divorzio (Law) raccoglie sotto la sua guida una squadra di esperti marinai disposti a partire con lui per una missione di recupero di un ingente quantitativo di oro che la Russia avrebbe dovuto recapitare alla Germania nazista durante la II Guerra Mondiale e che invece si perse nei fondali del Mar Nero. Ma l'ingordigia, la stupidità e l'incapacità di calcolo di questi drop out si trasformerà in un inferno subacqueo.
Kevin MacDonald, già autore di documentari come Marley o La vita in un giorno nonché della biopic su Amin Dada dirige un film claustrofobico che si propone come una metafora della lotta di classe. L'insieme sta tra il didascalico e il prevedibile, con una lunga sezione centrale ai limiti del noioso. Tuttavia un paio di colpi di scena sono bene assestati e in molti momenti la tensione è palpabile. Sulla stessa ambientazione sottomarina, da rivedere U-boot 96, K-19 e Caccia a Ottobre rosso.    

Pasolini prossimo nostro

anno: 2006       
regia: BERTOLUCCI, GIUSEPPE   
genere: documentario   
con Pier Paolo Pasolini   
location: Italia
voto: 6   

Durante la lavorazione di Salò o le 120 giornate di Sodoma, uno dei suoi film (uscito postumo) più controversi, Pasolini rilasciò una lunga intervista al giornalista de Il Corriere della Sera, Gideon Bachmann, nella quale spiegava la metafora contro il potere alla quale fa ricorso nel film. Gli attacchi all'ideologia del consumo, alla mistificazione della presunta libertà sessuale, al conformismo giovanile, al machiavellismo necrotico del potere, alla dittatura della tecnologa e all'orrore dell'omologazione si fondono in un'analisi lucidissima, profetica, attualissima e capace di connettere tra loro elementi apparentemente lontani. Questo testamento intellettuale del poeta e scrittore friulano viene corredato per l'intera ora di durata dai fermo-immagine del film e da qualche stralcio di riprese dell'intervista. Il che fa di questo documentario ,firmato con un registro totalmente asettico da Giuseppe Bertolucci, un'opera essenzialmente radiofonica, della quale è impossibile valutare l'aspetto filmico.    

Zero a zero

anno: 2012   
regia: GEREMEI, PAOLO   
genere: documentario   
con Marco Caterini, Daniele Rossi, Andrea Giulii Capponi, Mimmo Rossi, Antonietta Corrado, Sandro Giulii Capponi, Paolo Lucidi, Bruno Conti, Ezio Sella, Francesco Quintini, Vito Scala, Paolo Pavone   
location: Italia
voto: 7   

Toccare la vetta e poi precipitare rovinosamente giù. È questo che raccontano le tre storie montate come un thriller, capaci di generare nello spettatore l'attesa dell'ultimo capitolo: "sì, ma poi come è andata a finire?". I tratti biografici che costituiscono l'ossatura del documentario sono quelli di tre ragazzi che furono ingaggiati dalla Roma calcio. Tutti arrivarono alla nazionale giovanile; uno di loro, portiere, aveva persino Buffon come sua riserva; un altro era cresciuto con Totti. Poi il crack, la botta che non ti aspetteresti mai dalla vita. Una botta che può chiamarsi incidente a un ginocchio, o problema contrattuale dovuto a un procuratore mediocre o, ancora, refrattarietà alle regole. E allora ecco che il tuo sogno si sgretola, la tua vita diventa tutt'altra cosa da come te le immaginavi. Coltivi rabbia, rimpianti e rancori. Il bel documentario di Paolo Geremei ricostruisce la parabola comune ai tre protagonisti attraverso filmati amatoriali e interviste e, a dispetto del pauperismo del materiale a disposizione, riesce a cucire il tutto con invidiabile senso della suspense, creando una sineddoche dell'esistenza attraverso un efficace meccanismo che sposta tutta l'attenzione sul lato umano delle vicende narrate, distogliendola da quella meramente spettacolare.    

sabato 25 aprile 2015

Waste Land - La città dei rifiuti

anno: 2010   
regia: HARLEY, KAREN * WALKER, LUCY   
genere: documentario   
con Vik Muniz   
location: Brasile, Regno Unito, Usa
voto: 6,5   

