domenica 30 luglio 2017

Parola di Dio (Uchenik)

anno: 2016       
regia: SEREBRENNIKOV, KIRILL  
genere: drammatico  
con Petr Skvortsov, Aleksandr Gorchilin, Aleksandra Revenko, Viktoriya Isakova, Julia Aug, Svetlana Bragarnik, Anton Vasiliev, Irina Rudnitskaya    
location: Russia
voto: 5  

Il radicalismo cristiano si esprime attraverso la bocca di Veniamin (Skvortsov), adolescente inquieto e sociopatico che dà filo da torcere alla madre (Aug) e agli insegnanti. Convinto che nella Bibbia siano riportate le verità che devono guidare la condotta dell'uomo, Veniamin parla per versetti e citazioni, è omofobo, sessuofobo, xenofobo e antisemita, distrugge una stanza della casa e cerca di fare proseliti con la persona sbagliata, un ragazzo sciancato dalle chiare tendenze omosessuali (Gorchilin). A sfidarlo sul suo stesso terreno, a colpi di versetti biblici, c'è l'unico personaggio assennato del film, un'insegnante di biologia (Revenko) disposta a giocarsi una relazione e il posto di lavoro pur di far capire al giovane che si sta soltanto ingozzando di idiozie.
Da un'idea di partenza originale e molto "scritta" (un egregio lavoro in sede di sceneggiatura, concepito a partire dall'opera teatrale di Marius von Mayenburg, riesce a cucire tra loro i versetti biblici fino a farne oggetto di autentiche logomachie), si arriva a una realizzazione loffia, bozzettistica, con personaggi caricaturali se non monodimensionali che schiacciano la ragionevolissima tesi filmica (il radicalismo religioso è esiziale comunque lo si coniughi) su un registro involontariamente grottesco, scritto con superficialità da un regista che - a colpi di pianisequenza - dimostra una grande padronanza tecnica ma una capacità di scrittura infantile, a dispetto della mezza età raggiunta.    

mercoledì 26 luglio 2017

The War - Il pianeta delle scimmie (War for the Planet of the Apes)

anno: 2017       
regia: REEVES, MATT  
genere: fantascienza  
con Andy Serkis, Woody Harrelson, Steve Zahn, Terry Notary, Amiah Miller, Karin Konoval, Gabriel Chavarria, Judy Greer, Ty Olsson, Aleks Paunovic, Max Lloyd-Jones, Chad Rook, Michael Adamthwaite, Alessandro Juliani, Tim Webber, Devyn Dalton, Dean Redman, Mercedes de la Zerda, James Pizzinato, Toby Kebbell    
location: Usa
voto: 6  

Indiani contro cowboys, Davide contro Golia: come in questi due casi, giunta al terzo prequel, la saga del pianeta delle scimmie vede contrapposti i mammiferi pelosi e pacifici, guidati da Cesare (interpretato in motion capture da Andy Serkis), e il colonnello McCullough (Harrelson), un pazzo furioso che li vuole sterminare. Ma dal Nord del paese (siamo in territorio americano) stanno arrivando presunti rinforzi, che invece trasformeranno lo scontro tra scimmie e uomini in una lotta fratricida tra questi ultimi.
Diretto, come nel precedente Apes revolution, da Matt Reeves, questo reboot gioca su una simbologia alquanto semplice (il colonnello è un novello führer e le scimmie sono rinchiuse in autentici lager), allungando la trama con qualche personaggio di contorno inessenziale, ma finalizzato a conferire pennellate di originalità a questo lungo episodio (ben oltre le due ore di durata): una bambina orfana e muta (Miller) e una scimmia un po' folle (Zahn) che garantisce al film un tocco naïf. Ma in questa occasione, pur rimanendo nel novero di un cinema di genere comunque dignitosissimo, è la trama a difettare, puntando su una sorta di revenge movie (Cesare vorrebbe uccidere il colonnello che gli ha ammazzato moglie e figlio maggiore) con scorci onirici (il ricordo della scimmia rivale Koba), simbolismi palmari (quello biblico riferito a Mosè), citazioni cinefile (Apocalypse now) e inevitabili scene di inseguimento. Nell'attesa del quarto prequel, che - c'è da scommetterci - punterà sulla figura di Cornelius, il figlio di Cesare.    

