martedì 31 maggio 2016

Fiore

anno: 2016       
regia: GIOVANNESI, CLAUDIO  
genere: drammatico  
con Daphne Scoccia, Josciua Algeri, Valerio Mastandrea, Gessica Giulianelli, Klea Marku, Laura Vasiliu, Aniello Arena, Francesca Riso    
location: Italia
voto: 6,5  

Comincia e finisce con un inseguimento (e si sentono i suggerimenti di Stefano Sollima, ringraziato sui titoli di coda) il quarto film di Claudio Giovannesi, ancora una volta ambientato a Roma e ancora una volta teso a raccontare una storia di integrazione difficile. Che in questa occasione è quella di Daphne (Scoccia), diciassettenne che vive di espedienti con un padre (Mastandrea) appena uscito di galera (il carcere come elemento ereditario?) e una madre invisibile. La ragazza finisce nel carcere minorile di Casal Del Marmo ed è lì che si invaghisce di Josciua (Algeri), internato anche lui nel braccio maschile della stessa casa circondariale. Lì, i due iniziano una difficile storia d'amore.
Giovannesi, che oltre al copione ha scritto anche la notevole colonna sonora del film, mostra ancora una volta grande sensibilità nel far penetrare lo spettatore nel marasma interiore della protagonista (interpretata da una Daphne Scoccia trovata per caso in un ristorante dove lavorava come cameriera e perfettamente intonata alla parte), al suo anelito di libertà, alla sua irrequietezza esistenziale e alla sua refrattarietà alle regole. Ma rispetto al precedente Alì ha gli occhi azzurri si tratta tuttavia di un piccolo passo indietro: il film - girato tra Ardea e Torvaianica oltre che nel carcere de L'Aquila, attualmente in disuso - soffre la quasi totale assenza di ritmo dell'intera parte centrale, alla quale soltanto le incursioni di un credibilissimo Mastandrea - unico attore professinista insieme alla rumena Laura Vasiliu; gran parte del cast è formato da ex detenuti - restituisce brio narrativo. A titolo di curiosità, un'occhiata va data ai nomi del cast, per notare le ricadute ingenue dell'esotismo sull'onomastica, con nomi come Josciua e Gessica.    

domenica 29 maggio 2016

La grande finale (The grand finale or The Official Film of the 2006 FIFA World Cup (TM))

anno: 2006   
regia: APTED, MICHAEL   
genere: documentario   
con Jens Lehmann, Didier Drogba, Fabio Cannavaro, Thierry Henry, Horacio Helizondo, Michael Ballack e con la voce di Luca Zingaretti    
location: Germania, Regno Unito
voto: 5   

La storia dei mondiali di calcio è costellata da furti clamorosi: basterebbe ricordare l'unica vittoria dell'Inghilterra nel 1966 o le due assurde sconfitte subite dall'Olanda di Cruijff in Germania e in Argentina contro le padrone di casa. Ma il furto più scandaloso di tutti è quello di Germania 2006, al quale il regista britannico Michael Apted - già autore di film come Gorky Park, Gorilla nella nebbia, Nell e persino di un episodio della serie che ha come protagonista 007 - dedica gli ultimi 25 minuti di questo documentario che in realtà altro non è che il filmato ufficiale della coppa del mondo 2006. L'Italia, tanto per cambiare, era coinvolta nello scandalo di Calciopoli, il figlio del CT Lippi era nel registro degli indagati e in campo si vedeva più brillantina che muscoli e polmoni. Quel mondiale fu vinto giocando bene complessivamente per un paio di minuti: quelli che misero ko la Germania in semifinale, ai supplementari, con gol di Grosso e Del Piero a retrovia tedesca sguarnita. Il titolo mondiale arrivò ai calci di rigore contro la Francia, con Materazzi e Zidane protagonisti nel bene (loro i gol nei tempi regolamentari) ma soprattutto nel male (offensivo e subdolo l'uno, manesco e poi espulso l'altro). Tra interviste ai protagonisti di allora (arbitro Helizondo compreso), statistiche e qualche flash su tutte le squadre del torneo, il film ricostruisce in forma strettamente antologica la vicenda di quel mondiale, con il minimo sforzo di regia: riprese a bordo campo e commenti di Luca Zingaretti, più parchi e flemmatici di quelli di Niccolò Carosio.    

