lunedì 1 luglio 2019

Antropocene. L'epoca umana (Anthropocene. The Human Epoch)

anno: 2018
regia: BAICHWAL, JENNIFER * DE PENCIER, NICHOLAS * BURTYNSKY, EDWARD
genere: documentario
location: Australia, Canada, Cile, Cina, Italia, Kenya, Nigeria, Regno Unito, Russia
voto: 8 

Da oltre dieci anni sembra che l'Olocene, l'epoca in cui l'umanità ha trascorso grandissima parte del proprio cammino per quasi dodicimila anni, sia ormai finito. Lo ha soppiantato un'epoca che - al pari delle precedenti ma con una velocità strabiliante - ha provocato trasformazioni radicali dell'ecosistema Terra nel giro di brevissimo tempo. Epocale, appunto. L'antropocene è l'epoca della Terra piegata dall'uomo ai propri bisogni, quella della superfetazione antropica. Questo straordinario documentario, organizzato in capitoli, ci mostra come la terra sia stata sfruttata, brutalizzata, sconvolta dall'intervento umano. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: deforestazioni, cambiamento climatico, risorse naturali al collasso, estinzione di specie animali e piante, drastica riduzione della biodiversità. Già sentito, già visto, direte voi. Vero: in parte film come Before the flood, Waste land, Home, Trashed, The end of the line, Terra madre, Una scomoda verità e l'antesignano Koyaanisqaatsi si muovevano su questo solco. Ma Antropocene ha l'enorme merito di non lasciarsi andare alla retorica della parola: pochi concetti, espressi attraverso l'eloquenza delle immagini, peraltro davvero straordinarie: le cave di marmo di Carrara, i cumuli di zanne di elefanti per assicurarsi l'avorio provocando uno sterminio, le miniere di nichel di Norilsk, la città russa più inquinata al mondo e praticamente priva di vegetazione, il deserto cileno di Atamacama con enormi vasche gialle dove si tratta il litio, materiale cruciale per la nostra economia futura, o Immerath, in Germania, dove le case e una chiesa secolare sono state abbattute per allargare le miniere di carbone a cielo aperto. Un film necessario, intenso, sconvolgente, ultimo arrivato di una trilogia iniziata con Manufactured Landscapes (2006) e proseguita con Watermark (2013). Fossi il ministro dell'Istruzione, ne renderei obbligatoria la visione a scuola.

venerdì 10 maggio 2019

Non sono un assassino

anno: 2019       
regia: ZACCARIELLO, ANDREA    
genere: giallo    
con Riccardo Scamarcio, Alessio Boni, Claudia Gerini, Edoardo Pesce, Barbara Ronchi, Pasqualina Sanna, Sarah Felberbaum, Silvia D'Amico, Caterina Shulha, Vincenzo De Michele, Elisa Visari, Flavia Gatti    
location: Italia, Thailandia
voto: 4    

Il vicequestore Francesco Prencipe (Scamarcio) è l'ultimo ad avere visto vivo il giudice Mastropaolo (Boni), l'amico di una vita che dopo due anni si è rifatto vivo per convocarlo nel suo sontuoso studio di Bari. Non ci sono prove schiaccianti, ma solo la testimonianza di un vecchio contadino che sembra inchiodarlo. Prencipe, che è un poliziotto con parecchi scheletri nell'armadio della sua vita privata, si difende appellandosi a un vecchio amico (Pesce) di quand'era ragazzo, un avvocato che da tempo non esercita più per via della sua instancabile attitudine all'alcol.
Quarto film in vent'anni per Andrea Zaccariello, già autore dei mediocri Boom, Sei come sei e Ci vediamo domani, che risaliva al 2012. Difficilmente, dopo aver visto un'opera come questa - tratta dal romanzo di  Francesco Caringella - sentiremo la mancanza dei suoi film. Già perché Non sono un assassino è un film pasticciatissimo, assimilabile a quel guazzabuglio di Una storia senza nome: una serie disarticolata di flashback e flackback nel flashback, per seguire i quali bisogna stare attentissimi alle frezze sulle tempie di Scamarcio. Ai contorsionismi della trama si accompagna poi una recitazione da incubo, con uno scarto indicibile tra Scamarcio e Pesce da una parte e tutti gli altri - compreso un invecchiato Alessio Boni e la Gerini che si affanna a parlare con accento pugliese - dall'altra.    

martedì 7 maggio 2019

Un uomo tranquillo (Cold Pursuit)

anno: 2019       
regia: MOLAND, HANS PETTER    
genere: gangster    
con Liam Neeson, Laura Dern, Micheál Richardson, Michael Eklund, Bradley Stryker, Wesley MacInnes, Tom Bateman, Domenick Lombardozzi    
location: USA
voto: 6,5    

Nell'obitorio il poliziotto è lapidario: "oggi tanti ragazzi si drogano senza che i genitori se ne accorgano". Ma Nels Coxman (Neeson), da poco insignito dell'onorificenza di cittadino dell'anno, non ci sta. Non crede affatto che suo figlio sia morto per overdose. Scopre infatti che lo hanno eliminato soltanto perché aveva visto e saputo troppo rispetto a un carico di droga passato per la mani di un suo amico e sparito misteriosamente. Coxman decide allora di risalire la filiera che, dall'esecutore materiale del delitto, porta su su fino al vertice, rappresentato da un crudelissimo narcotrafficante vegano ossessionato dall'educazione del figlio (Bateman) e dal suo rivale indiano. In mezzo una galleria di personaggi bislacchi destinati a morire uno dopo l'altro.
Dopo l'enorme successo riportato in patria e all'estero con In ordine di sparizione, Hans Petter Moland viene reclutato per un remake in carta carbone dell'originale, ammaliato dalle sirene di Hollywood che sono riuscite ad attrarre persino un indipendente come Haneke. E anche stavolta il risultato - comunque convincente - è inferiore all'originale e fa pagare pegno a Liam Neeson, sempre più prigioniero di un type casting da vendicatore solitario. Se si guadagna in effetti speciali e location, si perde decisamente quella venatura grottesca - con smisurato ridimensionamento della porzione assegnata alla sottotrama che coinvolge i due killer gay - che aveva reso grande l'originale, e che qui è ridotta a rango di scialba imitazione. Rimane comunque un incontro piuttosto riuscito tra la violenza grottesca dei Coen e Tarantino e un plot narrativo che sta tra Un borghese piccolo piccolo e Il giustiziere della notte.    

mercoledì 1 maggio 2019

Disobedience

anno: 2017       
regia: LELIO, SEBASTIAN    
genere: drammatico    
con Rachel Weisz, Rachel McAdams, Alessandro Nivola, Allan Corduner, Nicholas Woodeson, Cara Horgan, Mark Stobbart, Sophia Brown, Bernardo Santos, Anton Lesser, Dominic Applewhite    
location: Regno Unito
voto: 5,5    

L'anziano rabbino di una comunità inglese ebrea assai coesa muore. Al suo funerale arriva, del tutto inattesa, l'unica figlia dell'uomo (Weisz), che ha ricevuto la notizia dalla moglie (McAdams) del discepolo prediletto del defunto (Nivola). Tra le due in passato c'era stata una storia di amore saffico fortemente osteggiata da tutta la comunità. Il nuovo contatto riaccende la vecchia fiamma.
Il cileno Sebastian Lelio si conferma il cantore di personaggi femminili sempre piuttosto estremi, come in Gloria e Una donna fantastica. Qui però il racconto - tratto dall'omonimo best seller di Naomi Alderman - arranca, l'enfasi sullo stigma della protagonista (accolta come una vera straniera, nonostante i suoi tentativi di stare nelle righe) è a tratti eccessiva ma l'apologo sulla discussione di principi morali gravidi di conseguenze, di cui deve farsi carico l'aspirante rabbino, riscatta in parte certe lungaggini del film.    

