giovedì 26 aprile 2007

Lettere dal Sahara

anno: 2006   
regia: DE SETA, VITTORIO   
genere: drammatico   
con Djibril Kebe, Paola Aimone Rondo, Madawass Kèbè, Fifi Cisse, Ndeye Thiaba Diop, Awa Mbaye, Stefano Saccottelli, Luca Francesco Barbeni, Cheikh Fall, Roberta Fornier, Luciano Cravino, Rasmane Bayere, Diego Casale, Carlos M. Mendes De Sousa, Samoura Karfalla, Corrado Denegri, Mirko Cardinale, Carmen Panarello, Maria Uttilla, Moumar Talla Dia    
location: Italia
voto: 7   

All'età di 82 anni Vittorio De Seta - siciliano, uno dei grandi vecchi del cinema italiano - torna alla fiction dopo una pausa trentennale durante la quale ha girato soltanto documentari. E proprio dalla sua Sicilia parte l'odissea di Assan, senegalese che compie il suo viaggio della speranza a bordo di una delle tante carrette del mare, arriva a Lampedusa, risale lo stivale fino a Napoli, Firenze, Prato e infine Torino, dove trova persone che lo accolgono ma anche i soliti balordi dal pugno facile. Ridotto in fin di vita, non appena ristabilitosi Assan decide di tornare in Senegal, dove ritrova la famiglia e il suo maestro dell'università, al quale porta la sua testimonianza.
Girato in video, Lettere dal Sahara è una docu-fiction asciutta (a dispetto delle due ore di durata), al limite della cronaca, che racconta il "normale" travaglio di un immigrato: il problema della lingua, quello per il permesso di soggiorno, l'alloggio, il lavoro, le fughe improvvise, la xenofobia, il senso di smarrimento ma anche la solidarietà, l'amicizia, l'attaccamento alle proprie radici, l'ostinazione delle convinzioni etico-religiose. Folgorante, vibrante e incredibilmente autentico finché rimane in Italia, il film di De Seta si perde nella retorica dell'ultima mezz'ora, affidata in buona parte ai pistolotti predicatori del maestro di Assan.    

lunedì 23 aprile 2007

Mio fratello è figlio unico

anno: 2007       
regia: LUCHETTI, DANIELE 
genere: commedia 
con Elio Germano, Riccardo Scamarcio, Diane Fleri, Alba Rohrwacher, Angela Finocchiaro, Massimo Popolizio, Luca Zingaretti, Anna Bonaiuto, Ascanio Celestini, Claudio Botosso, Vittorio Emanuele Propizio, Ninni Bruschetta 
location: Italia       
voto: 5

Latina, 1962. Da qui parte la storia di Accio (Germano), rissoso da bambino, aspirante ai voti ecclesiastici da preadolescente, quindi iscritto all'MSI, in seguito apostata ma comunque fonte perenne di preoccupazioni per la sua famiglia. Accio vive con la sorella, il fratello Manrico (Scamarcio) e i genitori in una catapecchia. Per evadere dalla famiglia frequenta un venditore ambulante che diventa il suo mentore (Zingaretti), portandolo politicamente sulla sponda opposta di Manrico. I due se le danno spesso e volentieri di santa ragione tanto in casa quanto in piazza, amano la stessa ragazza (una folgorante Diane Fleri) e finiscono per stare dalla stessa parte, almeno finché Manrico non prenderà la deriva terrorista.
Accantonati momentaneamente gli spot della Lavazza, Luchetti - aiutato in fase di sceneggiatura da Rulli e Petraglia e partito dal romanzo "Il fasciocomunista" di Antonio Pennacchi - si tiene a metà strada tra l'impegno dei suoi film più riusciti (Il portaborse, La scuola) e le concessioni a un cinema adolescenziale sulla scia della ditta Moccia & Brizzi. Sicché se la dimensione da commedia funziona abbastanza bene, il ritratto sociologico degli anni '60 e '70 che tratteggia non va però al di là della caricatura: abbondano gli stereotipi, i personaggi di contorno sono semplici macchiette e la meglio gioventù di quegli anni è ridotta a un coacervo di contraddizioni animate da un'ideologia semplicistica.    

