venerdì 29 aprile 2016

Zona d'ombra - Una scomoda verità (Concussion)

anno: 2015       
regia: LANDESMAN, PETER   
genere: drammatico   
con Will Smith, Alec Baldwin, Gugu Mbatha-Raw, Arliss Howard, Paul Reiser, Luke Wilson, Adewale Akinnuoye-Agbaje, David Morse, Albert Brooks, Stephen Moyer, Eddie Marsan, Matthew J. Willig, Hill Harper, Richard T. Jones, Mike O'Malley, L. Scott Caldwell, Sara Lindsey, Britanni Johnson, Jason Davis, Dan Ziskie, Alison Moir, Eme Ikwuakor, Joni Bovill, Randy Kovitz, Robert McKay, Rocky Paterra    
location: Usa
voto: 7   

Nel 2002 un medico supertitolato di origini nigeriane, Bennet Omalu (Smith), facendo autopsie viene a contatto con il cadavere di Mike Webster (Morse), ex star del football americano finito in disgrazia e morto in totale solitudine nel peggiore dei modi. Esaminandone il cervello, Omalu riscontra delle gravissime anomalie che si ripresentano all'indomani di una seconda morte di un ex giocatore di football. Decide così di scrivere un articolo con un referenziatissimo neuropatologo (Marsan) e fa scoppiare il caso. La NFL, la lega del football americano, dapprima cerca di screditarlo, quindi passa alle minacce fisiche a lui e a sua moglie (Mbatha-Raw). Ma l'uomo non si dà per vinto e ottiene una seria riflessione sul caso, appoggiato soltanto dal suo superiore (Brooks) e da un ex medico sportivo pentito (Baldwin).
A partire da un articolo di Jeanne Marie Laskas, Peter Landesman porta sul grande schermo una storia vera, tipico apologo per celebrare le contraddizioni ma anche la grandezza dell'America, facendo leva sulla redditività ai botteghini di un divo come Will Smith, qui sommesso in maniera inedita. E azzecca la scommessa perché il regista di Parkland - pur con un impianto narrativo molto classico, qualche melensaggine, un pizzico di retorica di troppo nel finale ma con una regia sorvegliata e mai banale - esemplifica attraverso la vicenda straordinaria di Omalu la classica battaglia di Davide contro Golia. Alla quale è facile appassionarsi.    

sabato 23 aprile 2016

Codice 999 (Triple 9)

anno: 2016       
regia: HILLCOAT, JOHN 
genere: thriller 
con Casey Affleck, Chiwetel Ejiofor, Anthony Mackie, Aaron Paul, Clifton Collins Jr., Norman Reedus, Teresa Palmer, Michael K. Williams, Woody Harrelson, Kate Winslet, Gal Gadot, Michelle Ang, Luis Da Silva Jr., E. Roger Mitchell, Carlos Aviles, Mike Harding, Ian Casselberry, Terence Rosemore, Labrandon Shead, Karen Livers, Terri Abney, Anthony Belevtsov, Igor Komar, Ethan Coffey, Alexander Babara, Armando Alonzo, Blake McLennan, Christiana Simonds    
location: Usa
voto: 5,5 

Una squadra di rapinatori, composta per la metà da poliziotti corrotti, mette a segno una rapina spettacolare per conto della mafia ebreo-russa di stanza ad Atlanta e guidata da una zarina di indicibile crudeltà (Winslet, irriconoscibile). Quando quest'ultima decide di alzare la posta, chiedendo ai rapinatori di impossessarsi di alcuni file chiusi in un caveau super allarmato, ai ricattati non rimane che inscenare un codice 999, quello che si usa quando un poliziotto rimane a terra e che ineluttabilmente fa convergere sul posto tutte le squadre della mobile, creando il via libera alla fuga. Ma gli eventi vanno in maniera diversa dal previsto.
Dopo The road e Lawless, John Hillcoat torna sugli schermi italiani con un film ad alto budget, cast scintillante e plot fittissimo (la sceneggiatura arzigogolata è di Matt Cook). L'azione è garantita dalla prima all'ultima scena, con piena soddisfazione dei palati che non chiedono altro sapore che quello del film di genere per mandare il cervello in vacanza. Così in vacanza che i caratteri sono definiti con l'accetta: tutti, con la sola eccezione del poliziotto buono interpretato da Casey Affleck, ugualmente assetati di denaro, dalle gang ispano americane ai poliziotti.    

