mercoledì 31 ottobre 2012

Copycat: omicidi in serie

anno: 1995   
regia: AMIEL, JON 
ggenere: poliziesco 
con Sigourney Weaver, Holly Hunter, Dermot Mulroney, William McNamara, Harry Connick Jr., J.E. Freeman, Will Patton, John Rothman, Shannon O'Hurley, Bob Greene, Tony Haney, Danny Kovacs, Tahmus Rounds, Scott DeVenney, David Michael Silverman, Diane Amos, Richard Conti, Nick Scoggin, Bert Kinyon, Dennis Richmond, Rob Nilsson, Kenny Kwong, Charles Branklyn, Kelly DeMartino, Rebecca Klingler, Terry Brown, Corie Henninger, Bill Bonham, Kathleen Stefano, Chris Beale, Hansford Prince, Don West, Jay Jacobus, John Charles Morris, Keith Phillips, Johnetta Shearer, Ron Kaell, Kelvin Han Yee, James Cunningham, Victor Talmadge, Brian Keith Russell, Damon Lawner, Russ Christoff, Doug Morrisson, Edith Bryson, Jeni Chua, William Oates, Lee Kopp, Thomas J. Fieweger, Floyd Gale Holland, Anthony Moore, Stephanie Smith, S.J. Spinali, Katherine Fitzhugh, Robert Benscoter, Arlon G. Greene, Stuart W. Yee, Vincenetta Gunn, David Ferguson, Eleva Singleton, Gena Bingham 
location: Usa
voto: 4

Un serial killer dall'aspetto rassicurante (non è un giallo e lo spettatore lo vede fin dall'inizio) si diverte a ripetere gli stessi, raccapriccianti ed efferati omicidi dei suoi inconsapevoli mentori, da John Wayne Gacy a Jeffrey Dahmer e Peter Kurten. La polizia di San Francisco, come da manuale, brancola nel buio e si affida a una profiler espertissima (Weaver) che una brutta esperienza ha costretto all'abuso di psicofarmaci e all'agorafobia. Sarà proprio lei l'obiettivo finale del serial killer.
Se so che sto per vedere un film poliziesco di Jon Amiel, non mi aspetto Hitchcock né Kubrick, ma un minimo di tensione sì. Qui di tensione, tolti i venti minuti finali e la scena iniziale (che è pressoché identica a quella di chiusura) non ce n'è affatto, gli attori sono stati reclutati in saldo e lo script è fiacchissimo. Da evitare.    

lunedì 29 ottobre 2012

Berlin (Lou Reed's Berlin)

anno: 2007   
regia: SCHNABEL, JULIAN
genere: musicale
con Lou Reed, Sharon Jones, Rupert Christie, Steve Hunter, Fernando Saunders, Rob Wasserman, Tony 'Thunder' Smith, New London Children's Choir, Emmanuelle Seigner, Antony Hegarty
location: Usa
voto: 5

Berlin, il terzo album del rocker newyorchese Lou Reed, fu un vero fiasco. Forse per questo l'ex frontman dei Velvet underground non eseguì mai dal vivo le canzoni di quell'album. 33 anni dopo, eccolo calcare per cinque sere consecutive il palco del St. Ann's Warehouse, in quella stessa Brooklyn dove era nato nel 1942. Julian Schnabel, più noto come artista figurativo d'avanguardia che non come regista, filma quelle storiche performance live nelle quali il divo era accompagnato da una piccola orchestra, un coro di ragazzi e da Anthony Hegarty alla voce. Lo spettacolo cinematografico allestito da Schnabel non è certo quello che Scorsese ha tirato fuori per filmare i Rolling Stones (Shine a light), la mano del semidilettante - che aveva comunque già all'attivo film come Basquiat e Lo scafandro e la farfalla - mostra i suoi limiti, ma la musica - con l'intensità delle liriche sul tema della gelosia, la potenza travolgente di canzoni come Lady Day, Men Of Good Fortune e Caroline Says - riscatta la semplicità dello sguardo cinematografico con una grinta e una capacità performativa rimaste inalterate. Chapeau.    

domenica 28 ottobre 2012

Maradona by Kusturica

anno: 2008       
regia: KUSTURICA, EMIR
genere: documentario
con Diego Armando Maradona, Emir Kusturica, Manu Chao, Lucas Fuica
location: Argentina
voto: 4

Il campione lo conoscono tutti: è uno dei personaggi più famosi al mondo. E poi a Diego Armando Maradona sono stati già dedicati film (Maradona - La mano de Dios) e documentari (Amando Maradona), e non solo in Italia.
Il film di Kusturica non aggiunge nulla al racconto dell'ex calciatore, che è un concentrato di istrionismo e populismo: il regista serbo gli lascia campo libero per le sue esternazioni, picconature e pontificazioni, gli fa assist per domande più o meno comode e lo lascia sentenziare contro tutto e tutti (il che, in questo caso, non sempre guasta, visto che i bersagli sono personaggi come Matarrese e Havelange). Ma del Maradona cresciuto in una famiglia con sette fratelli nelle favelas argentine, che ha indossato le magli del Boca, del Barça, del Napoli e della nazionale argentina - con cui vinse il mondiale del 1986 dopo avere realizzato il gol del secolo contro l'Inghilterra, quando si era da poco conclusa la guerra delle Falkland - si sa già tutto, così come si conoscono i vizi privati (come quello per la cocaina) e le fissazioni (da Guevara a Castro). Filmato in un tempo forse eccessivamente lungo (3 anni), il Maradona di Kusturica soffre troppo delle smanie di protagonismo e dell'inarginabile narcisismo di quest'ultimo, che fin dalle prime battute si presenta come "il Maradona del cinema" (stendiamo un velo pietoso…). Troppo preso dal divinare se stesso alla stregua del fuoriclasse sudamamericano (vedi gli accostamenti pretestuosi tra gli spezzoni di film del primo e alcuni momenti della vita del secondo), Kusturica trascura quasi tutto il resto, l'avventura italiana del pibe de oro è poco più che una breve parentesi e l'autoincensamento del presente si traduce in un un duetto agiografico. L'unico vero momento gustoso del film sono gli spezzoni in cui si mostrano i riti (compreso quello nuziale) della chiesa maradoniana: non è una metafora, esiste davvero, con tanto di liturgie e preghiere. Sic.    