martedì 25 luglio 2017

Frantz

anno: 2016       
regia: OZON, FRANÇOIS
genere: drammatico
con Pierre Niney, Paula Beer, Ernst Stötzner, Marie Gruber, Yohann von Bülow, Anton von Lucke, Cyrielle Clair, Alice de Lencquesaing    
location: Francia, Germania
voto: 5

Chi è stato a uccidere Frantz (von Lucke), ragazzo poco più che ventenne, sacrificato da padri miopi in una guerra assurda e fratricida come il primo conflitto mondiale? Se lo domanda insistentemente Hans Hoffmeister (Stötzner), genitore tedesco con enormi sensi di colpa, avverso a qualsiasi francese che potrebbe essere il potenziale assassino di suo figlio. Quando a casa sua arriva Adrien (Niney), ex militare francese, Hans lo accoglie malissimo, salvo poi ricostruire attraverso i racconti del ragazzo, che sembra fosse diventato molto amico di Frantz durante l'esperienza di quest'ultimo a Parigi, l'ultimo tratto di vita di suo figlio, promesso sposo di Anna (Paula Beer, premiata a Venezia come attrice emergente), una giovane orfana rimasta ad abitare con i futuri, possibili suoceri. La verità è un'altra e proprio Anna saprà custodirla caparbiamente fino all'ultimo.
Avrebbe potuto essere un riuscitissimo apologo sul tema del perdono il quindicesimo film di François Ozon, prolificisissmo regista transalpino, e invece il lavoro ispirato a un testo teatrale di Maurice Rostand - girato in un magnifico bianco e nero grazie alla fotografia di Pascal Marti, che alterna una iperdidascalica sintassi a colori soltanto nei momenti in cui vengono evocati i ricordi del passato - ha gli stessi difetti dei precedenti: parte da uno spunto interessante e carico di mistero, ma perde progressivamente il respiro del racconto, si ingarbuglia in un polpettone da romanzo ottocentesco dal ritmo lentissimo che suona falso e manierato, seguendo il filo dell'affannosa ricerca al contrario di Anna nei confronti di Adrien. Ancora una volta, come nell'esordio di Sitcom, troviamo una miscela di elementi come la dialettica tra realtà e finzione, il meccanismo narrativo dell'intruso già visto in Nella casa ma soprattutto un inizio promettente che svapora con l'incedere del racconto, fino a perdere l'aggancio con un tema che strizza l'occhio a Il nastro bianco di Haneke e l'altro a Jules & Jim di Truffaut.    

sabato 22 luglio 2017

Slam - Tutto per una ragazza

anno: 2016       
regia: MOLAIOLI, ANDREA 
genere: commedia 
con Ludovico Tersigni, Barbara Ramella, Jasmine Trinca, Luca Marinelli, Fiorenza Tessari, Pietro Ragusa, Gianluca Broccatelli, Fausto Maria Sciarappa, Tony Hawk, Lidia Vitale    
location: Italia
voto: 2 

Come già con Piuma, ecco che il cinema italiano torna a propinarci l'ennesima variazione sul tema della maternità precoce con risultati, se possibile, ancora più risibili. Siamo a Roma e Samu (il mummificato Tersigni), figlio di una coppia separata che lo ha avuto in età assai precoce, ingravida Alice (Ramella), la sua ragazza, una sedicenne senza arte né parte ma di famiglia agiatissima. Cosa fare o cosa non fare, per il ragazzo sembra una decisione da demandare alla lettura dell'autobiografia di un asso dello skating, Tony Hawk. Le famiglie fanno pressione perché i due giovanissimi rinuncino alla imminente genitorialità, ma Alice non vuole saperne.
C'era una volta Andrea Molaioli, ex aiuto regista di Nanni Moretti, poi promettente esordiente con un noir come La ragazza del lago, destinato prima a inciampare in un film tanto pretenzioso quanto confuso come Il gioiellino per poi precipitare nel vuoto pneumatico di questo lungometraggio scritto con l'alluce sinistro, con personaggi ridotti a macchiette (Lepre, l'amico del protagonista) o, peggio, puramente ornamentali (lo skipper amico della madre di Samu). Per non dire dei dialoghi (adattati dal romanzo di Nick Hornby e scritti a sei mani dal regista con Francesco Bruni e Ludovica Rampoldi), che sembrano essere usciti dalla penna di Benji e Fede, della recitazione ben sotto il livello di guardia e dell'assenza di qualsiasi minimo guizzo di regia, che pure la sponda dello skateboard avrebbe consentito. Unica nota positiva la presenza di Lica Marinelli, che - nei minuti che centellinano la sua presenza nel film - dà lezioni di recitazione e di vis comica ai suoi insipienti colleghi. Ma, nel compresso, il film è paccottiglia da dare in pasto a un pubblico facilone con la scusa della tematica più o meno seria messa in chiave di esiziale commedia.    