martedì 24 maggio 2016

Julieta

anno: 2016       
regia: ALMODOVAR, PEDRO
genere: drammatico
con Emma Suárez, Adriana Ugarte, Daniel Grao, Inma Cuesta, Darío Grandinetti, Michelle Jenner, Rossy de Palma, Sara Jiménez, Priscilla Delgado, Blanca Parés, Sara Jiménez, Ramón Agirre, María Mera, Agustín Almodóvar, Jimena Solano, Pilar Castro, Joaquín Notario, Nathalie Poza, Susi Sánchez, Mariam Bachir    
location: Spagna
voto: 4

Una madre (Suárez) scrive una lunga lettera alla figlia, ormai adulta, che non vede da dodici anni. Le vuole raccontare come ha conosciuto il padre (Grao), un pescatore morto in una sciagura in mare durante una tempesta, e come lei ha vissuto la depressione che ne è seguita, a ruoli ribaltati, con la figlia che la accudiva.
C'era una volta l'ex enfant prodige del cinema iberico, il trasgressivo e iconoclasta Pedro Almodòvar. Del genio formale che fece scuola (da noi basterebbe ricordare Pappi Corsicato) è rimasto soltanto il colore rosso piazzato in qualsiasi inquadratura, fosse anche solo per mostrare i peperoni su una tela o un maglione del tutto inadeguato a una donna profondamente depressa. Il resto è l'ologramma triste di un regista ormai evanescente, del quale è rimasto vivo, chissà perché, solo il mito sconsiderato. Julieta, inopportunamente associato a Tutto su mia madre - l'ultimo lavoro riuscito del regista spagnolo - va ad allungare la serie di film inguardabili: da Parla con lei a Gli amanti passeggeri. Tratto da una trilogia di racconti di Alice Munro, premio Nobel per la letteratura, Julieta è l'ennesimo ritratto femminile di Almodòvar: un melò piatto come il peggior sceneggiato televisivo, dalle ambientazioni ultraborghesi dove risaltano quadri di Lucien Freud e orologi a forte impatto scenografico, accompagnato da musiche talmente eccessive che stonerebbero persino in Psycho e servito, nel ruolo della protagonista in due diverse età, da due attrici tanto belle quanto inespressive.    

domenica 22 maggio 2016

45 Anni (45 Years)

anno: 2015       
regia: HAIGH, ANDREW   
genere: drammatico   
con Charlotte Rampling, Tom Courtenay, Geraldine James, Dolly Wells, David Sibley, Sam Alexander, Richard Cunningham, Rufus Wright, Hannah Chalmers, Camille Ucan   
location: Regno Unito
voto: 5   

Manca una settimana al festeggiamento dei 45 anni di matrimonio di Geoff (Courtenay) e Kate (Rampling) quando, inaspettata, arriva una lettera. In essa c'è scritto che Katia, la fidanzata di Geoff scomparsa cinquant'anni prima dopo essere precipitata in un ghiacciaio, in Svizzera, è stata ritrovata. L'uomo vacilla al ricordo; Kate viene assalita dal dubbio di avere vissuto un'intera esistenza come una donna di seconda scelta.
Kammerspiel dalla struttura drammaturgica piuttosto elementare (sembra una versione in sedicesimi di Rebecca, la prima moglie) e con qualche concessione di troppo al manierismo, imperniato sulle intermittenze del cuore della protagonista e sull'improvviso rimestamento di una vita intera che pareva complessivamente priva di ombre, 45 anni soffre un eccesso di schematismo: dal ruolo vicario del cane, surrogato dell'assenza dei figli (scopriremo anche perché), al finale telefonato con qualche personaggio di contorno ridotto a macchietta. Ma lo scavo psicologico sulla protagonista ha momenti di grande intensità ed è ricco di sfumature, funzionali a proporre l'interrogativo di fondo del film: possono esistere segreti anche con le persone con cui abbiamo condiviso una vita intera? A rispondere sono due attori premiati entrambi con il massimo alloro al festival di Berlino. Ma la Rampling dà una spanna a Courtenay.    

venerdì 20 maggio 2016

Napolislam

anno: 2015       
regia: PAGANO, ERNESTO   
genere: documentario   
location: Italia
voto: 2,5   

