sabato 30 novembre 2013

Don Jon

anno: 2013       
regia: GORDON-LEVITT, JOSEPH
genere: commedia
con Joseph Gordon-Levitt, Scarlett Johansson, Julianne Moore, Tony Danza, Glenne Headly, Brie Larson, Rob Brown, Jeremy Luke, Paul Ben-Victor, Italia Ricci, Lindsey Broad, Amanda Perez, Sarah Dumont, Sloane Avery, Loanne Bishop, Arin Babaian, Arielle Reitsma, Rizwan Manji, Eva Mah, Nina Agdal, Jason Burnham, Johnny Ferrara, Tiffany Pulvino, Olia Voronkova, Sonnie Brown, Antoinette Kalaj, Arayna Eison, Becky O'Donohue, Elena Kim, Tanya Mityushina, Craig Marks, Anne Hathaway, Channing Tatum, Meagan Good, Cuba Gooding Jr.
location: Usa
voto: 3,5

Lui si chiama Jon, ma è tale l'attitudine a conquistare le donne che gli amici, davanti al nome, gli hanno affibbiato un Don, proprio come Don Giovanni, per dire. Eppure non è quella con il gentil sesso la sua attività preferita, per dire: la masturbazione davanti a un bel porno non ha pari. Tanto poi la domenica, in chiesa, passano tutti i sensi di colpa con una bella ripulita nel confessionale, per dire. Le cose sembrano cambiare quando Jon incontra uno schianto di ragazza (per lui: questione di gusti personali, per dire) che però si rivela presto una bacchettona moralista che nemmeno glielo prende in bocca (così stanno pari: a lui non piace il cunnilingus. Contenti loro, per dire). Tornano le vecchie abitudini, tra amici, serate in discoteca, palestra e un corso dove conosce una cougar che forse sarà davvero la svolta della sua vita, per dire.
Nei primi dieci minuti scoppiettanti sembra che Joseph Gordon-Leavitt (già protagonista, da attore, di film come Mysterious skin, 500 Giorni insieme, Senza freni e Looper) possieda davvero la scintilla vincente anche dietro la macchina da presa. Il film invece si sdilinquisce in una seconda parte con tanto di pistolotto sul "perdersi nell'altro" che sembra voler bilanciare l'assenza di moralismi della prima parte del film, a conferma che - da Soffocare e Shame fino al coevo The canyons - il cinema fatica a trovare una chiave adeguata per parlare di sex addiction. Per dire.    

venerdì 29 novembre 2013

Come il vento

anno: 2013       
regia: PUCCIONI, MARCO SIMON 
genere: biografico 
con Valeria Golino, Filippo Timi, Francesco Scianna, Chiara Caselli, Marcello Mazzarella, Salvio Simeoli, Francesco Acquaroli, Rosa Pianeta, Domenico Balsamo, Vanni Bramati, Vanni Fois, Enrico Silvestrin, Pascal Zullino, Alex Pascoli 
location: Italia
voto: 5,5

Armida Miserere (incredibile assemblaggio di nome e cognome!) è stata una delle prime donne italiane a dirigere le carceri. Accadeva in anni difficilissimi, quelli dello Stato che, accordo più accordo meno (vedi i casi di Mancino e Napolitano), trattava con la Mafia. Gli anni del 41 bis, delle minacce ripetute alla magistratura, alla politica, agli uomini e alle donne di Stato, a Falcone e a Borsellino. Il film di Marco Simon Puccioni ci offre un altro, intensissimo ritratto femminile dopo quello doppio di Riparo, grazie all'interpretazione di una Valerio Golino sempre in parte, "femmina bestia", come la chiamavano da dietro le sbarre, donna in mimetica che dopo la barbara uccisione del suo amatissimo compagno, l'educatore Umberto Mormile (Timi), iniziò a caracollare per le carceri più difficili d'Italia: Pianosa, l'Ucciardone, Sulmona, Lodi. Sempre sola, senza amore, senza alcuna possibilità di poter colmare quel vuoto enorme lasciato dalla morte di Umberto, neppure col surrogato di due pastori tedeschi, anch'essi barbaramente trucidati dalla mafia.
Come il vento, a partire dalla banalità del titolo (uno di quelli destinati a essere subito dimenticati), è una mezza occasione persa: non solo perché la Storia rimane tropo spesso dietro le quinte, col copione che preferisce concentrarsi sulla parabola umana della protagonista, ma anche perché manifesta un'idea un po' troppo scarna e macchinosa di regia, con una sceneggiatura che ripete lo stesso schema dello spostamento della protagonista da un posto all'altro senza riuscire ad aggiungere tasselli determinanti.    

