mercoledì 30 maggio 2012

Radio days

anno: 1987   
regia: ALLEN, WOODY 
genere: commedia 
con Mia Farrow, Seth Green, Julie Kavner, Josh Mostel, Dianne Wiest, Michael Tucker, Julie Kurnitz, David Warrilow, Renee Lippin, Woody Allen, Jeff Daniels, Danny Aiello, Judith Malina, Tony Roberts, Wallace Shawn, Diane Keaton 
location: Usa
voto: 5

Gli anni Quaranta raccontati come un amarcord, al centro del quale si trova la gloriosa stagione della radio. Trovato in un ragazzino di Long Island dalla capigliatura fulva il proprio alter ego, Woody Allen mette in scena, tra compunti toni nostalgici e divertenti siparietti autobiografici, la società americana di quegli anni. Ipocrisia e perbenismo, ingenuità e coesione sociale, mentre la guerra incombe, sono il quadro di riferimento. La cornice è la radio, con le cronache marziane di Orson Welles, le leggende metropolitane e i ventriliqui (!), i corsi di dizione e la musica jazz, le troppe distrazioni dallo studio. La struttura narrativa non va oltre la ricostruzione a sketch con registri spesso fellininani, aleggia un'aria divertita e complice tra gli attori, ma quando arrivano i titoli di coda del racconto del ritratto di quell'epoca rimane davvero poco.

martedì 29 maggio 2012

Io sono Li

anno: 2011       
regia: SEGRE, ANDREA  
genere: drammatico  
con Tao Zhao, Rade Serbedzija, Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston, Giordano Bacci, Zhong Cheng, Federico Hu, Spartaco Mainardi, Andrea Pennacchi, Sara Perini, Amleto Voltolina, Wang Yuan  
location: Italia
voto: 7

Avrebbe forse dovuto intitolarsi Io sono lirico il primo lungometraggio di finzione girato, dopo una serie di documentari, dal regista veneto Andrea Segre. Trasuda infatti poesia a partire dalla didascalia che apre i titoli di testa, un omaggio al poeta cinese QuYuan, e a proseguire con le immagini incantevoli della laguna veneta (fotografate con la consueta perizia da Luca Bigazzi), con la suggestività umida e nebbiosa delle location e con le musiche intimiste di François Couturier. Un tale effluvio di poesia, che in qualche momento cede il passo al manierismo, per raccontare la vicenda di Li (Zhao), operaia tessile costretta a lasciare Roma per spostarsi a Chioggia, un impiego da barista, in attesa che le venga concesso - non dalle autorità italiane, ma dai "colonnelli" cinesi - di riavere con sé avere il figlio di 8 anni. A Chioggia Li conosce Bepi (Serbedzija), un vecchio pescatore di origini slave soprannominato "il poeta", ma la maldicenza dei chioggiotti e il cinico pragmatismo dei cinesi determinano la chiusura coatta di quell'amicizia.
Segre - un dottorato in sociologia e tanta ricerca sul campo - dimostra una chiara competenza nelle storie che racconta, conosce il mondo di cui parla e riesce così a rappresentare benissimo la misantropia serpeggiante di un popolo abituato a convivere con la bruma e con l'acqua che entra nei bar e nelle osterie, come se nulla fosse. Lo stile ellittico, il timone tenuto saldamente nella direzione di attori, tutti ugualmente bravi e credibili, ma anche un certo compiacimento autoriale fanno intravedere una personalità cinematograficamente matura, in attesa delle prossime prove.    

sabato 26 maggio 2012

La fuga di Martha (Martha Marcy May Marlene)

anno: 2012       
regia: DURKIN, T. SEAN  
genere: drammatico  
con Elizabeth Olsen, Christopher Abbott, Brady Corbet, Hugh Dancy, Maria Dizzia, Julia Garner, John Hawkes, Louisa Krause, Sarah Paulson, Adam David Thompson, Allen McCullough, Lauren Molina, Louisa Braden Johnson, Tobias Segal, Gregg Burton  
location: Usa
voto: 6

