mercoledì 30 settembre 2015

Sicario

anno: 2015       
regia: VILLENEUVE, DENIS
genere: poliziesco
con Emily Blunt, Benicio Del Toro, Josh Brolin, Jon Bernthal, Victor Garber, Jeffrey Donovan, Maximiliano Hernández, Raoul Trujillo, Daniel Kaluuya, Sarah Minnich, Lora Martinez-Cunningham, Dylan Kenin, Alan Humphrey    
location: Messico, Usa
voto: 7,5

L'agente dell'FBI Kate Macer (Blunt), donna idealista votata alla ricerca dei narcotrafficanti capaci di orrende esecuzioni pur di eliminare qualsiasi cosa si intrometta nelle loro losche attività, viene ingaggiata dal comandante di una task force governativa (Brolin) con la promessa di darle in pasto i cattivi capaci di tanto abominio. Al confine tra Messico e Stati Uniti, dove vengono combattuti i cartelli della droga, la donna si rende involontariamente complice di un'operazione eseguita con giustizia sommaria e in barba a qualsiasi protocollo e il cui principale protagonista è un glaciale quanto ambiguo esecutore dal passato oscuro (Del Toro).
Al suo terzo film Denis Villeneuve si conferma autore di razza e scandagliatore d'altissimo profilo delle contraddizioni dell'animo umano. Se ne La donna che canta la bipolarità si materializzava nell'apprendimento di un vissuto materno del tutto sconosciuto e in Prisoners nella violentissima contraddizione tra il fervente credo cattolico e la furia belluina sprigionata dal protagonista dopo il rapimento della figlia, in Sicario troviamo una donna dilaniata tra una scelta idealista e il brutale pragmatismo dei suoi sodali. E, ancora una volta, a fare da sfondo c'è il tema della tortura, presente in tutti e tre i film usciti nelle sale italiane. Quest'opera, che per tema e per la partecipazione dirompente e carismatica di Benicio Del Toro non può che rimandare a Traffic di Soderbergh, si avvale di scene di rara potenza emotiva che non disdegnano qualche fulminante colpo basso allo spettatore, ma anche di uno stupefacente senso della messa in scena (merito soprattutto della strepitosa fotografia di Roger Deakins) e di una impeccabile direzione degli attori. Ancora una volta è la densità della trama, con qualche raccordo in fase di sceneggiatura non sempre decifrabile, a penalizzare minimamente un film che racconta con grande senso dello spettacolo la discesa nei gironi infernali dei mercanti di droga.    

domenica 27 settembre 2015

Everest

anno: 2014       
regia: KORMAKUR, BALTASAR
genere: dramma catastrofico
con Jason Clarke, Josh Brolin, John Hawkes, Robin Wright, Michael Kelly, Sam Worthington, Keira Knightley, Emily Watson, Jake Gyllenhaal, Clive Standen, Elizabeth Debicki, Vanessa Kirby, Mia Goth, Martin Henderson, Tom Goodman-Hill, Naoko Mori, Thomas M. Wright, Mark Derwin, Micah A. Hauptman, Ingvar E. Sigurðsson, Demetri Goritsas, Todd Boyce, Chris Reilly, Charlotte Bøving, Chike Chan, George Taylor (IV), Amy Shindler, Vijay Lama, Simon Harrison    
location: Nepal, Nuova Zelanda, Usa
voto: 5,5