sabato 27 ottobre 2012

Amour

anno: 2012       
regia: HANEKE, MICHAEL
genere: drammatico
con Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert, Alexandre Tharaud, William Shimell, Ramón Agirre, Rita Blanco, Carole Franck, Dinara Droukarova, Laurent Capelluto
location: Francia
voto: 9

È ancora una volta la casa lo scenario dove si consumano le tragedie del cinema di Haneke: dopo quella profanata di Funny games, quella claustrofobica de La pianista, quella spiata di Niente da nascondere e quella patriarcale de Il nastro bianco, con Amour il grande appartamento parigino di una coppia di ottuagenari, insegnanti di musica ormai in pensione, fa da cornice al lento e inesorabile declino di lei (Riva). Il film parte dalla fine, la donna distesa sul letto ormai morta e cosparsa di fiori, ma la vera tragedia ha inizio con un momento di vuoto, di assenza: è il sintomo di un ictus che la porterà a perdere mobilità, autonomia, linguaggio. Lui (Trintignant: in Italia non lo si vedeva dai tempi di Film rosso, anno di grazia 1994) la assiste con caparbietà; quando le forze si affievoliscono assume un'infermiera a ore, poi una seconda, ma il percorso è irreversibile e le sporadiche visite di una figlia troppo occupata (Huppert), che a ogni occasione pontifica, non aiutano l'uomo.
Con Amour, Haneke ci racconta l'amore oblativo nella sua quintessenza (qualcosa del genere si era visto in Away from her), scaraventando lo spettatore nella potenza - psicologica, fisica e morale - di una sofferenza che si acuisce con il passare dei giorni, andando di pari passo con una capacità di amare che diventa eroica, pur dilaniata dal desiderio sopito di un ritorno alla propria libertà personale e contagiata dall'abitudine, come nelle diverse reazioni all'intrusione di un piccione in casa, gioiello metaforico del film. È cinema scarnificato, essenziale, realizzato per intero in interni, quasi senza musica e con inquadrature fisse, molte ellissi narrative e diversi fuori scena come è da sempre nello stile di questo indiscutibile Maestro. Strameritato il massimo alloro conquistato al festival di Cannes.    

venerdì 26 ottobre 2012

Il comandante e la cicogna

anno: 2012       
regia: SOLDINI, SILVIO  
genere: commedia fantastica  
con Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Claudia Gerini, Giuseppe Battiston, Luca Zingaretti, Maria Paiato, Michele Maganza, Serena Pinto, Shi Yang, Luca Dirodi, Giselda Volodi, Giuseppe Cederna, Fausto Russo Alesi e con le voci di Pierfrancesco Favino, Gigio Alberti e Neri Marcorè  
location: Italia, Svizzera
voto: 6

Ci guardano sconsolati dall'alto i padri della patria e gli esponenti di rango dell'Italia che fu. E ci commiserano. "Duole il petto doverlo ammettere - dice il bronzo ventriloquo di una statua equestre di Garibaldi (la voce è quella di Favino) - ma se avessi potuto prevedere tutto questo sarebbe stato meglio tenersi gli austriaci". L'Italia (siamo a Torino) che sta ai suoi piedi si presenta fin dalla prima scena con due automobiliste che vengono alle mani per ragioni di viabilità e presenta un bestiario di varia umanità fatta di tangentisti, corrotti, cripto-liberal rappresentati da un anonimo a cui è dedicata una statua la cui testa di Cazzaniga finisce anche per rotolare in terra. E poi c'è l'Italia dei lavoratori onesti che tirano avanti nonostante tutto (Mastandrea), con figli a carico e la presenza fantasmatica di una moglie (Gerini) morta troppo presto. C'è l'Italia di chi coltiva ancora il gusto dell'arte (Rohrwacher) ma è costretta a piegarsi a una committenza spocchiosa e grossolana e non ce la fa a pagare la pigione, o quella dei drop out, come il moralizzatore naïf interpretato da Giuseppe Battiston, enciclopedia vivente avvezzo alla citazione colta e in equilibrio precario nella babele linguistica del mondo intero, o, ancora, un nerd adolescente che farebbe di tutto per la cicogna con la quale ha stretto un legame speciale.
La commedia numero tre di Soldini è tutto questo: genio inventivo nei singoli frammenti, spezzoni dell'Italia in disfacimento, ma anche incapacità di raccordare il tutto se non attraverso una metaforizzazione un po' didascalica (il comandante del titolo è lo stesso Garibaldi; la cicogna è il futuro che potrebbe arrivare, entrambi ben al di sopra del formicaio umano che sono costretti a guardare). Al film manca l'impasto, lo sguardo d'insieme, il raccordo tra le tante, azzeccatissime tracce - che costituiscono un puzzle divertente, servito da attori in stato di grazia (col solito Mastandrea da standing ovation) e molto ben scritto - e il senso stesso della fustigazione, che lascia una sensazione di futilità, diluita nella dimensione fiabesca del racconto.
Titoli di coda da non perdere.    

