sabato 29 novembre 1997

Persona

anno: 1966   
regia: BERGMAN, INGMAR  
genere: drammatico  
con Bibi Andersson, Liv Ullman, Margaretha Krook, Gunnar Björnstrand, Jörgen Lindström  
location: Svezia   
voto: 8,5

L'isolamento terapeutico in una località marina di due donne - l'attrice Elisabeth (Liv Ullman) e la sua infermiera Alma (Bibi Andersson) - diventa l'occasione per sviscerare angosce remote seppellite con una scelta diametralmente opposta. Elisabeth è chiusa in un mutismo totale; Alma ha invece una logorrea fluviale.
Proseguendo idealmente il discorso interrotto con Il silenzio, Bergman - all'epoca afflitto da una gravissima depressione - mette ancora una volta a confronto due universi femminili nei quali vengono coinvolti i drammi della maternità, della guerra, dell'amore, dell'abbandono, della sessualità, il pensiero di Kierkegaard e la religione. Affidandosi alla fotografia strabiliante di Sven Nykvist - capace di iperfocali e primi piani di grande inventiva nei quali domina il contrasto tra i bianchi e i neri e che non a caso ha curato la fotografia di 28 dei film del regista svedese - e alla prova magistrale delle due protagoniste, Bergman scandaglia con originalità il rapporto tra realtà e finzione, puntando sulla complementarità delle due interpreti. Memorabile il doppiaggio di Bibi Andersson eseguito da Maria Pia Di Meo.

martedì 25 novembre 1997

Hana-Bi - Fiori di fuoco

anno: 1997       
regia: KITANO, TAKESHI  
genere: poliziesco  
con Beat Takeshi Kitano, K.Kishimoto, R.Osugi          
location: Giappone, Hong Kong
voto: 6

A Hong Kong, il poliziotto Nishi ("Beat" Takeshi Kitano) rimane sconvolto da una serie di episodi che riguardano da vicino il suo privato: la moglie (Kayoto Kishimoto), ammalata di leucemia, ha i giorni contati; due colleghi rimangono uccisi da un killer ed un terzo finisce paralizzato dopo essere stato colpito alle spalle. A chiudere il cerchio c'è un altro amico braccato dalla yakuza, la mafia nipponica. Dopo essersi dimesso dalla polizia, Nishi decide di rapinare una banca per poi regalare alla moglie gli ultimi giorni di vita spensierata, senza mancare di avere un eccezionale riguardo per il suo amico paraplegico. Così, sulle nevi delle montagne, viene pedinato dalla polizia dopo avere massacrato quattro uomini della yakuza. Davanti ad un destino segnato, Nishi ne anticipa la fine, per sé e sua moglie.
Definito da Tullio Kezich "un miscuglio tra Tarantino e Antonioni", Hana-Bi, vincitore del Leone d'oro a Venezia, ha il respiro di un film poetico, che si lascia apprezzare per le sue atmosfere rarefatte, con scoppi improvvisi di una violenza immane. Eppure, a dispetto della stravaganza del montaggio - curato dalla stesso regista - che ne rende meno lineare la trama, il film, impreziosito dalle bellissime musiche di Joe Hisaishi, possiede un suo indiscutibile fascino.    

domenica 23 novembre 1997

Pulp fiction

anno: 1994   
regia: TARANTINO, QUENTIN 
genere: gangster 
con John Travolta, Samuel L.Jackson, Uma Thurman, Harvey Keitel, Tim Roth, Amanda Plummer, Maria De Medeiros, Ving Rhames, E.Stoltz, R.Arquette, Christopher Walken, Bruce Willis, Quentin Tarantino, Steve Buscemi 
location: Usa
voto: 7