Antefatto: la vetta più alta del mondo è stata per decenni il sogno proibito di molti scalatori. Ma come, è lì da millenni? Vero, ma a parte rarissime eccezioni (spesso a scopo scientifico), prima del Novecento gli individui non erano così frustrati da doversi inventare simili fesserie per dare un senso alle loro esistenze. Fatto sta che uno su quattro tentava l'impresa e ci lasciava le penne. Poi arrivarono la tecnologia e la razionalizzazione (in senso weberiano) delle spedizioni e l'Everest, grazie a (sarebbe meglio dire per colpa di) Rob Hall (interpretato da Jason Clarke, qui alla prima prova da protagonista dopo essersi fatto notare in Apes revolution e Zero Dark Thirty), diventò accessibile anche ai non professionisti dell'alpinismo, trasformandosi in un luogo più affollato della stazione centrale di Pechino nell'ora di punta. Nel maggio del 1996 Hall partì con la consueta ciurma di assatanati (quasi tutti ricchissimi) per l'ennesima spedizione, convinto che anche questa volta la passeggiata a più di 8000 metri di quota sarebbe andata senza intoppi come nelle precedenti occasioni. Si sbagliava.
Baltasar Kormákur, già regista di film ad alta tensione come Cani sciolti e il più riuscito Contraband, ripiega sul solito schema del dramma catastrofico: presentazione a colpi di accetta sul copione dei cavalieri che compirono l'impresa, con profili psicologici un tanto all'etto, scene d'azione disseminate con assoluta parsimonia per restare nel budget, love-story più o meno larvate. Il risultato è un film didascalico, piuttosto prevedibile, che al di là di alcune riprese da brivido e del cast all-stars offre soltanto una timida riflessione sull'imbecillità umana e su come le persone possano giocarsi la vita con una scarpa chiodata al posto dei dadi. Sul genere, molto meglio andarsi a rivedere l'ottimo La morte sospesa.    

mercoledì 23 settembre 2015

Stato interessante

anno: 2015       
regia: BRUNO, ALESSANDRA   
genere: documentario   
con Ilaria Beltramme, Anna Boccuti, Paola Cerimele, Chiara Martucci, Valeria Palazzolo   
location: Italia
voto: 4   

Tutte le facce della maternità in attesa: quella di chi non sa se un figlio lo vuole o meno quando i rintocchi dell'orologio biologico si fanno sempre più potenti; quella di chi, essendo lesbica, spera di risolvere il problema chiedendo il seme a un amico; quella di chi fa mille analisi, tutto è a posto ma questo benedetto figlio non arriva. Ne parlano soprattutto le donne, ma sono inclusi anche gli uomini.
Raggiungete il più vicino mercato rionale, intercettate qualche donna prossima ai 40, filmate, montate e aggiungete qualche canzoncina accattivante in stile neoacustico: otterrete lo stesso risultato, se non migliore, di questo documentario che sul tema non aggiunge assolutamente nulla.    

lunedì 21 settembre 2015

Fair Game (Caccia alla spia)

anno: 2010       
regia: LIMAN, DOUG 
genere: spionaggio 
con Naomi Watts, Sean Penn, Sam Shepard, Sonya Davison, Vanessa Chong, Anand Tiwari, Stephanie Chai, Ty Burrell, Jessica Hecht, Norbert Leo Butz, Rebecca Rigg, Brooke Smith, Tom McCarthy, Ashley Gerasimovich, Quinn Broggy, Nicholas Sadler, Michael Kelly, Noah Emmerich, Iris Bahr, Ghazil, Kristoffer Ryan Winters, Louis Ozawa Changchien, Sean Mahon, Mohamed Abdel Fatah, Rashmi Rao, David Andrews, David Denman, Bruce McGill, Liraz Charhi, Remy Auberjonois, Tim Griffin, Sunil Malhotra, Kevin Makely, Mousa Al Satari, Khaled Nabawy, Rafat Basel, Maysa Abdel Sattar, Judith Resnik, Ben Mac Brown, Satya Bhabha, Nabil Koni, Mohammad Al Sawalqa, Jenny Maguire, David Warshofsky, Geoffrey Cantor, David Ilku, Deidre Goodwin, Donna Placido, Adam LeFevre, Brian McCormack, James Rutledge, Tricia Munford, Michael Goodwin, Nasser, Chet Grissom, James Joseph O'Neil, Danni Lang, Jane Lee, James Moye, Judy Maier, Polly Holliday, Kola Ogundiran, Byron Utley, Anastasia Barzee, Sanousi Sesay    
location: Egitto, Giordania, Iraq, Malesia, Niger, Usa
voto: 4,5 

