giovedì 30 dicembre 2010

Sanguepazzo

anno: 2007   
regia: GIORDANA, MARCO TULLIO
genere: storico
con Monica Bellucci, Luca Zingaretti, Alessio Boni, Maurizio Donadoni, Giovanni Visentin, Luigi Diberti, Paolo Bonanni, Mattia Sbragia, Alessandro Di Natale, Tresy Taddei, Sonia Bergamasco, Luigi Lo Cascio, Marco Paolini, Giberto Arrivabene, Aden Sheik Mohamed, Daniele Ferrari, Adriano Wajskol, Alessandro Bressanello, Giovanni Albanese, Stefano Scandaletti, Claudio Spadaro, Massimo Sarchielli, Lavinia Longhi, Marco Velutti, Giuseppe Marchese, Gabriele Dell'Aiera, Vincenzo Cutrupi, Mario Pegoretti, Danilo De Summa, Antonio Carillo, Lorenzo Acquaviva, Gianni Bissaca, Aurora Quattrocchi, Marina Rocco, Paola Lavini, Gianni Di Benedetto, Manrico Gammarota
location: Italia   
voto: 5

La tormentata vicenda amorosa di Osvaldo Valenti (Zingaretti) e Luisa Ferida (Bellocci), star del cinema durante il fascismo, accusati di collaborazionismo e torture dai partigiani.
C'è da domandarsi cosa induca un regista che ha firmato capolavori come Maledetti vi amerò, I cento passi e La meglio gioventù a reclutare una attrice incapace come Monica Bellocci. Va bene che l'attrice umbra ne doveva interpretare una (Luisa Ferida) che probabilmente era ancora più scarsa di lei, ma qui il contrasto tra le pose imbalsamate e la voce monocorde della Bellocci stride eccessivamente con l'interpretazione strepitosa di Luca Zingaretti. Attorno al personaggio di quest'ultimo, un uomo pieno di contraddizioni, eccessivo, materialista, cocainomane, capace di improvvisi slanci di generosità, istrionico fino al parossismo, si impernia questo film che fatica a trovare una sua andatura a causa di un montaggio che, anche per l'eccesso di materiale filmato (siamo a oltre 2 ore e mezza di durata), si muove in continuazione e non senza confusione tra flashback e flasforward. È il sintomo inequivocabile di quanto sofferto sia stato per Giordana il parto di questo film al quale, con vicende alterne, ha lavorato dal 1983. Del regista milanese è impossibile non cogliere la cura per l'ambientazione e la capacità di girare scene magnifiche, come quelle che aprono e chiudono il film. Il risultato nel complesso è però incerto e il cast raduna ottimi caratteristi, 3 notevoi camei (Paolini, Bergamasco, Lo Cascio) e attori di terz'ordine, a cominciare da Alessio Boni che pareggia il conto della partita attori contro attrici, limitandosi a una pigra fotogenia e sfoderando l'ennesima prestazione svogliata e priva di modulazione.    

domenica 26 dicembre 2010

Sabotatori (Danger)

anno: 1942   
regia: HITCHCOCK, ALFRED  
genere: thriller  
con Priscilla Lane, Robert Cummings, Otto Kruger, Alan Baxter, Clem Bevans, Norman Lloyd, Alma Kruger, Vaughan Glazer, Dorothy Peterson, Ian Wolfe, Kathryn Adams, Anita Sharp-Bolster, Billy Curtis, Anita De Deaux, Lyn Romer, Jeanne Romer, Alfred Hitchcock, Pedro de Cordoba, Frances Carson, Oliver Blake, Murray Alper  
location: Usa   
voto: 6

Un venticinquenne (Cummings) che lavora in un'industria bellica californiana (siamo alla viglia del secondo conflitto mondiale) viene ingiustamente accusato di avere causato l'incendio nel quale è morto il suo migliore amico. Nessuno crede alla sua versione sicché l'uomo, che conosce l'identità del vero colpevole, è costretto alla fuga. Attraversati gli States da costa a costa alla ricerca del vero assassino, l'uomo scopre un'organizzazione che fa profitti attraverso i sabotaggi degli impianti industriali.
Il Maestro del brivido è riconoscibile fin dalle primissime sequenze, quando suspense e mistero sono già al massimo. A metà strada tra road movie, avventura, giallo e spionaggio, Sabotatori risente della ruggine nel tempo nelle sequenze d'azione, che denunciano qualche ingenuità. Ma la maestria nel costruire il racconto senza orpelli è perfettamente riconoscibile.    

giovedì 23 dicembre 2010

Danni collaterali (Collateral damage)

anno: 2001       
regia: DAVIS, ANDREW
genere: thriller
con Arnold Schwarzenegger, Francesca Neri, Elias Koteas, Cliff Curtis, John Leguizamo, John Turturro, Jsu Garcia, Tyler Posey, Michael Milhoan, Rick Worthy, Raymond Cruz, Lindsay Frost, Ethan Dampf, Jorge Zepeda, Miguel Sandoval, Harry Lennix, Madison Mason, Don Fischer, Shelley Malil, Jack Conley, Todd Allen, Rick Garcia, Penny Griego, John Verea, Greg Collins, Bruce Ramsay, Michael Cavanaugh, Nicholas Pryor, Rodrigo Obregón, Gerardo Albarrán, J. Kenneth Campbell, Flor Eduarda Gurrola, Pedro Altamirano, Salvador Sánchez, Fernando Sarfatti, Raul Pozos, Ehécatl Chávez, Víctor Carpinteiro, Natalia Traven, Enrique Munoz, Omar Ayala, Pedro Damián, Millie Slavin, Jane Lynch, Jossara Jinaro, Clint Lilley, Marianne Lewis, Louis Bernstein, Doralicia, Jay Acovone, Ronald Donahue, Robert 'Bobby Z' Zajonc, Daniel H. Friedman, Joe Renteria, Norm Compton, Esteban Cueto
location: Colombia, Usa       
voto: 4,5