mercoledì 24 ottobre 2012

La peggior settimana della mia vita

anno: 2011   
regia: GENOVESI, ALESSANDRO
genere: comico
con Fabio De Luigi, Cristiana Capotondi, Monica Guerritore, Antonio Catania, Gisella Sofio, Alessandro Siani, Nadir Caselli, Chiara Francini, Arisa, Luca Altavilla, Federica Fracassi, Nicola Sisti Ajmone, Andrea Mingardi
location: Italia
voto: 4

Il 40enne Paolo (De Luigi) sta per sposarsi e per lui si annuncia una settimana memorabile. Sì, memorabile, ma in maniera radicalmente diversa dalle aspettative: ogni suo gesto finirà per trasformare l'incontro con i futuri suoceri, nella loro residenza sul lago di Como, in una catastrofe.
Ispirato a un format della BBC (The Worst Week of My Life) ma con molti debiti anche nei confronti di Ti presento i miei e Hollywood party, il primo film da regista di Alessandro Genovesi (già sceneggiatore per Salvatores di Happy family) si avvale, nella sua pochezza, quasi esclusivamente del talento comico e della possente mimica facciale di Fabio De Luigi. Per il resto, situazioni da slapstick viste e straviste, recitazione bovina da tutte le parti, intreccio forzato e frammentario ma anche, va riconosciuto, molto garbo. Il che, per una volta, non guasta.    

domenica 21 ottobre 2012

7 days in Havana (7 días en La Habana)

anno: 2012       
regia: CANTET, LAURENT * DEL TORO, BENICIO * MEDEM, JULIO * NOÉ, GASPAR * RAPERO, PABLO * SULEIMAN, ELIA * TABÍO, JUAN CARLOS
genere: drammatico
con Josh Hutcherson, Daniel Brühl, Emir Kusturica, Elia Suleiman, Melissa Rivera, Jorge Perugorría, Mirta Ibarra, Daisy Granados, Vladimir Cruz, Melvis Santa Estevez, Luis Alberto García, Othello Rensoli, Leonardo Benítez
location: Cuba
voto: 1


I film a episodi non hanno mai goduto di buona salute, neppure - come nel caso di New York stories e Al di là delle nuvole - quando annoveravano nomi del calibro di Allen, Scorsese, Coppola, Antonioni e Wenders. Figurarsi quando nei saldi di fine stagione finiscono registi bolliti, esordienti o mezze tacche che a stento riescono ad avere visibilità in patria: nella fattispecie, un solo cubano e gli altri di varie altre nazionalità. 7 days in Havana è quanto di peggio si riesca a vedere sul piano dell'assemblaggio di 7 linguaggi cinematografici diversi, che come unico elemento in comune hanno quello di gareggiare per aggiudicarsi la palma dell'episodio peggiore.
Scanditi per ciascun giorno della settimana, gli episodi partono con un ragazzetto americano che cerca sesso facile nella capitale cubana; al martedì il regista Emir Kusturika, nella parte di sé stesso, arriva ubriaco alla premiazione del festival cinematografico dell'Havana; il mercoledì è il turno di un impresario spagnolo che si invaghisce di una cantante di night club la quale sta con un giocatore di baseball fallito; il quarto episodio - un involontario omaggio al cinema di Jacques Tati - è incentrato sulla figura di un giornalista israeliano che, nell'attesa di poter intervistare Castro, si rende conto con occhi disarmati della realtà locale; il quinto episodio è un bagno di purificazione al quale i familiari di una ragazza costringono quest'ultima per farle passare le smanie saffiche; il sabato è il giorno di una madre di famiglia che, oltre a spaccarsi la schiena negli altri giorni della settimana, prepara caramelle per raggranellare qualche spicciolo in più. L'episodio di chiusura ha come protagonisti un gruppo di vicini di casa, intenzionati a organizzare una cerimonia in onore della vergine Oshun.
Quanto rum si sono bevuti produttori e registi di questo film per mettere in piedi un'accozzaglia del genere (lo spunto sono sette storie tratte da altrettanti racconti di Leonardo Padura Fuentes)? Episodi strascicati, senza nerbo, né capacità di racconto, né cura delle immagini (se non, forse, per l'episodio di Gaspar Noè). Tutto da dimenticare.    

sabato 20 ottobre 2012

La bella gente

anno: 2009       
regia: DE MATTEO, IVANO
genere: drammatico
con Monica Guerritore, Antonio Catania, Iaia Forte, Giorgio Gobbi, Victoria Larchenko, Myriam Catania, Siddhartha Prestinari, Elio Germano
location: Italia
voto: 4