All'inizio degli anni '90 una agente segreto della CIA (Watts) viene smascherata nel suo ruolo perché il marito (Penn), un diplomatico che ha mediato con governi accusati di favorire il terrorismo dopo l'11 settembre, ha rivelato alla stampa verità scomode sull'amministrazione Bush e sulle presunte armi di distruzione di massa. Tra tubi di alluminio sospetti e uranio arricchito, gli alti gradi della CIA fanno di tutto per togliere di mezzo la donna ormai scomoda mettendo anche a soqquadro il suo matrimonio.
Tratto da una storia vera, il film del regista di The Bourne Identity è una spy-story farraginosa e svogliata che nella seconda parte si trasforma in un mediocre dramma familiare. Peccato, perché sulla carta l'assurda vicenda che svela senza troppi fronzoli le malefatte dell'amministrazione Bush per potersi inventare una guerra avrebbe meritato di più. Nelle mani di Robert Redford avremmo avuto un film certamente più appassionato.    

giovedì 17 settembre 2015

Per amor vostro

anno: 2015       
regia: GAUDINO, GIUSEPPE MARIA 
genere: grottesco 
con Valeria Golino, Massimiliano Gallo, Adriano Giannini, Elisabetta Mirra, Edoardo Crò, Daria D'Isanto, Salvatore Cantalupo, Rosaria Di Cicco    
location: Italia
voto: 1 

Da quando Sorrentino ha preso l'Oscar per La grande bellezza, sono sempre più i registi che cercano di scimmiottarlo, con risultati spesso risibili. Oltre a Piero Messina e Giorgia Cecere, anche Giuseppe Maria Gaudino, la cui assenza da quasi un ventennio dagli schermi italiani (se si eccettua Per questi stretti morire - e già i titoli magniloquenti la dicono lunga - il suo ultimo lavoro è stato Giro di lune tra terra e mare, 1997) non ha creato grande sconforto tra il pubblico.
Qui il nostro usa la macchina da presa e il montaggio come un'arma per andare all'assalto di un pubblico disposto a farsi mitragliare da una serie di immagini sensazionalistiche e prive di senso (la cui apoteosi arriva nel finale simil horror, una sequenza delirante e visivamente orribile), da brusche accelerazioni in proiezione, dall'horror vacui di un regista ansioso di inzeppare qualsiasi minuto dell'opera anche a costo di ricorrere a scenografie immonde (la finestra che si apre sul mare) e da una storia di sconcertante banalità, figlia illegittima de Lo sceicco bianco. Che è questa: Anna (Golino, premiata a Venezia con la Coppa Volpi) è una madre di famiglia con tre figli (uno dei quali sordomuto, scelta del tutto gratuita e non funzionale al racconto), che si fa in quattro e sopporta a denti stretti i soprusi di un marito malavitoso e carogna (Gallo). Lavora come copista sul set di alcune produzioni televisive, dove conosce un divetto con l'ossessione del gioco (Giannini), mentre subisce con la pazienza di Giobbe le rimostranze del copista (Cantalupo) che è stato licenziato per fare posto a lei. Fino a quando sopporterà? Il tripudio del kitsch in bianco e nero: è questo che si trova in Per amor vostro. Se un riferimento in terra di Vesuvio esiste, questo non è certamente Sorrentino. Casomai, l'iperbole di cattivo gusto dei film con Mario Merola e Nino D'Angelo.    

mercoledì 16 settembre 2015

Inside out

anno: 2015       
regia: DOCTER, PETE * DEL CARMEN, RONALDO
genere: animazione
location: Usa
voto: 10