Alla periferia di Rio de Janeiro c'è Jardim Gramacho, la più grande discarica del mondo. Montagne di rifiuti, miasmi irrespirabili, uccelli da tutte le parti. È lì che lavorano i catadores (da noi, forse, li chiameremmo accattoni), i raccoglitori di tutto ciò che in quelle montagne di immondizia c'è di riciclabile e, quindi, di rivendibile. Ed è a loro che l'artista brasiliano più quotato negli Stati Uniti, Vik Muniz, ha deciso di dedicare il progetto che costituisce l'ossatura di questo documentario: quello di creare opere d'arte gigantesche realizzando dei ritratti dei catadores composti interamente da materiali riciclati. Un progetto che ha l'ambizione di far conoscere al mondo la condizione di queste persone poverissime eppure dignitosissime e, in alcuni casi, persino gioiose, gente che, pur di non cedere alla tentazione della criminalità o a quella della prostituzione, si è letteralmente rimboccata le maniche. Un caso emblematico di come l'arte possa irrompere in maniera costruttiva sul sociale, al quale però non corrisponde una realizzazione filmica altrettanto rilevante: se le immagini girate nella discarica possiedono una potenza strabiliante e se le condizione abitative delle favelas, viste dall'interno, non possono che sembrarci raccapriccianti, sull'intera operazione aleggia un registro piagnucoloso, affettato, con troppe interviste di raccordo che, alla lunga, risultano essere una zavorra ridondante del flusso narrativo.    

domenica 19 aprile 2015

A Dangerous Method

anno: 2011   
regia: CRONENBERG, DAVID
genere: biografico   
con Keira Knightley, Viggo Mortensen, Michael Fassbender, Sarah Gadon, Vincent Cassel, André M. Hennicke, Arndt Schwering-Sohnrey, Mignon Remé, Mareike Carrière
location: Austria, Svizzera
voto: 4,5

Nella Svizzera dei primi del '900 l'allora trentenne dott. Jung (Fassbender) è alle prese con una paziente (Knightley) segnata da una grave forma di isteria aggressiva che ha le sue radici nei maltrattamenti paterni subiti durante l'infanzia e si estrinseca attraverso peculiari comportamenti sessuali. Deciso a trattare la sua paziente attraverso la "terapia della parola" indicata da Sigmund Freud (Mortensen), più anziano di Jung di una ventina d'anni, lo psicologo svizzero diventa dopo qualche tempo l'amante della donna e ricorre allo stesso Freud per confrontarsi sul caso.
Un irriconoscibile Cronenberg, che proveniva dall'indovinatissima terna di Spider, A history of violence e La promessa dell'assassino, firma un'opera gelida e didascalica, verbosissima, fortemente condizionata dall'impianto teatrale originale (la macchina da presa rimane quasi sempre fissa), con personaggi che sfiorano ripetutamente la caricatura e rispetto ai quali alcune delle intuizioni filosofiche ed epistemologiche più feconde del '900 sembrano essere il frutto del caso a disposizione di semi-sprovveduti. Il personaggio di Sabina Spielrein (in precedenza oggetto di attenzioni cinematografiche in Cattiva di Lizzani e Prendimi l'anima di Faenza), interpretato con la consueta cialtroneria da Keira Knightley, oscilla tra intuizioni colte e nevrosi incontrollabile, ma il più esasperato nei tratti è Otto Gross, al quale Vincent Cassell conferisce una supponenza artificiosa. A fronte di questo bigino per dummies, l'aspetto più indovinato è quello che riguarda la contrapposizione tra l'impostazione olistica di Jung, che vuole affacciarsi anche sul parascientifico, e quella decisamente più rigorosa e ortodossa di Freud, tutta tesa a schermare la nascente disciplina psicoanalitica dai portentosi attacchi dei suoi detrattori.    

giovedì 16 aprile 2015

Mia madre

anno: 2015       
regia: MORETTI, NANNI
genere: drammatico
con Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, Beatrice Mancini, Stefano Abbati, Enrico Ianniello, Anna Bellato, Toni Laudadio, Lorenzo Gioielli, Pietro Ragusa, Tatiana Lepore, Monica Samassa, Vanessa Scalera, Davide Iacopini, Rossana Mortara, Antonio Zavatteri, Camilla Semino Favro, Renato Scarpa, Francesco Brandi, Gianluca Gobbi
location: Italia
voto: 5