martedì 30 aprile 2019

Opera senza autore (Werk ohne Autor)

anno: 2018   
regia: HENCKEL VON DONNERSMARCK, FLORIAN    
genere: thriller    
con Tom Schilling, Paula Beer, Sebastian Koch, Saskia Rosendahl, Oliver Masucci    
location: Germania
voto: 6,5    

A 11 anni dal pluripremiato capolavoro Le vite degli altri e a 8 dal fiasco clamoroso di The Tourist, Florian Henckel Von Donnersmarck torna dietro la macchina da presa con un melodrammone degno di Matarazzo, nel quale convergono ancora una volta gli spettri del passato nazista della Germania, la difficile epoca della DDR e una riflessione piuttosto magniloquente sull'arte visiva. Al centro del fluviale racconto (3 ore e 10 di durata) c'è il giovane pittore idealista Kurt (Schilling), che dopo essersi visto portar via   l'amatissima zia (rinchiusa in un ospedale psichiatrico) quando era ancora un bambino, ritrova nel suo percorso biografico lo stesso medico delle SS (Koch) - un ginecologo opportunista, classista e sostenitore dell'eugenetica - che aveva deciso l'internamento della congiunta. Caso vuole che il ragazzo si innamori proprio della figlia del medico (Beer), straordinariamente somigliante alla zia. Ma l'ex nazista fa di tutto per ostacolare il rapporto tra i due giovani amanti. I quali, poco prima della costruzione del muro di Berlino (1961) riusciranno a varcare la frontiera e a trasferirsi a Düsseldorf, mentre in Germania si continuano a cercare gli ex criminali nazisti…
Alla sua opera terza, il regista tedesco ancora una volta si preoccupa assai più del plot narrativo che non dell'estetica filmica, al punto da rischiare di tenere involontariamente fede al titolo del film. Tanto è vero che - nonostante la sottotrama spionistica e qualche interessante riflessione sul senso dell'arte contemporanea - la regia sembra dimenticare un'idea minima di forma: Opera senza autore offre un cinema di livello quasi amatoriale, servito da attori che paiono recitare in uno sceneggiato televisivo, compreso il divo Sebastian Koch.    

lunedì 29 aprile 2019

Stanlio e Ollio

anno: 2018       
regia: BAIRD, JON S.    
genere: biografico    
con Steve Coogan, John C. Reilly, Nina Arianda, Shirley Henderson, Danny Huston, Rufus Jones, Stephanie Hyam, Susy Kane, Bentley Kalu, Ella Kenion    
location: Regno Unito, USA
voto: 6    

Nel 1953 Stan Laurel (Coogan) e Oliver Hardy (Reilly) - coppia comica che negli anni '30 aveva raggiunto un successo planetario - andarono in tournée nei teatri di Regno Unito e Irlanda, riproponendo vecchie gag e cercando l'ultimo colpo d'ala col miraggio di poter girare un'ultima pellicola.
Dopo un breve incipit nel quale si richiama il successo cinematografico de I fanciulli del west, il film di Jon S. Baird si sofferma soprattutto sulla tournée teatrale che vide protagonisti questi dioscuri della settima arte che si separarono in un'unica occasione nell'arco di un'intera carriera. Il tutto è confezionato secondo le regole di un cinema assai classico, un buddy movie che non lascia spazio ad alcun genere di inventiva ma che si affida alle strabilianti trasformazioni dei due protagonisti, entrambi perfettamente in parte senza mai scivolare nella caricatura. Ma la storia raccontata è soprattutto quella di una grande amicizia asimmetrica, con Laurel fraternamente attaccato al più debole Hardy (che sperperò gran parte del suo patrimonio giocando alle corse dei cavalli) e devoto alla coppia comica fino alla morte, avvenuta nel 1965, quando continuava imperterrito a scrivere battute per Stanlio e Ollio, ancora vivi nella memoria collettiva a più di cinquant'anni dalla morte.    

mercoledì 24 aprile 2019

Ma cosa ci dice il cervello

anno: 2019       
regia: MILANI, RICCARDO    
genere: commedia    
con Paola Cortellesi, Stefano Fresi, Tomas Arana, Teco Celio, Remo Girone, Vinicio Marchioni, Lucia Mascino, Ricky Memphis, Paola Minaccioni, Giampaolo Morelli, Claudia Pandolfi, Alessandro Roia, Carla Signoris    
location: Italia, Marocco, Spagna
voto: 5,5    

Sua figlia la crede una noiosa impiegata ministeriale, sua madre (Signoris) - alla perenne ricerca della giovinezza perduta - non fa che criticarla su qualsiasi cosa, i suoi vecchi compagni di scuola la guardano con commiserazione quando pensano alla sua professione. Che però è quella di lavorare per i servizi segreti, con missioni al cardiopalmo in giro per il mondo. È per questa sua vocazione da 007 in gonnella che Giovanna (Cortellesi) trasferisce le sue competenze spionistiche nel privato, aiutando i suoi amici nelle controversie che li mettono in difficoltà ogni giorno, dando ai loro sopraffattori una lezione di vita e di civiltà.
La rodata coppia (anche nella vita) Cortellesi-Milani torna sul grande schermo a 2 anni dal successo di Come un gatto in tangenziale, con una commedia dai risvolti spionistici che sconfinano nella fantascienza. Il ritmo c'è, degli attori bisogna accontentarsi (tranne che di Paolo Graziosi, che è davvero irritante per quanto è incapace), ma l'opera numero 10 di Riccardo Milani ha il merito di trovare una chiave per far riflettere sulla mancanza di senso civico. Che è poi il vero tema del film.    

martedì 23 aprile 2019

Il campione

anno: 2019       
regia: D'AGOSTINI, LEONARDO    
genere: drammatico    
con Stefano Accorsi, Andrea Carpenzano, Massimo Popolizio, Gabriel Montesi, Camilla Semino Favro, Anita Caprioli, Mario Sgueglia    
location: Italia
voto: 7    

Lui (Carpenzano) è una specie di Balotelli, di Cassano, di Gascoigne. Anzi no: lui è soprattutto una specie di George Best. Si chiama Christian Ferro (ma il cognome lo ha preso dalla madre, morta precocemente per un tumore al seno), è una stella della Roma, ha appena vent'anni, un villone megagalattico dove vive con un maialino, una compagna influencer da 500mila followers, una serie di amici parassiti che bivaccano negli spazi immensi di quella abitazione e un padre approfittatore che si è rifatto vivo soltanto quando ha saputo della notorietà del figlio. Il problema è che il ragazzo, nonostante i piedi fatati capaci di fare la differenza in campo, è intemperante. Così il presidente della squadra (Popolizio) decide di ingaggiare una sorta di istitutore privato che lo rimetta in riga e che soprattutto lo faccia arrivare alla maturità liceale. Viene reclutato un insegnante demotivato (Accorsi), del tutto disinteressato al calcio, che riuscirà a prendere le misure al giovane e a impartirgli una lezione che andrà ben oltre l'apprendimento di nozioni scolastiche.
Esordio alla regia per Leonardo D'Agostini, che sotto l'egida di Sydney Sibilia e Matteo Rovere (produttori), firma un'opera che ricorda l'ottimo Scialla (la dinamica docente/discente che maschera quella padre/figlio) ma con una sua personalità. Il mondo del pallone è soltanto lo sfondo di un racconto di formazione a doppio passo che trova nella coppia di protagonisti due attori perfettamente in palla. Qualche stereotipo di troppo (o forse no, chissà…) sul mondo del ragazzo viziato - tutto genio e sregolatezza, arrivato prematuramente al successo, ma capace di conservare un cuore puro - è pienamente controbilanciato da un finale memorabile, consigliabile anche ai laziali.    