domenica 22 aprile 2007

L'ombra del potere - The good shepherd

anno: 2007       
regia: DE NIRO, ROBERT  
genere: spionaggio  
con Matt Damon, Angelina Jolie, Alec Baldwin, Tammy Blanchard, Billy Crudup, Robert De Niro, Keir Dullea, Michael Gambon, Martina Gedeck, William Hurt, Timothy Hutton, Gabriel Macht, Lee Pace, Joe Pesci, John Turturro, Mark Ivanir, Eddie Redmayne, Oleg Stefan, Anne-Marie Cusson, John Sessions  
location: Usa
voto: 4  

Il 16 aprile 1961 l'esercito americano tentò un'offensiva militare contro Cuba per riportare il paese governato da Castro sotto la propria sfera di influenza. La missione fallì miseramente, forse a causa di una soffiata. È da qui, e più precisamente dai dettagli di una fotografia scattata in una camera d'albergo, che parte la vicenda raccontata in The good sheperd, nella quale il buon pastore del titolo è Edward Wilson (Damon), studente promettente e idealista dell'Università di Yale, reclutato dapprima nei massoni degli Skull and bones e quindi passato alla CIA. Il film - tratto dal soggetto di Eric Roth - racconta la nascita della famigerata CIA all'inizio della guerra fredda attraverso la figura di un personaggio-simbolo di pura invenzione. Muovendosi freneticamente in un arco temporale tra il 1939 e il 1961, l'opera seconda di De Niro scava nella vita del protagonista, analizza la sua totale devozione alla causa americana (da qui il titolo originale del film), ne scruta le ostinate convinzioni contrarie anche all'evidenza. Pur avendo creato grandi aspettative rispetto a una delle pagine più nere della storia americana recente, L'ombra del potere delude. Il plot narrativo è destrutturato, rapsodico, letargico, ipertrofico (quasi tre ore di durata) e capace di mettere a dura prova i nervi dello spettatore con quel suo andirivieni cronologico che sa tanto di scimmiottamento del cinema d'autore. Tanto era sobrio, caldo e convincente l'esordio di 13 anni prima (Bronx), tanto l'opera seconda del De Niro regista - a dispetto di un cast stellare - è algido, logorroico e deludente. Giocando in apparenza per sottrazione ed ellissi (non si vede una sola arma se non nelle immagini di repertorio e la violenza fisica è pressoché inesistente), De Niro riempie i vuoti di un racconto che avrebbe potuto fornire al massimo la materia per un cortometraggio con una serie di scelte stilistiche inutilmente compiaciute: troppa musica, troppi primissimi piani, troppi dettagli in ripresa, troppi dialoghi, troppe location, nessuna suspence e un finale "telefonato" con almeno 40 minuti d'anticipo sui titoli di coda.
Orso d'argento per il miglior contributo artistico all'insieme del cast al 57mo festival di Berlino (2007).    

sabato 14 aprile 2007

Agente 007 - La morte può attendere (Die Another Day)

anno: 2003   
regia: TAMAHORI, LEE  
genere: spionaggio  
con Pierce Brosnan, Halle Berry, Toby Stephens, Rosamund Pike, Rick Yune, John Cleese, Judi Dench, Michael Madsen, Will Yun Lee, Samantha Bond, Colin Salmon, Lawrence Makoare, Emilio Echevarria, Madonna, Deborah Moore, Anna Edwards, Rachel Grant  
location: Cuba, Hong Kong, Islanda, Regno Unito
voto: 4