Saranno abbastanza le tre d'ore d'auto che Martha (Olsen) pone tra sé e l'abitazione dove ha vissuto per due anni, quella di una setta guidata da un epigono di Charles Manson (Hawkes)? Se lo domanda lo spettatore per buona parte di questo dramma psicologico dalla fortissima tensione e dai marcati accenti thriller, nel quale la giovane protagonista, inorridita da quanto accade nella setta dove è andata a vivere, fugge per stabilirsi in Connecticut, presso la bella abitazione della sorella (Paulson), una ultraborghese che vive con il marito sulla sponda di un lago. Il vero nucleo del film sta nel non detto tra le due congiunte: la più grande che vorrebbe sapere, e che forse intuisce qualcosa; Martha che nicchia, rimanendo imprigionata nell'angoscioso ricordo di quegli anni. Finale aperto. Arriverà il sequel?
L'esordiente T. Sean Durkin, premiato al Sundance per la migliore regia, usa una ricca tavolozza di colori per dare corpo al travaglio interiore della protagonista. Dimentica però di curare l'aspetto cruciale che è all'origine della trama: la setta viene dipinta con una spruzzata di cliché (il capo carismatico, la sloganistica tanto vaga quanto perentoria, il lavaggio del cervello, la promiscuità, i riti iniziatici) ma lasciando sulle quinte la sua "missione".    

lunedì 21 maggio 2012

Patti Smith - Dream of life

anno: 2007   
regia: SEBRING, STEVEN  
genere: documentario
con Patti Smith, Lenny Kaye, Oliver Ray, Tony Shanahan, Jay Dee Daugherty, Jackson Smith, Jesse Smith, Tom Verlaine, Sam Shepard, Philip Glass, Benjamin Smoke, Shea  
location: Usa
voto: 4

Ci sono voluti 10 anni di riprese alle costole di Patti Smith, forse la stella più luminosa dell'intero firmamento rockettaro di genere femminile, per raccontare un passaggio cruciale della traiettoria umana - prima ancora che musicale - di questa poliedrica artista. È un viaggio in mare aperto e senza bussola quello al quale il regista Steven Sebring costringe gli spettatori, un andirivieni continuo nel tempo con la sola costante di quell'arco temporale cruciale in cui la vita di Patti Smith fu segnata da una serie di lutti, da Robert Mapplethorpe al marito Fred "Sonic" Smith fino al fratello minore. Fu anche l'epoca di un estenuante silenzio artistico, che in 17 anni vide sbocciare un solo disco, Dream of life, appunto, il sogno di una vita che non era più quella di prima e che andava ripensata con due bambini piccoli da crescere. Una vita iniziata a Chicago, proseguita facendo l'operaia e poi deflagrata in un'inarrestabile furia creativa a partire dagli anni passati a New York presso il mitico Chelsea Hotel, un tempo sufficiente per mettersi in contatto con il gotha della cultura artistica e letteraria americana. Poi Horses, il primo disco, nel 1975, sotto il segno di un'iconoclastia che ne avrebbe caratterizzato il mito fino alle uscite pubbliche più recenti. Ma alla musica Dream of life concede pochissimo spazio, preferendo concentrarsi su un collage infinito di ritagli di vita quotidiana che tanto somigliano agli scatti che la protagonista fissa in continuazione con la sua inseparabile Polaroid. In questo quadro confusionario e rapsodico la figura di Patti Smith ne esce tutt'altro che santificata: si mangiano hamburger e si ramazza per terra, si posa per i fotografi insieme ai genitori, tra una requisitoria serrata contro George W.Bush, una mare di poesie che sembrano sempre seguire lo stream of consciousness e una pisciata in aereo, dentro una bottiglia, con gli altri viaggiatori al fianco. Gli amici come Sam Shepard e Philip Glass, unitamente ai familiari e alla band, corredano il quadro, tra immagini di cattiva qualità e inserti in bianco e nero, di questa artista dal talento indomabile, una fricchettona pacifista che veste Prada e gira in Limousine.    