domenica 21 aprile 2019

Io sono un campione (This Sporting Life)

anno: 1963       
regia: ANDERSON, LINDSAY    
genere: drammatico    
con Richard Harris, Rachel Roberts, Alan Badel, William Hartnell, Colin Blakely, Vanda Godsell, Anne Cuningham, Jack Watson, Arthur Lowe, Harry Markham    
location: Regno Unito
voto: 4    

Un ex minatore dello Yorkshire (Harris) diventa un giocatore di rugby di una certa fama. Il successo e i soldi però non gli servono per gestire i rapporti con gli altri, spesso burrascosi, e soprattutto non gli permettono di ricevere le attenzioni della donna che dice di amare, la vedova presso la quale abita (l'algida Rachel Roberts), nonostante le attenzioni che riesce a riservare ai figli di questa.
Opera d'esordio di Lindsay Anderson nell'ambito del cosiddetto free cinema inglese, sotto l'egida di Karel Reisz, che di quella corrente fu l'esponente di punta. A distanza di anni il film tratto dal romanzo di David Storey non regge affatto l'usura del tempo, si perde in scene ripetitive, esorbitando le due ore di durata e limitandosi a raccontare, con uno stile iperrealista che all'epoca suscitò un certo scalpore, gli eccessi di una vita tutta sopra righe.    

sabato 20 aprile 2019

Lo spietato

anno: 2019   
regia: DE MARIA, RENATO    
genere: gangster    
con Riccardo Scamarcio, Sara Serraiocco, Alessandro Tedeschi, Alessio Praticò, Casta Valentine Payen, Fulvio Milani, Marie-Ange, Matteo Leoni    
location: Francia, Italia
voto: 5,5    

Lo sapete qual è la regione d'Italia dove si sono radicate di più le 'ndrine calabresi? La Calabria Saudita? No, sbagliato. È la Lombardia. E questo almeno dagli anni '80 - '90 del Novecento. E proprio del primo pentito di mafia delle cosche calabresi trasferitesi per fare grossi affari col mattone e con sostanze che somigliano tanto al borotalco parla questo film diretto da Renato De Maria. Il regista varesotto - che deve essersi appassionato al tema, visto che il suo film precedente era un'antologia del peggio del crimine italiano in forma di docu-fiction, intitolato, per l'appunto, Italian gangsters - si limita al compito facile facile che gli viene dalla distribuzione Netflix per palati disposti a qualsiasi McMovie. Non a caso la vicenda di Santo Russo (un intonato Scamarcio, guascone in bilico tra vernacolo lombardo e pugliese) che, ancora adolescente, arriva nella periferia meneghina a bordo di una fiat 600 guidata da una padre tiranno che preferisce vederlo al servizio della mala pur di non averlo in casa, si snoda sul più prevedibile degli sviluppi narrativi: racconto di formazione giovanile in ampio flashback, con riformatorio e inevitabili cattive compagnie annesse, servizio dal capocosca più in vista, scalata ai vertici della mala. Il tutto accompagnato da un matrimonio con una devotissima (in tutti i sensi) moglie, che a lui regala due figli e a noi la solita faccia incredibilmente inespressiva di Sara Serraiocco (è un talento riuscire a non cambiare mai mutria per un intero film), e un intreccio ben più focoso con una sofisticata ragazza francese (Valentine Payen). Un po' di ritmo c'è, ma lo sguardo - che pure si rivolge ai poliziotteschi anni '70 - è banale come già lo fu in occasione de La prima linea, esordio della coppia Scamarcio-De Maria sul grande schermo.    

giovedì 18 aprile 2019

La donna elettrica (Kona fer í stríð)

anno: 2018   
regia: ERLINGSSON, BENEDIKT    
genere: drammatico    
con Halldóra Geirharðsdóttir, Jóhann Sigurðarson, Davíð Þór Jónsson, Magnús Trygvason Eliasen, Ómar Guðjónsson, Iryna Danyleiko, Galyna Goncharenko, Jörundur Ragnarsson    
location: Islanda, Ucraina
voto: 6    

In Islanda, una donna di mezza età (Geirharðsdóttir) in attesa di adottare una bambina compie continui sabotaggi della rete elettrica come risposta allo scempio che le multinazionali stanno compiendo su quell'isola a livello ambientale. Braccata dalla polizia che non ne conosce la vera identità (la donna, nel quotidiano, è un'innocua insegnante di canto), la nostra eroina trova la complicità di un vecchio agricoltore e di un amico, mentre tiene all'oscuro della faccenda la sorella gemella, che si rivelerà determinante nell'esito di tutta la storia.
L'opera seconda di Benedikt Erlingsson, già attore per Von Trier ne Il grande capo, è un film coraggioso e originale, che racconta la vocazione ambientalista della protagonista con un registro bizzarro, straniato e spiazzante, accompagnato da un trio tastiere, bassotuba e batteria e da un trio vocale femminile che punteggiano moltissime scene del film con una funzione da coro greco in commento sonoro del film. Ed è questo il vero valore aggiunto di un'opera nella quale la sottotrama sulla maternità adottiva  della bio-terrorista fa barcollare a tratti il racconto, facendogli perdere l'efficacia dello spunto in chiave quasi thriller.    

domenica 14 aprile 2019

Troppa grazia (Lucia's grace)

anno: 2018   
regia: ZANASI, GIANNI    
genere: commedia fantastica
con Alba Rohrwacher, Elio Germano, Giuseppe Battiston, Hadas Yaron, Carlotta Natoli, Thomas Trabacchi, Daniele De Angelis, Rosa Vanucci, Teco Celio    
location: Italia
voto: 6    

Dopo una trafila di pessimi film (Padri e figli, Non pensarci, La felicità è un sistema complesso), Gianni Zanasi compie il miracolo: riesce a far sparire dallo schermo per quasi un'ora Elio Germano, la cui interpretazione bastava a ridare linfa al sonnecchiante cinema del regista emiliano, e a far comparire la madonna (Yaron) che pratica le arti marziali e fa la parcheggiatrice abusiva. È lei che appare a Lucia (Rohrwacher), geometra in piena crisi sentimentale ed esistenziale, per la quale la ricerca del sacro - che anche dalle persone più intime viene letta come un segno di squilibrio mentale - è il tentativo di spostare verso l'alto i problemi che stanno in basso (diciamo a un palmo dall'ombelico). Lettura triviale? Forse, ma di spirituale in film di Zanasi - che comunque ha un respiro originale e si avvale di ottimi comprimari, in primis Carlotta Natoli nei panni dell'amica del cuore della protagonista - non ha proprio nulla. L'ambizione dell'autore che ci sorprese con il bell'esordio di Nella mischia va oltre le sue possibilità e la parte in cui Lucia viene presa per una santa è anche quella più caricaturale. Sulla carta la vicenda raccontata dal copione che il regista ha scritto con Giacomo Ciarrapico, Michele Pellegrini e Federica Pontremoli è quella di una giovane madre in piena crisi, alla quale appare la madonna. Ma il contenuto del film si presta meglio a una lettura sulle traiettorie sghembe della vita sentimentale (vedi anche il finale che resuscita la figura di Germano nei panni dell'ex fidanzato), concludendo un'ideale trilogia mistica nella quale la Rohrwacher ha interpretato Vergine giurata e Lazzaro felice.    