Visto ciò che circola sugli schermi italiani, dà una certa soddisfazione vedere un film come Danni collaterali, dove anche gli americani - di solito inappuntabili nella confezione - riescono a far brillare il talento d'attore di Arnold Schwarzenegger. A confronto con i suoi comprimari, il divo di origini austriache sembra uscito dall'Actor's Studio, il che è tutto dire. Ad affiancarlo c'è una Francesca Neri che deve avere scambiato il set per quello de L'esorcista. I danni collaterali del titolo, dunque, sembrano essere più di tipo gastroenterico che non legati agli effetti che la politica estera americana provoca sui Paesi controllati. Con sorprendente capacità profetica (il film è del 2001), il film anticipa gli eventi dell'11 settembre con attentati dinamitardi al posto degli aerei abbattutisi sulle Tori Gemelle. La storia è quella di un pompiere (Schwarzy, appunto), buon padre di famiglia, che a Los Angeles vede morire sotto i propri occhi la moglie e il figlioletto. Deciso a vendicarsi dando la caccia all'autore dell'attentato (Curtis), il ruvido pompiere arriva fino in Colombia per stanare l'attentatore nel quartier generale di guerriglieri che questo comanda. In realtà sia i servizi segreti americani che la stessa compagna del terrorista lo stanno usando come esca: gli uni per una sonante vendetta, l'altra per piazzare un'altra bomba, stavolta a Washington. Inutile dire che il nostro eroe sarà capace di imprese al fulmicotone.
Cinema muscolare modello Rambo, con trama alla portata di un cerebroleso ed esplosioni a volontà, Danni collaterali è puro cinema di destra che coniuga il superomismo con la propaganda anticomunista, con le icone di Lenin e Guevara a fare bella mostra di sé negli accampamenti dei guerriglieri colombiani.    

domenica 19 dicembre 2010

L'esplosivo piano di Bazil (Micmacs à tire-larigot)

anno: 2010       
regia: JEUNET, JEAN-PIERRE
genere: grottesco
con Dany Boon, André Dussollier, Nicolas Marié, Jean-Pierre Marielle, Yolande Moreau, Julie Ferrier, Omar Sy, Dominique Pinon, Michel Crémadès, Marie-Julie Baup, Urbain Cancelier, Patrick Paroux, Jean-Pierre Becker, Stéphane Butet, Philippe Girard, Doudou Masta, Emy Lévy, Eric Naggar, Arsène Mosca, Manon Le Moal, Félicité N'Gijol, Bernard Bastareaud, Tony Gaultier, Stéphanie Gesnel, Noé Boon, Pascal Parisat, Cendrine Orcier, Rachel Berger, Dominique Bettenfeld, Gérald Weingand, Yamine Dib, Domitille Bioret, Juliette Armanet, Youssef Hajdi, Myriam Roustan, Joseph Hernandez, Elisabeth Calejon, Louis-Marie Audubert, Lara Guirao, Florian Goutiéras, Gabriel Hallali, Christine Kay, Alix Poisson, Thérèse Roussel, Michel Francini, Arnaud Maillard, Marc Stusay, Laurent Mendy, Alain Raymond, Philippe Pillavoine, Laurentine Milebo, Régis Romele, Juliette Wiatr, Pascale Lievyn, Cid Freer, Jocelyne Sand, Valérie Moinet, Julianna Kovacs, Guy Lamûre, Thierry Roland, Jean-Michel Larqué, Pierre Étaix, Christine Kelly, Yannick Mahé, Julia Gunthel, Agathe Natanson
location: Francia       
voto: 10

Rimasto orfano di padre per via di una mina antiuomo, Bazil (Boon) viene colpito alla testa da un proiettile vagante che il chirurgo non può estrargli. Ridotto in miseria e adottato da una comunità di rigattieri che vive nei sotterranei (l'ambientazione rimanda a La leggenda del re pescatore in maniera piuttosto esplicita), dal bossolo della pallottola Bazil scopre chi sono i due faccendieri che si arricchiscono con le armi che hanno colpito lui e suo padre e, con l'aiuto dei suoi amici, li mette uno contro l'altro con un piano, appunto, "esplosivo".
Giunto al suo sesto film Jean Pierre Jeunet firma un indiscutibile capolavoro miscelando al meglio gli ingredienti che avevano fatto la fortuna delle sue opere più riuscite, Delicatessen e Il favoloso mondo di Amèlie, con Chaplin e Keaton. Allo spettatore non viene concesso il tempo di riprendersi da una trovata originalissima che immediatamente dopo ne segue un'altra, in un turbinio di fantasia e umorismo nero che si coniugano con le immagini stracariche di colore, le scenografie esagerate e barocche, le invenzioni linguistiche, il tratto paradossale dei personaggi, l'impronta filmica espressionista ed iperbolica dal sapore retrò. In questa festa della fantasia che celebra il matrimonio tra uno script riuscitissimo e coerente con la parabola antimilitarista contro i fabbricanti di armi non mancano poesia, trovate nei dialoghi (il personaggio che parla soltanto per frasi fatte è un'invenzione strepitosa, alla quale il doppiaggio italiano, una volta tanto, non fa torto), citazioni (dallo stesso Delicatessen, con Pinon che suona la sega, a I due marescialli, con Totò e Vittorio De Sica). Un capolavoro, senza se e senza ma.

sabato 18 dicembre 2010

La bellezza del somaro

anno: 2010       
regia: CASTELLITTO, SERGIO  
genere: grottesco  
con Sergio Castellitto, Laura Morante, Enzo Jannacci, Marco Giallini, Barbora Bobulova, Gianfelice Imparato, Nina Torresi, Emanuela Grimalda, Lidia Vitale, Renato Marchetti, Erica Blanc, Valentina Mencarelli, Valerio Lo Sasso, Pietro Castellitto, Lola Ponce  
location: Italia       
voto: 2