venerdì 22 aprile 2016

Le confessioni

anno: 2016       
regia: ANDÒ, ROBERTO
genere: drammatico
con Toni Servillo, Daniel Auteuil, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino, Marie-Josée Croze, Moritz Bleibtreu, Richard Sammel, Johan Heldenberg, Togo Igawa, Aleksei Guskov, Stéphane Freiss, Julian Oveden, John Keogh, Andy de la Tour, Giulia Andò, Ernesto D'Argenio, Lambert Wilson    
location: Germania
voto: 6

In Germania, un hotel extra lusso ospita un sinedrio di ministri dell'economia mondiale che, sotto la guida del presidente del fondo monetario internazionale (Auteuil), stanno per prendere una decisione epocale sulle sorti dei Paesi più svantaggiati del pianeta. Ospite d'eccezione un monaco certosino italiano (Servillo) che parla per apoftegmi e che, su richiesta, confessa il presidente nella stessa notte in cui quest'ultimo si suicida, provocando lo scompiglio tra le tante personalità presenti e coinvolgendo altri ospiti dell'albergo, tra i quali una scrittrice di libri per ragazzi (Nielsen) e un cantante (Heldenberg).
Contagiato anche lui dal morbo del sorrentinismo, Roberto Andò dopo la buona prova di Viva la libertà torna alla magniloquenza di Sotto falso nome con un film che si colloca al crocevia tra Todo modo (richiamato fin troppo esplicitamente) e Youth. Per quanto i movimenti di macchina di Maurizio Calvesi, i piani alternati, il montaggio e la colonna sonora di Nicola Piovani si facciano apprezzare, il film risente di un eccesso di scrittura, al punto che tutto - tra simbolismi semplicistici e brusche virate nel fantastico - appare finto, poco credibile, sentenzioso. Preoccupato moltissimo di levigare la forma secondo un incedere piuttosto statico e con atmosfere rarefatte, Andò riduce il tema centrale del film a teorema, facendone un bigino didascalico, banale e pretestuoso nel quale i burattinai dell'economia mondiale, osservati come fossero in un acquario, vengono investiti dalla scheggia impazzita del monaco, presenza aliena che con il suo silenzio e il segreto della confessione è, da solo, capace di ribaltare l'esito dell'incontro.    

mercoledì 20 aprile 2016

Franny (The Benefactor)

anno: 2015       
regia: RENZI, ANDREW  
genere: drammatico  
con Richard Gere, Theo James, Dakota Fanning, Clarke Peters, Maria Breyman, Erica Lynne Arden, Brian Anthony Wilson, Marko Caka, Erica Cho, Andrea Havens, Lyssa Roberts, Michele Everwine, Jennifer Butler, Rory Ogden, Roy James Wilson, Dennisha Pratt, Tibor Feldman, Lynn Golden, Barbara Edwards, Derrick T. Lewis, Matthew Daisher, Michael Daisher, Evan Fenster, Kelly Buterbaugh, Jayson Williams, Marc Bicking, Megan Rose, Ian Bonner, Michelle Santiago, Dennis Lauricella, Jaclyn McHugh, Kimberly Villanova, Mihir Pathak, Lavonne Nichols, Justin Goncalves, Nola Sanginiti, Yesenia Mercado, Amanda Wilson, Giovanna Labozzetta, Kayla Grasser, Deidre Washington, Gregory M. Brown, Shawn Gonzalez, Ryan Shank, Heather Soellner, Sean Zerbe    
location: Usa
voto: 4  

Miliardario e filantropo di Philadephia che stanzia fondi per costruire ospedali, Franny (Gere) è divorato dai sensi di colpa dopo la tragica morte dei due suoi migliori amici, causata da un incidente d'auto del quale è responsabile. Tra droghe e morfina, la sua esistenza si dipana in un'inconsolabile abulia fino a quando nella sua vita non fa ritorno Olivia (Fanning), la figlia della coppia rimasta uccisa. Per lei e per il suo compagno Luke (James), Franny si spende in ogni genere di follia finanziaria, entrando prepotentemente nella vita dei due e dando l'impressione di ritrovare un senso alla propria esistenza.
Ancora una volta coinvolto in una storia di incidenti stradali dai risvolti thriller (come ne La frode), Richard Gere offre il suo faccione da sessantenne tanto bello quanto inespressivo a un plot del tutto improbabile, artificioso, che si avvita su sé stesso, pieno di buchi di sceneggiatura (da dove arriva l'enorme ricchezza del protagonista? Perché quella fissazione con puzzole, puzzette e persino pelouche dall'aspetto di una puzzola? Perché Franny è sempre così invadente con tutti?). Film inutile, che ricalca lo spunto del "vicino di casa" scomodo, ma senza risvolti gialli minimamente appassionanti.    