venerdì 12 aprile 2019

Cafarnao - Caos e miracoli (Capharnaüm)

anno: 2019       
regia: LABAKI, NADINE    
genere: drammatico    
con Zain Alrafeea, Yordanos Shifera, Boluwatife Treasure Bankole, Kawthar Al Haddad, Fadi Youssef, Treasure Bankole, Nadine Labaki, Yordanos Shiferaw    
location: Libano
voto: 2,5    

In una Beirut completamente degradata, ridotta a una kasbah piena di macerie, il tredicenne Zain (Alrafeea) fa causa ai suoi genitori per averlo messo al mondo, dopo che questi hanno venduto la figlia undicenne a un uomo che, dopo averla ingravidata, le ha procurato la morte. Assistiamo così a una impacciata ricostruzione in flashback in cui seguiamo il ragazzino per le strade cittadine, mentre si arrabatta tra vendita di cianfrusaglie, lavoretti per sbarcare il lunario e il babysitteraggio di un bambino etiope che cammina appena: un compito che gli viene offerto dalla madre di questo in cambio di un rifugio.
Il film di Nadine Labaki - già regista del mediocre Caramel - è un polpettone che cerca, senza mai trovarla, la lacrima dello spettatore, rovistando nel parossismo di una vita impossibile, per descrivere la quale è insufficiente persino la parola povertà. Eppure, la regista non riesce mai a creare empatia neppure col protagonista, tanto è manifestamente programmatico e ricattatorio l'intento di commuovere. Insignito del premio del pubblico al festival di Cannes, Cafarnao è il classico film per palati senza alcuna pretesa, contenti di ingozzarsi per due ore di badilate di retorica sottolineate da una musica per archi onnipresente e inopportuna. Scomodare per il confronto film come The Millionaire o Lion è da T.S.O. urgente.    

martedì 9 aprile 2019

Happy End

anno: 2017       
regia: HANEKE, MICHAEL    
genere: drammatico    
con Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant, Mathieu Kassovitz, Fantine Harduin, Franz Rogowski, Laura Verlinden, Toby Jones    
location: Francia
voto: 4,5    

Distopico romanzo di formazione di una tredicenne (Fantine Harduin) che cresce in una famiglia aristocratica francese a Calais, nei pressi di quel mare che restituisce i cadaveri dei migranti. In apertura e in chiusura di film la vediamo in azione col suo smartphone, col quale riprende tanto la prevedibilissima liturgia mattutina della madre, quanto la morte del criceto al quale somministra gli psicofarmaci della donna, così come riprende il tentativo di suicidio del nonno (Trintignant). Quest'ultimo è un ricchissimo vegliardo fiero di avere soffocato la moglie sofferente (il rimando più che esplicito è ad Amour) e che vorrebbe passare anch'egli a miglior vita. Lo vediamo persino fermare per strada, stando a bordo di una carrozzella, alcuni emigrati ai quali chiede la cortesia, così come la chiede al suo barbiere, di procurargli una rivoltella per le sue necessità di autosoppressione. La famiglia si completa con il padre della ragazzina (Kassovitz), un medico compulsivamente fedifrago, sua sorella (Huppert), una imprenditrice edile che ha qualche grana con il crollo del cantiere sul quale sovraintende l'ottuso figlio (Rogowski) e altra umanità sparsa.
A cinque anni dal capolavoro Amour, Haneke licenzia un'opera stanca, manierata, nella quale sembra voler portare al parossismo lo spirito caustico col quale ha raccontato, in passato, l'anima più torbida dell'alta borghesia. Ma stavolta l'operazione sembra limitarsi a ricalcare pedissequamente le trovate stilistiche che caratterizzano il cinema del registra austriaco: riprese in campo lunghissimo in cui non ci è dato capire le conversazioni in momenti topici del racconto, il gioco del punto di vista, l'uso di attori feticcio (Trintignant e la Huppert) radunati per l'occasione, la replica degli stessi temi. Un passo clamorosamente falso in una carriera smagliante.    

sabato 6 aprile 2019

Glass

anno: 2019       
regia: SHYAMALAN, M.NIGHT    
genere: fantastico    
con Bruce Willis, Anya Taylor-Joy, James McAvoy, Sarah Paulson, Samuel L. Jackson, Spencer Treat Clark, Luke Kirby, Adam David Thompson, Jane Park Smith    
location: Usa
voto: 1    

Dall'ennesimo peto cerebrale di uno dei registi più sopravvalutati e inutili dell'intera storia del cinema, l'indiano M. Night Shyamalan, arriva una storiellina incomprensibile che vorrebbe idealmente chiudere una trilogia che parte da Unbreakable e passa per Split. Si tratta di un'accozzaglia indigesta che miscela fantascienza, fumetto  e supereroi, collocando al centro della scena uno psicopatico dalle molte personalità, Kevin Wendell Crumb (McAvoy), sulle cui tracce si mette David Dunn (Willis), una specie di giustiziere della notte in versione dark. I due vengono catturati dalla polizia e finiscono in un ospedale psichiatrico sotto le "cure" di Ellie Stapple (l'inguardabile Sarah Paulson) insieme a un altro disagiato psichico dalle ossa fragili (Jackson). Cosa succeda là dentro non mi è chiaro perché tra indomabili attacchi di letargia e colpi di sceneggiatura scritti con gli sfinteri qualcosa mi è sfuggito. C'è solo da domandarsi quale sia il senso di un'operazione che dimentica completamente l'azione e si affida per intero a dialoghi improponibili girati tutti in campo e controcampo. E così per due ore e dieci.    

martedì 2 aprile 2019

Ricordi?

anno: 2018       
regia: MIELI, VALERIO    
genere: sentimentale    
con Luca Marinelli, Linda Caridi, Giovanni Anzaldo, Camilla Diana    
location: Italia
voto: 7,5    

Lui (Marinelli) è un giovane professore universitario, tormentato, spesso triste, attaccatissimo al passato, lunare, acchiappasottane. Lei (Caridi) è solare, piena di voglia di vivere, sempre sorridente e insegna a scuola. Non sapremo mai i loro nomi (se li sussurrano in un orecchio), ma seguiremo i frammenti del loro discorso amoroso secondo un modello narrativo che occhieggia a Un amore di Tavarelli, ma che destruttura completamente il racconto, mettendo in risalto l'ingannevolezza dei ricordi: ma nevicava quella sera? Eri vestita di bianco o di rosso? Forse per te è stato importante, ma per me no. E così via. Acrobata dei racconti sentimentali, Valerio Mieli torna dietro la macchina da paresa a nove anni da Dieci inverni per raccontare le traiettorie sghembe di un percorso amoroso, trovando una cifra stilistica originalissima in un racconto a puzzle senza alcun ordine temporale, alla fine del quale però tutto torna. E, con esso, la meraviglia dello spettatore davanti a tanto palpitare, prendere e lasciare, vivere due volte a distanza di anni nella stessa casa, mettere l'amatissimo cane nel congelatore, invitare l'ex al proprio matrimonio. Nell'attesa che l'orizzonte poetico di Mieli possa allargarsi ad altri temi, ci godiamo questo tourbillon sentimentale con due attori perfettamente in parte e con una lei davvero mirabolante, al servizio di un film che trova nel virtuosistico montaggio di Desideria Rayner un ulteriore punto di forza.    

domenica 31 marzo 2019

Il professore e il pazzo (The Professor and the Madman)

anno: 2019       
regia: SAFINIA, FARHAD    
genere: biografico    
con Mel Gibson, Sean Penn, Natalie Dormer, Jennifer Ehle, Jeremy Irvine, Ioan Gruffudd, Eddie Marsan, Aidan McArdle, Steve Coogan    
location: Regno Unito, USA
voto: 7,5    