Nella casa di una coppia di 50enni romani ultrabenestanti, immersa nella campagna toscana, dove solitamente i due si riuniscono con i loro amici, tra lepidezze e ipocrisie nascoste si presenta la figlia minorenne della coppia (Torresi) con il nuovo fidanzato, un settantenne (Jannacci). I genitori, all'apparenza aperti e comprensivi, vanno in crisi e congiuntamente alle loro tensioni sopite vengono scoperchiate tutte quelle dei loro amici.
Tratto dall'omonimo romanzo di Margaret Mazzantini, il film è un saggio deprimente di come - partendo da uno spunto lillipuziano - si possa fare un film di rara inconsistenza. Quello di Castellitto è un cinema fatto in casa e a casa (lui dirige, interpreta, produce e mette le mura a disposizione, la moglie scrive il copione, il figlio interpreta) al quale manca praticamente tutto: dalla capacità di dirigere gli attori (quella tra Laura Morante, che - imbalsamata come al solito - ha un talento inversamente proporzionale alla sua avvenenza, Barbora Bobulova e Lidia Vitale è una gara tra imbranate) a quella di maneggiare la macchina da presa, oggetto di movimenti nevrotici, allo script, sciatto e confuso, fino alla capacità di raccontare i personaggi, che qui non vanno mai oltre il limite della macchietta e al montaggio che, a voler usare un eufemismo, si può definire acrobatico. Perennemente urlato e sopra le righe, La bellezza del somaro dispensa cachinni e decibel a profusione, pretendendo si far ridere con una comicità d'antan in stile splapstick, a suon di scivoloni e torte in faccia, che quasi non si vede più neppure nelle interpretazioni di Massimo Boldi.    

venerdì 17 dicembre 2010

Le mele di Adamo (Adams Aebler)

anno: 2005       
regia: JENSEN, ANDERS THOMAS  
genere: grottesco  
con Ulrich Thomsen, Mads Mikkelsen, Nicolas Bro, Paprika Steen, Ali Kazim, Ole Thestrup, Nikolaj Lie Kaas, Gyrd Løfquist, Lars Ranthe, Peter Reichhardt, Tomas Villum Jensen, Peter Lambert, Solvej K. Christensen, Rasmus Rise Michaelsen, Jacob-Ole Remming  
location: Danimarca
voto: 5

Ad Adam (Thomsen), un violentissimo neonazista, viene imposto come servizio sociale quello di aiutare il parroco di una piccola comunità (Mikkelsen). A ciascuno dei membri di quest'ultima viene affidato un obiettivo. Quello di Adam è fare una grossa torta di mele con i frutti del giardino. Ma tra Adam e la torta si frappongono innumerevoli ostacoli: corvi che mangiano le mele, vermi, fulmini, vecchie e scomode conoscenze.
Scritto e diretto dal danese Anders Thomas Jensen, abituale sceneggiatore di Susanne Bier, Le mele di Adamo si distacca notevolmente dai copioni ai quali Jensen ci ha abituati, con un film che calca moltissimo sul registro grottesco, raccontando una parabola surrealista sulle apparenze del bene e del male che si muove tra grand guignol e teatro dell'assurdo.
Premio miglior film al Courmayeur Noir in Festival 2005.    

Dentro la città


anno: 2004   
regia: COSTANTINI, ANDREA  
regia: poliziesco  
con Edoardo Leo, Elisabetta Cavallotti, Luca Ward, Simone Colombari, Giorgio Colangeli, Andrea Rivera, Luciano Curreli, Vincenzo Ferrera, Patrizia Caselli, Nello Mascia, Anna Longhi, Rolando Ravello  
location: Italia      

voto: 4  

Il quotidiano di un commissariato di Polizia: si tenta l'operazione di successo sventando un enorme giro di droga, si tendono trappole ai truffatori, ci si imbatte nella piccola criminalità e nella violenza di tutti i giorni, nel figlio di papà che potrebbe chiamare l'avvocato anche se trovato con la cocaina addosso, si cerca la refurtiva di una grossa rapina. E, ovviamente, ci scappa il morto, si litiga, qualcuno abusa del distintivo, spesso si va oltre le regole, la frustrazione impera e mancano persino i soldi per comprare la carta igienica.
Andrea Costantini dirige un poliziesco che nulla ha a che vedere con quelli tanto amati da Tarantino che fecero la fortuna del genere negli anni '70. Piuttosto, sembra di essere di fronte a una versione di certi serial televisivi, come La squadra o Distretto di Polizia, con l'aggiunta di una quota notevole di pessimismo, epitomizzata nello scarto profondo tra la teoria appresa in Accademia dal vicecommissario Corsi (Leo) e la dura pratica di tutti i giorni di un distretto perennemente in emergenza. Il ritmo è incessante, teso e nervoso, gli attori sono assai ben diretti e il gruppo, guidato da Giorgio Colangeli, funziona egregiamente, anche se gli stereotipi non mancano e qualche episodio è telefonatissimo.    

mercoledì 15 dicembre 2010

In un mondo migliore (Hævnen)

anno: 2010       
regia: BIER, SUSANNE
genere: drammatico
con Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Elsebeth Steentoft, Satu Helena Mikkelinen, Camilla Gottlieb, Martin Buch, Markus Rygaard, William Jøhnk Juels Nielsen, Toke Lars Bjarke, Anette Støvelbæk, Kim Bodnia, Bodil Jørgensen, Ditte Gråbøl, Eddie Kihani Johnson, Gabriel Muli, Mary Hounu Moat, Synah Berchet, June Waweru, Emily Mglaya, Wil Johnson
location: Danimarca       
voto: 10