Un coreano folle e mitomane ha concepito un'arma micidiale capace di convogliare tutta la potenza dei raggi solari contro qualsiasi obiettivo e per riuscire meglio nell'impresa ha scambiato la faccia con un altro cattivissimo (siamo dalle parti di Face/Off). Come sempre l'agente segreto 007 (Brosnan) al servizio di sua Maestà la regina d'Inghilterra deve sventare il pericolo e salvare il mondo. Per riuscire nel compito si muove tra Hong Kong, Cuba, Londra e l'Islanda, ingaggia duelli con ogni tipo di arma, spada compresa, guida una macchina che diventa invisibile, pratica surf e paracadutismo, guida un'auto-razzo sul ghiaccio e un gigantesco carroarmato che scivola sulle mine e quando ha tempo si intrattiene con qualche pollastrella giusto per scaricare un po' di adrenalina.
Il ventunesimo episodio cinematografico del personaggio creato da Jan Fleming (il quarto per Brosnan) è giocato tutto sugli effetti speciali. Tra una sparatoria e un inseguimento, le zone di raccordo del film sono di una noia mortale, la storia stropicciata, il racconto infantile e prolisso: quanto basta a farne uno dei peggiori dell'intera serie.    

martedì 10 aprile 2007

Le vite degli altri (Das Leben der Anderen)

anno: 2007   
regia: HENCKEL VON DONNERSMARCK, FLORIAN    
genere: drammatico    
con Ulrich Muhe, Sebastian Koch, Martina Gedeck, Ulrich Tukur, Thomas Thieme, Ludwig Blochberger, Hans-Uwe Bauer, Volkmar Kleinert, Charly Hübner, Marie Gruber, Werner Daehn, Thomas Arnold, Matthias Brenner, Herbert Knaup    
location: Germania
voto: 9    

Berlino Est, Repubblica Democratica Tedesca, 1984. Il drammaturgo Georg Dreyman (koch) è un intellettuale assai apprezzato dal Partito e privo di zone d'ombra. Il ministro della cultura della DDR (Thieme) si invaghisce della sua compagna (Gedeck), una notissima attrice teatrale. Così Dreyman finisce nel mirino della Stasi, la polizia segreta che per anni ha spiato i tedeschi dell'Est. L'incarico di spiare Dreyman viene affidato a Gerd Wiesler (Muhe) un agente di valore che vede nella circostanza l'occasione per un avanzamento di carriera. Quando un carissimo amico di Dreyman si suicida, quest'ultimo - fino a quel momento rimasto fedele alla linea del Partito - decide di prendere posizione. Wiesler ne è al corrente ma le cose andranno in maniera del tutto inaspettata.
Al suo primo lungometraggio, Florian Henckel von Donnersmarck fa incetta di premi meritatissimi: non solo in patria, dove se ne è aggiudicati 7 (tra i quali quello per il miglior film, la miglior regia e la miglior sceneggiatura), ma anche all'estero (su tutti l'Oscar 2007 come miglior film straniero). Premi ineccepibili per un film che se non è un capolavoro, ci arriva quasi. Mescolando spy story, dramma psicologico e trama gialla, il giovane regista tedesco adotta uno stile assai classico, a tratti persino didascalico, con una sceneggiatura di ferro e un plot narrativo lineare privo di quelle diffrazioni temporali alle quali ci ha abituato il cinema a partire dagli anni '90. Una forma sobria, asciutta, aliena da virtuosismi eppure efficacissima, che fa da supporto a un contenuto capace di raccontare con intensa lucidità sia il passato recente della Germania che la parabola della presa di coscienza di un uomo. Ed è imboccando la strada di questo secondo livello narrativo - nel quale si incrociano destini, redenzioni, passioni e sentimenti - che Le vite degli altri conduce lo spettatore nel climax di un lungo finale tra i più belli che la storia del cinema possa ricordare.

venerdì 6 aprile 2007

Human highway

anno: 1982   
regia: YOUNG, NEIL  
genere. grottesco  
con Neil Young, Russ Tamblyn, Bob Casale, Gerald V. Casale, John Herzog, Dennis Hopper, Sally Kirkland, Roxanne 'Rocky' Meyers, Mark Mothersbaugh, Robert Mothersbaugh, Alan Myers, Charlotte Stewart, Dean Stockwell  
location: Usa   
voto: 3