Perché proprio in una città come Napoli si sta verificando un fenomeno tale per cui gli autoctoni residenti alle pendici del Vesuvio sono, mutuando la celeberrima frase di Totò, partenopei e in parte musulmani? L'imbarazzante documentario di Ernesto Pagano si tiene a indebita distanza di sicurezza da qualsiasi tentativo di analisi, trascura ogni possibilità di lettura sociologica, preferendo concentrarsi sui vaniloqui di fanatici transitati nel giro di pochi minuti dall'adorazione per San Gennaro a quella per Allah. Tra barbe lunghe, mitragliate di frasi fatte, madri perplesse, figlie propense ai matrimoni misti, tentativo di sfatare i pregiudizi sul nesso tra Islam e Isis, il film procede dando voce ai tanti napoletani che, abbracciata la parola del Corano, confidano su una giustizia universale che transiti per un pauperismo disposto ad affrancarsi dalle cose materiali, la risposta a crisi dei valori, avidità e consumismo dilagante. Nel frattempo, tra moschee improvvisate in mezzo alla strada e la democrazia rubricata a immondizia, Napoli rimane ancorata allo stereotipo di pizza e mandolino, magari in salsa rap. E il film recita il verbo di un buonismo posticcio senza mai minimamente problematizzare, ma rimanendo costantemente in superficie, attestandosi sotto il livello di guardia anche rispetto alla dimensione squisitamente cinematografica.    

martedì 17 maggio 2016

Pericle il Nero

anno: 2015       
regia: MORDINI, STEFANO 
genere: drammatico 
con Riccardo Scamarcio, Marina Foïs, Valentina Acca, Gigio Morra, Maria Luisa Santella, Eduardo Scarpetta, Lucia Ragni    
location: Belgio, Francia
voto: 6 

"Mi chiamo Pericle e faccio il culo alla gente". Letteralmente. Inizia così il terzo film di Stefano Mordini (Provincia meccanica, Acciaio), liberamente ispirato al romanzo di Giuseppe Ferrandino, best seller in Francia e caso editoriale a scoppio ritardato nel nostro Paese. Pericle (Scamarcio) è un trentacinquenne napoletano al soldo di don Luigi (Morra), un camorrista che ha spostato la sua attività criminale in Belgio. Per conto dell'anziano uomo, Pericle stordisce e poi sodomizza le vittime, non importa se uomini o donne, che non si piegano ai voleri di don Luigi. Tanto, a lui, gli si drizza a comando. Succede però che colpisca la donna sbagliata (Santella), sorella di un boss rivale con quale è in corso una tregua precaria. Così Pericle decide fuggire in Francia, a Calais, dove conosce Nastasia (Foïs), madre di due figli, impiegata al banco di un forno. Con lei, Pericle intravede la possibilità di una nuova vita. Ma intanto c'è chi lo sta venendo a cercare.
Il film di Mordini è un noir cupissimo, incentrato su un antieroe solitario che richiama alla memoria tanto il Mimmo (Favino) di Senza nessuna pietà, quanto certi personaggi interpretati da Bogart. Fortissimamente voluto dallo stesso Scamarcio, in veste di produttore nientemeno che con i fratelli Dardenne, Pericle il nero arriva sugli schermi italiani dopo una gestione travagliata: dieci anni prima Francesco Patierno avrebbe dovuto dirigerlo e Pietro Taricone interpretarlo. Nella prova attoriale di Scamarcio - tutta per sottrazione, con tratti animaleschi, sottolineature esistenzialiste e voce off dai credibili filamenti napoletani - c'è tutto l'isolamento di un uomo rimasto precocemente orfano e che non ha mai conosciuto il padre, capace di rapporti unicamente meccanici, come quando si presta saltuariamente per girare dei film porno. Se l'interpretazione dell'attore pugliese è pienamente convincente, la redenzione ad alto prezzo del suo personaggio è davvero troppo romanzata e toglie al film quelle venature di verismo altrimenti ben riconoscibili in un'ambientazione plumbea e astratta.    