Lasciata Londra dopo la morte della madre, il dodicenne Christian (Nielsen) va in Danimarca con il padre (Thomsen) e fa amicizia con Elias (Rygaard), con il quale viene vessato da un compagno di scuola. Si vendica. Così come decide di vendicare l'offesa, perpetrata a furia di schiaffi, che il padre di Elias (Persbrandt) - un medico che opera nell'Africa equatoriale per conto di Emergency - ha ricevuto da un energumeno, con modalità e conseguenze che rischiano di diventare irreversibili.
La Bier, una delle più grandi registe della storia del cinema, firma il suo capolavoro con un film che riesce a maneggiare prodigiosamente moltissima materia filmica. Costruito intorno alla figura del padre (quello di Elias è uno dei più straordinari che si siano visti sul grande schermo, il genitore che tutti vorremmo), il film mette in scena la dialettica tra razionalità e istinto, tra il tentativo gandhiano di educare all'esercizio, qui laicissimo, del porre l'altra guancia e il pragmatismo ruvido di chi vuole risolvere le cose con la violenza e sa che questa pratica è redditizia. In questo scontro tra testa e pancia nel perimetro di un'opera che riesce ad essere altamente morale senza mai sfiorare alcuna forma di moralismo, ritroviamo molti dei temi cari alla regista danese: la malattia e il tradimento (come in Open hearts), la guerra (come in Non desiderare la donna d'altri), il volontariato e la malattia (come in Dopo il matrimonio), l'elaborazione di un lutto e l'amicizia (come in Noi due sconosciuti) ma anche la separazione, la vendetta (il titolo originale del film, Heavnen, vuol dire proprio vendetta), la pietà, il bullismo. Con l'abituale sceneggiatore Anders Thomas Jensen, la Bier riesce nel miracolo di uno script quasi bergmaniano, intenso, commovente senza mai essere lezioso né stucchevole, con scene potentissime a cominciare da quella, da manuale, dello schiaffeggiamento dentro l'officina.
Strameritati sia il Gran Premio della Giuria che quello del pubblico come miglior film alla V edizione del festival internazionale del film di Roma (2010).

martedì 14 dicembre 2010

Fate come noi

anno: 2002   
regia: APOLLONI, FRANCESCO  
genere: commedia  
con Pupella Maggio, Agnese Nano, Francesco Venditti, Mauro Meconi, Arianne Turchi, Ricky Tognazzi, Piero Natoli, Paolo Sassanelli, Angelo Orlando, Alberto Molinari, Michela Rocco Di Torrepadula, Eleonora D'Urso, Cinzia Mennini  
location: Italia
voto: 6

Bove (Venditti) e Pechino (Meconi) sono due giovani amici che abitano nella periferia romana di Tor Bella Monaca. Bove ha il chiodo fisso delle ragazze, Pechino è perennemente in bolletta. Così il primo si trova a girare per la capitale con una giovane madre (Nano) che ha appena scoperto il tradimento del suo compagno (Tognazzi) e che ha smarrito la figlia (Turchi) mentre il secondo prima si intrufola a scopo di furto nell'abitazione di una vecchietta (Maggio) che lo scambia per il nipote e poi finisce per girare la città con una bambina rimasta sola in casa.
Apprezzabile seconda prova di Francesco Apolloni dopo La verità vi prego sull'amore, costruita come un dittico montato in una chiave quasi thriller e congelata per quasi tre anni. L'originale struttura dello racconto, tratto dall'omonimo romanzo del regista e ambientato a Ferragosto e alla vigilia di Natale, e l'efficacia del montaggio risentono tuttavia dell'eccessivo numero di inserti che fanno posto ai cammei di Piero Natoli, Paolo Sassanelli e Angelo Orlando.
Commovente e formidabile l'ultima interpretazione di Pupilla Maggio. Ultima apparizione anche per Piero Natoli.    

lunedì 13 dicembre 2010

La deriva mediatica

di Mauro Magatti, da "Formiche", novembre 2010


L’Italia costituisce un caso di scuola del più generale modello storico-sociale affermatosi nei Paesi occidentali negli ultimi tre decenni. Tale modello si basa, tra le altre cose, sulla progressiva perdita di centralità del lavoro a tutto vantaggio del consumo all’interno di quella che già negli anni ‘60 venne chiamata la “società del benessere”. Da allora, un ruolo centrale nel determinare i percorsi della trasformazione sociale è stato svolto da quella “rivoluzione permanente dei mezzi di comunicazione” che, iniziata verso la fine degli anni ‘70 con la fine del monopolio statual-nazionale della televisione, ha cambiato in profondità i termini stessi della convivenza sociale. Ben poco di quello che è successo negli ultimi decenni è spiegabile a prescindere da questo aspetto.
Tale trasformazione ha, infatti, ristrutturato l’idea stessa di cultura – termine di origine agricola che etimologicamente sta ad indicare il lento processo di sedimentazione di un insieme organizzato di significati. È un grave errore sottovalutare la velocità e l’intensità di tale mutamento: eppure, nel giro di pochi anni il modo di produzione e circolazione dei significati non è più stato lo stesso. Basti dire che, ancora alla fine degli anni ‘70, in Italia (ma non solo) il monopolio televisivo era pressoché assoluto e che, nel giro di 15 anni, ci si è ritrovati in un mondo completamente diverso caratterizzato dall’eccesso e dall’anarchia comunicativa: la creazione delle tv private, l’introduzione della parabola, la diffusione del personal computer e di Internet hanno di fatto provocato la liberalizzazione totale del processo di circolazione di idee, immagini, suoni, cambiando alla radice il processo di produzione culturale.

È in questo contesto che si deve leggere anche la trasformazione che ha investito le democrazie avanzate (e tra queste quella italiana). Per cercare di cogliere la rilevanza di tale trasformazione basti tenere conto di un dato strutturale che viene di solito dimenticato: nel periodo che va dai primi anni ‘80 alla grande crisi economica del 2008, in tutti i Paesi avanzati dell’area Ocse si è registrata una rilevante redistribuzione di ricchezza che ha favorito una quota molto esigua della popolazione, danneggiandone la grande parte. Al di là delle pur significative differenze nazionali, a fine periodo non solo è cresciuta la distanza tra i più ricchi e i più poveri, ma si è anche registrato un notevolissimo spostamento di risorse dal lavoro al capitale: nella media dei Paesi Ocse, la quota di valore aggiunto destinata al lavoro è passata tra il 1976 e il 2006 dal 68% al 55% (e in Italia si è addirittura arrivati al 53%). A tutto vantaggio dei profitti. A poco a poco, il tenore di vita di ampi strati del ceto medio ha cominciato a calare, con prospettive negative per le nuove generazioni. La cosa che mi interessa sottolineare è che tutto questo è avvenuto in assenza di conflitto sociale. Come si ricorderà, infatti, le ultime forti tensioni sociali risalgono agli anni ‘70. Da allora, la contrapposizione sulla distribuzione del reddito è praticamente sparita, sostituita da forme diverse di conflitto, basate sul territorio, l’etnia, la razza. Ciò vuol dire che la riorganizzazione del sistema economico e la potente redistribuzione dei benefici ad essa correlata è avvenuta al di là di ogni comprensione da parte dei gruppi sociali direttamente coinvolti. In particolare, fa davvero impressione constatare che chi ha visto peggiorare – in maniera relativa e in qualche caso addirittura assoluta – il proprio livello di benessere non ha opposto alcuna resistenza, semplicemente perché non ha compreso quanto stava accadendo.

