domenica 27 aprile 2014

Un colpo perfetto (Flawless)

anno: 2007       
regia: RADFORD, MICHAEL 
genere: giallo 
con Demi Moore, Michael Caine, Lambert Wilson, Nathaniel Parker, Shaughan Seymour, Nicholas Jones, David Barrass, Joss Ackland, Silas Carson, Derren Nesbitt, Rosalind March, Kevan Willis, Stanley Townsend, Jonathan Aris, Ben Righton, Constantine Gregory, Simon Paisley Day, David Henry, Yemi Goodman Ajibade, William Scott-Masson, Natalie Dormer, Kate Maravan, Steve Preston, Claire Thill, Julian Nest, Roya Zargar, Violaine Miller, Carole Bruere, Philippe Bruere, Jean Adolphe 
location: Regno Unito
voto: 4

Londra, anni '60. Nei posti di potere, quelli che contano, ci sono soltanto uomini. Una donna (Moore) è l'unico elemento estraneo di una compagnia che vende diamanti in tutto il mondo con profitti indicibili. La guerra fredda aleggia, la donna ha posizioni troppo radicali sull'incidente ruolo dei russi nella vendita dei diamanti e il suo siluramento è già pronto nei cassetti dei vertici aziendali. Così la donna accetta la proposta di un anziano addetto alle pulizie (Caine) che lavora nello stesso edificio: quella di portar via alla compagnia una piccola quantità di diamanti. Il colpo, perfettamente architettato grazie alle competenze di idraulica dell'uomo, sarà ben più clamoroso del previsto.
Con Un colpo perfetto conferma di essere un regista a cottimo, poco ispirato, visivamente sempre piuttosto piatto (come già si era visto nei precedenti Il postino e Il mercante di Venezia, assurti a una qualche notorietà). Qui il registro è quello da soap televisiva, con attori imbalsamati, luci piatte, azione ai minimi e sceneggiatura didascalica. Cosa ci faccia lì in mezzo un gigante come Michael Caine è un mistero.    

giovedì 24 aprile 2014

Still life

anno: 2013       
regia: PASOLINI, UBERTO
genere: drammatico
con Eddie Marsan, Joanne Froggatt, Karen Drury, Andrew Buchan, Neil D'Souza, David Shaw Parker, Michael Elkin, Ciaran McIntyre, Tim Potter, Paul Anderson, Bronson Webb, Leon Silver, Lloyd McGuire, Wayne Foskett, Hebe Beardsall, William Hoyland, Deborah Frances-White, Andrew Ashford, Mark Oliver, Paddy O'Reilly, Rhodri Hosking, Rosie Kosky-Hensman, Frankie Wilson, Aaron Ishmael, Rose-Marie Christian, Colin Hoult, Stuart Bailey, Hannah Blamires, Daniel Braveboy, Mike Burton Phillipson, Louis Cooper Robinson, Al Cowie, Chris Cowlin, Alex Eldimiati, James a FitzGerald, Susan Fordham, Nigel Genis, Lee Nicholas Harris, Justin Hayward, Richard Herdman, Mo Idriss, Mike Linnane, Shaun Lucas, Calisto Machado, Ian Mann, Taisie Mccallum, Gino Picciano, Elise Quevedo, Mike Ray, Chris Repps, Carl Robinson, Santi Scinelli, James Singer, Kyla Wight, Celine Jedidi
location: Regno Unito
voto: 4

A dispetto del cognome (nessuna parentela con il più celebre Pier Paolo; ma, in compenso, è il nipote di Luchino Visconti), di norma Uberto Pasolini non richiama propriamente folle oceaniche in occasione dell'uscita dei suoi film (sebbene, in veste di produttore, sbancò al botteghino con Full monty). Per cui la funzione del passaparola diventa essenziale. Di bocca in bocca, l'aggettivo che è arrivato ripetutamente alle mie orecchie è stato "poetico". Va bene, allora vediamo questo film "poetico". Ottantotto minuti (questo il maggior pregio del film: dura relativamente poco) che garantiscono l'orchite anche al più indomito collezionista di film di Antonioni, Kaurismaki e Tarkovskj. La storia è quella di un impiegato del comune che, quando arrivano i tagli alle casse pubbliche, arriva al suo ultimo compito: quello di trovare, per l'ennesima volta, i parenti più prossimi al morto, nei casi di gente trapassata in solitudine. Tutto è costruito per apparecchiare la scena finale, con una tirata quasi in tempo reale e con ritmo assolutamente monocorde che tra musiche rarefatte e scene pensate ad arte per essere fotografate ci squaderna il suo teorema sulla vita (del protagonista) che nasce dalla morte (degli altri). Così il film arranca ripetendo continuamente lo stesso modulo e affidandosi a un attore inespressivo come Eddie Marsan, che con quella faccia da museo degli orrori era molto più credibile in parti come quella, crudelissima, che gli fu affidata in Tirannosauro. Da segnalare che, nella miriade di ovazioni che la critica ha tributato all'opera seconda di Pasolini (la prima fu Machan), la sola voce dissonante è stata quella (peraltro straniera) di Internazionale, che ha bollato il film come paccottiglia tutta alla ricerca dell'effetto lirico. Tutti gli altri hanno gridato al capolavoro. Quindi regolatevi...    