Ve la ricordate Louise Fletcher, quella che interpretava l'infermiera aguzzina della clinica psichiatrica di Qualcuno volò sul nido del cuculo? Beh, quella era una dilettante rispetto alla Monica Guerritore de La bella gente, sadica e mostruosa come poche altre figure al cinema. La ricca signorotta romana di mezza età si commuove nel vedere una giovanissima prostituta dell'Europa orientale (Larchenko) picchiata dal suo magnaccia sul ciglio di quella strada che lei sta percorrendo per andare a trascorrere le sue vacanze estive in collina. Sicché si incapriccia, convince quel Pilato di un marito (Antonio Catania) a farsene carico e offre alla giovane protezione, cure e ristoro. Peccato che quando a casa arrivano il figlio (Germano) con la fidanzata neurolabile (insopportabilmente interpretata da Myriam Catania, figlia di mammà Rossella Izzo: ma si sa che in Italia bastano i legami di sangue per accedere al mondo dello spettacolo) i progetti umanitari della donna, che peraltro detesta la futura nuora, vadano in frantumi come gli oggetti che lancia per casa nei frequenti momenti di isteria innescati dall'invaghimento del suo bravo figliolo nei confronti della ragazzina ucraina.
Alla sua seconda prova da regista Ivano de Matteo conferma tante buone intenzioni e sensibilità sociale, ma anche una pochezza sconcertante: i personaggi sono tagliati con l'accetta (con ampie responsabilità da parte di Valentina Ferlan, autrice di soggetto e sceneggiatura), l'ipocrisia viene mostrata allo spettatore con il piglio da trattatello morale che più didascalico non si può e gli attori - Elio Germano e Antonio Catania a parte - fanno a gara per assicurarsi il ruolo del peggiore. Niente da fare: nonostante nel film reciti anche quel mistero imperscrutabile che è Iaia Forte, che alla straordinaria inespressività associa anche una rara bruttezza, il massimo alloro va proprio a Monica Guerritore. Vedendola "recitare" si capisce perché nel curriculum annoveri film come Stato interessante, Fotografando Patrizia, Scandalosa Gilda, Mutande pazze e Femmina.
Quanto al tema della ricca famiglia ultraborghese dalle buone intenzioni, è molto meglio andarsi a rivedere Da qualche parte in città di Michele Sordillo: se La bella gente non ha trovato neppure un esercente disposto a proiettarlo in sala, il film di Sordillo, circolato anch'esso in maniera quasi carbonara, almeno merita la visione.    

mercoledì 17 ottobre 2012

Killer Joe

anno: 2012       
regia: FRIEDKIN, WILLIAM
genere: thriller
con Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Juno Temple, Thomas Haden Church, Gina Gershon, Scott A. Martin, Gralen Bryant Banks, Carol Sutton, Danny Epper, Jeff Galpin, Marc Macaulay, Gregory C. Bachaud, Charley Vance
location: Usa
voto: 4

Chris (Hirsch) ha alle calcagna alcuni scagnozzi che esigono la restituzione di una grossa somma. Come uscirne? Semplice: basta ingaggiare un poliziotto che fa il killer professionista a tempo perso (McConaughey) e fare uccidere la propria madre, che ha un'assicurazione sulla vita di 50mila dollari. Papà (Church)  d'accordo, ma il killer Joe vuole i soldi in anticipo e se questi non ci sono potrebbe prendersi la sorellina di Chris (Temple) come caparra. Ma Chris è così stupido da non sapere in quale enorme guaio si sta mettendo…
Passate da un pezzo le 70 primavere, Friedkin, che ha un pedigree di rango con film come Il braccio violento della legge, Cruising e L'esorcista, gioca a fare il terzo fratello Coen dirigendo un film tratto da un testo teatrale di Tracy Letts, una black comedy a forti tinte grottesche, che per almeno un'ora annaspa in una trama senza mordente e che soltanto nella lunga scena finale tira finalmente fuori le unghie con una carneficina in puro stile pulp. La tensione latita, il sarcasmo sullo sfascio della famiglia redneck è di grana talmente grossa da non sortire alcuna sorpresa e tutto sembra pensato per essere programmaticamente in linea con il cinema trendy di Tarantino & C.    

lunedì 15 ottobre 2012

Lourdes

anno: 2009       
regia: HAUSNER, JESSICA  
genere: drammatico  
con Sylvie Testud, Léa Seydoux, Bruno Todeschini, Elina Löwensohn, Irma Wagner, Gilette Barbier, Gerhard Liebmann  
location: Francia
voto: 3

Occhio ai titoli di testa: Lourdes è riuscito a vincere tanto il premio Brian, dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, quanto il cattolico premio Signis 2009. Basta fare uno più uno per capire che l'unico, vero pezzo forte di questo film cinematograficamente inesistente sta nella quota apicale di cerchiobottismo che riesce a raggiungere.
Una ragazza malata da tempo di sclerosi a placche (Testud) sperimenta l'ultima carta, quella della speranza, recandosi a Lourdes. Qui, tra suore dell'Ordine di Malta, preti e preghiere continue, ogni tanto si tenta il gioco cabalistico del miracolo. Il quale miracolo tocca proprio a lei, suscitando le invidie di chi non è stato baciato dalla stessa fortuna e facendola poi precipitare nei sensi di colpa per essere stata la protagonista di quel fatto straordinario. La scienza, intanto, fa la sua partita e ammette: non si è mai visto niente del genere.
La regista austriaca Jessica Hausner va in trasferta, lascia la macchina da presa dove capita, sottopone lo spettatore a estenuanti piani fissi in campo lungo, tirando avanti per oltre un'ora e mezza a suon di discorsi vacui, omelie e preghiere in un tripudio di kitsch dell'anima, con interpreti mummificati e canzoni d'antan messe lì a casaccio. Una dimostrazione di come, a voler accontentare tutti, ci si muove talmente poco e in punta di piedi che alla fine si rimane immobili e con la stessa fissità della macchina da presa, realizzando un film talmente lento che farebbe passare Tarkovsky per un maestro dell'action movie più adrenalinico.    