Cosa succede a una ragazzina dodicenne costretta a trasferirsi dal Minnesota a San Francisco perché il padre sta cambiando lavoro? Riescono a raccontarcelo con invenzioni strabilianti, sconfinata poesia e una miriade di trovate geniali quelli della Pixar, che ci fanno letteralmente entrare nella testa della nostra giovane eroina per mostrarci cosa accade nel centro emozionale, dove Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura si alternano alla consolle di comando (una semplificazione della teoria di Ekman, rispetto alla quale mancherebbero sorpresa e disprezzo). È qui che vengono immagazzinati i ricordi base, spediti poi all'esterno, nei giganteschi edifici della memoria a lungo termine, ed è da qui che si vedono le isole della personalità di Riley, la protagonista: quelle della famiglia, dell'onestà, dell'amicizia o della stupideria, rappresentate con impressionante forza simbolica.
Nel Minnesota, Riley ha dovuto lasciare la sua migliore amica, l'hockey del quale è appassionata, la campagna e il giardino di casa e a San Francisco le cose si complicano, fino a farsi davvero difficili quando Gioia e Tristezza vengono casualmente risucchiate dal centro di controllo, gli altri tre combinano disastri sulla postazione di comando e il film si trasforma nell'avventuroso viaggio di Gioia e Tristezza tra pensiero astratto (stupefacenti i rimandi al cubismo e a Flatland di Abbott-Abbott), inconscio e mondo dei sogni. Ma alla fine a raddrizzare la situazione sarà proprio Tristezza, scelta memorabile dello script, che si affranca dall'ottimismo beota di tante produzioni Dysney per ricordarci che l'ingresso nell'adolescenza non è soltanto frivolezza e risatine, ma richiede anche il passaggio per la forca caudina della tristezza, viatico necessario a una maturazione della persona che porterà ad avere una consolle con molti più bottoni.
Lo dico senza fronzoli: non solo Inside out è senza dubbio il miglior film della Pixar (qui siamo oltre gioielli come Up, Monsters & Co. e Toy story), ma è anche il miglior film di tutta la storia d'animazione, Fantasia, La carica dei 101 e Wallace & Gromit compresi, certamente adatto a un pubblico adulto ma probabilmente esilarante anche per i più piccoli, ai quali mancherà giocoforza la miriade di riferimenti simbolici più o meno criptati.    

domenica 13 settembre 2015

Altman

anno: 2014   
regia: MANN, RON
genere: documentario
con Robert Altman, Paul Thomas Anderson, James Caan, Keith Carradine, Elliott Gould, Philip Baker Hall, Sally Kellerman, Lyle Lovett, Julianne Moore, Michael Murphy, Lily Tomlin, Robin Williams, Bruce Willis, Kathryn Altman    
location: Canada, Francia, Usa
voto: 7

Ho usato diverse volte l'aggettivo "altmaniano" nelle mie recensioni, indizio del fatto che il regista americano ha lasciato un segno così profondo nella storia del cinema da meritarsi un aggettivo a parte, come è successo per pochissimi altri (Bergman, Hitchcock, Tarantino, Fellini, Buñuel). Proprio da questo aggettivo parte il documentario diligente e filologico voluto dalla moglie del regista di Nashville, Kathryn, scritto da Len Blum e diretto da Ron Mann, una sorta di doc for dummies che ricostruisce a menadito la carriera e la vita del regista nato a Kansas City.
Dopo l'esperienza in aviazione, Altman si convinse che avrebbe dovuto fare un mestiere che avesse a che vedere con la scrittura ("sapevo scrivere delle belle lettere", precisa). E così comincia a scrivere sceneggiature per la televisione, fino a quando Hitchcock non gli affida uno dei suoi episodi per il piccolo schermo. Non bastasse questo colpo di fortuna, ne sarebbe arrivato un altro al gioco, che gli avrebbe consentito di avviare anche la carriera di regista, alla fine degli anni '60. All'inizio del decennio successivo la sua fama crebbe a dismisura anche grazie alla vittoria a Cannes con M.A.S.H., che fece di lui una macchina da regia infaticabile (con qualche dispiacere dato ai figli). Fu allora che l'aggettivo altmaniano - rispetto al quale i molti che hanno lavorato con lui o i suoi epigoni, da Paul Thomas Anderson a Bruce Willis, sono chiamati a dire cosa possa significare - cominciò ad acquistare un significato concreto. Altman scardinò le regole Hollywoodiane, scrivendo film corali, facendo parlare gli attori tutti nello stesso momento (costringendo lo spettatore a "scegliere" il suo dialogo e facendo impazzire i doppiatori) e al tempo stesso proponendo una versione caustica, satirica e politica dell'America. La quale, finché Altman rimpinguò le casse di Hollywood, se lo coccolò (il regista arrivò a girare 5 film per la 21st Century Fox, gigante del settore) per poi impedirgli l'uscita di Health (durissimo atto d'accusa contro la politica sanitaria a stelle e strisce) e metterlo alla porta dopo il disastro di disastro di Popeye. Il nostro non si perse d'animo e si diede alle regie teatrali, per poi trasferirsi con la moglie a Parigi. Ed è lì che mise a segno la doppietta meglio riuscita della sua carriera: prima I protagonisti, con cui si prese una clamorosa rivincita nei confronti di Hollywood (Palma d'oro per la migliore regia), quindi America oggi, il suo capolavoro assoluto. Non lo fermarono né la malattia, né l'ictus (dopo il quale dimagrì in maniera impressionante) e neppure il trapianto di cuore, tanto è vero che diresse film (l'ultimo fu Radio America) fino al 2006, anno della sua morte, giusto in tempo per prendere anche un Oscar alla carriera.
Il documentario procede in ordine rigorosamente cronologico, mostra ampi spezzoni di film e inserisce una miriade di home movies assolutamente inediti, facendo entrare tanto il neofita quanto l'esperto nella carriera e nella vita del regista di capolavori come Images, Tre donne e La fortuna di Cookie o di boiate pazzesche come Terapia di gruppo e Prêt-à-porter, assai meglio di quanto siano riuscite a fare operazioni analoghe su altri registi come The Eastwood factor o La versione di Mario.    