Il cinema come terapia: dalle nevrosi giovanili, passando per le confessioni schiettamente autobiografiche di Caro diario e Aprile per poi approdare alle paure per la vita del figlio (La stanza del figlio) e a quelle dell'identità politica del Paese (Il caimano) fino a trovare nell'alter ego di Michel Piccoli e Margherita Buy la sponda ideale per raccontare il proprio senso di inadeguatezza e la difficile elaborazione del lutto della madre nonché la difficoltà a vestire i panni di regista. È questo - in maniera sempre più dichiarata - il cinema di Nanni Moretti, un cinema condito dai luoghi caratteristici della sua poetica: la canzone cantata in macchina, il balletto improvvisato, la torta, le conversazioni a tavola, l'idiosincrasia nei confronti della retorica e dei luoghi comuni. Ma è un cinema ormai inteccherito e allo stesso tempo disincantato e malinconico, che ha perso la sua virulenza caustica, la sua capacità di far ridere amaramente o di disseminare dubbi inaspettati. In Mia madre tutto ruota intorno all'alter ego di Moretti, una Margherita Buy raramente vista così a disagio e costretta ad assumere anche i cliché del regista romano, la sua attitudine che da autoironica si è fatta autodissacratoria, forse nel nome di uno sui "duecento schemi" che l'autore vorrebbe abbattere in sé stesso. Nel dodicesimo lungometraggio di finzione di Moretti, Margherita (che conserva il suo nome) è una regista che sta girando un film su una fabbrica che, prossima alla chiusura, sta per essere rilevata da un americano disposto a salvarla a condizione di un ritocco ai salari e alle risorse umane. Il ruolo del nuovo proprietario spetta a un attore cialtrone, mitomane e smemorato (Turturro) col quale la donna ha un rapporto difficile, che si va a sommare a quello con il compagno dal quale si è da poco allontanata (Ianniello). Se l'anima autobiografica relativa alle responsabilità del regista si estrinsecano, in questo processo di cinema terapeutico che scava nell'inconscio con improvvisi scarti temporali e movimenti emozionali spiazzanti, in questo ennesimo film nel film (dopo Sogni d'oro, Aprile e Il caimano), quella privata trova ampio spazio nell'accudimento che la regista e il fratello Giovanni (lo stesso Moretti), che si licenzia appositamente, cercano di dare alla madre morente (Lazzarini), lutto che l'autore di Ecce bombo visse nel 2010. Entrambe le nervature del film - quella professionale e quella intima, familiare - nonostante il sincero travaso autobiografico, lasciano un'impressione di incompiutezza, di virata verso toni sempre più saturnini (sottolineati dalla colonna sonora di dolorosa bellezza composta in gran parte dai brani eterei e rarefatti di Arvo Pärt), di un cinema sempre più ombelicale che si mette davvero troppo "accanto al personaggio" (come predica continuamente la protagonista senza sapere neppure esattamente cosa significhi), di una di una stasi creativa che i cinefili si augurano possa interrompersi il prima possibile, pena il rischio che dopo le opere sull'elaborazione dei lutti del figlio e della madre possano arrivare anche quelli del prozio e della tata.    

mercoledì 15 aprile 2015

Enzo Avitabile Music Life

anno: 2012   
regia: DEMME, JONATHAN
genere: documentario
con Enzo Avitabile, Eliades Ochoa, Naseer Shamma, Gerardo Núñez, Ashraf Sharif Khan Poonchwala, Trilok Gurtu, Luigi Lai, Zi' Giannino del Sorbo, Amal Murkus, Djivan Gasparyan Trio, Hossein Alizadeh, Daby Tourè, Bruno Canino, Carlo Avitabile, Gianluigi Di Fenza, Marco Pescosolido, Ciro Piazza, Giuseppina Montesano
location: Italia
voto: 6,5

Dopo il film sui Talking Heads (Stop making sense) e i due documentari dedicati a Neil Young (Heart of gold e Journeys), che per lui aveva scritto il brano di chiusura di Philadelphia, Jonathan Demme torna a sottolineare il suo amore per la musica con un film che non ti aspetteresti, dedicato al polistrumentista partenopeo Enzo Avitabile. Affermatosi negli anni '80 nell'ambito di quella effervescente scena napoletana che trovò i suoi vertici in Edoardo Bennato e Pino Daniele (col quale militò in pianta stabile per alcuni anni), Avitabile partì dal funky, dal soul e dal jazz (nei suoi primi dischi si possono apprezzare le sue doti di sassofonista) per poi spostarsi sulla world music. Il documentario del regista di film come Una vedova allegra... ma non troppo e The truth about Charlie porta inaspettatamente alla ribalta questo campano verace, energico, dalla cultura musicale enciclopedica (impressionanti i suoi archivi sulle scale musicali adottate nelle diverse culture e sui ritmi), autore di circa 300 opere. Il film è un lavoro realizzato con pochi spiccioli, che segue il caracollare del musicista per i vicoli della città, tra amici e vecchi insegnanti di musica, soffermandosi sull'esecuzione di alcuni brani sempre in rigoroso abito etnico. Più che dal film, davvero meno che essenziale, siamo trascinati dalla simpatia del suo protagonista, dai racconti di alcuni momenti topici della sua vita (due trapianti di cornea, il pendolare con viaggio di andata e ritorno tra cattolicesimo e buddismo), dalla sentita dedica a Vittorio Arrigoni, l'attivista per la pace morto a Gaza nel 2011, e dalle sue canzoni di struggente bellezza.    

martedì 14 aprile 2015

Quando dal cielo - Wenn aus dem Himmel

anno: 2015       
regia: FERRARO, FABRIZIO
genere: documentario
con Paolo Fresu, Daniele Di Bonaventura, Manfred Eicher, Stefano Amerio
location: Italia, Svizzera
voto: 5