lunedì 18 aprile 2016

Quo vado?

anno: 2015       
regia: NUNZIANTE, GENNARO   
genere: comico   
con Checco Zalone, Eleonora Giovanardi, Sonia Bergamasco, Maurizio Micheli, Ludovica Modugno, Ninni Bruschetta, Paolo Pierobon, Azzurra Martino, Lino Banfi, Massimiliano Montgomery, Angelica Napa, Adam Nour Marino, Fabio Casale    
location: Italia, Norvegia
voto: 1,5   

Il film che in poche settimane ha polverizzato ogni precedente record d'incassi dell'intera storia del cinema italiano rappresenta un'occasione troppo ghiotta per capire chi e cosa rappresenti l'ethos di un popolo (quello italiano, purtroppo). Fiero di non di non aver scucito neppure un centesimo al Checco nazionale, decido così - per pura vocazione professionale - di sorbirmi un'ora e venti di idiozia integrale, uno spettacolo pernicioso che, in mancanza degli anticorpi necessari, potrebbe arrecare danni inestimabili. Altro che cinepanettoni. La storia è quella di un quarantenne (Zalone/Medici) che fin da piccolo ha il pallino del posto fisso. Quando arriva l'ordine di smantellare la pubblica amministrazione lavativa e improduttiva, a Checco viene proposta una buonuscita. Lui rifiuta, peraltro tutelato da un politico affarista (il conterraneo Lino Banfi) che si prodiga in consigli per il mantenimento del posto fisso. La manager che ha in carico il caso del protagonista (Bergamasco) lo spedisce nelle postazioni più inaccettabili, ma Checco non si arrende nemmeno quando arriva il turno del circolo polare artico, in Norvegia. Dove, inevitabilmente, trova l'amore.
Raccontato come un lungo flashback davanti a un pubblico di zulù che vorrebbero metterlo allo spiedo, il film è l'espressione più monumentale dei più vieti stereotipi: l'inefficienza degli impiegati statali è un assist a gente come Brunetta, Fornero e Renzi; la civilissima Norvegia è un Paese di odiosi depressi senza cuore; le donne del nordeuropa sono tutte puttane, il sesso è promiscuo, gli omosessuali infestano case e strade, gli ambientalisti sono dei fanatici scocciatori, l'Africa nera è una carnevalata e la mamma è sempre la mamma. Come se non bastasse, la battuta a doppio senso è spesso in agguato, non mancano le raffinatissime arguzie sulle emorroidi né la masturbazione di un orso polare (a fini scientifici, è ovvio) e Magherita Hack fa rima con fuck (sic). Senza contare che in questo film-barzelletta che ha ribadito la stratosferica popolarità del comico pugliese è impossibile rintracciare una qualsiasi idea di cinema che non sia quella che pantografa le gag di derivazione televisiva. È il trionfo del buonismo un tanto al chilo, dei personaggi ridotti a scialbe maschere, del populismo demagogico e cerchiobottista che si richiama esplicitamente a Celentano nella canzone La prima Repubblica non si scorda mai. Risate: zero. Parafrasando Nanni Moretti: ve lo meritate Checco Zalone.    

mercoledì 13 aprile 2016

Love and Mercy

anno: 2014       
regia: POHLAD, BILL  
genere: biografico  
con John Cusack, Paul Dano, Elizabeth Banks, Paul Giamatti, Jake Abel, Kenny Wormald, Brett Davern, Graham Rogers, Bill Camp, Joanna Going, Dee Wallace-Stone, Max Schneider, Erin Darke, Jonathan Slavin, Diana-Maria Riva, Dylan Kenin, Johnny Sneed, Erik Eidem, Tonja Kahlens, Carolyn Stotesbery, Morgan Phillips, Jeff Meacham, Teresa Cowles, Mark Linett, Gretchen Duerksen    
location: Usa
voto: 2,5  