mercoledì 9 settembre 2015

Non essere cattivo

anno: 2015       
regia: CALIGARI, CLAUDIO 
genere: drammatico 
con Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Roberta Mattei, Silvia D'Amico, Alessandro Bernardini, Valentino Campitelli, Danilo Cappanelli, Manuel Rulli, Emanuela Fanelli, Giulia Greco, Claudia Ianniello, Elisabetta De Vito, Alice Clementi, Emanuele Grazioli, Luciano Miele, Stefano Focone, Massimo De Santis, Andrea Oriano, Alex Cellentani, Angelica Cacciapaglia, Alessia Cardarelli    
location: Italia
voto: 8 

Tre grandi film in 32 anni, il ritratto a tinte pasoliniane della suburra romana, un mondo di disperati ed emarginati incattiviti: è questa l'eredità che ci lascia Claudio Caligari, regista fuori dagli schemi, appartato, costretto ripetutamente a rinunciare ai suoi progetti perché i produttori non rispondevano neppure al telefono. C'è voluta la determinazione e l'impegno di Valerio Mastandrea per portare sul grande schermo questo suo ultimo lavoro che esce postumo. Non essere cattivo chiude idealmente il cerchio di questa trilogia di disperazione e morte cominciata a Ostia con Amore tossico. Siamo nel 1995 e la storia ruota intorno alle vicende di Cesare (Marinelli) e Vittorio (Borghi), nullafacenti che vivono di espedienti, sballo continuo e piccolo spaccio dalle parti dell'idroscalo (luogo per eccellenza della poetica pasoliniana). Per Vittorio la redenzione, che significa un lavoro da manovale e una famiglia, arriva quando si innamora di Linda (Mattei). Per il suo dioscuro Cesare il percorso è più tortuoso e il legame con la droga più difficilmente rescindibile.
Si rimane attoniti per la perdita di un talento come Caligari a guardare questo suo ultimo film, un'analisi antropologica dei drop out caratterizzata soprattutto dal contrasto tra l'asprezza del mondo esteriore e la vulnerabilità di quello interiore, con la quale il regista di origini piemontesi, morto appena 63enne, lascia non solo un segno profondo sul piano narrativo, ma dimostra di avere raggiunto una maturità espressiva totale, tra riprese eccellenti, montaggio serrato e attori diretti superbamente. Impressionante fino a farsi irriconoscibile la metamorfosi di Luca Marinelli, assennato e dolcissimo protagonista di Tutti i santi giorni, qui trasformato in un tossico costantemente sopra le righe e definito da Giulio Sangiorgio su FilmTV "il miglior attore italiano". Esistono anche Castellitto e Bentivoglio, ma lui è lì...    