La vera storia della creazione del primo grande dizionario della lingua inglese (l'Oxford English Dictionary), che nel 1879 partì su iniziativa di un erudito autodidatta scozzese, James Murray (Gibson), e che grazie al provvidenziale aiuto di un veterano di guerra schizofrenico (Penn), rinchiuso in un manicomio criminale ma con un'impressionante attitudine allo studio, portò al concepimento del primo di una serie di volumi della titanica opera, per la quale occorsero circa 70 anni per la sua completa realizzazione, alla quale peraltro nessuno dei due protagonisti dell'impresa potè assistere.
Nel confronto tra barbe sontuose, Sean Penn straccia Mel Gibson, confermandosi uno dei più grandi attori del pianeta. Ma il merito del film, tratto da L'assassino più colto del mondo di Simon Winchester (1998), non sta soltanto nella strabiliante prova attoriale, ma anche nella capacità di aggiungere, a una trama di per sé avvincente soprattutto nei dettagli che richiamano la traiettoria d'uso delle parole nel corso dei secoli, una sottotrama davvero toccante che sposta una parte del film sui temi della colpa e del perdono. È la sezione legata al rapporto tra la vedova (Dormer) dell'uomo ucciso del tutto gratuitamente dal pazzo durante una crisi maniacale e il pazzo stesso, che mostra un'impressionante umanità. Se le figure di primo piano sono disegnate con attenzione ai dettagli psicologici, non da meno sono quelle che stanno sullo sfondo, dalla comprensiva moglie di Murray all'umanissimo secondino interpretato da Eddie Marsan.    

venerdì 29 marzo 2019

La scomparsa di Eleanor Rigby: Lui (The Disappearance of Eleanor Rigby: His)

anno: 2013       
regia: BENSON, NED    
genere: sentimentale    
con James McAvoy, Jessica Chastain, Ciarán Hinds, Bill Hader, Isabelle Huppert, Jess Weixler, Nina Arianda    
location: USA
voto: 4,5    

L'idea è di quelle che lasciano il segno. Una coppia giovane e affiatata perde il figlio che non ha neppure compiuto un anno. anziché unire, il dolore sfalda la coppia: lei (la sopravvalutatissima e spigolosa Jessica Chastain, che nel film ha un nome difficile da portare, visto che richiama esplicitamente una canzone dei Beatles) se ne va chissà dove. Lui (McAvoy) - un ristoratore che fatica ad affermarsi - la cerca, la pedina, finisce sotto un'automobile, le fa pervenire un biglietto durante una conferenza. Fa di tutto per tornare con lei - una donna che vive d'aria e ha uno sbotto d'ira ogni tre per due - la quale, invece, non ne vuole sapere. L'idea buona non è nella pochezza di questa storia amorosa affidata a due protagonisti senza alcun appeal, ma quella di farne ben tre film che si appoggiano sul punto di vista di lui, di lei e di entrambi. Non è Kurosawa e non è neppure una di quelle trovate à la Linklater, tanto meno è assimilabile un film come 500 giorni insieme, ma sulla carta il progetto funziona perché le storie sono ben differenziate una dall'altra. Poi invece ti trovi davanti a dialoghi stucchevoli, a personaggi monodimensionali (il padre di lui, sottaniere con un ristorante di successo; la madre di lei, borghese annoiata con il calice perennemente in mano), a situazioni che - quando arrivano allo zenit del pathos - al massimo propongono una botta di isteria da parte della protagonista e nulla più.    

venerdì 22 marzo 2019

Ride

anno: 2018       
regia: MASTANDREA, VALERIO    
genere: drammatico    
con Chiara Martegiani, Renato Carpentieri, Stefano Dionisi, Arturo Marchetti, Milena Vukotic, Mattia Stramazzi, Walter Toschi, Giancarlo Porcacchia, Silvia Gallerano, Raffaele Vannoli, Giordano De Plano, Lino Musella    
location: Italia
voto: 3    

Un operaio è morto sul lavoro. L'evento suscita la commozione della comunità di lavoratori che vivono sul litorale laziale, a Nettuno, vicino Roma. Suo figlio di dieci anni (Marchetti) cerca di esorcizzare il dolore immaginando una telecronaca dell'evento funerario in compagnia di un coetaneo. Soltanto sua moglie (Martegiani), la compagna di una vita, non riesce a piangere.
Valerio Mastandrea esordisce dietro la macchina da presa con un film coraggioso, ma letale per chi tenta infruttuosamente di rimanere in stato di veglia. Ritmo lentissimo, recitazione (in primis della protagonista, compagna nella vita dell'attore-regista romano e qui per la prima volta sul grande schermo) di livello amatoriale, una valanga di ellissi, troppa carne al fuoco (l'elaborazione del lutto, il tema del figliol prodigo, le lotte operaie, la malattia) ma anche troppa, davvero troppa musica. in mezzo a tanta materia maldestramente organizzata, diventa compito dello spettatore quello di ricostruire i rapporti tra l'anziano padre (Carpentieri), anch'egli con un passato da operaio, e il figlio maggiore (Dionisi), un cinquantenne ricomparso dal nulla, o di dare un senso alle incursioni posticce di una ex fidanzata del defunto, interpretata da una Silvia Gallerano che fatica a capire che quello non è più il palcoscenico dove ha portato La merda, il suo fortunatissimo (sic) spettacolo teatrale. La macchina da presa incollata col millechiodi sul pavimento e l'irpino Carpentieri che tenta di scimmiottare il vernacolo romanesco contribuiscono ad accentuare l'effetto straniante di tutta l'operazione, che vede così maldestramente naufragare quel mood malinconico che Mastandrea riesce quasi sempre a portare davanti alla macchina da presa ma che, dietro, diventa a tratti involontariamente grottesco.    

mercoledì 20 marzo 2019

Cosa fai a Capodanno?

anno: 2018       
regia: BOLOGNA, FILIPPO    
genere: commedia gialla    
con Luca Argentero, Ilenia Pastorelli, Alessandro Haber, Vittoria Puccini, Isabella Ferrari, Valentina Lodovini, Riccardo Scamarcio, Ludovico Succio    
location: Italia
voto: 1,5    

Cosa aspettarsi da un film che affida il ruolo di protagonista maschile e femminile a due usciti fuori da Il grande fratello televisivo? Nulla, il vuoto penumatico. Che è esattamente ciò che si può trovare in questo film che - pur volendo occhieggiare in chiave kammerspiel a Tarantino e ai Coen - non è buono neppure per dormire e che, la sera dell'ultimo dell'anno, fa incontrare diverse coppie in un lussuoso chalet di montagna. Una coppia di ladri (Argentero e Pastorelli) che ha sequestrato i padroni di casa; una coppia di scambisti (più una seconda che non arriverà mai), una madre (Ferrari) con un figlio che vogliono recuperare una vecchia crosta dipinta dal marito ormai defunto della signora e due fattorini che dovrebbero consegnare ostriche e champagne, ma che non giungeranno mai alla meta. Tra battute sul padrone di casa nerboruto e di colore (lo chiamano il "toblerone"), altre sul tempo che un eterosessuale medio passa all'interno di una vagina, quella miracolata della Pastorelli che, continuando a interpretare (male) sé stessa, fa rimpiangere il fulgido talento di Valeria Marini in analoghe parti da oca (ma ve lo ricordate quanta classe aveva Marilyn?) e doppi sensi a gogò, ovviamente a (s)fondo sessuale (perduto), il film termina con una bolla di sapone, sprecando anche un cammeo di Riccardo Scamarcio. A mai più rivederci, Filippo Bologna.    