Volendo sintetizzare icasticamente quanto accaduto si potrebbe dire che si è passati dalla lotta alla lotteria: chi è relegato nelle fasce medio-basse della stratificazione sociale ha smesso di chiedere maggiore equità. Più limitatamente, ha cercato la propria personale salvezza nel “colpo di fortuna” capace di farlo accedere a quel livello di consumo e di godimento di cui beneficiano i ceti più abbienti e visibili – che sono tali proprio perché (apparentemente almeno) nella condizione di poter fare tutto quello che vogliono. Uno dei fattori cruciali per spiegare un tale fenomeno è proprio la trasformazione strutturale dei sistemi della comunicazione. Per sintetizzare tale mutamento è utile impiegare un’espressione usata prima negli Usa da J. Lull e poi in Europa da Z. Bauman. Entrambi gli autori, hanno parlato della formazione di uno “spazio estetico deterritorializzato”, cioè di una sorta di nuvola mediatizzata nella quale confluiscono le più disparate visioni del mondo, segni, simboli, significati, immagini, suoni. Tale termine costituisce un’elaborazione della “società dello spettacolo” di cui aveva già parlato alla fine degli anni ‘60 G. Debord. Il nocciolo della questione è che, all’interno di questo nuovo spazio comunicativo, non esiste più un discorso coerente, dotato di senso, una gerarchia di valori di significati che può essere riconosciuta, discussa, rifiutata. Una cultura insomma. Lo spazio estetico deterritorializzato è, invece, un insieme informe, perennemente in movimento, di immagini, impressioni, punti di vista, riferimenti culturali, stimoli sensoriali, a cui ogni singolo individuo ha direttamente accesso, senza mediazioni sociali e istituzionali e da cui può “liberamente” trarre il materiale simbolico con cui costruirsi il proprio personale punto di vista.

La logica di fondo che domina lo spazio estetico deterritorializzato è la spettacolarizzazione, che funziona secondo la logica che C. Castoriadis ha chiamato “regime della equivalenza”: ossessionati dalla nostra libertà di giudizio, tendiamo a rifiutare qualunque principio di autorità, pretendendo di poter esprimere la nostra opinione su qualunque cosa, su qualunque argomento, a prescindere dalla nostra competenza. Il che ha una inevitabile conseguenza: non disponendo di nessuna verità, se non di quella tecnica, ogni significato equivale ad ogni altro. Il che significa che tutte le affermazioni si equivalgono e che non è più possibile contestare nulla.
In un contesto di questo tipo – che diventa tanto più anarchico e patologico laddove le istituzioni pubbliche traballano maggiormente, come nel caso italiano – il senso si riduce a mero con-senso. Il punto di vista più giusto non c’è più e di conseguenza a prevalere è la posizione di colui che, essendo meglio capace di utilizzare le più raffinate tecniche comunicative, riesce a costruire una messa-in-scena convincente e a coagulare, anche se solo per un istante, l’attenzione di un’opinione pubblica disorientata. È questa la radice profonda della patologia delle democrazie contemporanee. Sotto il segno della libertà, avanza l’illibertà: la discussione diventa impossibile, il dato di fatto si impone senza tema di smentita in nome di un decisionismo privo di riferimenti. Gli stessi partiti cambiano natura, costretti come sono a rincorrere un’opinione pubblica instabile, autoreferenziale e incapace di giudizio. Aver assecondato in maniera acritica un tale processo è stato un azzardo per le democrazie occidentali, che sembrano oggi sprofondare in un nichilismo che le condanna ad una frammentazione impossibile da governare.

Una china pericolosa che, come la storia insegna, crea il terreno ideale per forme pericolose di populismo e fondamentalismo. Di fronte a tale deriva è importante impegnarsi per risanare i principi su cui la democrazia si fonda. Libertà non è arbitrio o licenza. L’idea tipicamente contemporanea che la libertà individuale è assoluta anche a prescindere dalla sua relazione con il contesto circostante mostra ormai in modo evidente tutte le sue contraddizioni. Il rischio è che, nella perdita di qualunque senso della verità, il dato di fatto pretenda automatica legittimazione. Purtroppo proprio il caso italiano è da questo punto di vista tanto interessante quanto drammatico. La deriva a cui abbiamo assistito in questi anni porta a comprendere che, tagliato ogni ancoraggio con un senso condiviso di verità che in qualche modo serve per limitare ogni forma di eccesso, la democrazia è destinata a sfiorire e a finire sepolta dalle sue stesse macerie.

domenica 12 dicembre 2010

Ugo Tognazzi. Ritratto di mio padre

anno: 2010   
regia: TOGNAZZI, MARIA SOLE 
genere: documentario 
con Ugo Tognazzi, Pupi Avati, Bernardo Bertolucci, Sergio Cammariere, Valeria Golino, Carlo Lizzani, Mario Monicelli, Laura Morante, Michel Piccoli, Michele Placido, Ettore Scola, Gian Marco Tognazzi, Maria Sole Tognazzi, Ricky Tognazzi, Thomas Robsahm Tognazzi, Paolo Villaggio  
location: Italia       
voto: 5