martedì 8 settembre 2015

French Connection (La French)

anno: 2014   
regia: JIMENEZ, CEDRIC
genere: gangster
con Jean Dujardin, Gilles Lellouche, Céline Sallette, Mélanie Doutey, Benoît Magimel, Guillaume Gouix, Bruno Todeschini, Féodor Atkine, Moussa Maaskri, Pierre Lopez, Eric Collado, Cyril Lecomte, Jean-Pierre Sanchez, Georges Neri, Martial Bezot, Bernard Blancan, Gérard Meylan, Eric Fraticelli, Dominic Gould, Pauline Burlet, Simon Ferrante, Rosario Amedeo, Myriem Akeddiou, Roger Guidone, Alain Zef, Gerald Papasian, Erika Sainte, Patrick Descamps, Jean-Jérôme Esposito, Catherine Demaiffe, Jean-Marc Michelangeli, Georges Fracass, Barbara Cabrita, Christiane Conil, Michel Bellier, Marco Panzani, Eric Godon, Philippe Petit, Charles Salvy, Arsène Mosca, Trizio Lo, Bernard Llopis, Olivier Cabassut, Coralie Amedeo, Michel Fragione, Elisabeth Beltram, Sophie Garagnon, Louis-Emmanuel Blanc, Djamel Larbi, Alexia Depicker, Serge Hervens, Bérangère McNeese, Marius Cavallini, Francis Ridao, Cathy Immelen, Olivier Benkemoun, Paco Boublard, Frédéric Papa, Guillaume Bidart, Séverine Mayeres, John Flanders, Chuck Hargrove, Kevin Van Doorslaer, Natasha Henry, Benjamin Giuli, Edmonde Franchi, Jérôme Care Aulanie, Olivier Amsellem, Guy Hampartzoumian, Remi Pedevilla, Pascal Farre, Olivier Mellet, Frédéric Mastro, Emmanuel Obre, Eric de Montalier, Christian Philibin, Mourad Tahar Boussatha, Aran Bertetto, Erico Salamone, Christophe Maratier, Christian Pellenc, Florence Ben Sadoun, Louise Maugenest, Eloïse Buissart, Marnie Bernaudeau Sanjuan, Lucie Fruttero, Loucas Leroy, Jordan Leroy, Eva Nelli, Jade Thirrée-Mzouri, Léandro Villemus, Thiago Villemus, Cléa Moreno, Anne Seften, Lorris Falchero, Jean-Luc Bosso, Julien Grossi, Guillaume Labbé    
location: Francia, Usa
voto: 7,5

Tra il 1975 e i primi anni '80 un coraggiosissimo e irreprensibile giudice (interpretato da Jean Dujardin, arrivato al successo internazionale grazie a The artist) diede la caccia a Gaetano Zampa (Lellouche), il più importante boss mafioso di Marsiglia e di tutta la Francia, un uomo di origini napoletane che esportava droga anche negli Stati Uniti (da qui, oltre che in omaggio all'omonimo film di William Friedkin, il titolo). Dopo aver messo il suo avversario sempre più alle corde, il giudice si trovò a dover fronteggiare non solo le faide tra clan rivali, ma anche i molti ostacoli che arrivano dai piani alti della politica e degli organi di polizia, collusi con Zampa.
Erede dei grandi polar di Melville e Deray, l'opera seconda di Cédric Jimenez è imperniata sull'uno contro uno (Heat docet) con una messa in scena degna del miglior cinema americano (con ampi debiti nei confronti di Scorsese), ma con meno inseguimenti e un occhio assai vigile sui travagli interiori dei due protagonisti, raccontati specularmente attraverso la lente del tradimento e della premurosa vita coniugale. Con I fiumi di porpora, Harry un amico vero, Luci nella notte, Niente da nascondere, 13 - Tzameti, Due volte lei e L'ultima missione, questo French Connection è uno dei migliori thriller transalpini dell'ultimo quindicennio.    

lunedì 7 settembre 2015

Terzo mondo sotto casa

anno: 1970   
regia: FERRARA, GIUSEPPE
genere: documentario
con la voce di Achille Millo
location: Italia
voto: 7