domenica 14 ottobre 2012

Un sapore di ruggine e ossa (De Rouille Et D'os)

anno: 2012       
regia: AUDIARD, JACQUES
genere: drammatico
con Marion Cotillard, Matthias Schoenaerts, Armand Verdure, Céline Sallette, Corinne Masiero, Bouli Lanners, Jean-Michel Correia, Mourad Frarema, Yannick Choirat, Fred Menut, Duncan Versteegh, Katia Chaperon, Catherine Fa, Andès Lopez Jabois, Océane Cartia, Françoise Michaud, Irina Coito, David Billaud, Fabien L'Allain, Fabien Baïardi, Laetitia Malbranque, Soulyane Rajraji, Pascal Rozand, Hedi Touihri, Nathalie Millar, Anne-Marie Tomat
location: Francia
voto: 5,5

Un grave handicap fisico a seguito di un incidente, un padre disadattato con un figlioletto al seguito, i combattimenti clandestini, una donna che si improvvisa bookmaker per le scazzottate tra maschi, l'amore a gettone, i diritti dei lavoratori, l'orca assassina, un secondo gravissimo incidente con tanto di coma: è come se il regista Jacques Audiard avesse centrifugato in un solo film tutti i racconti di Craig Davidson, da cui è tratto questo lungometraggio, pur di sortire l'effetto commozione. Eppure, non sono bastati tutti questi ingredienti per far sgorgare una sola lacrima dallo spettatore opportunamente equipaggiato di fazzoletti dopo lo sbandieramento di trailer e stampa. Un sapore di ruggine e ossa, titolo poetico, indubbiamente indovinato e ammiccante tanto quanto il film che rappresenta, è un'opera tutta di testa, l'incontro tra due solitudini come già era stato per alcune opere precedenti del regista (Il profeta, Sulle mie labbra).
Stephanie (una Cotillard di abbacinante bellezza) è un'addestratrice di orche che in un incidente ci lascia entrambe le gambe; Ali (Schoenaerts) è un padre sbandato e corpulento che sbarca il lunario tra lavori di security e scommesse clandestine per incontri a pugni nudi. I due si troveranno e solidarizzeranno dopo un calvario che passa attraverso esperienze molto diverse.
È innegabile il talento visivo di Audriard, così come non si può eccepire nulla sulla sua direzione degli attori. Ma la ridda di temi sul campo gli fa sfuggire la materia filmica di mano, il racconto ha degli smottamenti pretestuosi e il fazzoletto rimane rigorosamente asciutto. Chi ha già assistito ai ridicoli eccessi di Biutiful può astenersi.    

sabato 13 ottobre 2012

Tutti i santi giorni

anno: 2012       
regia: VIRZÌ, PAOLO
genere: sentimentale
con Luca Marinelli, Thony (Federica Victoria Caiozzo), Katie McGovern, Micol Azzurro, Donatella Barzini, Lucia Bodenizza, Frank Crudele, Franco Gargia, Fabio Gismondi, Giovanni Laparola, Robin Mugnaini, Claudio Pallitto, Mimma Pirré, Raffaele Vannoli
location: Italia
voto: 5,5

Prima di acquistare il biglietto del cinema assicuratevi che la sala sia equipaggiata con altoparlanti Bose, Onkyo o Bowers & Wilkins. Soltanto così riuscirete ad avere qualche probabilità in più di decifrare le parole di Thony (al secolo Federica Victoria Caiozzo), autrice della colonna sonora del film in pieno stile Suzanne Vega / PJ Harvey / Cat Power / Joan as Police Woman, assurta per l'occasione al ruolo di coprotagonista grazie al casting realizzato sul social network MySpace. La cantante siciliana non è soltanto la negazione vivente della dizione, ma è una miracolata del 35 millimetri ed è il vero tallone d'Achille dell'opera numero 10 di Paolo Virzì. Film peraltro originale e dignitoso, pieno di grazia, con molte trovate originali a partire dal secondo titolo panico (il primo fu Tutta la vita davanti), che richiama il momento topico della coppia protagonista, quando cioè Guido (Marinelli, già nel ruolo di protagonista, con molti chili in meno, ne La solitudine dei numeri primi), al rientro dal lavoro, porta la colazione a letto alla sua Antonia (Thony), ricordandole vita e gesta del santo del giorno, tutti i santi giorni. Lui, proletario coltissimo e garbato, è così innamorato di lei, lunatica e scorbutica e con malriposte ambizioni cantautorali, che ha rinunciato alla possibilità di una carriera accademica negli States per fare il portiere di notte in un grande albergo della Capitale. Quando rincasa al mattino, nella periferia capitolina di Acilia, trova anche il tempo per fare l'amore con lei, nella speranza che prima o poi possa arrivare un bebè. Ma il pargolo non arriva e Antonia mette il loro rapporto a durissima prova.
Trasuda ottimismo da tutte le parti questa fiaba sui tempi duri che stiamo vivendo, mostrandoci che ogni difficoltà può essere abbordata al solo prezzo di un sorriso o di una frase gentile. Virzì - che ha scritto il copione con Francesco Bruni e Simone Lenzi, autore anche del romanzo La generazione da cui è tratto il film - aggiunge ai suoi tipici registri da commedia intimista situazioni e dialoghi scoppiettanti, scene esilaranti come quella della visita "dal ginecologo del Papa" (sic), del tentativo di abbordaggio in albergo da parte di un cliente cinese e della corsa per versare il seme in vista di una fecondazione assistita. Peccato che ci sia Thony, con quel terribile accento siculo biascicato, a rovinare tutto.    