domenica 20 maggio 2012

Moonlight Mile – Voglia di ricominciare

anno: 2002   
regia: SILBERLING, BRAD  
genere: drammatico  
con Jake Gyllenhaal, Dustin Hoffman, Susan Sarandon, Holly Hunter, Ellen Pompeo, Dabney Coleman, Allan Corduner, Aleksia Landeau, Sean Conant, Richard T. Jones  
location: Usa
voto: 5

New England, anni settanta. Alla vigilia del matrimonio Joe (Gyllenhall) perde la sua Diana in una sparatoria, uccisa per sbaglio. Si trasferisce così per un po' di tempo a casa di quelli che avrebbero dovuto essere i suoi futuri suoceri, diventa socio del padre (Hoffman) in un progetto per far chiudere i piccoli negozi e aprire un supermercato e trova l'amore. Ma come dirlo ai suoceri?
Tolta la splendida colonna sonora, che alle musiche di Mark Isham somma gli hit degli anni '70, da Dylan e i Rolling Stones a Van Morrison, del film rimane davvero poco: un raccontino strascicato con tutti i cliché del caso (la guerra del Vietnam), attori sottotono (la Sarandon, anche coproduttrice, è irriconoscibile), scenografie ricostruite approssimativamente, trovate di regia fiacche (il telefono che squilla in continuazione), registro incerto tra melò sentimentale, commedia e grottesco e una giovane attrice (Ellen Pompeo) con le labbra siliconate che al cinema è durata appena un anno.    

venerdì 18 maggio 2012

Bravi


di Tommaso Labranca, da FilmTV, maggio 2012

L’eroe della mia infanzia e che ancora mi porto dentro era Calimero, il pulcino nero che subiva umiliazioni d’ogni genere e alla fine trionfava uscendo dal mastello. Come Calimero, mi muovo in città cercando di non farmi notare, cammino rasente al muro e svolto lesto nelle traverse più oscure. Ma ecco ogni volta dei novelli Bravi che mi sbarrano il cammino. Scrive Manzoni che gli abiti dei Bravi seicenteschi «non lasciavan dubbio intorno alla or condizione». A cominciare dalla reticella verde intorno al capo da cui usciva un gran ciuffo. I Bravi del 2012 hanno i dread, il piercing e indossano ampie casacche di gomma colorata: sono i cacciatori di contributi solidali. Non c’è associazione più o meno umanitaria che non ricorra a queste bande di fastidiosi clown di strada. Cambia il logo e il colore della casacca. Non cambia l’atteggiamento spavaldo da Bravo con cui ti fermano. Occupano l’intero marciapiede per non farti passare. Ti aggrediscono con richiami insultanti: «Signora in pelliccia, Io sai che indossi dei cadaveri?» oppure «Signore paffutello, Io sai quanti bambini non hanno mangiato oggi?». Attirano la tua attenzione con lazzi e pernacchi da animatore di villaggio vacanza e poi ti mettono sotto il naso foto di mari inquinati e curdi squartati. Piccoli buffoni con il look da centro sociale anticapitalista che vogliono solo una cosa: i tuoi soldi. E non un semplice obolo, ma un versamento mensile da cui svincolarsi è quasi impossibile. Quando rispondi che non hai tempo o non ti interessa, quando dici che non puoi permetterti di pagare una quota mensile per dei presunti infanti afghani con le emorroidi perché lavori poco e di notte sogni l’lmu, non demordono, ma continuano a insultarti alle spalle mentre ti allontani, ti fanno il verso, ti urlano che non hai sensibilità, che dovresti vergognarti. Tu ti senti come i borghesi che Grosz disegnava con le fattezze di grassi maiali, anche se in realtà sei messo peggio dell’ultimo miserabile brechtiano e vorresti dirlo a quel ragazzotto passato all’antagonismo nauseato dai troppi omogeneizzati che trova a casa della mamma. Ma cosa ne sa uno così dei tempi di Weimar?