Per chi non lo conoscesse, Manfred Eicher non è uno dei, bensì il più importante e vero innovatore tra i produttori di musica jazz, avanguardia e cameristica degli ultimi 40 anni. Il 70enne di stanza a Monaco con la sua etichetta discografica, la ECM, sta alla musica - in veste di produttore - come George Lucas sta al cinema. Per di più, i suoi contatti con la settima arte sono tutt'altro che occasionali, come dimostra la pubblicazione delle colonne sonore dei film di Theo Angelopoulos scritte da Eleni Karaindrou (Il volo, Paesaggio nella nebbia, Il passo sospeso della cicogna, Lo sguardo di Ulisse, L'eternità e un giorno, La sorgente del fiume e La polvere del tempo), i ciclopici tributi al cinema di Godard e la soundtrack del film Il ritorno. Non di meno, Paolo Fresu, che da otto anni è stato assoldato dall'etichetta bavarese, ha anch'egli un rapporto intimo e continuo con il cinema, come documentano le colonne sonore di Passaggi di tempo, Scores! e 7/8, del quale è anche interprete. Rovesciando la prospettiva, tanto il tedesco quanto il sardo sono stati oggetto di interesse cinematografico: il primo attraverso il capolavoro Sounds and silence; il secondo in un documentario che ne ricostruisce la traiettoria artistica, intitolato 365. Li ritroviamo insieme in questa occasione, a Lugano, città nella quale, all'interno dell'auditorium deserto della Radio Svizzera Italiana, il trombettista ormai assurto a fama internazionale ha registrato, con divino interplay, un disco insieme al bandoneonista marchigiano Daniele di Bonaventura. Il film di Fabrizio Ferraro - qui al suo quarto lungometraggio dopo Piano sul pianeta, Penultimo paesaggio e Quattro notti di uno straniero - si offre come testimonianza di quei due giorni di registrazione, tra posizionamento dei microfoni, cambiamenti di note, aggiustamenti in consolle di registrazione (sulla quale siede l'abilissimo Stefano Amerio), invenzione estemporanea dei titoli dei brani e inglese maccheronico. Il tutto intervallato da immagini in movimento - autostrade, traghetti -, da quelle del mare, delle colline marchigiane o dai neri improvvisi che sembrano voler accompagnare le continua ricerca dei silenzi che è il marchio di fabbrica di molte produzioni ECM. Per chi ama visceralmente la musica al punto da essere interessato anche ai suoi processi produttivi, al dietro le quinte di un lavoro soltanto in apparenza semplice, il making of di In maggiore (questo il titolo del disco carico di lirismo di Fresu & Di Bonaventura) costituirà un'occasione per sbirciare sui moltissimi dettagli di un lavoro che sembra richiedere pazienza, concentrazione, creatività e, ovviamente, moltissimo ascolto. Ma qualche perplessità sorge proprio sull'aspetto cinematografico del prodotto: costretti all'assoluta discrezione, Ferrero e la sua troupe si sono limitati a piazzare macchine da presa fisse e, per quanto possano essere serviti postproduzione e montaggio, la staticità dell'intero lavoro si avverte in maniera incontrovertibile, finendo col fare di questo comunque encomiabile progetto un parente povero del già citato Sounds and silence.    

sabato 11 aprile 2015

Pulce non c’è

anno: 2012   
regia: BONITO, GIUSEPPE   
genere: drammatico   
con Pippo Delbono, Marina Massironi, Francesca Di Benedetto, Ludovica Falda, Piera Degli Esposti, Anna Ferruzzo, Rosanna Gentili, Alberto Gimignani, Giorgio Colangeli, Lucia Vasini, Tiziana Catalano, Giusi Merli, Francesco Rossini, Bobo Marchese, Fabio Farronato, Tatiana Lepore, Elisa Catale   
location: Italia
voto: 7   

Lei si chiama Margherita (Falda), ma in famiglia tutti la chiamano Pulce. Ha nove anni ed è autistica. Pur nelle inevitabili difficoltà della convivenza, la vita in casa procede serenamente e con l'affetto di tutti. Fino a quando non arriva il giorno in cui, dietro ordinanza del giudice, Pulce non viene prelevata dalla scuola e condotta in una casa famiglia. Il motivo? La pesantissima accusa rivolta al padre (Delbono) di avere abusato di lei e della sorella maggiore, Giovanna (Di Benedetto). Necessario eludere il racconto dell'evoluzine della vicenda, perché è cruciale il gioco di ineluttabili sospetti persino in famiglia, le perizie, la rabbia, la depressione, lo sbirciare di sottecchi degli altri. E il film, che parte come il bozzetto delle ordinarie difficoltà di una famiglia costretta a fare fronte al disagio psichico, si trasforma nella deflagrazione delle tensioni nascoste, delle frustrazioni mai raccontate, delle reciproche rimostranze, lasciando aggallare gli effetti collaterali non solo del potenziale stigma della malattia, ma anche quelli del mostro da sbattere in prima pagina. È a quel punto che il primo lungometraggio di Bonito si trasforma in un atto di denuncia verso le istituzioni burocratizzate e assenti e contro una scuola che ha recepito il diktat del rispetto dell'integrità dei minori con acefalo zelo.    