martedì 26 novembre 2013

Il passato - Le passé

anno: 2013       
regia: FARHADI, ASGHAR 
genere: drammatico 
con Bérénice Bejo, Tahar Rahim, Ali Mosaffa, Pauline Burlet, Elyes Aguis, Jeanne Jestin, Sabrina Ouazani, Babak Karimi, Valeria Cavalli, Aleksandra Klebanska, Jean-Michel Simonet, Pierre Guerder, Anne-Marion de Cayeux, Eléonora Marino, Jonathan Devred, Sylviane Fraval 
location: Francia
voto: 5,5

Lei (Bejo, premiata a Cannes per la migliore interpretazione femminile) è una virago isterica che non riesce a tenersi un uomo neppure mettendolo in naftalina. Lui (Mosaffa) è un suo ex, uomo posato e salomonico, iraniano, tornato in Francia per firmare le carte del divorzio. L'altro (Rahim), prossimo a nuove nozze con lei, ha la ex moglie in coma da 8 mesi dopo avere tentato il suicidio. L'intera vicenda, con figli di diverse età che convivono tutti sotto lo stesso tetto ma che non hanno in comune nessun genitore, ruota attorno alle ragioni che hanno spinto la ex moglie dell'altro al suicidio.
Asghar Farhadi conserva intatto lo sfondo di Una separazione, costruendo un apologo sul tema della verità con la forma di un thriller psicologico. Se da una parte il film si fa apprezzare per la ricchezza delle sfumature, il piglio verista e il simbolismo dei ripetuti richiami andati persi, dall'altra inciampa negli stessi difetti dell'opera precedente: quelli di un eccesso di verbosità, di dettaglio, di eccesso di scrittura, che lasciano su Il passato un'impronta fredda, cerebrale, a dispetto della delicatezza del tema e della climax emotiva di alcune scene.    

mercoledì 20 novembre 2013

Venere in pelliccia (La Vénus à la fourrure)

anno: 2013       
regia: POLANSKI, ROMAN
genere: drammatico
con Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric
location: Francia
voto: 3,5

Esistono delle persone così semplici e così povere di spirito, che magari hanno anche provato a leggere Derrida e Foucault (senza ovviamente capirci nulla), ma che non sono e non saranno mai in grado di apprezzare certe sofisticherie. Ecco: io sono tra queste persone. Il Polanski di Venere in pelliccia parte da un mix tra il testo teatrale di David Ives e quello letterario di Leopold von Sacher-Masoch (dal suo cognome l'usatissimo aggettivo "masochista"), per approdare a una vita di mezzo tra Luna di fiele e Carnage.
L'ambientazione teatrale non potrebbe essere più esplicita e l'intera azione si svolge in unità di luogo e di tempo: alle audizioni per reclutare l'attrice che dovrà interpretare il ruolo di Vanda si presenta, con enorme ritardo, una donna sboccata e apparentemente rozza (Seigner). Sulle prime il regista (Amalric) non vuole saperne, ma non fa a tempo a concederle una battuta che è costretto a ravvedersi: la donna che ha dinanzi è del tutto diversa da come appare. E così ne viene sedotto, fino a quando il gioco sadomasochistico di potere non si rovescia completamente.
A Polanski non si può riconoscere il merito di continuare a lanciare continue sfide, né quello di avere concepito un copione in cui il gioco di specchi tra testo recitato nella finzione della finzione e realtà si estende in un ribaltamento continuo. Sicché l'operazione manderà in solluchero gli amanti di raffinatezze cresciuti a pane e opere di von Kleist, gli estimatori del teatro di parola che si baloccano con apologhi prefreudiani, ma lascerà molto più perplesso chi in un film, pur girato arditamente con una sola macchina da presa, cerca anche un po' di pathos. Senza contare che la coppia Seigner-Amalric (ancora insieme dopo Lo scafandro e la farfalla) non è affatto all'altezza del compito.    