In una Los Angeles tracimante di simulacri degli anni '70 ma contemporanea, gli scagnozzi di Marsellus Wallace (Ving Rhames), boss nero della malavita, vivono un'impressionante gimcana di esperienze prima di riuscire a portare al loro capo la valigetta contenente il denaro ricavato dalla vendita di una partita di cocaina. Recuperati i soldi dopo l'eliminazione di una banda di ragazzini, a uno dei due (John Travolta, nel ruolo di Vincent Vega) parte accidentalmente un colpo in automobile, che spappola il volto dell'unico superstite della banda. Dopo avere ripulito l'auto grazie all'intervento di Wolf (Harvey Keitel), uno che risolve problemi, i due si trovano nel mezzo di una rapina in una tavola calda. Qui però riescono a fermare due improvvisati Bonnie e Clyde (Tim Roth e Amanda Plummer). Dopo l'avventura, Travolta è costretto a rianimare con un'iniezione di adrenalina la donna del capo andata in over-dose (Uma Thurman). Sventata la sciagura, la corsa di Vincent si arresta però nel cesso di Butch Coolidge (Bruce Willis), pugile assoldato da Marsellus per la combinata di un incontro di boxe, che però non è stato ai patti. Il boxeur e Marcellus si incontrano accidentalmente per strada durante la fuga di Butch, finiscono nello scantinato di un commerciante sadico e vengono barbaramente seviziati. Astutamente, Butch salva il culo al grande capo e si mette in fuga.
La storia, scritta da Tarantino con Roger Avary Jules, sarebbe questa, se non fosse che la scansione narrativa procede tutt'altro che in modo lineare. Tarantino frammenta il plot narrativo in diversi episodi, saldati da coincidenze accidentali. Lo stile - nella tecnica di ripresa, nell'umorismo nero che compare con battute esplosive in scene drammatiche, nella direzione degli attori, nella cura dei dettagli, nell'ottimo copione - è certamente valso a Tarantino assai più di quanto non abbia potuto contare il racconto-spazzatura che fa da trama a vincere la Palma d'Oro al Festival di Cannes. Impermeabile a qualsiasi moralismo, Tarantino si candida ad essere il paladino di un cinema che punta tutto sulla fascinazione dello spettacolo (tra l'altro questo ex commesso di un negozio di videocassette è già stato sceneggiatore di un altro film che coniuga sesso, droga e violenza come Assassini nati di Oliver Stone), retrocedendo ogni velleità ideologica a puro optional.
Oscar a Quentin Tarantino per la migliore sceneggiatura non originale.

sabato 22 novembre 1997

Alice nelle città (Alice in der städten)

anno: 1973       
regia: WENDERS, WIM  
genere: drammatico  
con R.Vogler, Y.Rottländer          
location: Germania, Olanda, Usa
voto: 5  

Un giornalista (Rüdiger Vogler) in crisi parte dagli Stati Uniti per accompagnare Alice (Yella Rottländer), una bambina abbandonata dalla propria madre e destinata alla casa della nonna. Nel pellegrinaggio tra le diverse città della Germania ed il passaggio per Amsterdam, il protagonista avrà modo di riflettere sulla superficialità della percezione estetica in un mondo sovraffollato dalle immagini televisive, di abbandonare la parola scritta per affidarsi all'immediatezza della "foto-Polaroid, la cui non riproducibilità la accomuna ai prodotti dell'arte pittorica, riscattando, con l'unità dell'esemplare, la standardizzazione del paesaggio, recuperando l'aura perduta nell'epoca della riproducibilità tecnica" (D'Angelo).
Con uno stile asciutto girato con un bianco e nero in 16 mm., che sembra volutamente prendere le distanze dall'artificiosità imposta dalla tecnologia alle immagini, Wenders si inoltra in un tema sul quale tornerà più volte nel corso del suo cammino artistico, quello del senso e della percezione delle immagini nella modernità. Lo fa creando atmosfere che possiedono un loro impalpabile fascino (e che richiamano, alla lontana, la vicenda creata da Bogdanovich nel bellissimo Paper moon) al di là delle situazioni spesso prolisse che appesantiscono il film, utilizzando uno stile narrativo basato sul viaggio come percorso interiore che affiorerà in tutta la sua opera successiva.    