lunedì 18 marzo 2019

Una giusta causa (On the Basis of Sex)

anno: 2019       
regia: LEDER, MIMI    
genere: biografico    
con Felicity Jones, Armie Hammer, Kathy Bates, Justin Theroux, Sam Waterston, Cailee Spaeny, Jack Reynor, Stephen Root, Chris Mulkey    
location: Usa
voto: 6    

Negli anni '50 Ruth Bader Ginsburg (Jones) fu una delle prime donne ad essere accettate nel corso di laurea in giurisprudenza ad Harvard, diventandone anche una delle migliori laureate della sua epoca. Moglie e madre disposta a qualsiasi sacrificio e dalle inesauribili energie, Ruth si diede da fare moltissimo per ridurre le disuguaglianza di genere in ambito privato e lavorativo, combattendo una fierissima crociata contro un sistema costituzionale e giudiziario vieto e parruccone. Il film di Mimi Leder - che sui nostri schermi non si vedeva dal lontano 2001 (Un sogno per domani) - racconta la vera storia di questa eroina femminista che fu anche la prima donna a sedere tra i giodici della Corte Suprema durante l'amministrazione Clinton, attraverso un biopic convenzionale, dall'impianto classificassimo, piuttosto debordante nei tempi e affidato soprattutto alla parola: non solo quella esercitata nei tribunali, ma anche quella domestica, delle schermaglie tra madre e figlia, quella dei confronti a testa alta contro gli accademici di Harvard e via dicendo. Un film dai contenuti encomiabili, affidato a un'attrice dallo scarso carisma come Felicity Jones, che tutti ricordano nella moglie paziente e devota di Stephen Hawking ne La teoria del tutto.    

sabato 16 marzo 2019

Momenti di trascurabile felicità

anno: 2019       
regia: LUCHETTI, DANIELE    
genere: commedia fantastica    
con Pif, Renato Carpentieri, Thony, Francesco Giammanco, Angelica Alleruzzo, Franz Santo Cantalupo, Vincenzo Ferrera, Manfredi Pannizzo    
location: Italia
voto: 7    

Perché il martello frangi vetro sta sempre chiuso dentro una bacheca protetta dal vetro? E perché il primo taxi che deve partire non è mai il primo della fila? La luce del frigorifero si spegne veramente quando lo chiudiamo? E perché le donne restano sempre senza assorbenti? Mentre si interroga su queste domande, Paolo (Pif) sbaglia di un quarto di secondo il calcolo per passare col rosso in scooter, lì dove pastransita tutti i giorni. E muore. A nulla è servita una vita di broccoli, sport, bicchieri d'acqua alla mattina appena alzato. Quando va in cielo, però, in quel gran casino che è l'aldilà si accorgono che nel calcolo per la data della sua morte non hanno incluso il fatto che Paolo ha sempre bevuto centrifughe, per di più con lo zenzero. Il che ammonta a un'ora e trentadue di vita in più, che gli consente, accompagnato da un ufficiale dell'aldilà (Carpentieri), di tornare per quel tempo dai suoi cari, rivedere le cose del passato e rinunciare persino alla partita del Palermo insieme agli amici.
Dopo una lunga serie di fiaschi (Anni felici, Chiamatemi Francesco, Io sono Tempesta), Luchetti torna alla sua forma migliore, quella dei riuscitissimi dramedy come La scuola e La nostra vita, partendo dal fortunatissimo dittico di Francesco Piccolo (qui anche in veste di co-sceneggiatore): Momenti di trascurabile felicità e Momenti di trascurabile infelicità. Merito non solo di un copione azzeccatissimo che lascia pulsare nel film le pagine del libro, ma anche dell'indovinata scelta di un non-attore malincomico come Pif, surreale, crepuscolare e stralunato, capace di conferire al film quei mezzi toni straniati con il suo stile garbato e suadente. Finendo però per mangiarsi per intero un film ricco di trovate esilaranti e con più di un debito verso opere come L'inafferrabile Signor Jordan e Il cielo può attendere.    

venerdì 15 marzo 2019

La casa sulle nuvole

anno: 2009       
regia: GIOVANNESI, CLAUDIO    
genere: drammatico    
con Adriano Giannini, Emanuele Bosi, Emilio Bonucci, Paolo Sassanelli, Faten Ben Haj Hasse, Antonino Ninni Bruschetta, Tara Haggiag    
location: Italia, Marocco
voto: 4,5    

Michele (Giannini), un allevatore di cavalli, e suo fratello minore Lorenzo (Bosi), jazzista col pallino di andare a suonare a New York, vengono a sapere improvvisamente che la casa dove vivono, a due passi da Roma, è stata venduta dal loro padre (Bonucci), sparito nel nulla da 12 anni. Rintracciano così l'acquirente dell'immobile (Sassanelli) e decidono di raggiungerlo a Marracash, dove ritrovano il genitore, un Peter Pan che ha una relazione con una giovanissima autoctona (Hassen) e che passa le giornate a sognare qualche altra fallimentare trovata imprenditoriale.
Claudio Giovannesi esordisce dietro la macchina da presa con un film ancora acerbo, che si dilunga sui festini paterni e sui serrati confronti tra il genitore e il figlio maggiore, con qualche bella trovata visiva (su tutte, quella della mongolfiera che dà il titolo al film, in pieno deserto), una certa intensità di sguardo sui caratteri psicologici ma ritmo fiacchissimo.    

lunedì 11 marzo 2019

Il colpevole - The Guilty (Den skyldige)

anno: 2018       
regia: MOLLER, GISTAV    
genere: poliziesco    
con Jakob Cedergren, Jessica Dinnage, Omar Shargawi, Johan Olsen, Jacob Lohmann, Katinka Evers-Jahnsen, Jeanette Lindbæk, Simon Bennebjerg, Laura Bro, Morten Suurballe    
location: Danimarca
voto: 7,5    

Per Asger Holm (Cedergren) è proprio una serataccia. Sua moglie lo ha lasciato da poco, i suoi colleghi lo guardano in cagnesco e in più la mattina seguente gli spetta un processo per avere ucciso un uomo. Già, perché Asger è un poliziotto danese retrocesso a centralinista per il pronto intervento. E, come se non bastasse, proprio quella sera arriva la chiamata di una donna che dice di essere stata rapita dall'ex marito, mentre i suoi due figli, piccolissimi, sono rimasti da soli a casa. Tra astute mosse psicologiche e l'ausilio della tecnologia, Asger fa di tutto per aiutare la donna, anche a costo di giocarsi ulteriormente la reputazione davanti ai suoi colleghi.
Parente strettissimo di quei film che giocano tutto sull'unità di luogo, di tempo e di azione e che mettono in campo un solo attore (Locke, Mine, Buried, Wrecked), il film d'esordio del danese Gustav Möller è un capolavoro di efficacia: ottiene il massimo (sceneggiatura a orologeria, giustamente premiata al 36esimo Torino Film Festival) dal minimo (budget). Nipotino di film come La conversazione o Il terrore corre sul filo, Il colpevole regala allo spettatore poco meno di un'ora e mezza di pura tensione, con un'escalation di fatti dei quali cogliamo soprattutto i rumori (veri coprotagonisti del film), appassionandoci a una storia con almeno un paio di colpi di scena ben assestati e che ci lascia con un interrogativo: quanto conta la convinzione che infondiamo nei nostri punti di vista, se poi questi rischiano di andare a danno degli altri?    

domenica 10 marzo 2019

Sex story

anno: 2019       
regia: COMENCINI, CRISTINA * MORONI, ROBERTO    
genere: documentario    
location: Italia
voto: 5    