lunedì 18 novembre 2013

The Canyons

anno: 2013       
regia: SCHRADER, PAUL
genere: drammatico
con James Deen, Lindsay Lohan, Nolan Gerard Funk, Amanda Brooks, Tenille Houston, Gus Van Sant, Jarod Einsohn, Chris Zeischegg, Victor of Aquitaine, Jim Boeven, Philip Pavel, Lily Labeau, Thomas Trussell, Alex Ashbaugh, Chris Schellenger, Lauren Schacher, Diana Gitelman, Andres De La Fuente
location: Usa
voto: 5

Dalla mente di due iconoclasti per vocazione, Paul Schrader (sue, per esempio, le sceneggiature di Taxi driver e Toro scatenato nonché le regie di Adam resurrected e American gigolò) e Bret Easton Ellis (che al cinema aveva già dato, tra gli altri, il mediocre American psycho) non poteva che scaturire un film nel quale la morbosità dei legami viene data in pasto un tanto al chilo all'occhio dello spettatore.
La vicenda mette in scena cinque personaggi losangelini e ruota attorno alla produzione di un b-movie. C'è Chris (Deen), produttore erotomane e psicopatico, ricchissimo (impressionante l'arredo dell'abitazione upper class nella quale è ambientato gran parte del film); Tara (Lohan), la sua fidanzata con un passato difficile e un presente da arrampicatrice sociale; Ryan (Funk), un ragazzetto senza arte ma che spera almeno nella parte da avere nel film e Gina (Brooks), la sua fidanzata. Ai quattro si aggiunge una vecchia fiamma del produttore (Houston), con la quale quest'ultimo continua a intessere una relazione. Il vero problema è che Tara e Ryan sono tornati ad essere amanti dopo essere stati insieme quando non avevano un quattrino. Chris fiuta la faccenda e fa di tutto per scoprire l'inghippo, manipolando a piacere chiunque gli capiti a tiro e dando fondo al suo sadismo macabro.
In The canyons ritroviamo molti dei topoi cari al regista: la società in disfacimento (Lo spacciatore), i triangoli amorosi (Cortesie per gli ospiti), il sesso mercenario (Hardcore e American gigolò), il tramonto di Hollywood. In questo strano film sui temi del tradimento, della gelosia e delle ossessioni tecnologiche (la televisione serve ormai per leggere la chat di What'sapp), però, non si capisce la scelta del casting, con i ruoli di protagonisti affidati a James Deen e Lindsay Lohan. Il primo è un attore abituato - passatemi il francesismo - a una recitazione del cazzo, visto che è una star del porno e la sua espressività non è maggiore di quella che potete osservare sui banchi di un qualsiasi mercato ittico. La seconda è una ragazzina viziata, nota più per le sue continue incursioni sulle pagine della cronaca nera che per il suo talento da attrice, sfruttato al massimo per opere seminali come Scary movie 5. L'unica spiegazione possibile è che il regista abbia voluto ulteriormente sottolineare il crollo di Hollywood (le immagini di apertura fotografano vecchi cinema losangelini che hanno definitivamente abbassato le saracinesche) con una scelta volutamente bizzarra, che enfatizza il messaggio in termini metasimbolici.    

domenica 17 novembre 2013

L'ultima ruota del carro

anno: 2013       
regia: VERONESI, GIOVANNI
genere: commedia
con Elio Germano, Alessandra Mastronardi, Ricky Memphis, Sergio Rubini, Virginia Raffaele, Alessandro Haber, Francesca Antonelli, Maurizio Battista, Francesca d'Aloja, Elena Di Cioccio, Luis Molteni, Ubaldo Pantani, Dalila Di Lazzaro, Massimo Wertmüller, Francesca De Martini, Francesco Formichetti, Matilda Anna Ingrid Lutz, Marina Perini
location: Italia
voto: 7,5