giovedì 20 novembre 1997

Re per una notte (The king of comedy)

anno: 1982       
regia: SCORSESE, MARTIN  
genere: commedia  
con Robert De Niro, Jerry Lewis, D.Abbott, S.Berhard, T.Randall, S.Hack, F.De Cordova, Dr.J.Brothers, E.Herlihy, L.Brown, V.Borge                
location: Usa
voto: 6  

L'aspirante comico Rupert Pupkin (Robert De Niro), pur di potere avere un piccola parte nel Jerry Langford Show, ne rapisce il conduttore (Jerry Lewis). Riuscirà nell'impresa, ottenendo uno strepitoso successo, ma pagherà la sua bravata con due anni di carcere.
Scorsese prende lo spunto da un soggetto di Paul D.Zimmerman - "variazione sul tema di Eva contro Eva" (Kezich) - già passato senza esito per le mani di Milos Forman e Michael Cimino, per una riflessione ai limite del banale sui media e la profezia di Warhol, peccando di una verbosità eccessiva e compiaciuta che penalizza un film apprezzabile soprattutto per l'interpretazione di De Niro. Nella carriera di Scorsese, Re per una notte costituisce il maggiore insuccesso commerciale.

Lisbon story

anno: 1994   
regia: WENDERS, WIM
genere: drammatico
con Rudiger Vogler, Patrick Bauchau, Joel Ferreira, Teresa Salgueiro, Vasco Sequeira, Rodrigo Leao, Viriato Jose' Da Silva, Ricardo Colares, Vera Cunha Rocha, Manoel de Oliveira, Pedro Ayres Magalhaes, Elisabete Cunha Rocha, Sofia Benard Da Costa, Gabriel Gomes, Jose' Peixoto, Francisco Ribeiro
location: Germania, Portogallo
voto: 5

Vent'anni dopo Wenders torna a scandagliare a fondo il problema dell'immagine nella modernità, con questo Lisbon story che ricalca molte delle atmosfere che trovammo in Alice nelle città. Lo stesso protagonista del film di allora, quel Rüdiger Vogler che è l'alter ego del regista, parte sotto le spoglie di Philip Winter dalla Germania, richiamato a Lisbona dall'amico regista Friedrich Monroe (Peter Bauchau) che per lettera e senza tante spiegazioni, gli fa capire che è accaduto qualcosa. Caricata sull'automobile la propria attrezzatura da fonico, il nostro arriva a Lisbona dopo un viaggio zeppo di contrattempi ma non privo di qualche momento spassoso, del tutto inedito per il regista tedesco. Nella capitale portoghese, la vicenda assume un risvolto giallo dovuto all'assenza dell'amico Fritz. Per tre settimane, Vogler girovaga per una Lisbona infestata da ragazzini, calamitandone a frotte nemmeno fosse il pifferaio di Hamelin, conosce i Madredeus e occupa il proprio tempo montando il sonoro sui film in super 8 dell'amico scomparso. Quest'ultimo verrà ritrovato, ormai in preda ad una nuova ossessione per l'immagine ed in piena crisi creativa come era accaduto al Fellini di 8 e mezzo, al quale è implicitamente dedicato il film.
Con una struttura molto libera e la bella fotografia di Lisa Rinzler, Wenders tenta l'ennesima variazione su un tema che percorre gran parte della sua opera, dal già citato Alice nelle città a Nel corso del tempo, Fino alla fine del mondo e Al di là delle nuvole. L'ossessione per il senso delle immagini si fa qui ellissi narrativa, accompagnata da scantonamenti nel racconto che convergono ora sulla musica dei Madredeus, ora sulla dimensione documentaristica, ora sulla lettura delle poesie di Pessoa, conferendo lievità ad una trama che trova ancora il suo punto d'appoggio sulla dinamica da road-movie e su uno stile che tocca tutti i linguaggi possibili (il muto, il sonoro, il bianco e nero, il colore e l'immagine video). E se proprio la libertà espressiva si propone come il punto forte del film, è la tesi di fondo a rimanere opaca e criptica.
Patrick Bauchau conserva lo stesso nome che aveva ne Lo stato delle cose; Vogler quello che aveva in Alice nelle città, Fino alla fine del mondo e Così lontano, così vicino, mentre Wenders racconta la sua seconda storia portoghese dopo Lo stato delle cose.    