L'esordio di Giuseppe Ferrara, che all'impegno civile attraverso il cinema ha dedicato un'intera carriera (da Il sasso in bocca, Cento giorni a Palermo e Il caso Moro ai molto meno riusciti Narcos, Segreto di Stato, I banchieri di Dio e Guido che sfidò le Brigate Rosse), parte da Roma sotto la consulenza del più noto sociologo italiano, Franco Ferrarotti. L'accademico, al quale si devono la consulenza e il commento, stava all'epoca lavorando sul raccapricciante passaggio della città eterna da capitale a periferia, con indagini sul campo entrate di diritto nella storia della disciplina. Il mediometraggio di Ferrara fa da ideale contrappunto alle analisi del sociologo piemontese, mostrando il contrasto tra la magniloquenza della Roma imperiale e le conseguenze degli sventramenti del centro città voluti dal fascismo, portando la macchina da presa nelle baracche del Mandrione e della zona Sud della città, mostrando le condizioni di vita inaccettabili, l'arte di arrangiarsi, i piccoli trucchi per sopravvivere di un'umanità figlia di un'irresponsabile disuguaglianza sociale.
Nelle catapecchie che sorgono come funghi nelle aree più degradate della città dominano disordine e promiscuità: nessuno può isolarsi, tutto avviene sotto l'occhio di tutti. La sola partecipazione sociale richiesta ai baraccati è il consumo: avere un televisore, un auto, un giradischi. Ferrarotti suggerisce la sua tragica analisi: "tutto questo non è provvisorio: la città ha bisogno del popolo delle baracche, strumento necessario a una società basata sullo sfruttamento".
Un film dall'enorme valore storico, che documenta il drammatico insediamento nelle borgate di una popolazione di origine soprattutto meridionale, costretta a vivere tra topi, fogne a cielo aperto e senza elettricità.    

domenica 6 settembre 2015

Southpaw - L'ultima sfida

anno: 2015       
regia: FUQUA, ANTOINE  
genere: drammatico  
con Jake Gyllenhaal, Forest Whitaker, Naomie Harris, Curtis '50 Cent' Jackson, oona Laurence, Skylan Brooks, Beau Knapp, Rachel McAdams, Victor Ortiz, Rita Ora, Miguel Gomez, Dominic Colon, Malcolm Mays, Clare Foley    
location: Usa
voto: 6,5  

Ascesa, caduta e faticosissima risalita di Billy "The great" Hope (nomen omen), campione mondiale di pugilato nella categoria dei medio-massimi. Dalla cima del mondo con incontri da 30 milioni di dollari alla pulizia dei cessi in una palestra dove un vecchio ex pugile di colore (Whitaker) lo rimette faticosamente in piedi, dopo che l'uomo si è visto uccidere l'amatissima moglie (McAdams) e, dopo qualche eccesso, dare in affidamento la figlia (Laurence) ai servizi sociali.
Niente di nuovo sul fronte della boxe portata al cinema: dopo Lassù qualcuno mi ama, Rocky, Toro scatenato e il meno noto ma ottimo Cinderella man, questo film di Fuqua (reduce dal notevole The equalizer, ma ricordato per lo più per Training day) non aggiunge granché al sottogenere. Dalla sua ha però una messa in scena snella e accattivante, nonostante qualche sfarfallamento retorico nel copione, nonché la sorprendente sospensione del motivo principale del film, quello dell'uccisione della moglie del protagonista. Per Jake Gyllenhaal, in odore di Oscar, interpretazione non solo muscolare.
Il film è dedicato a James Horner, morto a 61 anni in un incidente mentre pilotava il suo aereo monomotore: è stato uno degli autori più noti e prolifici di colonne sonore, tra le quali vanno ricordate quelle de Il nome della rosa, Braveheart, Apollo 13, Titanic, Troy, Avatar e The Amazing Spider-Man.    

venerdì 4 settembre 2015

Posh

anno: 2014       
regia: SCHERFIG, LONE   
genere: drammatico   
con Sam Claflin, Max Irons, Douglas Booth, Jessica Brown Findlay, Holliday Grainger, Natalie Dormer, Olly Alexander, Matthew Beard, Gordon Brown, Jack Farthing, Freddie Fox, John O'Connor, Sam Reid, Ben Schnetzer, Samuel West, Tom Hollander    
location: Regno Unito
voto: 6   