venerdì 10 aprile 2015

Figlio di nessuno (Nicije dete)

anno: 2014       
regia: RSUMOVIC, VUK  
genere: drammatico  
con Denis Muric, Milos Timotijevic, Pavle Cemerikic, Isidora Jankovic, Tihomir Stanic, Borka Tomovic, Goran Susljik, Zinaida Dedakin, Branka Selic, Mihailo Laptosevic, Draginja Voganjac, Marija Opsenica, Ljuba Todorovic, Bora Nenic, Biljana Vucic, Miodrag Jelic, Ivana Zecevic, Milutin Milicevic, Emanuel Ajeti, Dejan Tosic, Janko Gacic, Hajrudin Basic, Igor Borojevic, Pavle Simovic  
location: Bosnia
voto: 6  

Nell'inverno del 1988 un ragazzino sui 13 anni che viveva con un branco di lupi e che praticamente non aveva mai avuto contatti con gli umani fu trovato in mezzo ai boschi della Bosnia. Portato in un collegio, venne sottoposto a un faticoso tentativo di adattamento ed educazione, che riescì in buona parte anche grazie a un altro ragazzo istituzionalizzato. Ma l'inizio della guerra fece precipitare tutto e il ragazzo, che nel frattempo aveva imparato a leggere e a scrivere, oltre che a parlare, venne catapultato sul fronte bellico, proprio in mezzo a quei boschi dai quali era iniziata la sua avventura di vita.
Dopo aver visto questo film basato su una storia vera, è impossibile non pensare a Il ragazzo selvaggio. Laddove però il film di Truffaut guardava soprattutto alla maturazione umana, al rapporto quasi filiale del ragazzo selvaggio con il suo mentore nonché alla prassi psichiatrica, questo primo lungometraggio del serbo Vuk Rsumovic privilegia il contesto, concentrandosi sugli episodi di bullismo, sulla rozzezza degli educatori, sullo squallore dell'istituzione, sulla carenza degli stimoli. E il film, che soffre un adattamento quanto meno nel trucco della metamorfosi del giovanissimo protagonista nell'arco di quattro anni, procede con un ritmo piuttosto monocorde nel suo programmatico intento di mostrare la metafora hobbesiana secondo cui tra lupi a quattro zampe e lupi bipedi, i secondi sono decisamente più malvagi dei primi.
Premio per il miglior sceneggiatore, premio Fipresci e premio del pubblico "Rarovideo"alla 29. Settimana internazionale della critica (Venezia, 2014).    

mercoledì 8 aprile 2015

Wild

anno: 2014       
regia: VALLEE, JEAN-MARC
genere: avventura
con Reese Witherspoon, Laura Dern, Thomas Sadoski, Michiel Huisman, Gaby Hoffmann, Kevin Rankin, W. Earl Brown, Mo McRae, Keene McRae, Brian Van Holt
location: Usa
voto: 6,5

Il fantasma di una madre amatissima (Dern), scomparsa prematuramente. Lo smarrimento dopo il lutto, la fine del matrimonio, il sesso compulsivo di letto in letto, di strada in strada, l'eroina. C'è un bisogno di rinascita dietro l'impresa improvvisata e sgangherata che negli anni '90 portò Cheryl Strayed (Witherspoon) a percorrere il sentiero della creste del Pacifico per oltre 1600 chilometri, da sola e per più di tre mesi. Il film di Jean-Marc Vallée (il regista di Crazy e Dallas Buyers Club), sceneggiato nientedimeno che da Nick Hornby, riprende le pagine del racconto autobiografico della Strayed mostrando, attraverso un continuo ed efficace gioco di flashback, tutto il tormento interiore della protagonista, la sfida a sé stessa, la tentazione di abbandonare l'impresa, la volontà di un riscatto e di una rinascita. Se l'espediente del road movie come metafora della ricerca di un percorso di risurrezione interiore è stato utilizzato già molte altre volte nel cinema (basterebbe pensare a Into the wild), qui l'elemento avventuroso viene particolarmente accentuato, in una miscela che sta tra The way back e Forrest Gump ma che finisce anche col somigliare troppo al coevo Tracks. Oltre allo zaino, Reese Whiterspoon carica sulla proprie spalle, anche in veste di co-produttrice, il peso di un film denso, anche se non molto originale, ma viziato da un eccesso di retorica sulla famiglia. Colonna sonora da standing ovation, con brani di Bruce Springsteen, Leonard Cohen, Pat Metheny, Portishead, Simon & Garfunkel.    

martedì 7 aprile 2015

White God - Sinfonia per Hagen (Fehér isten)

anno: 2014       
regia: MUNDRUCZO, KORNEL
genere: horror
con Zsófia Psotta, Sándor Zsótér, Lili Horváth, Szabolcs Thuróczy, Lili Monori, Gergely Bánki, Tamás Polgár, Károly Ascher, Erika Bodnár, Body, Bence Csepeli, János Derzsi, Csaba Faix, Edit Frajt, Alexandra Gallusz, Péter Gothár, László Gálffi, András Hídvégi, Ferenc Lakatos, Luke, Virág Marjai, László Melis, Kornél Mundruczó, Ervin Nagy, Ilona Nagy, András Réthelyi, Natasa Stork, Ferenc Takács, Gábor Téni, Orsolya Tóth, Hans van Vliet, Vanda Verle, Krisztián Vranik, Miklós Hajdu
location: Ungheria
voto: 5