mercoledì 19 novembre 1997

Tutte le ragazze lo sanno (Ask any girl)

anno: 1959       
regia: WALTERS, CHARLES  
genere: commedia  
con David Niven, Shirley MacLaine, G.Young, Robert Taylor, J.Backus, C.Kelly, E.Fraser, D.Heath, R.Morgan, C.Phillips          
location: Usa
voto: 5  

Una ragazza di provincia ossessionata dall'idea della castità (Shirley MacLaine) cerca lavoro e consorte a New York. Si ritroverà a fare i conti con i molti che tenteranno di avvicinarla, perdendo così più di un'occupazione. Quando, con determinazione, deciderà di sedurre un dongiovanni (Gig Young) che col fratello (David Niven) dirige una società di marketing, aiutata proprio da quest'ultimo nell'applicazione delle strategie persuasorie predicate dalla società, scoprirà di essere innamorata del suo Pigmalione.
Commedia leggera tratta dal romanzo di Winifred Wolfe e sceneggiata da George Wells, Tutte le ragazze lo sanno (ma il titolo è allusivo e "sanno" andrebbe cambiato con "fanno") ricalca la vicenda di Sabrina, insistendo tuttavia eccessivamente sul ripetersi delle situazioni. La MacLaine venne premiata a Berlino.    

lunedì 17 novembre 1997

San Michele aveva un gallo

anno: 1971       
regia: TAVIANI, PAOLO & VITTORIO   
genere: drammatico   
con Giulio Brogi, D.Dublino, R.Cestiè, V.Cipolla, V.Ciuffini, M.Di Martire, V.Fanfoni, F.Sanvilli, G.Scarcella, Renato Scarpa, S.Serafini    
location: Italia
voto: 3   

Nel 1870 l'anarchico internazionalista Giulio Manieri (Giulio Brogi) tenta l'insurrezione in una cittadina umbra. Fallito il tentativo, verrà prima condannato a morte ed in seguito la pena gli verrà commutata in ergastolo. Dopo essere sopravvissuto al tedio del carcere grazie ad un metodico ricorso all'immaginazione, Manieri viene chiamato a cambiare sede penitenziaria. Nel tragitto in barca verso la casa circondariale, l'uomo incontra altri sovversivi e dallo scambio verbale con questi capisce che ormai i suoi ideali sono dispersi. Davanti a tale consapevolezza, si suicida buttandosi in acqua.
Con uno stile avulso da qualsiasi ricercatezza affabulatoria, secco, cristallizzato nell'afflato utopistico del protagonista e liberamente ispirato alla novella Il divino e l'umano di Lev Tolstoj, i fratelli Taviani confezionano un film per la televisione che non concede nulla allo spettacolo ma che punta tutto sulla tensione civile che lo ispira. Visto con lo sguardo dell'ideologia, il film merita senz'altro di essere ricordato. Ma la estrema rarefazione della scansione narrativa lo colloca dalle parti di un cinema tarkovskjano che rasenta l'afasia.    

sabato 15 novembre 1997

Caro Michele

anno: 1976       
regia: MONICELLI, MARIO 
genere: drammatico 
con Mariangela Melato, D.Seyrig, A.Clement, Lou Castel, Fabio Carpi, M.Michelangeli, Isa Danieli, Alfonso Gatto, E.Visconti, R.Romano, A.Innocenti, C.Carrozza, Alfredo Pea, L.Martinez, E.Morana, C.Wittig, Giuliana Calandra, L.Dal Fabbro 
location: Italia
voto: 6 