A 20 dalla morte, Maria Sole Tognazzi, all'epoca 19enne, ricorda il padre Ugo con un ritratto affettuoso costruito attraverso immagini di repertorio, spezzoni di film, apparizioni televisive, riprese in super8 fatte in casa, testimonianze di amici e colleghi che molto amarono l'attore cremonese. Il quadro complessivo cerca di mettere a fuoco tanto la dimensione professionale - che dalle prime esperienze amatoriali è passata attraverso il successo televisivo con Raimondo Vianello, i film balneari, i grandi successi degli anni '70 e il ritorno a teatro a fine carriera - quanto quella privata e umana, dalla quale emerge la sfrenata passione per le donne (tre matrimoni, quattro figli di cui uno avuto con un'attrice norvegese), l'amore per la cucina e il tennis, l'incessante bisogno di circondarsi di amici, al punto da costruire, a Torvaianica, il "villaggio Tognazzi". In operazioni come questa - basterebbe andarsi a rivedere Mi ricordo, sì, io mi ricordo, che l'ultima compagna di Mastroianni, Anna Maria Tatò, ha dedicato al Marcello nazionale - ciò che conta è la capacità di maneggiare i materiali, di costruire un patchwork avvincente e appassionato. Operazione che alla più piccola delle figlie di Ugo riesce soltanto a metà: nel film c'è moltissima aneddotica ma anche troppa partecipazione personale e quel "ritratto di mio padre" portato nel titolo rispecchia fedelmente i contenuti, talmente personali da coinvolgere lo spettatore fino a un certo punto. Le musiche inascoltabili di Sergio Cammariere fanno il resto.   

sabato 11 dicembre 2010

Liu Xiaobo e Assange, dissidenti

di Piergiorgio Odifreddi

Il premio Nobel per la pace è stato consegnato a Liu Xiaobo in absentia. Il dissidente cinese, infatti, sta in carcere per aver ispirato Charta ‘08: un manifesto che chiede la democratizzazione e la riforma della Cina, ed è analogo all’omonima Charta ‘77 cecoslovacca, ispirata all’epoca da Václav Havel e altri.
La Cina naturalmente considera Liu Xiaobo un criminale comune, e in ritorsione ha istituito un anti-premio Nobel per la pace. Gli Stati Uniti, altrettanto naturalmente, lo considerano un eroe del libero pensiero, e il presidente Obama ha chiesto a gran voce la sua liberazione.
Nel frattempo, Julian Assange sta in carcere in Inghilterra, per aver ispirato e diretto Wikileaks: l’ormai famoso sito di controinformazione, che si propone la trasparenza dell’informazione e si oppone alla manipolazione delle notizie ufficiali.
Poichè le ultime rivelazioni di Wikileaks hanno riguardato gli Stati Uniti, questi lo considerano un criminale e chiedono la sua estradizione per poterlo processare per spionaggio. La Russia, altrettanto naturalmente, lo considera un dissidente dell’Occidente, e il premier Putin ha chiesto a gran voce la sua liberazione.
Non è surreale, la simmetria dei leader mondiali, tutti impegnati a vedere le travi negli occhi altrui, senza preoccuparsi di quelle nei propri? E non è terribile, la simmetria dei dissidenti mondiali, tutti perseguiti per aver voluto guardare le travi nei propri occhi, invece di preoccuparsi di quelle negli occhi altrui?
A scanso di equivoci, i dissidenti come Liu Xiaobo ad Assange espongono fatti, senza indulgere nel genere denominato «docu-fiction». In altre parole, non scrivono libri da dieci milioni di copie, nè fanno programmi televisivi da dieci milioni di spettatori.
Se lo ricordino, coloro che inneggiano ai nuovi guru di casa loro, credendo che siano i portabandiera della verità. Purtroppo, come ci insegnava Oscar Wilde, chi dice la verità prima o poi viene scoperto. E finisce in galera, come ci finí lui, e come ci sono finiti Liu Xioabo e Assang. Ma non certo nelle classifiche dei best seller, o in quelle dell’Auditel.

Precious (Precious: Based on the Novel Push by Sapphire)

anno: 2010       
regia: DANIELS, LEE
genere: drammatico
con Gabourey Sidibe, Mo'Nique, Paula Patton, Mariah Carey, Sherri Shepherd, Lenny Kravitz, Stephanie Andujar, Chyna Layne, Amina Robinson, Xosha Roquemore, Angelic Zambrana, Aunt Dot, Nealla Gordon, Grace Hightower, Barret Helms, Kimberly Russell, Bill Sage, Susan Taylor, Kendall Toombs, Alexander Toombs, Cory Davis, Rochelle McNaughton, Roy Anthony Tarell Harvey, Abigail Savage, Rodney 'Bear' Jackson, Sapphire, Linda Watson, Emani Reid, Dashawn Robinson, Ashley Livingston, Maurizio Arseni, Mugga, Chazz Menendez, Roy T. Anderson, Quishay Powell, Vivien Eng, Silje Vallevik, Matthew Bralow, Shayla Stewart, Erica Watson, Ephraim Benton, Shortee Red, Timothy Allen, Nigel Joaquin, Esley Tate
location: Usa       
voto: 6

La madre (Mo'Nique), quando vuole essere gentile, le dice "muovi quel culone, troia". Il padre, premuroso, mentre se la scopa le mormora: "mi fai più sangue di tua madre". Lei è Precious (Sidibe), 16enne nera di oltre un quintale e mezzo che vive in una topaia ad Harlem, negli anni '80, e che un'insegnante benevola e bellissima (Paula Patton) di una scuola per ragazzi con problemi sociali cerca di emancipare da tanto marciume quando la ragazza è in attesa del secondo figlio avuto dal padre-padrone.
Tratto dall'omonimo romanzo di Sapphire, Precious punta dritto all'uso del fazzoletto, tanto esasperata ed esasperante è l'esistenza di questa disgraziatissima ragazza. Le improvvise scantonate onirico-immaginative con cui la protagonista si fa scudo delle atrocità che le capitano sembra vogliano alleggerire l'impatto emotivo di un impianto narrativo fortemente "morale", peraltro marcato da colori lividi e apprezzabilissime invenzioni  in fase di ripresa. Nonostante ciò, il film soffre una certa inerzia, attraverso il ripetersi con variazioni minime di un quotidiano aberrante, lasciando trapelare un manierismo narrativo che pare voglia appagare a tutti costi lo spettatore a caccia della lacrima, al quale viene regalata anche la "sospetta" presenza di due popstar del calibro di Lenny Kravitz e Mariah Carey.
Golden Globe 2010 e Oscar 2010 a Mo'Nique come miglior attrice non protagonista di film drammatico. Premio Oscar anche per sceneggiatura non originale.