giovedì 20 luglio 2017

La meccanica delle ombre (La mecanique de l'ombre)

anno: 2016       
regia: KRUITHOF, THOMAS   
genere: giallo   
con François Cluzet, Denis Podalydès, Sami Bouajila, Simon Abkarian, Alba Rohrwacher, Bruno Georis, Philippe Résimont, Daniel Hanssens    
location: Francia
voto: 5   

Un travet di mezza età scrupoloso e coscienzioso (Cluzet) si trova coinvolto in una vicenda kafkiana più grande di lui. Perso il lavoro e appena rimessosi dalla dipendenza dall'alcol, l'uomo accetta un bizzarro incarico conferitogli da un'eminenza grigia (Podalydès) di cui sa poco o nulla: quello di sbobinare alcune registrazioni di conversazioni telefoniche usando una macchina da scrivere. La vicenda - tra intrusi, polizia e servizi segreti - si complica maledettamente e l'uomo finisce in un vortice che lo rende complice di un omicidio.
Quando il titolo è assai meglio del film: La meccanica delle ombre - film d'esordio del belga Thomas Kruithof - è un polar transalpino con qualche debito nei confronti de La conversazione di Coppola, ma pretenzioso, rarefatto, senza ritmo, con scene d'azione ridotte ai minimi termini, a tutto vantaggio delle ambientazioni essenziali, delle inquadrature geometriche e di una trama volutamente ellittica.    

venerdì 14 luglio 2017

Contrattempo (Contratiempo)

anno: 2016   
regia: PAULO, ORIOL  
genere: giallo  
con Mario Casas, Ana Wagener, José Coronado, Bárbara Lennie, Francesc Orella, Paco Tous, David Selvas, Inigo Gastesi, San Yelamos, Manel Dueso, Cristian Valencia, Betsy Túrnez    
location: Spagna
voto: 8  

Giunto all'apice del successo economico, l'imprenditore Adrian Doria (interpretato con piglio da pesce in salamoia da Mario Casas) rischia di vedere evaporare tutto ciò che ha costruito quando entra nel mirino della giustizia e dell'opinione pubblica in seguito alla misteriosa sparizione di un ragazzo. Un'avvocatessa di rango (Wagener), prossima alla pensione, sembra l'unica in grado di toglierlo dai pasticci, a condizione che l'uomo confessi tutta la verità e non sorvoli sui dettagli. Che, stando alla versione dell'uomo, grosso modo sono questi: fuori dalla consueta residenza barcellonese dove si trovava con la sua amante (Lennie), Adrian avrebbe avuto un incidente nel quale ha perso la vita proprio il ragazzo scomparso. Manipolato e puntino dalla sua amante, l'uomo ne fa sparire il cadavere, salvo doversela poi vedere con i genitori del giovane, poco inclini a credere a una messinscena degna dell'incipit di Psycho.
La piattaforma Netflix è diventata un'alternativa possibile in qualche (raro) caso alla sala cinematografica, come dimostra questo thriller ad altissima tensione, densisissimo nella scrittura (pur con qualche buco di sceneggiatura) e straripante di colpi di scena, tutti ottimamente assestati. Per questa via, il film di Oriol Paulo si propone come un apologo sulla verità di rara intensità narrativa. Protagonista a parte, il film è di quelli da non perdere.    

venerdì 7 luglio 2017

Breve Storia di lunghi tradimenti

anno: 2012       
regia: MARENGO, DAVIDE
genere: drammatico
con Guido Caprino, Carolina Crescentini, Maya Sansa, Flora Martinez, Philippe Leroy, Michele Venitucci, Franco Ravera, Gaetano Bruno, Ennio Fantastichini, Francesco Pannofino, Marina Rocco, Nino Frassica, Paolo Calabresi, Manuela Morabito, Ramsés Ramos, Marcello Mazzarella, Vanessa Villafane, Alice Palazzi, Anna Ammirati    
location: Italia
voto: 4,5