martedì 15 maggio 2012

Sister (L'enfant d'en haut)

anno: 2012       
regia: MEIER, URSULA
genere: drammatico
con Kacey Mottet Klein, Léa Seydoux, Martin Compston, Gillian Anderson, Jean-François Stévenin, Yann Trégouët, Gabin Lefebvre, Magne-Håvard Brekke, Simon Guélat, Mike Winter, Yannick Ruiz, Vincent Fontannaz, Alain Börek, Frédéric Mudry, Ange Ruzé, Enrique Estevez, Frédéric Macé, Mathieu Lager, Luc Tissot, Calvin Oberson, Eugenia Ferreira, Antonio Troilo, Lisa Harder, Lucien Saint-Denis, Luca May, Andit Maliki, Thomas Nicolet, Iannis Jaccoud, Martin Besson, Donovan Oberson, Chloé Pernet, David Pernet, Ryad Aït-Slimane, Sofiane Aït-Slimane, Semra Bekiri, Nadine Chauffoureaux, Neven Demont, Florijan Durguti, Dorian Gueissaz, Maxhum Hoxha, Ahmedin Avdic, Samuel Maksutaj, Merlin Thomi, Luca Ferro, Elie Duverney, Noé-Marie Duverney
location: Svizzera
voto: 5

Dalla casa popolare dove vive con la sorella maggiore (Seydoux), tutte le mattine il dodicenne Simon (Mottet Klein) parte, prende la funivia e va a rubare attrezzatura da sci ai facoltosi villeggianti delle Alpi svizzere, per poi rivendersela e comprare "carta igienica, pane e pasta", come confessa al cuoco della baita che lo coglie in flagrante durante uno dei tanti furti. Sua sorella è una sbandata che non fa che passare dalle braccia di un uomo a quelle di un altro e a dover provvedere alla minima sussistenza deve pensarci proprio Simon, anima inquieta e dickensiana in cerca di affetto.
Opera seconda di Ursula Meier, che dopo Home ribadisce il suo interesse verso storie estreme, contrassegnate dalla marginalità del territorio come metafora di quella sociale. Ma ancora una volta ci troviamo di fronte a un film irrisolto: a parte il colpo di scena che arriva a un'ora dall'inizio, il film è monocorde, i personaggi risultano quasi sempre appena abbozzati, i dettagli vengono brutalmente trascurati (perché Simon si porta un ragazzino di 10 anni a fare i furti con lui? Perché la sciatrice inglese si vede sempre con due figli cresciuti e nell'ultima scena compare insieme a un neonato? Perché i servizi sociali latitano in maniera tanto eclatante?) e l'affannosa ricerca di una carezza da parte del protagonista non trova che soluzioni didascaliche. Nel suo minimalismo, Sister avrebbe potuto essere un'opera alla Dardenne e invece è un film algido come i luoghi dove è ambientato, e che non riesce mai a innescare nello spettatore una vera empatia con lo sfortunato e peraltro bravissimo protagonista.
Premio speciale (orso d'argento) al festival di Berlino.    

domenica 13 maggio 2012

Gli infedeli (Les infideles)

anno: 2012       
regia: BERCOT, EMMANUELLE * CAVAYÉ, FRED * COURTÈS, ALEXANDRE * DUJARDIN, JEAN * HAZANAVICIUS, MICHEL * LARTIGAU, ERIC * LELLOUCHE, GILLES
genere: commedia
con Jean Dujardin, Gilles Lellouche, Lionel Abelanski, Fabrice Agoguet, Pierre Benoist, Violette Blanckaert, Vincent Bonnasseau, Bastien Bouillon, Guillaume Canet, Célestin Chapelain, Xavier Claudon, Aina Clotet, David Allen Cluck, Laurent Cotillard, Vincent Darmuzey, Priscilla de Laforcade, Eric de Montalier, Florine Delobel, Patrick Dray, Etienne Durot, Mademoiselle Eva, Dolly Golden, Charles Gérard, Arnaud Henriet, Sandrine Kiberlain, Alexandra Lamy, Lazare Lartigau, Julien Leprisé, Nathalie Levy-Lang, Katia Lewkowicz, Lou Lievain, Luca Lombardi, Partha Majumder, Eric Massot, Mathilda May, Géraldine Nakache, Isabelle Nanty, Annabelle Naudeau, Julie Nicolet, Johanna Nizard, Élise Oppong, Maëva Pasquali, Manu Payet, Franck Pech, Jonathan Perrein, Jean-Charles Piedagnel, Clara Ponsot, Stéphane Roquet, Cyrius Rosset, Eddy Saccomani, Hélène Seuzaret, Anthony Sonigo, Anne Suarez, Karine Ventalon, Claire Viville, Bénédicte Vrignault
location: Francia, Usa
voto: 4