Diretto da Neil Young sotto lo pseudonimo di Bernard Shakey, e scritto a quattro mani con Dean Stockwell, che ne è anche uno degli interpreti, Human highway è un semplice divertissement che ruota intorno alle vicende del gestore di una pompa di benzina e dei suoi clienti. Il rocker canadese condisce il tutto con una spruzzata assai parca delle sue musiche (quelle meno riuscite: siamo negli anni '80), lascia le interpretazioni al gruppo punk-new wave dei Devo e mostra una dose massiccia di autoironia: occhialoni, vestiti clowneschi e un nugolo di attori - tra i quali Dennis Hopoer - a divertirsi con lui. C'è anche qualche lampo in questo film strampalato e senza pretese, come nella scena finale da musical.    

giovedì 5 aprile 2007

Proprietà privata (Nue propriété)

anno: 2007   
regia: LAFOSSE, JOACHIM   
genere: drammatico   
con Isabelle Huppert, Jérémie Renier, Yannick Renier, Patrick Descamps, Kris Cuppens, Raphaëlle Lubansu, Didier de Neck, Dirk Tuypens, Sabine Riche    
location: Belgio, Francia
voto: 7   


In una casa della campagna francese vivono Pascale (Huppert) e i suoi due figli, due gemelli dizigoti poco più che ventenni. Quando la donna, separata da anni e con una nuova relazione in corso, decide di vendere la casa, i rapporti tra i tre - già estremamente morbosi e tesi - collassano. Pascale va via di casa, i due ragazzi litigano come bambini piccoli e una delle liti finisce in tragedia.

Scabro, con molte inquadrature fisse e musica pressoché assente (con l'esclusione del piano sequenza finale), il film del belga Lafosse ci conduce negli inferi di un dramma familiare con uno stile intimista, a tratti ellittico, in cui la normalità delle moltissime scene girate intorno alla tavola apparecchiata trasfigura l'apparente normalità del quotidiano in una progressiva crescita dei rancori reciproci. Film di situazioni e di attori - con una Huppert di ineffabile naturalezza a conferma di un immenso talento - l'opera di Lafosse è un apologo sulle possibili derive delle giovani generazioni, abituate a reclamare doveri e obblighi del mondo verso di loro come se fossero una questione di "proprietà privata".    

martedì 3 aprile 2007

Frank Gehry - Creatore di sogni (Sketches of Frank Gehry)

anno: 2007   
regia: POLLACK, SYDNEY
genere: documentario
con Frank O. Gehry, Sydney Pollack, Michael Eisner, Bob Geldof, Dennis Hopper, Philip Johnson, Eddie Ruscha, Julian Schnabel
location: Usa
voto: 8

Quando negli anni '90 Frank Gehry, l'architetto americano tra i più famosi e premiati al mondo, chiese al suo amico Sydney Pollack di girare un documentario su di lui, il regista di Corvo Rosso, I tre giorni del condor  Tootsie e altri monumenti del cinema a stelle e strisce rispose:  "Ma se non so nulla né di documentari né di architettura!". "Appunto lo chiedo a te!", fu la replica di Gehry. Comincia così questo documentario su un personaggio che può essere considerato come il trattino d'unione tra l'arte scultorica e l'architettura. Con l'aiuto di due semplici videocamere digitali (la pellicola è utilizzata soltanto per le riprese degli edifici), Pollack racconta la parabola straordinaria di questo architetto visionario, anticonformista, incline alle linee curve, una sorta di cubista prestato all'architettura, refrattario alle regole di una disciplina tetragona. Il documentario ha una struttura classica che alterna testimonianze, aneddoti, riprese durante il lavoro e vedute delle opere. Potrà far storcere il naso a qualcuno questo ebreo che si sentiva tanto minacciato dalla sua appartenenza confessionale da cambiare il nome da Goldenberg a Gehry (e infatti Pollack dà voce anche ai suoi detrattori), ma non si può non restare affascinati dall'uso inimitabile che l'architetto di origine canadese ha saputo fare della luce, delle forme, dei materiali, anche a rischio di far sembrare le sue "creature" come delle astronavi atterrate in territori alieni (e Pollack è bravissimo a mostrare gli scorci di Bilbao in cui il contrasto tra il Museo Guggenheim e il resto del paesaggio urbano è fortissimo). Diventato una archistar, o forse addirittura un vero e proprio marchio a dispetto di quelle insicurezze di fondo che - attraverso la testimonianza del suo analista - ne mettono a nudo l'umanità, Gehry ha avuto l'indiscutibile capacità di dare una forma con grazia fanciullesca a quel suo talento che è un malessere allo stato liquido. È una frase riportata nel film, alla quale si accompagna una miriade di altri aneddoti. Vale la pena di ricordarne due: quando un critico gli domandò da dove prendesse la sua ispirazione, lui rispose: "guarda nel secchio dell'immondizia. Vedi quante forme possono scaturirne?". Ma la migliore è quando una mattina, facendosi la barba, si accorse che nel bagno di casa sua non entrava abbastanza luce. Allora prese un martello e creò un'asola nel muro. Questo è Frank Gehry. Imperdibile.    