domenica 15 maggio 2016

Quattro notti con Anna (Cztery noce z Anna)

anno: 2008       
regia: SKOLIMOWSKI, JERZY  
genere: drammatico  
con Artur Steranko, Kinga Preis, Jerzy Fedorowicz, Redbad Klynstra, Jakub Snochowski, Barbara Kolodziejska, Malgorzata Buczkowska, Anna Lenartowicz, Urszula Bartos-Gesikowska, Anna Szawiel, Marcin Jedrzejewski, Zbigniew Konopka, Judyta Paradzinska-Górska, Witold Wielinski, Wieslaw Cichy, Pawel Czajor, Bartosz Golebebiowski, Wojciech Jakus, Ewa Kania, Dariusz Klodowski, Beata Krekiewicz, Ewa Lejdo, Olga Paszkowska, Stanislaw Penksyk, Ewa Piaskowska, Elzbieta Piwek-Józwicka, Pawel Prokopczuk, Adam Tomaszewski, Adam Sikora, Leszek Staron, Natalia Stempowska, Marcin Szczerbic, Michal Switala, Dariusz Wozniak, Maciej Zacharek, Grazyna Zielinska, Aleksandra Zielinska, Mateusz Zielinski, Sebastian Zakowski    
location: Polonia
voto: 6  

Leon Okrasa (Steranko), stupidotto impiegato nel crematorio di un ospedale polacco, assiste accidentalmente allo stupro di Anna (Preis), infermiera che lavora nello stesso ospedale. Incarcerato per un delitto che non ha commesso, Leon comincia a prendersi cura della donna, dopo averla addormentata con dei sonniferi. Per quattro notti si introduce nella casa di Anna, le rammenda i vestiti, le lava le stoviglie, le ripara un orologio a cucù e le regala anche un anello di diamanti acquistato con i soldi della liquidazione. Nonostante ciò, per lui i guai giudiziari continuano.
Raccontata così, sembrerebbe una trama lineare su un amore oblativo sofferto e venato di voyeurismo. Si tratta in realtà, come è nello spirito innovativo e iconoclasta di Jerzy Skolimovski, il regista del film, di un'opera che - pur avendo un solo piano narrativo - è completamente destrutturata. Il racconto assembla momenti diversissimi della vicenda, che si compone a poco a poco nella mente dello spettatore, in una ridda di simbolismi (la carogna di una mucca che scorre sulla superficie del fiume) e trovate ai limiti del grottesco (le continue scivolate dello stupefacente protagonista). Il film che segna il ritorno di Skolimoski dietro la macchina da presa (il precedente, Thirty door key, era datato 1991) è un'opera scarna, provocatoria, dall'incedere assai lento, parente non troppo lontana di Ferro 3, il film che il coreano Kim Ki-Duk aveva girato 4 anni prima.    

venerdì 13 maggio 2016

Effetto Lucifero (The Stanford prison experiment)

anno: 2015   
regia: ALVAREZ, KYLE PATRICK  
genere: drammatico  
con Billy Crudup, Michael Angarano, Moises Arias, Nicholad Braun, Gaius Charles, Keir Gilchrist, Ki Hong Lee, Thomas Mann, Ezra Miller, Logan Miller, Tye Sheridan, Johnny Simmons, James Wolk, Olivia Thirlby, Nelsan Ellis, Matt Bennett, Jesse Carere, Brett Davern, James Frencheville, Miles Heizer, Jack Kilmer, Callan McAuliffe, Benedict Samuel, Chris Sheffield, Harrison Thomas    
location: Usa
voto: 4  