Non fatevi ingannare dal trailer: Gli infedeli è una commedia per modo di dire. Il lancio promozionale punta interamente sulle situazioni comiche ma questo film collettivo girato da sette registi e interpretato in (quasi) tutti gli episodi dagli stessi due protagonisti (Dujardin e Lellouche, anche co-sceneggiatori) riflette - non sempre in modo banale - sul tema del tradimento maschile, della complicità tra uomini e della loro indomabile pulsione a trasformarsi in sottanieri h24. Sul modello de I mostri di Dino Risi, ai quali i due attori hanno ripetutamente dichiarato di essersi ispirati, brevissime gag sono alternate a episodi decisamente più lunghi. La notte disperata di un convegnista, quella patetica di un uomo maturo alle prese con una ragazzina che gli dà filo da torcere e quella in cui una coppia decide di confessare serenamente i reciproci tradimenti, salvo poi sfiorare il dramma, sono decisamente i più riusciti e intensi. Molto più fiacchi quelli dell'anonima infedeli e dei due amici che, finalmente liberi dal giogo delle rispettive mogli, partono per un viaggio a Las Vegas a caccia di femmine, salvo poi ingaggiare tra loro una relazione omosessuale. Si ride pochissimo, abbonda il pecoreccio e c'è persino qualche buon momento di tensione ma nel complesso il film non è altro che l'ennesima trovata commerciale per sfruttare l'onda lunga del successo della coppia Hazanavicius-Dujardin dopo la pioggia di statuette ricevute con The artist.    

sabato 12 maggio 2012

Tutti i nostri desideri (Toutes nos envies)

anno: 2012       
regia: LIORET, PHILIPPE
genere: drammatico
con Vincent Lindon, Marie Gillain, Amandine Dewasmes, Yannick Renier, Pascale Arbillot, Isabelle Renauld, Laure Duthilleul, Emmanuel Courcol, Anna-Bella Dreyfus, Thomas Boinet, Léna Crespo, Oriane Solomon, Eric Naggar, Jean-Pol Brissart, Nathalie Besançon, Clémentine Baert, Marc Rioufol, Eric Godon, Blandine Pélissier, Filip Peeters, Christophe Dimitri Réveille, François Caron, Behi Djanati Atai, Eve Chems de Brouwer, Claude Varis, Florence Hebbelynck, Emmanuelle Dupuy, Camille Figuereo, Guillaume Labbé, Laurent Montaulon, Jérémy Berry, Rémi Patoux, Victoria Stagni, Vanessa Desmaret, Maxime Jullia, Bruno Munda, Melanie Baxter Jones, Leslie Coudray, Hubert Dupuy, Olivier Mothes, Valérie Blin, François Hamel, Richard Mothes, Lionel Callari 
location: Francia
voto: 9


Dopo l'eccezionale Welcome arriva anche in Italia l'opera numero tre di Philippe Lioret, che conferma lo straordinario talento di questo cineasta transalpino attento e sensibile alle tematiche sociali. Ci troviamo a Lione, dove una giovane giudice del tribunale civile (una sorprendente Marie Gillain) deve amministrare il caso di un'altrettanto giovane madre (Dewasmes), sola e con due figli a carico, insolvente nei confronti di un'agenzia di credito. La magistrata viene accusata di parzialità e rimossa dall'incarico, che passa nelle mani di un veterano disilluso (il solito Vincent Lindon da standing ovation) che conosce bene le pastoie della giustizia. Tra i due magistrati nascerà un rapporto di intesa suggellato dalla condivisione della malattia terminale di lei, nascosta alla famiglia, e che li porterà a combattere fino all'ultimo nella lotta impari tra Davide e Golia.
La prima cosa che sorprende di questo film al centro del quale si trovano i temi della giustizia e della malattia è il modo in cui quest'ultima viene trattata senza sconfinare nel sentimentalismo strappalacrime. Lioret rimane sobrio, fa della malattia la sponda sulla quale giocare il colpo di reni per (ri)trovare la volontà di combattere per la giustizia e annoda saldamente i due temi, frastornando lo spettatore con una raffica di situazioni di tale intensità emotiva da tenerlo costantemente sull'orlo della commozione. Liberamente ispirato al romanzo Vite che non sono la mia, di Emmanuel Carrère, Tutti i nostri desideri (peccato davvero per il titolo così banale…) è un melò travestito da legal thriller che gioca, come già in Welcome, le carte del disincanto e del rapporto tra un uomo maturo e una persona giovane, richiamando nella trama quel capolavoro di che è La mia vita senza me. Con le canzoni di Rickie Lee Jones a dare l'ultimo, struggente suggello.    