Scordatevi Lassie, Rin-tin-tin e anche Braccobaldo. Questa è la carica dei 101 moltiplicata per 2 con Cujo al posto dei dalmata. Comincia con un'interminabile scia di cani che scorrazzano in branco, a centinaia, per Budapest, in una città spettrale dove è scattato il coprifuoco, il film che si è aggiudicato il premio "un certain Regard" al festival di Cannes. Tutto comincia nei giorni in cui il cane meticcio Hagen e la sua padroncina (un'adolescente che suona nell'orchestra cittadina) vengono affidati per alcuni mesi al padre (Zsótér), giacché la madre della ragazza, da cui l'uomo è separato, deve andare all'estero. Il genitore non vuole saperne di pagare la tassa che il governo locale ha previsto per i cani sprovvisti di pedigree, sicché, in un afflato di grande umanità, abbandona Hagen per strada. Da qui ha inizio la via crucis del quadrupede: al randagismo dei primi giorni seguono i continui inseguimenti da parte degli accalappiacani, quindi la trasformazione da parte di un sordido scommettitore in un cane per scommesse clandestine negli scontri tra bestie feroci, infine la reclusione nel canile municipale. Da dove, "forte" delle dosi massicce di testosterone assunte in vista dei combattimenti, Hagen si trasforma in un efferato Masaniello alla guida di un branco sterminato. E il film - che fino a quel momento avrebbe potuto raccogliere l'applauso dei cinefili quanto quello dei cinofili - si trasforma in un revenge movie dalle tinte horror con tanto di gran-guignol.
Equamente ripartito tra presenze canine e umane, il film del magiaro Mundruczo è una metafora alquanto grezza sulla ribellione degli oppressi e sulle ingiustizie provocate dalle disuguaglianze sociali. La fiaba metropolitana tanto apprezzata nel festival transalpino ha indubbiamente il merito di aver filmato in maniera inusitata la torma canina, ma mira sfacciatamente a colpire duro lo stomaco dello spettatore, riuscendoci peraltro benissimo soprattutto nelle sequenze dell'addestramento di Hagen al combattimento e dandoci un macabro assaggio del mood filmico fin dalle primissime scene attraverso lo squartamento delle vacche nel mattatoio. Ci si appassiona alla sorte del meticcio protagonista fino a quando questa rimane nei binari della plausibilità. Ma non appena la scena viene lasciata agli umani, peraltro indistintamente tratteggiati con tocchi di assoluto manicheismo, il film collassa e tra cani-attori e attori-cani, i primi ci fanno una figura indiscutibilmente migliore. Il finale che sterza sul registro splatter recuperando la poetica de Il pifferaio di Hamelin fa rimpiangere la solidità del primo episodio di Amores perros, con tanto di citazione esplicita a La notte dei morti viventi.    

lunedì 6 aprile 2015

Blackhat

anno: 2015       
regia: MANN, MICHAEL
genere: thriller
con Chris Hemsworth, Leehom Wang, Wei Tang, Viola Davis, Holt McCallany, Andy On, Ritchie Coster, Christian Borle, John Ortiz, Yorick van Wageningen, Tyson Chak, Brandon Molale, Danny Burstein, Archie Kao, Abhi Sinha, Jason Butler Harner, Manny Montana, Spencer Garrett, Shi Liang, Kan Mok, David Lee McKinney, Sophia Santi, Muscle Marquez, Victor Chi, Peter Jae, Siu-Fai Cheung, Tommy Wong, Ivan Ngan, Courtney Wu, Adrian Pang, Leanne Li, Marcus Mok, Timothy Nga, William Mapother, Kamal, Ahyu U. Rosli, Frank Cutler, Jeff Roncone, Michael Flores, James Lim, Berg Lee, M. Anom Perkasa, Jonathan Ozoh, Eric Berindei, Jeremy Tatar, Gerald Petrow, Brian Labahn, Daniel Cahill, Todd Emert, Peter Rowley, Razaq Sahibjahn, Mohd Gaizudeen Sahibjahn, Yonkky Daniel Parengkoan, Musim Surbakti, Fadillah Ramadhan Rachmat, Qurais Mohammed, Acil Azis Amirullah
location: Cina, Hong Kong, Indonesia, Usa
voto: 5,5