venerdì 10 dicembre 2010

Appuntamento a ora insolita

anno: 2008       
regia: COLETTA, STEFANO
gebere: drammatico
con Antonio Catania, Giulio Scarpati, Ricky Tognazzi, Maddalena Crippa, Karin Giegerich, Simona Nasi, Michele Alhaique, Giulia Serafini, Bedi Moratti, Marina Giulia Cavalli, Daniele Pecci, Giuseppe Beppe Fiorello
location: Italia       
voto: 3


Tre amici torinesi sulla cinquantina e le loro compagne, tutti di quella sinistra radical chic così pallida da sembrare rosata, vivono le loro frustrazioni affettive e professionali. C'è il professore laido (Catania) tradito dalla consorte, il regista teatrale in cerca di ispirazione (Scarpati) e l'avvocato (Tognazzi) costretto a subire la passività della moglie (Crippa). In una delle tante occasioni salottiere che la vita offre loro si troveranno di fronte a qualche scottante verità.
Tracotante a partire dal titolo, ispirato a una poesia di Vittorio Sereni, il film racconta il fascino meno che discreto di una borghesia annoiata e ricca segnata dal fatto che "qualcuno ha detto che Dio ci ha dato l'abitudine al posto della felicità" con stile antinarrativo, ricerca del torbido e troppo storie che non vanno al di là di un certo bozzettismo. I difetti di scrittura sono palmari e non manca qualche ridicolaggine come quella della donna attempata che scopre di essere incinta proprio nel giorno in cui gli si ripresenta dopo anni quello che fu il grande amore della sua vita (Fiorello). È il più canonico esempio di cinema che vorrebbe avere un'impronta autoriale e che invece viene tenuto, a ragione, a debita distanza dalle sale, tant'è vero che è stato distribuito in maniera quasi carbonara con due anni di ritardo. Attori di serie B.    

giovedì 9 dicembre 2010

Election

anno: 1999   
regia: PAYNE, ALEXANDER  
genere: commedia  
con Matthew Broderick, Reese Witherspoon, Chris Klein, Phil Reeves, Mark Harelik, Delaney Driscoll, Molly Hagan, Colleen Camp, Jessica Campbell, Frankie Ingrassia, Loren Nelson, Emily Martin, Jonathan Marion, Holmes Osborne, Jeanine Jackson  
location: Usa   
voto: 6

Nella George Washington Carver High School ai Omaha (Nebraska) ci sono le elezioni per la presidenza del consiglio scolastico. Tracy (Witherspoon) è una ragazzina ambiziosissima e senza scrupoli che il professor McAllister (Broderick), stimatissimo insegnante, vorrebbe ostacolare opponendole un altro candidato (al quale ne seguirà una terza), tanto lo irrita la superbia della studentessa. Come sempre ci si mette di mezzo il destino e nulla potrà l'etica dell'insegnante sulla determinazione della giovane.
College movie con un buon intreccio narrativo e un corpo a corpo tra etica e fortuna, il film di Alexander Payne ogni tanto svirgola su un registro grottesco ma coglie nel segno nel mostrare la faccia meno rassicurante del sogno americano, quella che porta - tra l'altro - a una competizione senza esclusione di colpi.    

mercoledì 8 dicembre 2010

La donna della mia vita

anno: 2010       
regia: LUCINI, LUCA 
genere: commedia 
con Alessandro Gassman, Luca Argentero, Stefania Sandrelli, Valentina Lodovini, Giorgio Colangeli, Sonia Bergamasco, Lella Costa, Gaia Bermani Amaral, Franco Branciaroli 
location: Italia       
voto: 5

Giorgio (Gassman) e Leonardo (Argentero) sono i due figli di una madre (Sandrelli) un po' invadente. Giorgio vive a Roma, fa il medico occupandosi di problemi di fecondazione ed è un dongiovanni incallito, motivo per cui è infelicemente sposato con Carolina (Bergamasco). Leonardo vive a Milano con i genitori, è impacciato con le donne ma sembra poter cambiare vita quando incontra Sara (Lodovini). Non sa però che Sara è stata a lungo l'amante del fratello maggiore e quando scopre la verità si trasforma anche lui in tombeur de femmes.
Luca Lucini si conferma l'equivalente di ciò che Federico Moccia (di cui, non a caso, portò sul grande schermo 3 metri sopra il cielo) rappresenta per la letteratura: paccottiglia buona per i palati più semplici che va a rimestare nelle più risapute storielline a sfondo sentimentale. Nella carriera del regista milanese questo lounge movie di pretese infinitesimali sui temi del mammismo all'italiana (sembra di rivedere La prima cosa bella di Virzì) e del tradimento, scritto da Cristina Comencini, non fa eccezione, arrivando nella seconda parte a squadernare la propria versione dell'amore liquido con tutti che tradiscono tutti. La Sandrelli, Gassman e Colangeli tengono in piedi la baracca di un racconto che fa acqua da tutte le parti sfilando tutt'al più qualche sorriso.    

Luna Papa

anno: 1999   
regia: KHUDOJNAZAROV, BAKHTIAR  
genere: grottesco  
con Chulpan Khamatova, Moritz Bliebtreu, Ato Mukhamedshanov, Raykina Polina, Ninidze Merab, Fomenko Nikolai, Abdulkaisov Sheraly, Nasriev Azalbek, H. Akhmedova Iokaste  
location: Uzbekistan   
voto: 2

In Uzbekistan la giovane Mamlakat (Khamatova) vive in un povero villaggio col fratello scemo e il padre, sognando di fare l'attrice. Rimasta incinta di un uomo che si dilegua nel nulla, la ragazza, insieme alla sua famiglia, si mette a cercarlo.
Siamo dalle parti del Kusturika più colorato e chiassoso: i decibel abbondano, la regia affonda il pedale sul registro grottesco con tanto di toro che precipita dal cielo uccidendo un neo-sposo e l'insieme è di una scompostezza fiabesca con ampie zone di déjà vù.    