Maradona - La mano de Dios

anno: 2007       
regia: RISI, MARCO 
genere: biografico 
con Marco Leonardi, Julieta Diaz, Pietro Taricone, Gonzalo Alarcon, Abel Ayala, Juan Leyrado, Eliana González, Norma Argentina, Rolly Serrano, Emiliano Kaczka, Fabián Arenillas, Lucas Escariz, Luis Machín, Giovanni Mauriello 
location: Italia
voto: 3

Biopic di Diego Armando Maradona (Leonardi), il più grande e fantasioso calciatore di tutti i tempi. Correndo su e giù sulla scala del tempo, il regista Marco Risi ne racconta la parabola umana prima ancora di quella sportiva. Ed è qui che il film zoppica vistosamente: sorretto da una regia di impronta televisiva, con attori (tutti argentini, con l'eccezione di Leopardi e dell'ex grande fratello Pietro Taricone) che sfigurerebbero anche in una recita parrocchiale, La mano de dios indulge con ostentato prudore sugli aspetti meno edificanti del fenomeno di Villa Fiorito. Cocaina, ospedali, psicologi di sostegno, bordelli, alcol, la camorra del periodo napoletano, le sbruffonate, gli incontenibili aumenti di peso e ogni altro tipo di eccesso sono le tappe sulle quali il film, con un voyeurismo che asseconda questi tempi di pettegolezzo compulsivo, punta a ricostruire il personaggio. Il quale non solo - incarnato da un Marco Leonardi pressoché (giustamente) dimenticato dal cinema italiano dai tempi de Le buttane - non trasmette neppure la radice cubica del carisma dell'originale, ma di cui, nonostante gli effetti speciali usati con il pallone, vengono dimenticati aspetti importantissimi. Quello sportivo, innanzitutto, limitato a pochi riferimenti didascalici ai tempi di Villa Fiorito, Barcellona, Napoli e la nazionale argentina che negli anni '80 fecero di Maradona la stella irripetibile del calcio mondiale, regalando all'Argentina la coppa del mondo nel 1986 grazie alle sue imprese. Ma ancor di più quello anticonformista, che nel film di Risi si fa caricatura. Le sparate contro i potenti del calcio sono limitate a una specie di vaniloquio durante il matrimonio e la complicità con Fidel Castro e Chavez, l'intero periodo cubano, completamente dimenticato. Nonostante il cognome blasonato e la fitta documentazione raccolta, Risi dirige un'operina rozza incapace di emozionare, mostrando di essere ormai sideralmente lontano dal regista impegnato del periodo 1987-1994, quello di film come Mery per sempre e Il muro di gomma, e sembra irrimediabilmente tornato a quei non luoghi del cinema che caratterizzarono le sue orini di regista al servizio di Jerry Calà. Come già per Best, il calcio al cinema funziona poco e male.