"Posh", cioè eleganti, snob come possono esserlo solo 10 ragazzi appartenenti a famiglie ricchissime (tranne uno, interpretato da Max Irons, figlio di Jeremy), tutti frequentanti la prestigiosissima università di Oxford e membri dell'esclusivo Riot club, una specie di massoneria anacronistica ed elitaria fondata alla fine del '700 da Lord Riot e diventata l'emblema di una vita dissoluta all'insegna del più sfrenato edonismo, della promiscuità sessuale e dell'alcol. In una delle loro notti brave i 10 ragazzi devastano il locale che li ospita e massacrano di botte il gestore. Tanto poi ci sono gli avvocati di famiglia a difendere questi sordidi e protervi rampolli di sangue blu.
Tratto dall'opera teatrale di Laura Wade, Posh è un college movie che sembra una sorta de Il signore delle mosche messo nelle mani di un Michael Haneke distratto e svogliato. Questo romanzo di (de)formazione inizia come un teen movie con ragazzate di vario genere e si conclude in un cataclisma che è anche la parte più avvincente del film, anche se troppo programmaticamente didascalico nel fornire la sua lezioncina morale per essere interessante fino in fondo.    

giovedì 3 settembre 2015

Maraviglioso Boccaccio

anno: 2014       
regia: TAVIANI, PAOLO & VITTORIO
genere: drammatico
con Lello Arena, Paola Cortellesi, Carolina Crescentini, Flavio Parenti, Vittoria Puccini, Michele Riondino, Kim Rossi Stuart, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Jasmine Trinca, Josafat Vagni, Eugenia Costantini, Miriam Dalmazio, Fabrizio Falco, Melissa Bartolini, Camilla Diana, Nicolò Diana, Beatrice Fedi, Ilaria Giachi, Barbara Giordano, Rosabell Laurenti Sellers, Moise Curia, Sergio Albelli, Francesca Agostini, Sonia Cavallini, Roberto Andrioli, Valentina Bellè, Emiliano Belli, Francesco Pertici, Goffredo Guerrini, Rocco Di Gregorio, Niccolò Calvagna, Alessandro Bertoncini, Riccardo Bocci, Luciano Casaredi, Gianluca Vannucci, Maria Teresa Campus, Simone Ciampi, Consuelo Ciatti, Vanni De Lucia, Silvia Frasson, Lino Guanciale, Giovanni Guidelli, Marco Iermanò, Cristina Liberati, Matilde Piana, Enrica Rosso, Leonardo Santini, Nina Zampagni, Irene Vannelli
location: Italia
voto: 3

Verso la fine del XIV secolo la peste arriva a Firenze. Dieci giovani, uomini e donne, decidono di fuggire dal capoluogo toscano, in attesa del passaggio del morbo. Per trascorrere il tempo, escogitano di raccontarsi delle storie, quasi tutte sul tema degli amori impossibili: una morta (Puccini) resuscitata dal suo innamorato (Scamarcio); lo scemo del paese (Rossi Stuart) che crede di essere invisibile; un padre (Arena) che non vuole dare in sposa la sua unica figlia (Smutniak) al suo migliore allievo (Riondino); una badessa (Cortellesi) assai incline alle tentazioni della carne e un ricco che finisce in povertà pur di ottenere l'amore della donna che ama (Trinca).
Liberamente adattato e ridotto dal caposaldo trecentesco di Giovanni Boccaccio, il film eponimo dei fratelli Taviani è l'ennesima prova di un cinema vecchio, statico, formale, buono per i salotti buoni veneziani e nel quale lo stesso aggettivo "boccaccesco" non trova cittadinanza, stemperato in un cinema asessuato nel quale il massimo dell'eros è la Cortellesi con dei mutandosi da uomo in testa. Quella dei due fratelli toscani è una forma di archeologia del sapere ormai stantia, boriosa, ostentatamente passatista come lo erano già stati San Michele aveva un gallo, Allonsafan, Good morning Babilonia! o Le affinità elettive. Se ai due va riconosciuto il merito di andare alla costante ricerca delle radici culturali del nostro Paese attraverso una forma filmica sempre rigorosa ed elegante, va però detto che proprio la dimensione così ossessivamente formale, di geometrica precisione dei loro film sembra non aver mai voluto abbandonare i cliché da cinema d'essai che sperimentava i nuovi linguaggi negli anni '60, senza accorgersi che nel frattempo qualcosa è cambiato, che per gli effetti speciali ci vogliono (anche) i computer (le scene con il volteggio aereo delle rondini e del falcone sono imbarazzanti) e che gli attori hanno smesso da tempo di recitare come Amedeo Nazzari. Sempre ammesso che nella categoria possa rientrare una come Jasmine Trinca, che qui riesca quasi a superare in peggio la prova data in The gunman.