mercoledì 30 ottobre 2002

About a boy – Un ragazzo

anno: 2002   
regia: WEITZ, PAUL e CHRIS  
genere: commedia  
con Hugh Grant, Toni Collette, Nicholas Hoult, Rachel Weisz, Victoria Smurfit, Isabel Brook, Nat Gastiain Tena, Tessa Vale, Russel Barr, Ben Ridgeway, John Kamal, Jonathan Franklin, Joseph Speechley, Jordan Cook, Ryan Speechley, Nicholas Hutchinson, Peter Roy, Simon Cosgrove, Augustus Prew, Rosalind Knight, Denise Stephenson, Mark Drewry, Jason Spalkey, Rebecca Craven, Amy Craven, Janine Duvitski, Jenny Galloway, Joyce Henderson, Madison Cook, Sharon Small  
location: Usa
voto: 7,5

Ogni uomo è un'isola. In ossequio al motto coniato da Jon Bon Jovi, Will (Grant) - un facoltoso trentacinquenne londinese - ha trovato la sua dimensione ideale: con i diritti d'autore di papà, segmenta la sua giornata in unità da mezz'ora. Relax, televisione e, soprattutto, donne. Tutto fila liscio finché nella sua vita non si imbatte un'altra isola umana, quella di Marcus (Hoult), preadolescente con madre suicidomane, emarginato a scuola e turlupinato dai compagni. Tra i due si instaura un legame che porterà entrambi verso una vita migliore. Nick Hornby continua ad essere una fucina per il cinema. Il film di Chris e Paul Weisz traduce in immagini e parole lo stile del romanziere britannico, conservandone intatta l'ossessione classificatoria e la passione musicale. Commedia e toni drammatici si fondono in un plot narrativo originale, divertente, ritmato, penalizzato soltanto da una certa leziosità. Semplicemente strepitosa la colonna sonora di Badly Drawn Boy, il "ragazzo disegnato male".    

martedì 29 ottobre 2002

Il pianista (Le pianiste)

anno: 2002   
regia: POLANSKI, ROMAN  
genere: drammatico  
con Adrien Brody, Thomas Kretschmann, Frank Finlay, Maureen Lipman, Ed Stoppard, Julia Rayner, Jessica kate Meyer, Emilia Fox, Ruth Platt, Valentine Pelka, Ronan Vibert  
location: Polonia
voto: 10

L'Olocausto, per definizione, viene declinato al plurale, da immane tragedia collettiva qual è stata. Rientrato dopo un'eternità nella "sua" Polonia e messo momentaneamente da parte il cinema di genere, Polanski opta per la trasposizione cinematografica di uno struggente romanzo autobiografico, quello del pianista Wladyslaw Szpilman (Brody), ebreo polacco col pallino di Chopin, le cui partiture esegue quotidianamente dagli studi di Radio Varsavia. Con una scelta stilisticamente felicissima, il film racconta la tragedia del popolo ebraico dal punto di vista del singolo, espropriato dei suoi beni, dei suoi affetti, del suo lavoro e quindi costretto alle umiliazioni più belluine, braccato dalla GESTAPO, ridotto alla fame e costretto a guardare quello che rimane della sua città e della vita dagli spioncini di ricoveri di fortuna, o dalla feritoia di una tendina. Lo accompagnano il bordone di un respiro che si fa sempre più affannoso, l'itterizia come effetto della mancanza di acqua e di cibo, il rumore sordo delle esplosioni e la convinzione di essere - nonostante tutto - più fortunato degli altri. Già, gli altri: un bambino che ha oltrepassato la muraglia del ghetto e che - in una delle scene più strazianti del film, tanto più suggestiva per lo stile ellittico col quale viene raccontata - viene massacrato da un militare, gli storpi costretti a danzare dai militari nazisti fino allo sfinimento, il cibo raccolto e leccato per terra, in una guerra fratricida tra poveri e diseredati.
Quello de Il pianista è cinema altissimo: per impegno civile, per la sobrietà con cui - a dispetto della materia - viene proposto il racconto, per la straordinarietà delle scenografie, che mostrano una Varsavia coventrizzata e ridotta ad una città fantasma ricoperta dalle polveri della cannonate, per il talento miracoloso col quale Adrien Brody impersona questo ebreo pieno di dignità, paradossalmente consapevole della sua fortuna, scampato all'implacabilità del martirio grazie alla pietà di un militare tedesco (Kretschmann) che, in un sottofinale da manuale del cinema, gli salva la vita portandogli anche dei viveri. Un film che, lacrime permettendo, andrebbe visto e rivisto, soprattutto in un'epoca nella quale nuovi regimi incombono.