Un blackhat, ossia uno degli hacker dediti al cyber terrorismo più esiziali che esistano, dapprima mette ko alcune centrali nucleari in Cina, quindi fa lievitare a dismisura e nel giro di pochissime ore il prezzo della soia a Wall Street. La polizia informatica internazionale e i servizi segreti formano così una task force per scoprire e fermare il colpevole, prossimo a qualche altra bravata. Ma per poter ottenere qualche risultato sono costretti a scarcerare un altro blackhat, che sta scontando 15 anni di pena per reati informatici. Lasciata una lunga scia di cadaveri, l'operazione si conclude in Indonesia con esiti imprevedibili.
Partito da un'idea interessante che intercetta una delle più diffuse paure collettive del XXI secolo, quella di un attacco informatico capace di mettere a repentaglio l'equilibrio globale del sistema economico, il fumettone di Mann (già regista di film di successo come Heat, Insider e Nemico pubblico) si stempera nelle tortuosità della trama, che si caratterizza per un incedere ellittico presumibilmente funzionale a sorvolare sulla plausibilità dei nessi. Sicché, a dispetto di alcune accelerazioni che fanno bruscamente virare il plot dallo spy movie all'action, l'insieme finisce col somigliare a uno dei tanti film di genere, peraltro servito, in questo caso, da un protagonista - Chris Hemsworth (lo avevamo visto nel ruolo principale in Thor e Rush) - tutto muscoli ma privo di qualsiasi carisma e senza alcuna capacità espressiva.    

Sul Vulcano

anno: 2014       
regia: PANNONE, GIANFRANCO
genere: documentario
con Yole Loquercio, Matteo Fraterno, Maria Perfetto, Raffaella Pernice, Maria Del Porto, Salvatore Di Gennaro, Carmine Montella, Antonio Perna, Salvatore Perfetto, Pasquale Persico, Giovanni Ricciardi, e con le voci di Roberto de Francesco, Andrea Renzi, Iaia Forte, Fabrizio Gifuni, Aniello Arena, Toni Servillo, Donatella Finocchiaro, Leo Gullotta, Renato carpentieri, Enzo Moscato, Guenda Goria, Ciro Carlo Fico
location: Italia
voto: 3,5

Indovinata l'idea di raccontare cosa significhi vivere sotto (e non "sul", come invece suggerisce il titolo) la minaccia perennemente incombente di un vulcano come il Vesuvio, peraltro in quella Zona Rossa che pare sia la più affollata d'Europa, Gianfranco Pannone - come già aveva fatto con i pessimi Il sol dell'avvenire ed Ebrei a Roma, anch'essi partiti da un spunto assai intrigante - spreca tutto come al solito. Il suo documentario si concentra su tre testimonianze principali, tutt'altro che rappresentative: una floricultrice, un artista che lavora con la sabbia vulcanica e una cantante neomelodica.
A fianco di queste assembla qualche altro stralcio di intervista, moltissime immagini di repertorio fornite dall'istituto Luce (quanto di meglio offra il film) e una manciata di brani letterari recitati da attori partenopei. L'operazione soffre moltissimo il coagulo tra materiali tanto differenti, la mancanza totale di una visione d'insieme, la selezione di riprese minimamente interessanti. Sicché le uniche cose che rimangono sono la magnifica voce di Toni Servillo che legge Giordano Bruno, le immagini dello stupore dei soldati americani nel '44, in occasione dell'ultima eruzione del Vesuvio, la spiegazione del nesso esistente tra la simbologia legata a S. Gennaro e la scelta dei partenopei di eleggerlo al ruolo di santo patrono e lo sgomento per una terra che al pericolo incombente dell'eruzione vulcanica ha aggiunto quello di una sterminata eruzione di cemento.    

domenica 5 aprile 2015

Third Person

anno: 2013       
regia: HAGGIS, PAUL
genere: drammatico
con Liam Neeson, Mila Kunis, Adrien Brody, Olivia Wilde, James Franco, Moran Atias, Vinicio Marchioni, Maria Bello, Kim Basinger, David Harewood, Loan Chabanol, Riccardo Scamarcio, Oliver Crouch, Casey Affleck
location: Francia, Italia, Usa
voto: 4

Sei personaggi in cerca di un autore che non c'è. O, se c'è, si è smarrito. Paul Haggis, uno che ci aveva regalato film di buona fattura come Crash o The next three days (per non parlare dell'ottima sceneggiatura di Million dollar baby), si smarrisce nel dedalo di città (New York, Parigi, Londra, ma anche la suburra di Taranto, tutte indistintamente fotografate con ostentati accenti oleografici) che fanno da sfondo a un racconto dalla struttura a puzzle al centro del quale si trova uno scrittore premio Pulitzer (Neeson) che riceve nell'albergo parigino dov'è di stanza l'amante rampante con rapporto incestuoso nascosto (Wilde). A Roma un uomo d'affari (Brody) con la coscienza sporca vuole pagare il riscatto per riavere la figlia di una zingara (Atias) conosciuta per caso in un bar, mentre a New York una cameriera d'albergo (Kunis) si dispera nel tentativo di riavere in affido il figlio che è stato dato al padre, un artista di grido (Franco). Chi sia la terza persona del titolo è così poco chiaro che, a dispetto delle ricerche fatte sulla stampa specializzata, mi è stato impossibile venirne a capo. Lo scrittore che per motivi imperscrutabili a un certo punto si sposta a Roma e sta radunando i pezzi per il suo nuovo, avvincente romanzo? O un bambino-ombra, che - in qualche maniera - sembra entrare in tutte e tre le vicende (che, stavolta, non sembrano però riconnettersi)? Quale  che sia la risposta, il dubbio che permane è l'esito di un film con "fellinismi da mercatino dell'usato" (Caprara), patinato, pasticciatissimo, irritante per come rende tutto superficiale, peraltro degradando Roma a una casbah popolata da gretti creduloni. Sarà anche per questo che il film è arrivato nelle sale con due anni di ritardo, nonostante un cast di prim'ordine che rende però tangibile il sentore dello spaesamento di diversi attori, a cominciare da un Adrien Brody perennemente corrucciato e da professionisti altrove carismatici come Scamarcio e Marchioni, qui ridotti a pallide macchiette.    