Com'è possibile che il surf, la musica balneare spensierata degli allegri anni '60, o che canzoni come Good vibrations, California girls e Barbara Ann siano state partorite da una mente così disturbata come quella di Brian Wilson? Eppure è stato possibile. Prova a raccontarcelo, in forma di romanzatissimo polpettone, il film d'esordio dell'ex produttore Bill Pohlad, uno dei peggiori biopic sui divi del rock mai visti al cinema. Proposto come fondo di magazzino nella settimana del cinema a 3 euro (il film risale al 2014), Love & mercy, infatti, si concentra quasi esclusivamente sull'aspetto psichiatrico del protagonista, trascurandone quasi del tutto il genio musicale, con la sola eccezione di qualche seduta in sala di registrazione (notevole, va riconosciuto, quella che ricostruisce la genesi di Good vibrations). Affidato a due diversi interpreti per rappresentare due epoche del suo tormentato tragitto esistenziale (un ingrassatissimo Paul Dano per gli anni '60, quelli del successo planetario, e John Cusack per gli anni '80, quelli della continua osservazione psichiatrica e farmacologica e del ritiro dalle scene), il personaggio di Brian Wilson non è meno caricaturale di tutte le altre figure di contorno: dal padre tiranno e parassita al tutore luciferino che avrebbe dovuto controllarne i problemi psichici (tutta sopra le righe l'interpretazione di un pessimo Paul Giamatti), fino alla fatina che vende auto, destinata a diventare colei che salverà l'esistenza di Brian Wilson (Banks), peraltro piegata anche dai difficili rapporti con gli altri familiari. Puntando soltanto sullo "scandalo" della malattia psichiatrica, il film - una brutta copia del già ambiziosissimo Io non sono qui - caracolla in continuazione tra le due epoche, facendo del suo protagonista una nullità manipolabile dal primo che passa e trascurando quasi del tutto sia il contesto storico che le specificità del genio musicale.    

venerdì 8 aprile 2016

La felicità è un sistema complesso

anno: 2015       
regia: ZANASI, GIANNI 
genere: grottesco
con Valerio Mastandrea, Hadas Yaron, Giuseppe Battiston, Filippo De Carli, Camilla Martini, Maurizio Donadoni, Teco Celio, Daniele De Angelis, Maurizio Lastrico, Paolo Briguglia, Domenico Diele    
location: Italia
voto: 3,5 

Enrico (Mastandrea) fa il lavoro più strano del mondo. Quando gli AD di qualche azienda stanno per mandare le loro società a picco per eccesso di incompetenza, lui interviene, se li fa amici, li induce a farsi da parte e salva l'azienda stessa. I problemi arrivano quando il compito riguarda un ragazzo diciottenne (De Carli) e una ragazza quindicenne (Martini), rimasti improvvisamente orfani e diventati eredi dell'attività imprenditoriale dei genitori.
Da oltre vent'anni, dopo il discreto esordio con il racconto di formazione Nella mischia, Gianni Zanasi conferma di essersi perso subito e di essere autore di pochissimo conto. Tutti i suoi film - da A domani e Non pensarci (quest'ultimo sempre con Mastandrea protagonista) - sono opere da nulla, viziate sempre dagli stessi difetti riscontrabili anche ne La felicità è un sistema complesso: bozzettismo dei caratteri, farraginosità del plot narrativo, tentativi caduchi di autorialità mal riposta, personaggi infilati di forza nel racconto (qui quello di una ragazzetta di origini israeliane con tendenze suicidomani), psicologismi pretestuosi. Con la sua recitazione in controtempo, Mastandrea vince facile su un nugolo di attori ai limiti del dilettantismo (fa eccezione Battiston, ridotto però a macchietta alla stregua di Donadoni e Celio). Ma le battute che salvano il film dalla catastrofe sono le sue.    

mercoledì 6 aprile 2016

Hitchcock/Truffaut

anno: 2015       
regia: JONES, KENT
genere: documentario
con Alfred Hitchcock, François Truffaut, Wes Anderson, Olivier Assayas, Peter Bogdanovich, Arnaud Desplechin, David Fincher, Richard Linklater, Paul Schrader, James Gray, Kiyoshi Kurosawa, Martin Scorsese    
location: Usa
voto: 7,5