mercoledì 10 ottobre 2012

Padroni di casa

anno: 2012       
regia: GABBRIELLINI, EDOARDO
genere: drammatico
con Valerio Mastandrea, Elio Germano, Gianni Morandi, Valeria Bruni Tedeschi, Francesca Rabbi, Mauro Marchese, Lorenzo Rivola, Alina Gulyalyeva, Giovanni Piccinini
location: Italia
voto: 7

Si apre e si chiude con due testimonianze fortuite - la prima vera, la seconda falsa - l'opera numero due di Edoardo Gabbriellini, giovane attore-regista noto al grande pubblico più per aver interpretato la parte del protagonista in Ovosodo di Virzì che non per il trascurabile film d'esordio, B.B. e il cormorano.
I padroni di casa qui sono i montanari dell'Appennino tosco-emiliano, gente schiva e sospettosa, che non vede di buon occhio l'arrivo in paese di due fratelli carpentieri romani, uno istituzionalista (Germano), l'altro più creativo e problematico (Mastandrea). I due sono in trasferta per piastrellare la terrazza di un divo della canzone uscito di scena da un decennio (Morandi, tornato al cinema in gran forma dopo un'assenza durata ben 42 anni) per assistere la moglie in carrozzina ortopedica (Bruni Tedeschi, che finalmente ottiene una parte consona alla sua vocazione da soprammobile, senza avere neppure una battuta). Il cantante sta progettando il rientro e mentre il lavoro procede tra intoppi e incomprensioni, per i due forestieri la vita si complica fino a un tragico finale.
Autore anche del soggetto, Gabbriellini compie un balzo in avanti rispetto alla sua acerba opera precedente, con una sorta di western rurale che esplora il leghista nascosto che è in noi. La doppia coppia (fratelli e coniugi) è ben disegnata, qualche ellisse narrativa apre varchi interpretativi sulle possibili ragioni del rapporto contraddittorio che il cantante ha con la moglie ma aiuta anche a generare squarci di forte tensione e la sfera antropologica, dominata - a partire dalla metafora del lupo che campeggia anche sulla locandina promozionale - da una lettura hobbesiana dei rapporti tra individui, è costruita con sagace verismo. A Padroni di casa, però, manca un tocco di originalità: siamo tra Il vento fa il suo giro e Cane di paglia, con un finale che forse punta troppo sul colpo ad effetto e al quale nemmeno Mastandrea, co-autore del copione e che come interprete sfondera l'ennesima prova magistrale, sembra credere fino in fondo.    

Soul kitchen

anno: 2009   
regia: AKIN, FATIH 
genere: commedia 
con Adam Bousdoukos, Moritz Bleibtreu, Birol Ünel, Anna Bederke, Pheline Roggan, Lucas Gregorowicz, Dorka Gryllus, Wotan Wilke Möhring, Demir Gökgöl, Monica Bleibtreu, Marc Hosemann, Cem Akin, Catrin Striebeck, Hendrik von Bültzingslöwen, Jan Fedder, Julia Wachsmann, Simon Goerts, Maverick Quek, Markus Imboden, Gudrun Egner, Arne Benzing, Piotr Gregorowicz, Hans Ludwiczak, Jan Weichsel, Peter Lohmeyer, Gustav-Peter Wöhler, Zarah Jane McKenzie, Peter Jordan, Wolfgang Schumacher, Ugur Yücel, Philipp Baltus, Lars Rudolph, Fritz Renzo Heinze, Francesco Fiannaca, Bülent Celebi, Bernd Gajkowski, Herma Koehn, Joana Adu-Gyamfi, Maria Ketikidou, Till Hooster, Torsten Lemke, Klaus Maeck, Ernest Hausmann, Salman Kurtulan, Emek Kavukcuoglu, Senol Ugurlu, Udo Kier 
location: Germania
voto: 6,5