sabato 4 aprile 2015

Second chance (En chance til)

anno: 2014       
regia: BIER, SUSANNE  
genere: drammatico  
con Nikolaj Coster-Waldau, Ulrich Thomsen, Nikolaj Lie Kaas, Thomas Bo Larsen, Maria Bonnevie, Peter Haber, May Andersen, Bodil Jørgensen, Molly Blixt Egelind, Ewa Fröling  
location: Danimarca
voto: 7  

Il poliziotto Andreas (Coster-Waldau) e sua moglie Anne (Bonnevie) perdono improvvisamente il loro neonato. Così la notte dell'accaduto Andreas decide di placare la disperazione della moglie sottraendo un altro neonato a una coppia di tossicodipendenti che fa vivere il loro piccolo in condizioni ignobili. Ma la madre del bambino rapito (Andersen), che al suo posto trova il cadavere dell'altro, continua a urlare la sua verità e la sua innocenza: il bimbo morto non è il suo. Le cose si complicano a dismisura quando il suo compagno (Kaas) - convinto che il corpo esanime sia proprio quello di suo figlio - cerca di rimediare alla situazione inscenando un altro rapimento.
Da Open hearts a In un mondo migliore, quasi tutto il cinema di Susanne Bier ruota intorno ai grandi dilemmi etici nei quali pone i suoi personaggi, spesso imbrigliati nel meccanismo del doppio (declinato secondo lo spunto narrativo dello scambio di persona, come già in film come Toto le heros, Il 7 e l'8, Father and Son e Il figlio dell'altra). Non fa eccezione questo ritorno in patria dopo l'escursione americana di Una folle passione, dal quale la regista danese riprende il tema di una maternità mancata e l'espediente narrativo di un padre che vuole mettere in salvo il proprio figlio. La critica ha fatto a pezzi la Bier per l'eccesso di manicheismo col quale sono tratteggiate le diverse figure e in effetti non si può negare che la topaia dove vive la coppia di tossicodipendenti e la casa dotata di ogni comfort del poliziotto e di sua moglie (ma quanto guadagna un agente di polizia in Danimarca?) siano le metafore di una polarizzazione socioeconomica forse eccessivamente calcata. Ma è altrettanto indiscutibile che il film sia percorso da una tensione costante, che i colpi di scena siano spesso spiazzanti e che l'intero lavoro sia servito da attori in stato di grazia e da scelte visive ragguardevoli.    

giovedì 2 aprile 2015

Source Code

anno: 2011   
regia: JONES, DUNCAN
genere: fantascienza
con Jake Gyllenhaal, Michelle Monaghan, Vera Farmiga, Jeffrey Wright, Michael Arden, Cas Anvar, Russell Peters, James A. Woods, Joe Cobden
location: Usa
voto: 7

Un treno pieno di pendolari sta attraversando Chicago. Su di esso viaggiano un attentatore e Colter Stevens (Gyllenhaal), un agente segreto che deve sventare la possibile sciagura. Lo 007 è gestito a distanza come terminale di un protocollo chiamato Source Code, che permette a Stevens di tornare in loop sulle proprie azioni, provando e riprovando fino ad arrivare alla soluzione. Riuscirà a salvare tante vite e a individuare il vero attentatore, dopo avere sospettato di molti viaggiatori, evitando così un nuovo 11 settembre?
Prendete le tecniche di prevenzione del crimine di Minority report, aggiungeteci il loop temporale di Ricomincio da capo e la telecinesi di Avatar: otterrete così questo robusto film di fantascienza nel quale la trama gialla si mescola con quella rosa. Operazione che sarebbe riuscita a meraviglia se gli eccessi di ambizione sci-fi non avessero costretto i redattori del copione a qualche clamoroso buco di sceneggiatura. Ma si può chiudere un occhio davanti a un prodotto di genere di indubbia intelligenza, opera seconda (dopo Moon) di Duncan Jones, il figlio di David Bowie.