Sin nombre



anno: 2009       
regia: FUKUNAGA, CARY  
genere: gangster  
con Marco Antonio Aguirre, Leonardo Alonso, Karla Cecilia Alvarado, Juan Pablo Arias Barrón, Rosalba Belén Barrón, Felipe Castro, Rosalba Quintana Cruz, Marcela Feregrino, Kristyan Ferrer, Edgar Flores, Giovanni Florido, Paulina Gaitan, Ariel Galvan, Diana García, Gabriela Garibaldi, Ignacio Gonzalez, Noé Hernández, Lilibeth Flores, Jesús Lira, Catalina López, Hector Anzaldua, Benny Manuel, Fernando Manzano, Liliana Martinez, Mary Paz Mata, Tenoch Huerta, Emir Meza, Emilio Miranda, José Miguel Moctezuma, Esperanza Molina, Luis Fernando Peña, Iván Rafael, Gabino Rodríguez, David Serrano, Gerardo Taracena, Harold Torres, Andrés Valdéz, Max Valencia Zúñiga, Noé Velázquez, Tulio Villavicencio, Guillermo Villegas, Javier Rivera Flores, Luis Ángel Paz Flores, José Rogelio Vázquez López, Luis Antonio Vázquez López, José Luis Montiel Luna, Marco Tolio Durand Martínez, Jesús Humberto Fuentes Perez, Luis Alfredo Rodríguez Sánchez, Silverio Menchaque Zárate, Héctor Jiménez, Damayanti Quintanar  
location: Guatemala, Honduras, Messico
voto:1

Parte come il racconto di formazione del tredicenne Smiley, costretto a brutali riti inziatici pur di entrare a far parte di una gang di cattivissimi stratatuati e prosegue come un film d'avventura venato dalla brama di vendetta. Questo concentrato di violenza compiaciuta miscela il tema della redenzione con quello dell'emigrazione, facendo incontrare una ragazza che, col padre e lo zio, è partita dall'Honduras per attraversare il Messico e arrivare alla frontiera con gli Stati Uniti, e un ragazzo che ha ucciso il capobanda, reo, tra le tante attività pie e filantropiche che normalmente esercita, di avergli assassinato la fidanzata dopo una colluttazione con mancato stupro (non mi avrebbe stupito una divagazione necrofila nel film, che per fortuna non s'è vista). I due giovani cercano insieme di guadagnare la frontiera ma, per un film come questo che propugna la violenza un tanto al chilo, il finale consolatorio sarebbe stato disdicevole.
Scritto pessimamente, girato peggio, recitato in maniera nauseabonda, Sin nombre è la quintessenza del filmetto di genere travestito da operina pseudo-impegnata. Bocciatissimo.    

domenica 20 aprile 2014

Ken Park

anno: 2002   
regia: CLARK, LARRY * LACHMAN, EDWARD
genere: erotico
con James Ransone, Tiffany Limos, Stephen Jasso, Amanda Plummer, James Bullard, Mike Apaletegui, Adam Chubbuck, Maeve Quinlan, Eddie Daniels, Patricia Place, Wade Williams, Harrison Young, Richard Riehle, Bill Fagerbakke, Shanie Calahan
location: Usa
voto: 7