All'ideale galleria di Vite di uomini non illustri, fulminante raccolta di biografie inventate, scritta da Giuseppe Pontiggia, e dalla quale Monicelli nel 1995 trasse Facciamo paradiso, si potrebbe aggiungere quella di Ernesto Marchetti. Con una differenza, però: che Ernesto Marchetti, pur facendo Fioretti di cognome, esiste davvero ed è stato per anni il tuttofare e l'autista di Carlo Verdone (lo si può vedere in Carlo!, il documentario dedicato al regista romano).
L'ultima ruota del carro è la storia di un italiano qualsiasi, nella migliore tradizione degna di Sordi, che attraversa quarant'anni di vita del Belpaese con indefessa dignità e grande onestà. Dotato di scarsissimo talento per la scuola e il pallone, figlio di un tappezziere romano (impersonato da un Massimo Wertmuller che ci regala un cammeo di sorprendente bravura), Ernesto comincia a lavorare nella ditta paterna, per poi passare a fare il cuoco, il trasportatore e qualche lavoro dietro al quale c'è costantemente lo zampino di Giacinto (Memphis), l'amico di sempre, l'impiccione che nel calcio non passa mai la palla, traffica col PSI craxiano e si entusiasma per Berlusconi. Ma la loro amicizia, come quella con il pittore Schifano (il cui nome non viene mai esplicitato nel film e che è interpretato con impressionante somiglianza da Alessandro Haber) o l'amore per la moglie Angela (Mastronardi) durerà una vita intera.
Infaticabile frequentatore del cinema popolare con qualche velleità di analisi sociale (Genitori e figli, Italians), Veronesi firma il suo film più riuscito, nel quale la vicenda personale di un uomo si incrocia con quella collettiva di un Paese (l'omicidio di Moro, la nazionale che vince i mondiali dell'82, la contestazione del Raphael, l'ascesa in politica dell'uomo di Arcore) con parecchi stereotipi ma anche battute intelligenti che colgono nel segno. Gran parte del merito va all'interpretazione da standing ovation di Elio Germano, che aggiunge l'ennesima prova da mattatore a un curriculum di tutto rispetto (La nostra vita, Il mattino ha l'oro in bocca, Il passato è una terra straniera, Mio fratello è figlio unico).    

sabato 16 novembre 2013

Jobs

anno: 2013       
regia: STERN, JOSHUA MICHAEL
genere: biografico
con Ashton Kutcher, Dermot Mulroney, Josh Gad, Lukas Haas, Matthew Modine, J.K. Simmons, Lesley Ann Warren, Ron Eldard, Ahna O'Reilly, Victor Rasuk, John Getz, Kevin Dunn, James Woods, Nelson Franklin, Eddie Hassell, Elden Henson, Lenny Jacobson, Brett Gelman, Brad William Henke, Giles Matthey, Robert Pine, Clint Jung, David Denman, Masi Oka, Abby Brammell, Annika Bertea, Paul Baretto, Amanda Crew, Samm Levine, Cody Chappel, Joel Murray, William Mapother, Scott Krinsky, Evan Helmuth, Laura Niemi, Jim Turner, Clayton Rohner, Rachel Rosenstein, Christopher Curry, Mark Kassen, Dan Shaked, Duncan Bravo, Kent Shocknek, Aaron Kuban, Olivia Jordan
location: India, Usa
voto: 3,5