venerdì 11 maggio 2012

Il richiamo

anno: 2012       
regia: PASETTO, STEFANO
genere: drammatico
con Sandra Ceccarelli, Francesca Inaudi, César Bordón, Guillermo Pfenning, Arturo Goetz, Hilda Bernard, Viviana Sacco, Julieta Cardinali, Juan Cresta, Lola Berthet
location: Argentina, Svizzera
voto: 3

Due donne che non potrebbero essere più diverse: entrambe di origine italiana, Lucia (Ceccarelli) che vive chiusa con quella sua mutria sempre triste (dal suo esordio sul grande schermo la Ceccarelli non ha mai cambiato espressione) in una gabbia dorata con un marito medico (Bordon) che la tradisce e che a stento riesce ad accettare il suo impiego come hostess di volo. Lea (Inaudi), all'opposto, è un'operaia che prende la vita con leggerezza, è solare pronta al cambiamento. con la complicità di alcune lezioni di piano,  le due intraprendono insieme il viaggio che Lea aspettava di fare da tempo, in Patagonia, a contatto diretto con cetacei e pachidermi. Per Lucia sarà anche l'occasione per una vera rinascita, dopo la minaccia di un cancro che sembrava irreversibile.
Come nel suo film d'esordio, Tartarughe sul dorso, anche in questa opera seconda il regista Stefano Pasetto sparge simbolismi, cerca il lirismo a tutti i costi, dissemina indizi gratuiti (la mano martoriata di Lea, il rapporto costante e ai limiti del morboso di questa con un padre che non si vede mai, la necessità continua del marito di Lucia di ricorrere al collirio, una nave da restaurare per chissà quale viaggio), tanto più irritanti quanto finalizzati unicamente a vellicare la curiosità dello spettatore per poi lasciarla insoddisfatta. Un'opera fortemente irrisolta, che perde il controllo degli elementi filmici essenziali (la direzione degli attori in primis) per concentrarsi unicamente su un lirismo posticcio e forzoso che sembra voler riecheggiare le atmosfere care ad Antonioni.    

mercoledì 9 maggio 2012

La colazione dei campioni (Breakfast of champions)

anno: 1998   
regia: RUDOLPH, ALAN
genere: grottesco
con Bruce Willis, Albert Finney, Nick Nolte, Barbara Hershey, Glenne Headly, Lukas Haas, Omar Epps, Vicki Lewis, Buck Henry, Ken Campbell, Owen Wilson, Michael Clarke Duncan, Kurt Vonnegut
location: Usa
voto: 2


Impossibile portare la scrittura rapsodica e carica di inneschi grotteschi, stravaganze e umorismo nero di Kurt Vonnegut all'interno di un film. Lo dimostrano Mattatoio 5, La regola del sospetto e questo La colazione dei  campioni, che più strambo non si potrebbe. Il regista Alan Rudolph - che nel curriculum annovera prove scialbe come Welcome to Los Angeles e L'ombra del testimone - ci mette tanta buona volontà e cerca di colmare lo scarto tra pagina scritta e racconto filmato con una manciata di intuizioni fumettistiche che valgono al film mezza stelletta in più. Il resto è paccottiglia senza capo né coda, con cui si tenta di mettere insieme l'incontro, che arriva al termine di un intreccio narrativamente distinto, tra un notissimo venditore di auto della tv di Midland City con aspirazioni suicide (Willis) e un ex scrittore di successo ridotto in miseria ma chiamato a presenziare, quale ospite d'onore, al primo Festival delle Arti della città (Finney). Per entrambi arriverà una rinascita. Le due vicende sono nettamente sbilanciate dalla parte del primo, gli attori fuori parte e viene da domandarsi quali valutazioni avrebbe suscitato il film se dietro non ci fosse stata la firma di Vonnegut.    