C'è un padre che tenta di praticare una fellatio (pompino, per il mio amico Leonardo, che altrimenti mi dice che sono un incrocio tra Giovanardi e Padre Amorth) al figlio mentre questo sta dormendo. Ce n'è un altro, vedovo, che ha una simpatica reazione verso il ragazzo della figlia quando trova i due giovani a letto: bisogna pur combattere la concorrenza, soprattutto se tua figlia somiglia così tanto a tua moglie buonanima. Tra un colpettino paterno e una pratico sadomaso, l'immacolata ragazzina si sollazza praticando sesso in batteria. Poi c'è una mamma che, quando il maritino è fuori casa, si fa trastullare dal fidanzatino poco più che adolescente della figlia e poi lo invita anche a pranzo, occasione per giocare alla famiglia felice. Infine c'è un ragazzo che si masturba compulsivamente (che si fa delle gran seghe, per il mio amico Leonardo, che altrimenti mi dice che sono un bacchettone) e che, tra un'operazione onanistica e l'altra, riesce anche a trovare il tempo per massacrare i nonni a coltellate. Bisogna riconoscerglielo: non senza ragioni. Il nonno, infatti, bara a Scarabeo e la nonna lo sostiene in questo comportamento evidentemente scandaloso.
Messa così, Ken Park (dal nome del ragazzino che, nella scena iniziale, si suicida in modo molto teatrale, giusto per dare il buongiorno allo spettatore) potrebbe sembrare uno di quei film concepiti a tavolino per lasciare il pubblico a bocca aperta, tanto grande è la voglia di stupire e tanto generosi sono i particolari anatomici (quasi sempre maschili, per la verità) che vengono elargiti a ogni manciata di minuti a un pubblico ormai vaccinato. E, in effetti, un po' è così. Però al film di Larry Clark e Edward Lachman va riconosciuto di saper scaraventare badilate di sterco (merda, per il mio amico Leonardo che altrimenti dice che sembro un gesuita) sull'ipocrisia borghese della sonnacchiosa provincia americana, producendo così un'opera ad alta tensione che è una sorta di incrocio tra il Bunuel de L'angelo sterminatore, una versione aggiornata de I peccatori di Peyton e il Monteiro più caustico, quello de La commedia di Dio, per intenderci. Astenersi neo-catecumenali e focolarini. E padre Amorth.    

venerdì 11 aprile 2014

Lo straniero senza nome

anno: 1973   
regia: EASTWOOD, CLINT 
genere: western 
con Clint Eastwood, Verna Bloom, Marianna Hill, Mitch Ryan, Jack Ging, Stefan Gierasch, Ted Hartley, Walter Barnes, Richard Bull, Paul Brinegar, Geoffrey Lewis, Billy Curtis, Scott Walker, Robert Donner 
location: Usa
voto: 8

A Lago, minuscola cittadina dell'Ovest con pochissime anime, arriva uno straniero (Eastwood) che, dice, vorrebbe soltanto bersi un whisky e farsi un bagno caldo. L'unico bagno al quale si assiste è invece quello di sangue, dettato dalla voglia di vendetta che ha spinto l'uomo prima al divide et impera, quindi a una rappresaglia che è la madre di tutte le vendette.
Nel suo primo western da regista (ne seguiranno altri tre: Il texano dagli occhi di ghiaccio, Il cavaliere pallido e Gli spietati), Eastwood mostra di aver appreso al meglio la lezione di Sergio Leone realizzando un film scarno, con pochi dialoghi, riprese in campo lunghissimo e primissimi piani, e riuscendo così a firmare così un notevole apologo sul tema della vendetta, teso e inquietante.

lunedì 7 aprile 2014

Enron - L'economia della truffa (Enron: the smartest guys in the room)

anno: 2005   
regia: GIBNEY, ALEX
genere: documentario
location: Usa
voto: 8

La storia ha inizio nel 1985, data di fondazione della Enron, società che vende energia elettrica negli Stati Uniti, ed è raccontata come il più appassionante dei gialli da Alex Gibney, uno dei migliori documentaristi in circolazione (Taxi to the dark side, Freakonomics, Mea Maxima Culpa, The Story of WikiLeaks). Ci sono tre elementi che vengono raccontati ne L'economia della truffa e che rendono imperdibile questo film: in quale maniera fatti che ci appaiono accidentali sono manovrati ad arte, come si vende il nulla e come si fa finanza offshore. Vi ricordate quando, tra il 2000 e il 2001, in California si registrarono continui blackout, peraltro decisamente prolungati? Uno pensa: sarà il caso, sarà un problema di carenza energetica. Macché: erano i tecnici al soldo della Enron che, nel periodo in cui la società, trovandosi in pessime acque, concorreva per la vendita di energia elettrica, staccavano la corrente a comando, facendo schizzare le quote azionarie delle società ritenute "affidabili". Stesso meccanismo quando la Enron si mise a vendere un prodotto che non aveva, la banda larga, o quando, grazie al genio malato del direttore finanziario Andrew Fastow, creò una serie di società offshore che erano semplici scatole vuote che servirono a spalmare gli enormi ammanchi della Enron.
La storia del più grande scandalo finanziario degli Stati Uniti, e probabilmente uno dei maggiori di sempre, ha i suoi antieroi nel presidente Ken Lay, uno passato dal guidare un trattore a guidare una delle più grandi imprese americane, e nell'amministratore delegato Jeff Skilling (chissà perché quella S privativa nel cognome..), un criminale white collar così diabolico e spregiudicato che al confronto Jeffrey Dahmer o Pacciani passerebbero per persone rispettabilissime. Il documentario di Gibney tiene d'occhio Lay e Skilling per l'intera durata del film, mostrando soprattutto la loro impressionante capacità di vendere fumo, di rastrellare miliardi ai danni dei contribuenti, di arrivare persino a investire in borsa sul meteo (se le previsioni ci prendono, le quotazioni salgono…). Il tutto reso possibile anche dal matrimonio indissolubile con la famiglia Bush, prima padre e poi figlio. Soltanto l'epilogo, pensando a come sono andate le cose a casa nostra con il caso Parmalat o con le reiterate frodi fiscali di Berlusconi, lascia l'amaro in bocca: Lay morì d'infarto due mesi dopo la condanna a 30 anni di carcere; Skilling ha avuto una condanna a 24 anni, come un qualsiasi assassino.    