Nell'agosto del 1971 il professor Philip Zimbardo (interpretato da un Billy Cudrup conciato da D'Artagnan), psicologo dell'università di Stanford, varò un costosissimo esperimento insieme alla sue equipe: osservare, attraverso l'obiettivo di una telecamera, cosa sarebbe accaduto se un gruppo di ragazzi, tutti studenti medioborghesi poco sopra i vent'anni, fosse stato messo nelle condizioni di trascorrere due settimane secondo le regole della vita carceraria. Reclutati i più equilibrati dopo un lungo casting, pagati 15 dollari al giorno, suddivisi completamente a caso tra secondini e detenuti e costretti all'interno dei sotterranei dell'istituto di psicologia che sia era svuotato d'estate, i ragazzi coinvolti offrirono uno spettacolo sconvolgente. Quelli nel ruolo di secondini, ai quali i detenuti dovevano rivolgersi ossequiosamente con "signor agente penitenziario", fin dal primo giorno cominciarono a comportarsi in maniera sadica. Un detenuto ne soffrì al punto da dover essere allontanato dall'esperimento quasi subito. Nei giorni seguenti gli eventi precipitarono, le umiliazioni si fecero sempre più sconcertanti, le punizioni più severe e si arrivò all'uso della forza fisica. Al sesto giorno, Zimbardo fu costretto a interrompere l'esperimento, anche grazie alla pressione della sua compagna, l'unica donna presente sulla scena, nonché l'unica capace di mostrare un briciolo di umanità.
Uno degli esperimenti psicologici più controversi della storia della disciplina viene portato al cinema per la seconda volta dopo The experiment (2002), del tedesco Oliver Hirschbiegel. E ancora una volta Zimbardo ne esce con il ritratto peggiore di tutti: quello di un uomo capace di perseguire soltanto i propri obiettivi, incapace di empatia (nel film è la fidanzata a ricordarglielo), dittatoriale con i membri della sua equipe, ambiziosissimo. Il punto è proprio questo: che nonostante il film sia diretto con grande padronanza di mezzi, la vicenda viene raccontata in una maniera che rasenta la parodia. Che poi le persone, messe in condizioni opportune, possano trasformarsi in feroci aguzzini, ce lo aveva dimostrato con grande ricchezza di dettagli Erich Fromm in Anatomia della distruttività umana. A quell'analisi lucidissima il film aggiunge un solo, cruciale particolare: quello in cui un collega che intercetta Zimbardo nell'istituto trasformato in prigione, gli domanda: "Scusa, Philip, qual è la variabile indipendente del tuo studio". E quell'altro rimane senza parole. Ecco chi è Philip Zimbardo.    

lunedì 9 maggio 2016

11 minutes

anno: 2015   
regia: SKOLIMOWSKI, JERZY  
genere: drammatico  
con Richard Dormer, Wojciech Mecwaldowski, Paulina Chapko, Andrzej Chyra, Dawid Ogrodnik, Agata Buzek, Piotr Glowacki, Anna Maria Buczek, Jan Nowicki, Lukasz Sikora, Ifi Ude, Mateusz Kosciukiewicz, Grazyna Blecka-Kolska, Janusz Chabior    
location: Polonia
voto: 7,5  

Tra le 17 e le 17:11 a Varsavia succede di tutto: un'attrice si reca in un hotel di lusso per un provino con il regista marpione; suo marito, dopo un eccesso di sonniferi, la cerca disperato; una donna deve partorire ma il compagno ostacola l'operato dei paramedici dell'ambulanza; un professore con qualche scheletro nell'armadio vende hot dog; un pony express con dubbie frequentazioni trasporta droga; un lavavetri si prende una pausa con la sua ragazza guardando film porno; un ragazzetto vuole rapinare il banco dei pegni e una punkabbestia ha dato fuoco alla casa di un amico. Con un effetto farfalla, tutte le storie si intrecceranno in un finale esplosivo.
Skolimowski, classe 1938, si conferma regista modernissimo, audace, capace di costruire un racconto a incastri fittissimo di eventi, tutti costretti in un arco temporale ridottissimo. Dall'uso delle prime sequenze girate con lo smartphone ai ralenty finali, il regista polacco dimostra di avere classe da vendere, di padroneggiare a perfezione tutte le fasi della regia e di sapersi avvalere di un montaggio superlativo. Peccato che il finale, pur nel suo clamore, lasci scoperta qualche traccia narrativa e che il gioco di rimandi sibillini della macchia nel cielo avvistata da tutti i personaggi sia un po' fine a sé stesso.    

domenica 1 maggio 2016

Il campo (El campo)

anno: 2011       
regia: BELON, HERNAN   
genere: drammatico   
con Leonardo Sbaraglia, Dolores Fonzi, Matilda Manzano, Pochi Ducasse, Juan Villegas   
location: Argentina
voto: 4   

Santiago (Sbaraglia) si trasferisce con moglie (Fonzi) e figlia (Manzano) in una casa nella campagna argentina. L'idillio familiare sembra spezzarsi quando la donna mostra segnali di irrequietezza e disagio rispetto a un'abitazione che non le piace, con molti rumori sospetti e presenze inopportune e invadenti di strani vicini. La coppia rischia così di sfaldarsi.
Opera prima di Hernan Belon con una sola idea, quella di mostrare il subbuglio interiore della protagonista attraverso i fantasmatici rumori d'ambiente. Lo svolgimento è opaco e sibillino, la messa in scena povera e la pista horror accennata svogliatamente e del tutto irrisolta. A questo si aggiunge un doppiaggio italiano ai limiti del dilettantistico.