La storia della metamorfosi (quasi impercettibile) dei costumi sessuali degli italiani vista attraverso il prisma della televisione, dagli esordi (1954) alla fine degli anni '80. Gli autori e registi, Cristina Comencini e Roberto Moroni, hanno assemblato materiali tratti dalla rassegna di centinaia di ore, visionando caroselli, talk show, rubriche di approfondimento, telegiornali, varietà televisivi e programmi musicali, operando una scelta radicale: quella di non infilare neppure una nota di commento che non sia quella degli originali tv. Operazione indubbiamente interessante, della quale tuttavia non si capisce il senso, visto che si arresta proprio nel momento in cui, con l'affermazione dell'emittenza privata, proprio soprattutto a causa della televisione gli italiani vissero un autentico cambio di paradigma. Il modello parruccone e cattolico del cattolicesimo venne così repentinamente sovvertito dall'arrivo di Cicciolina in parlamento.    

sabato 9 marzo 2019

Vinilici. Perchè il Vinile Ama la Musica

anno: 2018   
regia: IANNUCCI, FULVIO    
genere: documentario    
con Carlo Verdone, Mogol, Renzo Arbore, Red Ronnie, Bruno Venturini, Claudio Coccoluto, Giulio Cesare Ricci, Renato Marengo, Claudio Trotta, Elio e le Storie Tese, Gianni Sibilla, Fernando Esposito, Simona Burini, Claudio Austoni, Bruno Bavota, Sergio Burini, Alessandro Cereda, Paolo Corciulo, Lello Savonardo    
location: Italia
voto: 7,5    

Collezionisti, patiti dell'alta fedeltà, musicisti, produttori, deejay, semplici ascoltatori, giovani neofiti: per tutti loro il disco in vinile è l'emblema dell'amore per la musica, dell'attenzione all'ascolto. Ed è proprio al vecchio long playing a 33 giri che, a settant'anni dalla nascita del disco in vinile, è dedicato questo notevole documentario tratto da un'idea di Nicola Iuppariello e diretto da Fulvio Iannucci. Testimoni d'eccezione come Carlo Verdone, Mogol, Renzo Arbore e Red Ronnie raccontano aneddoti, propongono analisi, spiegano le differenze tra analogico e digitale, ci ricordano che la prima fabbrica europea di dischi era proprio italiana, azzardano una fenomenologia del nuovo sussulto di un mercato - quello del vinile, appunto - che sembrava morto e che invece oggi si attesta, in Italia, su un 10% del fatturato complessivo. Un documentario immancabile per gli appassionati di musica ma anche una piacevole rassegna che consente di sbirciare dietro le quinte della produzione di un disco, tra vecchie stampe in 78 giri, lacche, bootleg, matrici e tecnologie avanzatissime.    

venerdì 8 marzo 2019

The Vanishing - Il Mistero del Faro (Keepers)

anno: 2018       
regia: NYHOLM, KRISTOFFER    
genere: thriller    
con Peter Mullan, Gerard Butler, Connor Swindells, Søren Malling, Ólafur Darri Ólafsson, Gary Lewis, Ken Drury    
location: Regno Unito
voto: 6    

Siamo in un'isola al largo della Scozia, all'inizio del Novecento. Tre uomini che vivono isolati a guardia di un faro trovano il corpo di un uomo che sembra morto, ma che morto non è, che ha con sé una cassa piena di lingotti d'oro. Nella zuffa tra il più giovane dei tre guardiani (Swindells) e il naufrago, quest'ultimo ci lascia le penne. Verranno altri a cercarlo e sarà una carneficina.
Ispirato alla storia vera ricordata come il mistero del faro delle isole Flannan, il film dell'esordiente danese Kristoffer Nyholm, con un titolo originale - Keepers - stupidamente tradotto in italiano con un altro titolo inglese, alterna momenti del quotidiano monotono e verboso dei tre ad altri nei quali succede di tutto. In questo oscillare tra accelerazioni e brusche frenate, questo thriller psicologico sembra volersi concentrare soprattutto sull'ingordigia che i tre protagonisti manifestano davanti alla possibilità di un arricchimento improvviso, pagata col contrappasso di una lotta belluina. un'ingordigia che diventa la cartina di tornasole delle reali personalità dei tre e che conduce lo spettatore a un finale che, rispetto alla vicenda reale, azzarda una possibile spiegazione. Attori straordinari, regia controllata.    

mercoledì 6 marzo 2019

La paranza dei bambini

anno: 2019       
regia: GIOVANNESI, CLAUDIO    
genere: gangster    
con Francesco Di Napoli, Viviana Aprea, Mattia Piano Del Balzo, Ciro Vecchione, Ciro Pellecchia, Ar Tem, Alfredo Turitto, Pasquale Marotta, Luca Nacarlo, Carmine Pizzo, Valentina Vannino, Aniello Arena, Roberto Carrano, Adam Jendoubi, Renato Carpentieri    
location: Italia
voto: 6,5    

A Napoli, Nicola (Di Napoli) e cinque suoi amici non hanno alcuna idea di come siano fatti i banchi di scuola. In compenso, conoscono con precisione i prezzi dei Rolex, sono attentissimi alla scriminatura sui capelli, fanno fallire i commercianti di caschi per le due ruote e maneggiano più cocaina di un corriere colombiano. Vivono nel Rione Sanità e ne vogliono diventare i padroni. Ma come sempre l'amore ci si mette di mezzo e per Nicola e i suoi prendersi la zona dello spaccio e del pizzo sarà meno facile del previsto.
Tratto dal libro omonimo di Roberto "Prezzemolo" Saviano, che lo ha sceneggiato insieme al regista e a Maurizio Braucci, il quinto film di Claudio Giovannesi conferma l'impegno e l'interesse del regista capitolino nei confronti delle realtà più periferiche e degradate. Un interesse che però stavolta - rispetto ai più efficaci Alì ha gli occhi azzurri e Fiore - ripropone lo schema Gomorra (sia il film di Garrone che la serie tv): bande criminali in guerra perpetua e talvolta fratricida tra loro, omicidi e tradimenti, attrazione smodata per il lusso, case con i cessi laccati in oro e le statue di leoni ruggenti in salotto, tripudio del kitsch, feste nuziali di smodata pacchianeria e l'immancabile sottofondo dei neomelodici e delle loro canzonacce di serie Z. Insomma, il film - pur diretto benissimo, fotografato solo con macchina a mano e con la consueta maestria da Daniele Ciprì e affidato a un cast intonatissimo e perfettamente all'altezza della situazione - non aggiunge nulla ai film di camorra visti da una quindicina d'anni a questa parte.    

domenica 3 marzo 2019

Toro

anno: 2016       
regia: MAILLO, KIKE    
genere: gangster    
con Mario Casas, Luis Tosar, Ingrid García Jonsson, José Sacristan, Claudia Vega, José Manuel Poga, Nya de la Rubia, Manuel Salas    
location: Spagna
voto: 1    

Dopo una rapina in occasione della quale uno dei suoi due fratelli è morto, Toro (Casas) decide di rifarsi una vita rigando dritto e affrancandosi dal boss per il quale ha operato fino al giorno in cui è finito in galera. Ma il passato ritorna sotto le spoglie del secondo fratello, Lopez (Tosar), che ha sottratto un considerevole malloppo proprio all'ex capo di Toro. Il ragazzo sarà costretto a tornare in pista per salvare togliere il fratello dai guai e ritrovare la nipote, che è stata rapita per vendetta.
Ancora una volta quelli di FilmTv mi ci hanno fregato: sul cartaceo scrivono che "il film ha tutto quello che un action deve avere: facce giuste, donne sensuali e sacrificabili e un paio di inseguimenti adrenalinici". È evidente che hanno visto un altro film perché al museo delle cere mi è capitato di osservare facce molto più espressive di quelle che compaiono in questo lavoro, la donna più sensuale del film è una maestrina che si veste come la mia professoressa di matematica l'anno prima che andasse in pensione e gli inseguimenti adrenalinici li avrebbe girati meglio un tetraplegico con un telefonino Nokia di vent'anni fa. Però gli amici della rivista più snob della piazza (la compro da 27 anni, lasciatemelo dire…) dimenticano di fare riferimento ai dialoghi, che probabilmente sono stati scritti estraendo a sorte le lettere dello Scarabeo.    