L'esistenza di Mara Castorelli (Mariangela Melato), ragazza madre che ha avuto, forse, un figlio dal fantomatico terrorista rosso Michele, si agita tra le case lussuose dell'alta borghesia romana. Giunta nella capitale dalla Liguria, Mara caracolla da un'abitazione all'altra, incontrando lungo la propria strada una serie di persone - la madre (Delphine Seyrig), la sorella (Aurore Clement), un amico (Lou Castel) ed altri ancora - legate al personaggio che dà il titolo al film. Scansata per la sua balordaggine e a sua volta inorridita dall'ipocrisia altrui, ma spinta comunque da un ottimismo volteriano, Mara continuerà per chissà dove la propria esistenza.
Negli anni in cui il cinema italiano di sinistra era impegnato nel casus belli ideologico, attento a quanto stava accadendo nelle piazze, Monicelli firma, dal romanzo Caro Michele di Natalia Ginzburg sceneggiato da Suso Cecchi D'Amico e Tonino Guerra (che avevano già collaborato con Monicelli in Casanova '70), un film in controtendenza. Scarsamente considerato dalla critica, Caro Michele emerge, in prospettiva storica, come un film che in qualche maniera anticipa - in anni insospettabili - quell'ondata di riflusso che avrebbe condotto al cinema intimista e "domestico" degli anni ottanta. Ottima la prova di tutti gli interpreti, tra i quali vanno annoverati i registi Fabio Carpi (Quartetto Basileus; La prossima volta il fuoco) ed Eriprando Visconti (Oedipus Orca; Il caso Pisciotta), nonché il poeta Alfonso Gatto. Un altro regista (Ludovico Gasparini: suoi No, grazie: il caffè mi rende nervoso e Italian fast food) figura come segretario di edizione, mentre la fotografia è affidata alla mano sicura di Tonino Delli Colli.    

venerdì 14 novembre 1997

Leon

anno: 1994   
regia: BESSON, LUC
genere: gangster
con Jean Reno, Natalie Portman, Gary Oldman, Danny Aiello, Luc Bernard, Frank Senger, Keith A. Glascoe, Randolph Scott, Peter Appel, Carl J. Matusovich, Elisabeth Regen, Ellen Greene, Michael Badalucco
location: Francia
voto: 9,5

Leon (Jean Reno), un killer analfabeta, professionista di eccezionale bravura, salva Mathilda (Natalie Portman), una dodicenne newyorkese alla quale un poliziotto corrotto (Gary Oldman) ha fatto massacrare la famiglia per una questione di droga. Tra la bambina ed il killer, accomunati dalla solitudine, si instaura un amore platonico che si concluderà con la morte dell'uomo. Solo allora Mathilda capirà l'importanza del mettere le radici.
Volutamente fumettistico ed inverosimile, Leon non è soltanto un racconto intrigante. Dal copione scritto da Luc Besson esplode il contrasto tra la professione del protagonista e la sua apparentemente inconciliabile bontà d'animo, la sua semplicità, che gli fanno avere cura di una pianta e bere soltanto latte. Ma a rendere mirabolante il film è il talento - che spesso rasenta il virtuosismo - del regista francese, qui alla prima prova oltreoceano. L'uso del dolly, lo slittamento continuo dalle rocambolesche scene di azione all'intimismo della vita domestica, con Reno che stira, fa ginnastica e impara da Mathilda a leggere e a scrivere. E non manca neppure un tocco di ironia. Besson sbeffeggia il cinema d'altri tempi ma non rinuncia a spiluccare dai film-culto degli ultimi vent'anni: le citazioni vanno da Taxi driver a Il silenzio degli innocenti.    

giovedì 13 novembre 1997

Il prigioniero del Caucaso

anno: 1996       
regia: BODROV, SERGEJ    
genere: guerra    
con O.Mensikov, S.Bodrov Jr., D.Sikharulidze, S.Mekhralieva, A.Zharkov, V.Fedotova                
location: Cecenia, Russia
voto: 6    