Biopic istantanea dedicata a Steve Jobs, morto di cancro nel 2011, il parassita fatto passare per guru dell'informatica (ne capiva quanto ne capisco io di epigrafia greca), le cui massime, del tipo "non perdete tempo a vivere la vita di qualcun altro. Siate affamati, siate folli", sono la quintessenza della banalità, utili da dare in pasto a folle assetate di chiacchiere a buon mercato. Il film di Joshua Stern racconta la traiettoria esistenziale di Jobs, dai primi passi, nei primi anni '70, compiuti nel garage di casa adibito a laboratorio, dove il sedicente guru mostrava già ampie capacità di sfruttamento del talento altrui, fino alla fondazione della Apple, il lancio del Macintosh, i pc portatili, la controversia legale con Microsoft, l'allotanamento e il ritorno nella stessa Apple (quando il timone aziendale venne preso da Sculley) e l'invenzione dell'ipod.
Al di là dell'inconsistenza puramente cinematografica, che avvicina il film a uno sceneggiato televisivo, con un attore scelto esclusivamente sulla base della somiglianza ma con nessun talento (Ashton Kutcher, già protagonista di narcolettiche commedie sentimentali come Indovina chi?), Jobs coniuga cerchiobottismo e operazione smaccatamente commerciale (l'uscita a ridosso della morte dello stesso Jobs, appunto). Ma nell'insistere sulla sua invidiabile determinazione, il film non evita di mostrare anche gli aspetti peggiori del protagonista, dai rapporti turpi che aveva con quasi tutti, alla disinvoltura con cui tradiva gli amici e si comportava nella vita privata.
Steve Jobs è stato l'esponente più deteriore del capitalismo oligopolistico, un fighetto solipsista interessato quasi esclusivamente all'estetica del prodotto, un cinico uomo di marketing ossessionato da quisquilie da miliardari, direi l'uomo dei secondi fini per eccellenza. Per averne una visione meno agiografica di quella che ci è stata propinata dai media dopo la sua dipartita bisognerebbe rileggersi l'articolo che scrisse Odifreddi quando le prefiche della sinistra piansero la scomparsa di quest'uomo che non sarebbe stato degno nemmeno di lucidare le scarpe a uno come Linus Torvalds.    

venerdì 15 novembre 2013

Killer Elite

anno: 2012   
regia: McKENDRY, GARY  
genere: gangster
con Jason Statham, Clive Owen, Robert De Niro, Dominic Purcell, Aden Young, Yvonne Strahovski, Ben Mendelsohn, Adewale Akinnuoye-Agbaje, David Whiteley, Matt Nable, Lachy Hulme, Firass Dirani, Nick Tate, Bille Brown, Stewart Morritt, Grant Bowler, Michael Dorman, Daniel Roberts, Rodney Afif, Jamie McDowell, Dion Mills, Andrew B. Stehlin, Simon Armstrong, Richard Elfyn, Chris Anderson, Brendan Charleson, Sandy Greenwood, Boris Brkic, Riley Evans, Sofia Nikitina, Tim Hughes, Tony Porter, Michael Carman, Jack Llewellyn, Huw Garmon, Barry Stones, Salim Fayad, Sharbel Sukkar, Melissa Martin, Stephen Phillips, Kristy Barnes-Cullen, Kate Neilson, Ray Tiernan, Zane Dirani, Mohamed Dirani, Michael Dirani, Emily Jordan, Grahame Mapp, Sue Mapp, Blake O'Leary, Cody Faull  
location: Francia, Oman, Regno Unito
voto: 5

Negli anni '80 alcuni infiltrati dello Special Air Service britannico, in cambio della liberazione di uno di loro (De Niro), si assumono il compito di assassinare i tre killer che hanno ucciso i figli di uno sceicco dell'Oman. In palio ci sono anche tantissimi soldi ma l'operazione, tra doppiogiochisti, incidenti casuali e carattere degli avversari, è molto più difficile del previsto.
Tratto da una storia vera raccontata nella autobiografia di Ranulph Fiennes, il film dell'esordiente Gary McKendry è un blockbuster che centrifuga alla bell'e meglio gli ingredienti del film di genere: De Niro si limita a una marchetta che fa da specchietto per le allodole, la sceneggiatura è a dir poco confusa ma quello che conta, più delle idee, sono i muscoli. Ecco perché il vero ruolo da protagonista spetta a Jason Statham, il quale fornisce il meglio delle sue capacità espressive quando indossa un casco integrale fumé. Sparatorie, arti marziali, scazzottate a gogo: è il menù offerto dalla casa, un sapore sentito mille altre volte, ma il divertimento è assicurato.    

domenica 10 novembre 2013

Il caso Kerenes (Pozitia copilului)

anno: 2013       
regia: NETZER, CALIN  
genere: drammatico  
con Luminita Gheorghiu, Bogdan Dumitrache, Natasa Raab, Ilinca Goia, Florin Zamfirescu, Vlad Ivanov, Mimi Branescu, Cerasela Iosifescu, Adrian Titieni, Tania Popa, Isfan Alexandru  
location: Romania
voto: 5