venerdì 1 marzo 2019

Copia originale (Can You Ever Forgive Me?)

anno: 2018       
regia: HELLER, MARIELLE    
genere: biografico    
con Melissa McCarthy, Richard E. Grant, Anna Deavere Smith, Julie Ann Emery, Dolly Wells, Joanna P. Adler, Josh Evans (III)    
location: Usa
voto: 6,5    

1991. Dopo aver raggiunto un effimero successo come scrittrice, la newyorchese Lee Israel (McCarthy) si ritrova disoccupata e sola. Il carattere da misantropa non la aiuta, ma la fantasia sì. Così decide di utilizzare le sue risorse di scrittrice per creare false lettere di personaggi famosi che, una volta vendute a collezionisti disposti a pagarle profumatamente, le consentiranno di sbarcare il lunario. Le cose si complicano dapprima quando mette al corrente dell'impiccio il suo unico amico (Grant), un omosessuale cocainomane e sfaccendato, quindi quando l'FBI si mette sulle sue tracce dopo avere ricevuto l'allarme relativo alla vendita di lettere false.
Tratto da una storia vera, Copia originale è un film garbato, atipico e dalle atmosfere retrò, nel quale la solitudine della protagonista si coniuga con la sua voglia di riscatto, declinata sotto le mentite spoglie di personaggi famosi ai quali andranno indirizzate eventuali critiche. Un piccolo film indipendente che si avvale della straordinaria prestazione dell'intero cast.    

mercoledì 27 febbraio 2019

Green book

anno: 2018       
regia: FARRELLY, PETER    
genere: commedia    
con Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Sebastian Maniscalco, Dimiter D. Marinov, Mike Hatton, P.J. Byrne, Joe Cortese    
location: Usa
voto: 3,5    

Siamo in America, negli anni '60. In gran parte del paese i gabinetti prevedono ancora - quando esiste - un ingresso a parte per la popolazione di colore. A cui appartiene Don Shirley (Ali), pianista di enorme talento, omosessuale, colto, ricco, laureato e alla ricerca di qualcuno che gli faccia da autista in occasione della sua tournée nel sud degli States, dove il razzismo è ancora più pronunciato che nel resto del Paese. Qual qualcuno si chiama Tony Lip Vallelonga (Mortensen). È un italoamericano dai modi ruvidi che fino al giorno prima faceva il buttafuori al Capocabana di New York, menava le mani con facilità e disprezza i neri. Ma la paga è lauta e l'occasione ghiotta. I due si metteranno in viaggio e Tony ne tornerà cambiato.
Il film che ha misteriosamente vinto la statuetta più prestigiosa che l'Academy potesse conferirle replica le assurdità di Moonlight, dimostrando che alcuni premi sono elargiti soltanto su base ideologica. Non che non sia condivisibile la morale del film: tutt'altro. Ma il problema è che Green book (dal nome che all'epoca prendevano quei vademecum che indicavano agli afroamericani a quali luoghi potessero accedere senza problemi) è pieno zeppo di stereotipi (il più fastidioso quello sulla comunità italiana, inevitabilmente mafiosa e mangiaspeghetti) e si basa su uno schema visto e stravisto: quello della strana coppia che, con l'occasione del viaggio, solidarizza fino all'amicizia, che arriva al suo Zenith la sera di natale e din don dan. Così il pubblico in cerca di buoni sentimenti un tanto al chilo gode nel farsi rifilare questa paccottiglia stracotta da un regista che nel suo curriculum annovera soltanto film come Scemo e + scemo, Tutti pazzi per Mary, Io, me & Irene, Amore a prima svista e I tre marmittoni. E che rimane saldamente ancorato a quel livello artistico.    

Il sacrificio del cervo sacro (The Killing of a Sacred Deer)

anno: 2017   
regia: LANTHIMOS, YORGOS    
genere: drammatico    
con Colin Farrell, Nicole Kidman, Barry Keoghan, Raffey Cassidy, Sunny Suljic, Bill Camp, Denise Dal Vera, Alicia Silverstone    
location: Regno Unito, Usa
voto: 6    

Un cardiochirurgo con un passato da semi-alcolizzato (Farrell) si ritrova nel mirino vendicativo di un sedicenne psicopatico (Keoghan) convinto che suo padre sia morto sotto i ferri del medico. Il ragazzo dapprima entra nella sfera di benevolenza dell'uomo, dettata dai sensi di colpa, per poi farsi artefice di una vendetta che fa ammalare i figli del dottore, il quale si troverà costretto a sacrificare uno di loro.
Come già nel precedente The lobster, il greco Lanthimos punta tutto sul racconto distopico dallo stile straniato, algido, nel quale i sentimenti vengono espressi rigidamente, il sesso consumato attraverso lo sguardo posato su corpi inerti, l'ipocrisia serpeggia in ogni ambiente e il grande ospedale dove è ambientata la vicenda sembra una replica spetrale dell'Overlook Hotel di kubrickiana memoria. Lanthimos è abilissimo nel tenere alta la tensione per le due ore di film, facendosi aiutare dal ruolo centralissimo di una colonna sonora che procede a colpi di dissonanze e puntando tutto su un'estetica raggelata che è il suo marchio di fabbrica. Ma anche stavolta l'esito del racconto - che per gran parte sembra quasi seguire una pista gialla - naufraga miseramente in un finale ridicolo.    

sabato 23 febbraio 2019

L'amore è imperfetto

anno: 2012   
regia: MUCI, FRANCESCA    
genere: drammatico    
con Anna Foglietta, Giulio Berruti, Bruno Wolkowitch, Camilla Filippi, Lorena Cacciatore    
location: Italia
voto: 6,5    

L'amore è imperfetto, il film anche (e molto), ma ha una carnalità, una vivacità e un ritmo che lo fanno sembrare una versione dei melodrammoni di Matarazzo aggiornata ai tempi dell'amore liquido. La prima opera di finzione di Francesca Muci - che avevamo apprezzato nel documentario L'Italia del nostro scontento - è tratta dal suo romanzo eponimo e racconta la vicenda della trentacinquenne Elena (interpretata con venature hot da una Anna Foglietta, finora mai tanto brava) che - tra il 2005 e il 2012 - si arrabatta tra tre amori impossibili e la convivenza con l'amica Roberta (Filippi): quello per Marco (Berruti), gay che, approfittando della sua bellezza, la vuole solo per poterla inseminare; quello per un maturo produttore discografico cinquantenne dai modi garbati (Wolkowitch) e quello, fuggitivo e subìto suo malgrado, di una ragazzina invadente, insolente e ninfomane (Cacciatore).
Ambientato in una Bari fotografata nei suoi angoli più suggestivi, nella quale neppure il barista o il fruttivendolo parlano come Lino Banfi perché nel capoluogo pugliese hanno frequentato tutti la scuola di dizione, L'amore è imperfetto trova una sua cifra stilistica originale, in un andirivieni temporale che spariglia le carte del racconto e ci appassiona al destino sentimentale della protagonista. In testa e in coda, purtroppo, tocca sorbirsi un paio di canzoncine di Tiziano Ferro.