Durante la guerra in Cecenia, due soldati dell'armata russa vengono catturati da un autoctono (Djemal Sikharulidze) intenzionato a barattarli col proprio figlio, fatto prigioniero. Dei due, il più furbo e intraprendente, ma anche ossequioso alla logica bellica (Oleg Mensikov), morirà orrendamente, mentre l'altro (Sergej Bodrov Jr.), timido e gentile, si salverà la vita. Lo scambio, comunque, non riuscirà.
Facilmente inquadrabile tra i grandi film pacifisti, da Orizzonti di gloria a Prima della pioggia, il film che Bodrov ha tratto dall'omonimo racconto di Tolstoj e sceneggiato con Arif Aliev e Boris Giller ha il respiro profondo di un racconto capace di guardare all'assurdità della guerra andando oltre la "banalità" della vicenda militare. L'attenzione del regista si ferma sui rapporti che i prigionieri instaurano tra loro e con i nemici, lasciando intravedere l'anelito lieve di una fratellanza che è condannata alla mortificazione. Attori bravissimi.    

lunedì 10 novembre 1997

Senso

anno: 1954       
regia: VISCONTI, LUCHINO  
genere: drammatico  
con Alida Valli, F.Granger, H.Moog, Rina Morelli, Sergio Fantoni, M.Girotti  
location: Italia
voto: 6

Nel 1866 la contessa veneziana Livia Serpieri (Alida Valli) intreccia una relazione adulterina con Franz, un graduato austriaco (Granger). Ma alla totale dedizione della donna, disposta ad abbandonare il tetto coniugale per l'amato, non corrisponde altrettanta lealtà da parte dell'uomo, che con una scusa si appropria del denaro che la donna deve consegnare agli insurrezionisti, per darsi ad una vita dissoluta. Davanti alla brutalità della realtà e alla notizia che il proprio cugino è stato mandato in galera proprio per colpa di Franz, la contessa sceglierà la strada della vendetta, consegnando l'uomo all'esercito austro-ungarico nelle sue vere spoglie di disertore. Con Senso, Visconti affonda sul registro melodrammatico costruendo un film - scritto a quattro mani con Suso Cecchi D'amico, dal racconto omonimo di Camillo Boito, con tanto di collaborazione ai dialoghi di Tennessee Williams e Paul Bowles - nel quale la vicenda personale dei due protagonisti si srotola complementariamente a quella della Storia. Cast di grandissima qualità: agli attori, tutti ugualmente bravi e credibili, si affiancano Giuseppe Rotunno come operatore alla macchina, Franco Zeffirelli e Francesco Rosi in qualità di assistenti alla regia e Piero Tosi e Marcel Escoffier, creatori dei magnifici costumi.    

venerdì 7 novembre 1997

Shine

anno: 1996       
regia: HICKS, SCOTT
genere: biografico
con Geoffrey Rush, Armin Mueller-Stahl, N.Taylor, L.Redgrave, John Gielgud, A.Rafalowicz
voto: 6

Dotato di un talento musicale impressionante, David Helfgott (interpretato da Alex Rafalowicz da bambino, Noah Taylor da adolescente e Geoffrey Rush da adulto) è un ragazzino australiano che vorrebbe vivere di musica. Sui suoi sogni incombe però l'autoritaria figura paterna (Armin Mueller-Stahl), che prima lo priva di opportunità eccezionali (andare negli States, dove David ha vinto una borsa di studio) e quindi lo mette di fronte all'aut-aut: o carriera o famiglia. David sceglie la prima e va a Londra, ma la sua fragile personalità si spezza sotto il peso della separazione dai famigliari e, durante una splendida esecuzione del terzo concerto di Rachmaninov, esplode una crisi di nervi che lo condurrà sul crinale dell'istituzionalizzazione psichiatrica. A riportarlo sulle scene, dopo un lungo periodo nel quale David viene allontanato dal pianoforte, saranno un'amica ed un'amante.
Ispirandosi ad una storia vera, che non ha mancato di suscitare polemiche circa l'effettivo talento del protagonista, l'australiano Scott Hicks ha scritto (con la collaborazione di Jan Sardi) un film di grande effetto, una di quelle opere che, inanellando ad uno ad uno i luoghi comuni del sentimentalismo, non possono che ottenere un largo consenso di pubblico (il protagonista ricorda il Daniel Day-Lewis de Il mio piede sinistro). Ma bisogna dare atto al regista, a dispetto della prevedibilità di molte delle situazioni del film - ampollose e romanzate - che le scene dei concerti, e su tutte quella del terzo concerto di Rachmaninov che è la scena-madre del film, sono girate con una sconcertante maestria. Oscar a Geoffrey Rush come migliore attore.    