martedì 7 dicembre 2010

Diamond 13

anno: 2009       
regia: BEHAT, GILLES
genere: poliziesco
con Gérard Depardieu, Olivier Marchal, Asia Argento, Anne Coesens, Aïssa Maïga, Catherine Marchal, Erick Deshors, Frédéric Frenay, Jean-François Wolff, Patrick Hastert, Aurélien Recoing, Gérald Marti, Sacha Kremer, Frédéric Lubansu, Marc Zinga, Corentin Lobet, Lætitia Reva, Jean-Michel Vovk, Benoît Verhaert, Yves Degen, Valerie Bodson, Max Thommes, Oumar Diaoure, Noël Baye, Francesco Merenda, Bernard Graczyk, Virginie Arnaud, Pascal Roblin, Catherine Golfin, Pierre Dherte, Sylvie Vandermeuter, Norbert Rutili, Patrick Quinet, Erico Salamone, Circé Lethem, Philippe Chapelle 
location: Francia       
voto: 5


In qualsiasi alta scuola di recitazione, dalla Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico all'Actor studio, la visione di questo lungometraggio del francese Gilles Behat dovrebbe essere obbligatoria per capire cosa non è l'arte del recitare. Nelle pieghe di un racconto che definire criptico (a partire dal titolo pretestuoso) è un eufemismo, ispirato dai soliti piagnistei dell'ex poliziotto Olivier Marchal (36 Quai des Orfevres, L'ultima missione) sulla corruzione della polizia, c'è una parte anche per Asia Argento. Al cinema sempre più piegato ai diktat della televisione e del botteghino un ruolo non si nega a nessuno, da Valeria Marini e Maddalena Crippa alle sgallettate del Grande Fratello. Ma Asia le batte tutte. Qui la figlia di papà Dario evita di fornicare con un cane come fece in Go go tales ma riesce ugualmente a superarsi: dire che ha un'espressione da sgombro in salamoia offerenderebbe gli sgombri e per di più mentre recita sembra che stia dettando dei telegrammi, roba da far sembrare un balbuziente un acrobata dello scioglilingua. Non si sa se l'ottenimento della parte sia costato ad Asia la slogatura della mascella per eccesso d'esercizio (non certo quello fonetico…) ma resta il fatto che una prova del genere ha pochi precedenti nella storia del cinema. Detto questo, il film racconta di un poliziotto (Depardieu) al quale è stato ucciso un collega-amico infiltrato in un giro di corruzione. Lui vorrebbe fare il buono, redimere una ragazzina scapestrata che con la storia non c'entra nulla ma finisce nella pastoie di un gioco più grande (e ce ne vuole…) di lui. Sussulti improvvisi, accessi di violenza esasperata si infiltrano in una trama sfilacciata da polar che vorrebbe aggiornare la grande stagione dei Cluzot e Melville senza ovviamente riuscirci.    

domenica 5 dicembre 2010

H.O.T. Human Organ Traffic

anno: 2009    
regia: ORAZI, ROBERTO    
genere: documentario    
location: Brasile, Cina, Israle, Nepal, Turchia            
voto: 3

Gli organi umani di cui si parla in questo sciatto documentario assai poco chiarificatore girato da Roberto Orazi sono i reni. I poveri del Sud del mondo - brasiliani, nepalesi, turchi - li vendono ai ricchi del Nord, con la connivenza di governi e polizia ma senza ottenere il benché minimo miglioramento della qualità della loro vita. Il documentario non fa altro che affastellare testimonianze di poveri disgraziati, in alcuni casi abilmente aggirati con la promessa di un lavoro all'estero, riportando timori e speranze investite nello scellerato scambio. La regia è inesistente, la quota esplicativa nulla e le cause della genesi del fenomeno lasciate alla fantasia dello spettatore. C'è anche un atto d'accusa alle autorità turche, brasiliane e soprattutto israeliane in quanto epicentri maggiori del traffico d'organi internazionale, anche in questo caso scandita con stile piattamente televisivo e senza alcun rilevante contenuto sociologico.    
 


venerdì 3 dicembre 2010

Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni (You Will Meet a Tall Dark Stranger)

anno: 2010       
regia: ALLEN, WOODY 
genere: commedia 
con Gemma Jones, Pauline Collins, Anthony Hopkins, Rupert Frazer, Kelly Harrison, Naomi Watts, Josh Brolin, Freida Pinto, Eleanor Gecks, Antonio Banderas, Ewen Bremner, Christian McKay, Philip Glenister, Jonathan Ryland, Pearce Quigley, Neil Jackson, Lynda Baron, Fenella Woolgar, Robert Portal, Lucy Punch, Jim Piddock, Celia Imrie, Roger Ashton-Griffiths, Anna Friel, Theo James, Christopher Fulford, Johnny Harris, Alex MacQueen, Anupam Kher, Meera Syal, Joanna David, Geoffrey Hutchings, Natalie Walter, Shaheen Khan, Amanda Lawrence, Zak Orth 
location: Regno Unito           
voto: 3

Uno scrittore londinese in cerca di ispirazione (Brolin) si invaghisce della dirimpettaia (Pinto). L'uomo è sposato con una gallerista (Watts) che si invaghisce del suo datore di lavoro (Banderas). Il padre della donna (Hopkins) ha lasciato la moglie (Jones) alla vigilia delle nozze d'oro perché si è invaghito di una prostituta (Punch). La sua ex moglie non fa che consultare una chiromante (Collins), fino a quando non si invaghisce di un antiquario (Ashton-Griffiths). Ce n'è anche per il gallerista, che vive in apparenza una felice relazione con sua moglie e che invece si invaghisce di una giovane artista.
Con script come questo, Woody Allen potrebbe dirigere anche un film al mese, tanto è sciatto il livello di regia, recitazione, scrittura. Mai come in questa commedia, neppure con Anything else - che pure sembrava essere stato il punto più basso della sua arte - il regista newyorchese aveva tenuto tanto a freno il tasso di umorismo: non si ride neppure una volta, gli attori sembrano essere sul set per obblighi sindacali e la storiellina ormai trita e ritrita dell'uomo maturo che perde la testa per una svampita non è che la bruttissima copia del precedente Basta che funzioni.