Nei pressi di Bucarest, un uomo sulla quarantina col piede un po' troppo spinto sull'acceleratore (Dumitrache), durante un sorpasso investe un quattordicenne e lo uccide sul colpo. Sua madre (Gheorghiu), che può contare su amicizie influenti, unge a suon di mazzette tutto quanto le è possibile per rendere più fluida l'uscita di suo figlio dall'accusa di omicidio colposo che lo condurrebbe dritto in prigione.
"I genitori si realizzano attraverso i figli":  il senso del film sta tutto in questa frase. Il rapporto tra madre e figlio sotto il segno di Edipo è la sineddoche di una società postcomunista in disfacimento, il simbolo della rivolta silenziosa dei figli contro i genitori e di una aristocrazia corrotta e corruttrice che si è fatta elite al potere rimpiazzando quella di partito. Il cast serve in maniera eccellente il copione, il verismo della messa in scena viene sottolineato dalla macchina a spalla e dai lunghissimi dialoghi e il confronto tra vittime e carnefici volge verso un finale catartico.
Orso d'oro e premio Fipresci al 63esimo festival di Berlino (2013).    

mercoledì 6 novembre 2013

Gloria

anno: 2012       
regia: LELIO, SEBASTIAN 
genere: drammatico 
con Paulina Garcia, Sergio Hernández, Coca Guazzini, Antonia Santa María, Diego Fontecilla, Fabiola Zamora 
location: Cile
voto: 3,5

La 52enne cilena Gloria (Garcia) è separata da tempo, ha due figli grandi e conduce un'esistenza solitaria tra il lavoro diurno e i locali notturni presso i quali spera di poter trovare un'anima gemella e vivere una seconda giovinezza. L'occasione sembra arrivare con Rodolfo (Hernández), uomo che ha superato da qualche tempo la sessantina e anch'egli separato e padre. L'inquietudine di lei si riversa sui fremiti di lui, che reagisce puntualmente nella maniera "sbagliata" (ma le due situazioni chiave del film si offrono come interessantissimi test proiettivi per lo spettatore). E allora per Gloria il ciclo ricomincia…
Lo stile tipico del cinema indipendente e pauperistico, le ambientazioni da ceto medio, il richiamo (involontario?) anche nel titolo a quel manifesto del cinema indie americano che fu il film di Cassavetes e, al tempo stesso, alla canzone ultrapop di Umberto Tozzi che sbancò anche in Sudamerica, rivelano subito gli intenti del regista cileno: quelli di costruire un'opera situazionista, nella quale la trama esilissima lascia quasi completamente lo spazio alla complessa psicologia della protagonista. Nonostante la notevole prova di Paulina Garcia, premiata con l'orso d'argento per la migliore attrice e che ricorda moltissimo la Tootsie di Dusty Hoffman, il film finisce per avvilupparsi in un loop continuo e le due ore di durata alla lunga stancano.    

lunedì 4 novembre 2013

Prisoners

anno: 2013       
regia: VILLENEUVE, DENIS
genere: giallo
con Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Viola Davis, Maria Bello, Terrence Howard, Melissa Leo, Paul Dano, Dylan Minnette, Zoe Borde, Erin Gerasimovich, Kyla Drew Simmons, Wayne Duvall, Len Cariou, David Dastmalchian, Brad James, Anthony Reynolds, Robert C. Treveiler, Sandra Ellis Lafferty, Victoria Staley, Todd Truley, Brian Daye, Alisa Harris, Robert Mello, Jeff Pope, Rodrick Goins, Mark Drum, Lana Yoo, Pam Smith, Gloria Webber, Michelle Keller, John Atwood, Stacy Melich, J. Omar Castro, Jane McNeill
location: Usa
voto: 7,5