lunedì 3 novembre 1997

Forrest Gump

anno: 1994   
regia: ZEMECKIS, ROBERT
genere: commedia
con Tom Hanks, Robin Wright Penn, Gary Sinise, Mykelti Williamson, Sally Field, Haley Joel Osment, Michael Conner Humphreys, Bob Penny, John Randall, Hanna Hall, Harold G. Herthum, George Kelly, Rebecca Williams, Sam Anderson
location: Usa       
voto: 10

Con la sua disarmante ingenuità e poco cervello, dalla provincia della Georgia Forrest Gump (Tom Hanks), che ha avuto il nome dal fondatore del Ku Klux Klan, attraversa trent'anni di storia americana - dalla nascita del rock'n'roll, l'assassinio Kennedy, la guerra in Vietnam, la rivolta nei campus, i raduni pacifisti, i figli dei fiori, l'edonismo reaganiano fino alla metà degli anni ottanta - affiancandone senza quasi accorgersene i momenti salienti. Senza volerlo, insegna a Presley a ruotare il bacino, scopre lo scandalo Watergate, diventa un eroe in Vietnam, ottimo giocatore di football americano, campione mondiale di ping-pong e poi miliardario prima con la pesca dei gamberi e quindi con la Apple ed infine guru involontario che percorre da un'estremità all'altra quell'immenso territorio che sono gli Stati Uniti d'America. In questo pirotecnico altalenarsi di vicende, gli sono vicine la mamma (Sally Field), una donna che ha insegnato a Forrest a valorizzare le qualità che aveva piuttosto che scoraggiarsi per quelle che non aveva, intelligenza prima di tutto, e Jenny (Robin Wright), amica di giochi d'infanzia e poi compagna, emblema dell'altra faccia dell'America, quella rivoluzionaria ed anticonformista, sperimentatrice di droghe, amore libero e avventure d'ogni genere. Impermeabile alla seduzione del denaro, Forrest Gump vive all'insegna della leggerezza (e non a caso il film inizia e finisce con una piuma) con una gentilezza caritatevole che ricorda un altro eroe del grande schermo, quell'Elwood P.Dowd impersonato da un gigantesco James Stewart in Harvey, o al massimo il Robin Williams de Il mondo secondo Garp, piuttosto che il Peter Sellers di Oltre il giardino al quale è stato frettolosamente affiancato. Il racconto di questa favola moderna parte da una panchina, sulla quale, nell'attesa dell'autobus, questo Candido di fine secolo racconta agli avventori di turno le vicende della sua vita, per poi continuare con il matrimonio con Jenny, la morte di quest'ultima a causa dell'Aids e l'allevamento del figlio (intelligente) avuto dalla donna. In un'epoca di rissosità tracimante, un film fluviale come Forrest Gump, oltre ad essere uno spettacolo di prim'ordine, girato con indiscutibile maestria, nutrito da effetti speciali miracolosi che affiancano il protagonista a John Lennon, John Kennedy, Lyndon Johnson e Richard Nixon (qualcosa di simile lo avevamo già visto in Zelig), meglio ancora interpretato e raccontato con ipnotica efficacia nella sceneggiatura di Eric Roth (che ribadisce la buona prova di Suspect e riscatta quella opaca di Mr.Jones) dal romanzo di Winston Groom, sapiente nel miscelare umorismo e commozione, ci fa tornare per due ore e venti in pace con il mondo. Grandissimo e strameritato successo ai botteghini USA per un film che, come ha scritto Lietta Tornabuoni "è come le macchie del test proiettivo di Rorschach: ognuno ci vede quello che vuole vedere, o quel che è". Vincitore di cinque meritatissimi premi Oscar: miglior film, regista, attore, sceneggiatura non originale (Eric Roth) e montaggio (Arthur Schmidt).