domenica 27 ottobre 2002

Paz!

anno: 2002       
regia: DE MARIA, RENATO  
genere: grottesco  
con Claudio Santamaria, Flavio Pistilli, Max Mazzotta, Fabrizia Sacchi, Iaia Forte, Roberto Citran, Antonio Rezza, Roberto Freak Antony, Franco Berardi “Bifo”, Vittoria Puccini                
location: Italia
voto: 4  

Paz come Andrea Pazienza, fumettista affermatosi negli anni '80 con la rivista Frigidaire e artista di punta della scena bolognese di quell'epoca, morto prematuramente di overdose. Ma Paz anche come pazzia: quella di una trama rapsodica che ritaglia pezzi dei fumetti di Pazienza miscelandoli a spezzoni della sua (presunta) vita. Il risultato riflette la scelta stilistica di fondo: momenti esilaranti e radicalmente grotteschi (la scena dell'esame universitario ricorda quella dell'esame di maturità in Ecce bombo) si alternano con altri decisamente più criptici e fini a se stessi. Restano nella memoria l'esplosione di un pedicello, con una vomitevole uscita di pus, una pisciata mattutina che ricorda quella di cui fu protagonista Francesco Nuti in Madonna che silenzio c'è stasera e poco altro. Cinema estremo con risultati discutibili.    

martedì 15 ottobre 2002

Velocità massima

anno: 2002   
regia: VICARI, DANIELE  
genere: drammatico  
con Valerio Mastandrea, Cristiano Morroni, Alessia Barela, Ivano De Matteo, Emanuela Barilozzi, Massimiliano Dau, Massimiliano Varrese, Ennio Girolami, Sara Franchetti, Tullio Sorrentino, Luca Paniconi, Antonio Obino    
location: Italia
voto: 6  

Quando nella vita di Stefano Scipioni (Mastandrea), meccanico d'auto a Ostia, fa capolino Claudio (Morroni), un diciassettenne col pallino dei motori, sembra essere finalmente arrivato il momento per saldare i debiti, partecipando ad una gara clandestina con un'auto truccatissima. La vittoria arriva e con essa una lezione di vita che sigilla l'ottimo finale del film.
Dopo l'esperienza con Guido Chiesa, l'esordiente Vicari gira un film su speranze, sogni e cliché del proletariato dell'estrema periferia capitolina. Molto neo-neorealismo, una strizzatina d'occhio al cinema del passato (il Risi de Il sorpasso ma anche il Fellini de I vitelloni oltre naturalmente a Pasolini) e il dosaggio sapientissimo di un clima in perenne precipizio sulla tragedia e che riesce invece a restare miracolosamente sobrio sono gli ingredienti di quest'opera semidocumentaristica sui nuovi miti e i nuovi riti della gioventù di inizio millennio.    

domenica 13 ottobre 2002

Minority report

anno: 2002       
regia: SPIELBERG, STEVEN 
genere: fantascienza 
con Tom Cruise, Colin Farrell, Samantha Morton, Max Von Sydow         
location: Usa
voto: 6 

Washington, 2054. L'irreprensibile capo della Pre-Crimine (Cruise) - un'organizzazione federale che grazie alle pre-visioni di tre cassandre dotate di poteri straordinari è riuscita a ridurre del 90% gli omicidi, fermando i potenziali assassini prima che questi agiscano - sembra vittima di un complotto: sarà lui a dovere uccidere uno sconosciuto, che grazie ad alcuni accordi con l'ideatore della Pre-Crimine lo ha attirato con l'esca della vendetta per la morte del figlio. Da inseguitore, il protagonista si trasforma in inseguito, causando uno di quei "minority report" (cioè rapporti di minoranza) che devono essere messi a tacere «per non intaccare la validità del sistema» (Lucarelli e Picozzi, 2006).
Due ore e venti di fuga continua e spettacolo, con una tecnologia che ridicolizzerebbe persino James Bond, e la matassa è dipanata. Gli elementi per fare di Minority report un capolavoro della settima arte ci sono tutti: un regista di ineffabile mestiere, un tema orwelliano sul quale nidificano le problematiche del neo-totalitarismo e del primato assoluto della tecnologia (più che della scienza), effetti speciali mozzafiato e budget faraonico. Eppure, l'ex pupone di Hollywood non riesce ad ottenere che una discreta opera di genere, farraginosa nel racconto a dispetto dell'estrema semplicità della trama, corriva al punto di irritare sul piano dei contenuti e con inevitabile risvolto sentimental-piagnucoloso. Passano i lustri ma Spielberg è sempre lì: tra un inseguimento à là Duel e il complesso di Peter Pan.