Un avvocato torinese (Caprino) separatosi suo malgrado dalla moglie (Sansa) si trova invischiato in una complicatissima vicenda di crimini finanziari. Al centro di essa c'è la nuova proprietaria di una multinazionale (Crescentini) che traffica con un dittatore sudamericano, ma il vero deus ex machina dell'intera faccenda è un ottantenne fintamente interessato alle energie pulite (Leroy) ma in realtà in combutta con loschi faccendieri che trafficano con le scorie radioattive.
Dopo Notturno bus e Un fidanzato per mia moglie, il regista Davide Marengo dimostra una volta di più di avere idee assai confuse sulla strada da intraprendere. Qui l'asticella delle ambizioni viene issata che più in alto non si potrebbe (sebbene sia notevole, per tecnica di ripresa e montaggio, la scena iniziale ambientata nel 1918), il racconto è a puzzle, alcune figure di contorno sono totalmente fuori registro (quelle di Frassica e Pannofino in primis) e lo standard recitativo è appena sul livello di guardia. Un'occasione persa tanto per l'originalità del tema (che avrebbe potuto costituire la via italiana a film come Margin call o Blood diamond), quanto per la possibilità di cercare una nuova strada al film di genere, che si perde in un'opera a teorema nella quale tutti tradiscono tutti.    

giovedì 6 luglio 2017

Il Padre d'Italia

anno: 2017       
regia: MOLLO, FABIO
genere: drammatico
con Luca Marinelli, Isabella Ragonese, Anna Ferruzzo, Mario Sgueglia, Federica de Cola, Miriam Karlkvist, Esther Elisha, Sara Putignano, Filippo Gattuso, Franca Maresa    
location: Italia
voto: 3

A Torino, Paolo (interpretato con toni di intensa interiorità da un Luca Marinelli agli antipodi con il personaggio di Jeeg Robot) ha da poco concluso una relazione con il suo compagno. Casualmente conosce Mia (Ragonese), una ragazza incinta e borderline che sbarca il lunario come cantante, non ha chiaro chi sia il padre del bambino e non ha una casa. Scusa dopo scusa, la giovane si fa portare prima a Roma, quindi e Napoli e infine in Calabria. I due percorrono l'intero stivale a bordo di un furgone, imparando a conoscersi.
Luca (Marinelli) era gay. Con Il padre d'Italia (col duplice riferimento al nome della piccola nascitura e al territorio solcato sulle quattro ruote) siamo in pieno teorema Povia, proprio come nella canzone: l'omosessualità redenta da un'improvvisa opportunità di paternità e di mettere su famiglia. Se al retroguardismo prospettico si aggiungono l'assoluta pochezza dei dialoghi, l'espediente stra-abusato del road movie (il modello occhieggia quello de Il ladro di bambini di Gianni Amelio) e la gratuità di alcune scelte stilistiche (le scene iniziali tutte inspiegabilmente dominate da cromatismi gialli e blu, dall'Ikea all'ospedale, passando per il tram), emerge tutta la protervia malriposta di questo regista (qui alla sua seconda prova dopo Il sud è niente) che aspira a prendersi la patente di autore pretendendo di confezionare un film che si collochi a metà strada tra Qualcosa di travolgente e Una giornata particolare.    

martedì 4 luglio 2017

Di che segno sei?

anno: 1975       
regia: CORBUCCI, SERGIO   
genere: commedia a episodi   
con Paolo Villaggio, Mariangela Melato, Adriano Celentano, Renato Pozzetto, Giovanna Ralli, Alberto Sordi, Luciano Salce, Ileana Lilli Carati, Massimo Boldi, Marilda Donà, Luigi Gino Pernice, Giuliana Calandra, Jack La Cayenne, Maria Antonietta Beluzzi, Ugo Bologna, Mafalda Berri, Gil Cagne, Shirley Corrigan, Marcello Di Falco, Sofia Dionisio, Angelo Pellegrino, Lucia Alberti    
location: Italia
voto: 4,5   