Nel 1962 François Truffaut intervistò per 8 giorni Alfred Hitchcock, per poi realizzare, quattro anni più tardi, quel libro seminale della storia della settima arte cinema che è Il cinema secondo Hitchcock. Il maestro britannico aveva all'epoca una sessantina d'anni, il suo giovane collega transalpino circa la metà. Entrambi sulla cresta dell'onda (benché Truffaut avesse girato "appena" tre film, pur essendo una stella di primissima grandezza della Nouvelle Vague), i due sembravano rispondere a modelli di cinema diversissimi. Quell'incontro servì a sdoganare Hitchcock dallo stereotipo di regista d'intrattenimento per farne pubblicamente un autore in piena regola. Ma servì anche all'ex recensore dei Cahiers du cinema per ottenere una vera lezione di cinema. Il film dell'americano Kent Jones ricostruisce quello storico incontro a tre (la terza persona era la mastodontica interprete), servendosi delle bobine su cui vennero incise quelle conversazioni, delle splendide fotografie di Philippe Halsman e della testimonianza di molti epigoni del genio britannico tra cui Wes Anderson, Olivier Assayas, Peter Bogdanovich, David Fincher, Richard Linklater, Paul Schrader, James Gray e Martin Scorsese, il più cinefilo di tutti. Proprio questa interviste aggiunte annacquano un po' l'intera operazione, con interventi talvolta banali e puramente riempitivi. Resta il godimento delle sequenze prese dai moltissimi capolavori hitchcockiani (Psyco, Gli uccelli, L'uomo che sapeva troppo, La finestra sul cortile), mentre il repertorio di Truffaut è ristretto alle due opere più importanti realizzate fino a quel momento: I 400 colpi e Jules e Jim. Così come sono assai incisive le riflessioni sulla dimensione simbolica e psicanalitica del cinema hitchcockiano, sull'uso del tempo, sulla suspense e sulle mirabolanti tecniche di ripresa di un "artista che scriveva con la macchina da presa". Documentario imperdibile per chi voglia capire cosa fosse il cinema secondo uno dei personaggi-chiave per capire la settima arte.    

martedì 5 aprile 2016

Veloce come il vento

anno: 2016       
regia: ROVERE, MATTEO
genere: drammatico
con Stefano Accorsi, Matilda De Angelis, Roberta Mattei, Paolo Graziosi, Lorenzo Gioielli, Giulio Pugnaghi, Tatiana Luter, Rinat Khismatouline    
location: Italia
voto: 7

Rimasta precocemente orfana di padre e con una madre scomparsa nel nulla, la diciassettenne Giulia De Martino (interpretata dall'ottima esordiente Matilda De Angelis), pilota di gare GT, si ritrova con un fratellino a carico (Pugnaghi) e un'ipoteca sulla catapecchia dove abita. Il fratello Loris (Accorsi), ex pilota sbandato e tossico che non vede da dieci anni, torna nella vita della ragazza pretendendo la sua parte di eredità. Dalla coabitazione coatta tra i due nascerà un inaspettato sodalizio che, attraverso le vittorie, potrebbe costituire l'unica soluzione per non perdere la casa.
Dopo due film mediocri come Un gioco da ragazze e Gli sfiorati, Matteo Rovere firma la sua opera di gran lunga più riuscita, ribadendo quanto di buono aveva già dimostrato (regia, soluzioni visive, montaggio, uso del sonoro, cambio frequente degli obiettivi di ripresa), aggiungendovi una cifra narrativa ancora estrema (come ne Gli sfiorati) ma stavolta ispirata alla realtà (il film si rifà alla figura del pilota di rally torinese Carlo Capone), pur mantenendo una struttura di fondo similissima a quella del film precedente (uno sballato che entra come un tornado nella vita di un congiunto). Tra inseguimenti degni della lezione hollywoodiana, colpi di scena ben assestati e una trama congegnata a dovere, Veloce come il vento riesce a mantenere un ritmo che pareggia quello delle gare, tra rombo dei motori, sudore e benzina. Merito anche di Stefano Accorsi, dimagrito per l'occasione di 10 chili e costantemente sul crinale dell'overacting, che indossa, con qualche eccesso di massa muscolare, panni assai simili a quelli che vestì in Radiofreccia, anch'esso ambientato nella provincia emiliana (lì Correggio, qui Imola).    