sabato 5 aprile 2014

La strada verso casa

anno: 2011       
regia: CASSARO, GIUSEPPE  
genere: drammatico  
con Giorgio Colangeli, Alessandro Malverti, Roberta Caronia, Cecilia Albertini, Maria Teresa Bax, Massimo Triggiani, Rita Montes  
location: Italia
voto: 4

Ospedali, frustrazioni, sogni infranti, malattie, persone che non tornano indietro o che non si svegliano dal coma: è questo lo scenario che accomuna le tre storie, apparentemente slegate tra loro, di Antonio (Colangeli), Michelangelo (Marverti) e Giulia (Caronia). Antonio dirige una fabbrica ma è costantemente costretto a sorvegliare una moglie (Bax) che, dall'improvvisa morte della loro figlia, farnetica e fa cose strane. Michelangelo vorrebbe fare lo scrittore, ma le precarie condizioni economiche con cui deve tirare avanti insieme alla madre e alla sorella con cui vive lo costringono ad accettare un posto in fabbrica. Infine Giulia ha partorito appena due giorni dopo che suo marito ha avuto un incidente che lo ha mandato in coma e vive in pianta stabile in ospedale, occupandosi più di lui che della neonata.
La strada verso casa, destinato all'oblio fin dal titolo, è una di quelle opere cinematografiche che infastidiscono per il loro programmatico intento di connotarsi come cinema d'autore ricorrendo ai soliti trucchetti: atmosfere dilatate, musiche rarefatte, sospensioni temporali, facce tristi, silenzi protratti, temi scomodi. Ma nel film tratto dal soggetto di Samuele Rossi tutto sa di eccessivamente scritto, di artificiale, e soltanto la determinazione del personaggio di Giulia nell'amare e assistere il marito in coma riesce ad essere davvero commovente.     

venerdì 4 aprile 2014

La scelta di Barbara (Barbara)

anno: 2012       
regia: PETZOLD, CHRISTIAN  
genere: drammatico  
con Nina Hoss, Ronald Zehrfeld, Rainer Bock, Christina Hecke, Claudia Geisler, Peter Weiss, Carolin Haupt, Deniz Petzold, Rosa Enskat, Jasna Fritzi Bauer, Peer-Uwe Teska, Elisabeth Lehmann, Mark Waschke, Peter Benedict, Thomas Neumann, Anette Daugardt, Thomas Bading, Susanne Bormann, Jannik Schümann, Alicia von Rittberg, Barbara Petzold, Jean Parschel, Christoph Krix, Kirsten Block, Irene Rindje  
location: Germania
voto: 6

È il 1978 e la dottoressa Barbara (Hoss) è stata mandata per punizione in un piccolo ospedale di provincia della Germania dell'Est. Ha sporadici incontri con il fidanzato che vive a Ovest e che sta pianificando tutto per portarla via con sé. La donna dovrà scegliere tra doveri professionali e scelte sentimentali.
Giocato tutto per sottrazione, con la reiterazione di una serie di movimenti che lasciano comprendere che la donna abbia qualcosa da nascondere, La scelta di Barbara è un film scarno, essenziale, ellittico, rarefatto, nel quale accade pochissimo e lontanissimo da qualsiasi tentazione didascalica (potremmo anche non sapere che la vicenda si svolge nella DDR della Guerra Fredda) ma altresì algido come la sua bella protagonista. Quanto deve essere bastato perché a Berlino gli si consegnasse l'Orso d'argento per la regia.