Un borghese piccolo piccolo, ma proprio piccolo piccolo (Jackman), è l'uomo che, nella sequenza iniziale del film, fa ciondolare una croce dallo specchietto retrovisore della sua auto e rivolge una preghiera a Dio prima che suo figlio abbatta un cervo con un fucile da caccia. Ed è lo stesso uomo che, dopo la sparizione di sua figlia insieme a un'amichetta nel giorno del Ringraziamento, in Pennsylviania, prende in ostaggio un giovane ritardato (Dano) - creduto colpevole, ma rilasciato dalla polizia per assenza di prove - e lo sottopone a ogni genere di torture, nella convinzione che sappia qualcosa sulla sparizione delle due bambine. Sul caso indaga un poliziotto dal fiuto infallibile e dalla pervicacia invidiabile (Gyllenhaal), uno al quale piace far tornare i conti a costo di alzare la voce con i suoi superiori. Sulla trama, peraltro fittissima e densa di colpi di scena, non diremo di più, se non che la vicenda colorata di giallo mette in campo più di un possibile sospetto dal passato torbido e dal presente tutt'altro che cristallino.
Come già nel precedente, riuscitissimo La donna che canta, Villeneuve (al quale è stata affidata la regia in terza battuta, dopo le rinunce di Bryan Singer e Antoine Fuqua), si conferma regista attento alle tensioni familiari. La morsa del tempo si stringe su tutti i personaggi del film costringendoli spesso, colpevoli o innocenti che siano, a imboccare strade estreme tanto in termini di autolesionismo quanto di eterolesionismo. Ecco allora aggallare le paure di una società di provincia sempre più smarrita, costretta a un continuo appello all'ignoto (dalla religione agli psicofarmaci) pur di mantenere integro il poco che rimane.
Confezione impeccabile, sceneggiatura ferrea. Di questo notevole thriller che sta tra Cane di Paglia, Mystic river e il già citato film di Monicelli, gli unici nei sono Hugh Jackman, davvero troppo imbalsamato, e il prologo che, con qualche taglio opportuno, avrebbe permesso di contenere le due ore e mezza di durata.    

domenica 3 novembre 2013

Il sol dell'avvenire

anno: 2008       
regia: PANNONE, GIANFRANCO 
genere: documentario 
con Alberto Franceschini, Tonino Loris Paroli, Roberto Ognibene, Annibale Viappiani, Paolo Rozzi, Corrado Corghi, Adelmo Cervi, Peppino Catellani 
location: Italia
voto: 5

Partendo dalle pagine di un libro scritto a quattro mani con il giornalista Giovanni Fasanella (pubblicato da Chiarelettere), il regista Gianfranco Pannone travasa le testimonianze ottenute in merito ai primi vagiti delle Brigate Rosse in un documentario che mira soprattutto a ricostruire la vicenda di quello che, genericamente, veniva indicato come "l'appartamento". Si tratta dell'abitazione di Reggio Emilia - città medaglia d'oro per la Resistenza, sempre guidata da giunte rosse e dove il PCI raccoglieva i tre quarti dei voti - presso la quale, alla fine degli anni Sessanta, si riunivano Alberto Franceschini e gli altri futuri membri delle BR.
Il documentario che ricostruisce quell'epoca è tanto accattivante sulla carta, quanto abborracciato nella realizzazione: brandelli di interviste, ampie riprese di conversazioni in trattoria tra "reduci", qualche foto d'archivio costituiscono il repertorio pauperistico al quale attinge il documentario. Un vero peccato che la confezione sia tanto svogliata, giacché gli spunti per una riflessione non banale non mancherebbero: dal sogno tradito della Resistenza, passando per i cinque morti provocati dal governo Tambroni, quando il MSI entrò nel governo, fino a questioni cruciali come quella della distinzione - tutt'altro che sottile - tra lotta armata e terrorismo, l'antagonismo tra sinistra radicale e Partito Comunista e il ruolo fondamentale giocato dalle cooperative rosse, che fin dagli anni '60 costituivano la più radicata ragione di tentativo di attracco al governo da cui sarebbe poi derivato il compromesso storico. Gli autori non fanno mistero della loro posizione e il documentario si chiude, non a caso, con la voce deformata di uno dei tanti che non hanno voluto offrire la loro testimonianza. Che, dunque, viene demandata soltanto a chi nel frattempo si è dissociato.