sabato 2 aprile 2016

The Danish Girl

anno: 2015       
regia: HOOPER, TOM
genere: drammatico
con Eddie Redmayne, Alicia Vikander, Ben Whishaw, Sebastian Koch, Amber Heard, Matthias Schoenaerts, Adrian Schiller, Emerald Fennell, Jake Graf, Richard Dixon, Victoria Emslie    
location: Danimarca, Francia, Germania, Regno Unito
voto: 5

Negli anni '20 del '900, il menage tra il pittore danese Einar Wegener (Rermayne) e la sua più celebre moglie Gerda Wegener (Vikander) va a gonfie vele fino al giorno in cui lei chiede a lui di posare vestito da donna in sostituzione della modella assente. È da allora che in Einar si innesca un processo di identificazione col femminile, il cui sentore era stato già avvertito dallo stesso uomo anni prima, che lo conduce prima a trasformarsi in Lily, quindi a essere il primo uomo della storia a subire un intervento per il cambio di sesso, dopo essere inevitabilmente passato per le mani di torme di psichiatri decisi a internarlo.
Dopo gli Oscar arrivati con Il discorso del re e la prova zoppicante di Les Misérables, Tom Hooper firma un altro melodrammone che vorrebbe essere ad alta intensità emotiva ma che ha pochi sussulti, decorativo e artificioso, imperniato sull'incredibile prova di resistenza di una moglie capace di offrire al proprio marito un appoggio incondizionato in tutta la sua tormentata traiettoria esistenziale. Tra Le onde del destino ed echi fassbinderiani, The danish girl racconta il sofferto tragitto che dall'eonismo conduce a una revisione totale della propria identità sessuale con uno stile oleografico, un registro monocorde e la ricerca di scene d'impatto che funzionano soltanto grazie all'ennesima prova maiuscola di Eddie Redmayne, già premiato per La teoria del tutto.    

venerdì 1 aprile 2016

La corte (L'hermine)

anno: 2015       
regia: VINCENT, CHRISTIAN 
genere: drammatico 
con Fabrice Luchini, Sidse Babett Knudsen, Eva Lallier, Corinne Masiero, Sophie-Marie Larrouy, Fouzia Guezoum, Simon Ferrante, Moundy (Abdallah Moundy), Serge Flamenbaum, Emmanuel Rausenberger, Gabriel Lebret, Salma Lahmer, Victor Pontecorvo, Candy Ming, Michael Abitbout, Jennifer Decker, Hélène Van Geenberghe, Claire Assali, Chloé Berthier    
location: Francia
voto: 6 

Michel Racine (Luchini) è il presidente di una Corte d'assise penale, noto come "il giudice a due cifre": inflessibile, algido, misantropo, le sue sentenze non vanno mai sotto i dieci anni. In aula si dibatte il caso di una bambina di 7 mesi morta presumibilmente per dei calci alla testa; sul banco degli imputati il suo giovane padre, uno con la fedina penale non proprio immacolata; tra i membri della giuria popolare, casualmente, la donna (Knudsen) che il giudice amò segretamente anni prima, quando venne ricoverato in seguito a un incidente. Fra i due Cupido potrebbe tornare a scoccare le sue frecce.
Film sul tema dell'incompiuto: incompiuto il processo, incompiuto l'amore, incompiuta la separazione dalla moglie, incompiuti i pregiudizi dei colleghi del giudice sulle sue presunte notti brave. Il regista Christian Vincent, reduce dal successo del precedente melò La cuoca del presidente, procede per sottrazione, costruendo un dramma giudiziario - con inevitabili rimandi a La parola ai giurati - a sfondo sentimentale, nel quale i dettagli (l'influenza, gli anfibi), le ripetizioni ("signor presidente, non signor giudice!" oppure "io non ho ucciso") e l'inespresso (i rancori e le gelosie, gli amori inconfessati) sono l'humus sul quale germoglia una messa in scena scarnificata ma alla lunga anche ripetitiva. Per Fabrice Luchini un ruolo che ricorda quello che interpretò in Confidenze troppo intime e che, in questa occasione, gli ha fruttato la Coppa Volpi a Venezia.