lunedì 7 maggio 2012

Brother

anno: 2000   
regia: KITANO, TAKESHI 
genere: gangster 
con Takeshi Kitano, Claude Maki, Omar Epps, Masaya Kato, Ren Ôsugi, Ryo Ishibashi, Tetsuya Watari, Joy Nakagawa, James Shigeta, Tony Colitti, Susumu Terajima 
location: Giappone, Usa
voto: 6

Stanco della guerra continua tra bande rivali della yakuza giapponese, Yamamoto (Kitano) decide di trasferirsi in America, a Los Angeles, dove da tempo vive il fratello minore (Maki). Ma qui la musica non è diversa e l'alleanza dei nippoafricani con gli ispanici finisce con cozzare contro gli interessi di controllo sul territorio della mafia italiana: sarà un'ecatombe.
Lo stile dissonante di Takeshi Kitano arriva qui alla sua massima espressione, in una dialettica continua tra poetica della solitudine e iperrealismo materico della violenza. Alle inquadrature sghembe, alle esplosioni di violenza, all'umorismo nero, alle atmosfere rarefatte, al gusto del nonsense, agli inserti grotteschi, al montaggio eterodosso, ai tic nervosi visti - per esempio - in Hana-Bi, qui si aggiunge una violenza parossistica fatta di automutilazioni, suicidi, harakiri, dita amputate, esplosioni e teste mozzate. Roba per stomaci forti diluita in una salsa di umorismo nerissimo e in una veste stilistica crepuscolare.    

venerdì 4 maggio 2012

Kill Bill volume 2

anno: 2004   
regia: TARANTINO, QUENTIN  
genere: gangster  
con Uma Thurman, David Carradine, Michael Madsen, Daryl Hannah, Chia Hui Liu, Michael Parks, Perla Haney-Jardine, Chris Nelson, Caitlin Keats, Laura Cayouette, Bo Svenson, Jeannie Epper, Samuel L. Jackson, Larry Bishop, Claire Smithies, Clark Middleton, Vanessia Valentino, Stevo Polyi, Michael Jai White, Shana Stein, Reda Beebe, Sid Haig  
location: Usa
voto: 7

Secondo capitolo della vicenda che coinvolge la protagonista Uma Thurman, rimasta vedova alla vigilia delle nozze dopo la ricomparsa improvvisa del suo ex Bill (Carradine). I nodi vengono al pettine e si capisce perché la donna abbia dovuto lasciare dietro di sé una così lunga scia di sangue, la cui ultima stazione è rappresentata dall'assassinio di Bill. Per raggiungere l'obiettivo dovrà cavarsela da sepolta viva, ingaggiare un duello di spada all'ultimo sangue e imparare il meglio delle arti marziali.
Il cinema di Tarantino all'ennesima potenza: diffrazione temporale, sussulti improvvisi di una violenza tanto iperbolica da diventare grottesca, inquadrature assai poco convenzionali, musiche ad effetto ispirate al lounge degli anni '60 e '70, a Morricone e a Bacalov, squarci comici, arti marziali, sangue che schizza come fontane, disquisizioni alte su temi bassi. Rispetto al primo episodio Tarantino sposta lo sguardo da oriente (le arti marziali, i combattimenti con la spada) a occidente (il cinema di Sergio Leone su tutti, campi e controcampi,  campi lunghissimi, montaggio incrociato), proponendosi ancora una volta come un feticista del b-movie, geniale miscelatore di cocktail che centrifugano insieme dosi massicce di suspense e bizzarria.