Negli anni in cui i film a episodi, radunando attori ben noti al grande pubblico, assicuravano consistenti guadagni al botteghino, qualsiasi scusa era buona per licenziare nuovi assemblaggi. Compresi i segni dello zodiaco. I quattro episodi del film diretto con minimo impegno sindacale da Sergio Corbucci si riferiscono ai segni di aria, terra, acqua e fuoco, pur essendo del tutto pretestuosi. Nel primo episodio, a seguito di una diagnosi malposta, un comandante della marina (Villaggio) è ossessionato dall'eventualità di diventare una donna. Nel secondo un artista circense (Celentano), pur di poter partecipare a una gara di ballo in Romagna, uccide la moglie. Nel terzo un muratore (Pozzetto) spera di poter aprire una tabaccheria e finisce con l'amoreggiare con l'amante (Ralli) di un ricco signore (Salce). Nel quarto una guardia del corpo (Sordi), reclutata per poter sventare possibili rapimenti, sconquassa la vita del suo assistito, un "cumenda" brianzolo (Bologna).
Molta acqua di rose e quasi nessuna sostanza se non i cliché con cui i protagonisti replicano figure già viste altrove. Villaggio richiama Fracchia e Fantozzi; Celentano il tamarro fascinoso; Pozzetto la sua comicità stralunata e surreale; ma il più grande è Sordi, che da solo riscatta l'intero polittico riproponendo il Nando Moriconi di Un americano a Roma. Incontenibile mattatore, l'Albertone nazionale si mangia il film (e tutte le altre star) in un solo boccone, con una performance da urlo che fa quasi passare in secondo piano gli intenti meramente commerciali del lungometraggio e la pochezza della scrittura.

sabato 1 luglio 2017

Ninna nanna

anno: 2017       
regia: GERMANI, DARIO * RUSSO, ENZO   
genere: drammatico   
con Francesca Inaudi, Fabrizio Ferracane, Nino Frassica, Massimiliano Buzzanca, Salvatore Misticone, Guia Jelo, Luca Lionello, Maria Rosaria Omaggio    
location: Grecia, Italia, Tunisia
voto: 2   

Per chi non avesse avuto l'occasione di leggere il best seller della sociologa israeliana Orna Donath, Pentirsi di essere madri (Bollati Boringhieri, 2016), il film di Dario Germani ed Enzo Russo, prodotto sotto l'egida di Tonino "egone" Abballe, avrebbe potuto costituire un buon viatico per affrontare il tema della negazione del senso di maternità senza tutte le incrostazioni tabuizzanti che da secoli si porta dietro. Il condizionale è d'obbligo perché il film dei due semiesordienti (proprio con Abballe, Germani aveva girato Quel venerdì 30 dicembre) è uno dei pasticci cinematografici più imbarazzanti che, negli ultimi tempi, ci abbia consegnato il cinema italiano. La vicenda è ambientata in Sicilia, tra Gibellina e Selinunte. Anita (Inaudi) ha appena concepito la piccola Gioia, ma da subito si sente incastrata dal suo ruolo di madre: le attenzioni sono tutte per la neonata, il sesso diventa un ricordo lontano, la bellezza (?) sfiorisce. Che la depressione post-parto sarebbe deflagrata potentemente era chiaro già durante la gravidanza: la sigaretta sempre accesa e il gomito spesso alzato ne erano delle inequivocabili avvisaglie. Da lì a scordarsi la bambina nell'auto rovente, o a lasciare il gas acceso in casa il passo è breve.
Germani e Russo inanellano con infallibile precisione tutti i luoghi comuni del caso, sottolineano con didascalie che sono quasi un'offesa allo spettatore qualunque passaggio diegetico e infarciscono la trama con un rivolo narrativo sull'integrazione degli immigrati che diventa una zona filmica a sé stante, completamente fuori contesto. Così come fuori contesto sono la protagonista, una Francesca Inaudi leziosissima, tutta smorfiette e faccine appese, la 65enne Guia Jelo, stupidamente invecchiata con un ridicolo parruccone, il marito della protagonista Fabrizio Ferracane, fedele interprete del ruolo di padre e marito soprattutto nelle ultime quattro lettere del cognome, e persino il sempre simpatico Nino Frassica, che deve avere scambiato il set per lo studio di Quelli della notte:  per poco non lo sentiamo dire anche "nanetti", "è uguaglio" e "Sani Gesualdi". Ma il peggio sono la colonna sonora, che più invadente non si potrebbe, il potpourri di stili con tanto di siparietto psichedelico, inserti da un documentario del personaggio di Frassica, corredato dall'immigrato dell'Africa nera che intona l'inno di Mameli e la scena scult da mandare a futura memoria per generazioni e generazioni: quella di Maria Rosaria Omaggio che si presenta col suo mascherone incipriato per un ruolo ridicolo da mamma cattiva che spiega in maniera che più corriva non si potrebbe l'origine psicologica del malessere della neomamma.