Un localaccio di quart'ordine nella periferia di Amburgo, due fratelli e tanta solidarietà: sono questi gli ingredienti su cui è imperniato Soul Kitchen, food-movie scanzonato e di grande libertà narrativa, al centro del quale c'è il gestore nonché cuoco dello scalcagnato ristorante di cui sopra (Bousdoukos). Al poveretto ne capitano di tutti i colori: la sua ragazza (Roggan) vorrebbe essere raggiunta in Asia costringendolo a lasciare l'attività, un cuoco reclutato di fresco  a seguito di un colpo di frusta alla schiena (Ünel) rischia di mandargli a rotoli gli affari per eccesso di creatività, il fratello in libertà vigilata (Bleibtreu) contrae debiti di gioco e frequenta tipi loschi e una vecchia conoscenza (Möhring) cerca di portargli via il locale con una truffa. Ma questa sorta di Candide contemporaneo con generosità e determinazione riuscirà a migliorare comunque la sua vita.
Diretta con brio dal regista di origini turche Fatih Akin, che già si era fatto notare con La sposa turca, Soul kitchen è una commedia leggera che parte a razzo ma si affloscia dopo mezz'ora, nonostante qualche tocco piccante (un'orgia per ingestione eccessiva di cibo afrodisiaco), l'ottima colonna sonora che miscela funky, metal, rhythm'm'blues e rebetiko greco e l'ottimismo a gogò, servito da un cast affiatato e divertito.
Premio speciale alla 66ma mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia (2009).    

domenica 7 ottobre 2012

Bobby Fischer Against the World

anno: 2011   
regia: GARBUS, LIZ
genere: documentario
con Bobby Fischer, David Edmonds, Anthony Saidy, Susan Polgar, Henry Kissinger, David Shenk, Gudmundur Thorarinsson, Boris Spassky, Mikhail Tal, Garry Kasparov, Mikhail Botvinnik, Tigran Petrosian, Russell Targ, Larry Evans, Shelby Lyman, Sam Sloan, Malcolm Gladwell, Fernand Gobet, Dick Cavett, Harry Sneider, Harry Benson, Paul Marshall, Fridrick Olafsson, Mik Magnusson, Saemi Palsson, Clea Benson, Lothar Schmid, Nikolai Krogius, Asa Hoffman, Regina Fischer, Frank Brady, LeRoy Neiman, Dick Schaap, Anatoli Karpov, Zita Rajcsanyi, Jeremy Schaap, Kári Stefánsson
location: Usa
voto: 7

Nel 1972, a soli 29 anni, Bobby Fischer era forse l'uomo più famoso al mondo, colui che per 8 anni consecutivi aveva vinto il titolo di campione americano di scacchi e che adesso si apprestava a gareggiare con Boris Spassky, l'ultimo di una lunga serie di campioni mondiali russi grazie ai quali l'Unione Sovietica intendeva manifestare la propria superiorità intellettuale rispetto al resto del pianeta. Erano gli anni della Guerra Fredda e quelle 24 partite per il campionato mondiale di scacchi furono anche una metafora dell'antagonismo tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Liz Garbus ci racconta la parabola umana di quel ragazzo cresciuto troppo in fretta, che scoprì il vero padre soltanto a 9 anni e crebbe con una madre che si preoccupava fin troppo dei diritti civili e pensava pochissimo alla famiglia, campionissimo già a 15 anni ma anche pieno di stranezze, antipatico, misantropo, bizzarro. Le sue provocazioni fecero del Bobby Fischer l'ebreo un feroce antisionista e del Bobby Fisher l'americano un convinto antinazionalista, capace di rilasciare dichiarazioni scioccanti all'indomani del'attacco alle Torri Gemelle, colui che, per andare a giocare in Jugoslavia una triste rivincita vent'anni dopo con Spassky (sembrò un match tra pugili suonati), violò l'embargo ONU perdendo così la cittadinanza americana e terminando la sua vita folle a soli 64 anni, in Islanda, il Paese che aveva fatto da palcoscenico al suo titolo mondiale e che si propose per dargli la nazionalità dopo l'ostracismo USA.
L'accattivante documentario della Garbus si concentra soprattutto su quella leggendaria sfida islandese (peccato che, tra le tante testimonianze, non ci sia proprio quella di Spassky), sui continui capricci di Fisher, che già allora manifestò la mania di persecuzione che anni più tardi lo avrebbe portato a pensare che gli ebrei stessero complottando per controllare la sua mente. Dovette persino intervenire il segretario di stato americano Henry Kissinger, dato l'altissimo valore simbolico della posta in palio, per convincere Fisher a tornare a Reykjavik, dopo che quest'ultimo aveva abbandonato per tutte le sue fisime.
Lo scacco più plateale Fisher lo fece a sé stesso, imboccando la strada di un declino progressivo che lo avrebbe collocato in una zona liminare tra vita monastica e delirio persecutorio, ad allungare dunque la casistica dei geni degli scacchi segnati da notevoli patologie psichiatriche. Nel vedere il film, attraverso un corredo di magnifiche immagini tutte in bianco e nero, si assapora il clima di quegli anni, ci si immerge in un ritratto che sta tra il delirio megalomanico del Mohammed Alì di Quando eravamo re e il genio folle di Howard Hughes, portato sul grande schermo dalla coppia Scorsese-DiCaprio in The aviator.    

sabato 6 ottobre 2012

Reality (Big House)

anno: 2012       
regia: GARRONE, MATTEO
genere: commedia
con Aniello Arena, Loredana Simioli, Nando Paone, Nello Iorio, Nunzia Schiano, Rosaria D'Urso, Giuseppina Cervizzi, Claudia Gerini, Raffaele Ferrante, Paola Minaccioni, Ciro Petrone, Salvatore Misticone, Vincenzo Riccio, Martina Graziuso, Alessandra Scognamillo, Angelica Borghese, Carlo Del Sorbo, Arturo Gambardella
location: Italia
voto: 4


Arriva fuori tempo massimo il film di Matteo Garrone sulla sindrome da apparizione televisiva legata al fenomeno dei reality, cioè proprio quando questi utlimi cominciano a subire una brusca flessione di pubblico in un Paese come l'Italia, quella sprovveduta e credulona già raccontata nel Pinocchio di Collodi, sintetizzata dalle schiere di seguaci di Padre Pio e vista al cinema fin dai tempi di Bellissima. Il copione che Garrone, con Maurizio Braucci, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, ci propone, è un abbecedario della deriva a cui può portare la smania di avere il proprio quarto d'ora di celebrità, un trattatello che passando per la commedia grottesca vuole arrivare al dramma con un film a tesi. Al centro della vicenda c'è un pescivendolo dei bassi di Napoli (Arena), padre di famiglia, pagliaccio triste in un Paese e una cultura in piena decadenza, che dopo l'incontro casuale con un ex residente della casa-acquario del Grande Fratello (Ferrante) va a fare un provino e si convince che prima o poi sarà selezionato. L'idea geniale del film sta nel trasferire il fenomeno da passivo (gli "internati" osservati nella casa) ad attivo (il nostro protagonista che mette in atto un'escalation di azioni deliranti perché si convince che per essere reclutato deve prima convincere gli emissari del GF che lo stanno "studiando" nel suo habitat naturale). Ma è tutto talmente algido, programmatico, cerebrale, privo di ritmo e, soprattutto, scontato, da opacizzare quanto di buono il regista fa con ambienti, luci (dominanti rosse e ocra, saturazione cromatica), corpi, riprese da altissima scuola del cinema, a cominciare dall'iniziale piano sequenza aereo e a finire con quello finale, che risale in cielo lasciando illuminato soltanto il protagonista. Come è stato per il Sorrentino di This must be the place, Garrone sembra aver sofferto del peso che Gomorra, la precedente opera assolutamente memorabile, ha lasciato sulle sue spalle, imboccando anch'egli la strada della commedia, ormai elevato a genere passe-partout. Come nel caso del collega campano, anche Garrone sembra talmente preso dal bisogno di mostrare il suo talento da preoccuparsi molto della forma e pochissimo dei contenuti. Sicché è vero  che rispetto a questi ultimi Garrone sospende il giudizio, ma il messaggio che lancia mira in basso, alle responsabilità di chi non ha i mezzi per vedere la realtà. E allora sarebbe stato assai meglio capovolgere la prospettiva, fare un altro film, non fosse altro che per il fatto che chi doveva capire ha già capito e chi non vuole capire, proprio perché non ha i mezzi, non riuscirà neppure a decodificare il senso di questo apologo.
Non si comprende poi perché il ruolo da protagonista, con tanti attori che stanno a spasso, debba essere affidato a un ergastolano per reati di camorra. Va bene che il carcere deve essere rieducativo, ma qual è il segnale che si manda, se non quello che il quarto d'ora di celebrità è concesso anche a chi sta dietro alle sbarre alla faccia dei crimini commessi? E allora un conto è fare del cinema di forte spessore pedagogico come i Taviani (Cesare deve morire) o Ferrario (Tutta colpa di Giuda), un altro concedere permessi tanto generosi.
Grand Prix al 65. festival di Cannes (2012).    

mercoledì 3 ottobre 2012

Il rosso e il blu

anno: 2012       
regia: PICCIONI, GIUSEPPE
genere: commedia
con Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Roberto Herlitzka, Silvia D'Amico, Nina Torresi, Ionut Paun, Alexandru Bindea, Elena Lietti, Lucia Mascino, Marco Casazza, Ionut Paun, Davide Giordano, Domiziana Cardinali, Gene Gnocchi
location: Italia
voto: 5

Alla mattina, prima che i ragazzi arrivino, la preside di un istituto superiore romano (Buy) passa per i gabinetti e li rabbocca con i rotoli di carta igienica estratti dalla sua borsa. È la fotografia del degrado sempre più avanzato della scuola italiana, uscita dalla penna di Marco Lodoli, opinionista e collaboratore di Repubblica, che nelle scuole delle periferie romane ha insegnato per anni. Il suo sguardo, con quello del regista Giuseppe Piccioni, si posa su questa situazione con bonomia e rassegnazione, sintetizzate in maniera alquanto schematica dalla contrapposizione tra un giovane supplente idealista (Scamarcio) e un anziano docente cinico e disilluso (Herlitzka). Il resto è corredo ordinario a certi film di ambientazione scolastica scritti secondo gli schemi più risaputi: il ragazzo problematico, quello che fa il buffone in aula, la studentessa con problemi familiari, l'emigrato che è il primo della classe ma che morde il freno.
Il rosso e il blu si lascia vedere, ma non aggiunge nulla a capitoli ben più significativi che hanno raccontato la scuola italiana - da Diario di un maestro a La scuola fino al recente Scialla! -, rispolverando pagine da libro Cuore e limitandosi a fornire un bigino tutto sommato commiserevole delle istituzioni scolastiche, dove gli studenti, in fin dei conti, hanno colpe limitate e i professori sono dei volenterosi professionisti schiacciati dalla potenza delle forze contrarie. Herlitzka si prende le parti migliori del copione, qualche momento divertente non manca ma in un'ora e mezza si vede appena un'invenzione di regia (un ex studente ammanettato che dallo schermo televisivo si rivolge, nell'immaginazione, a un suo ex professore): troppo poco per chiamare in causa il cinema d'autore.