domenica 31 maggio 2015

The Tribe (Plemya)

anno: 2014       
regia: SLABOSHPITSKY, MIROSLAV  
genere: drammatico  
con Grigoriy Fesenko, Yana Novikova, Rosa Babiy, Alexander Dsiadevich, Yaroslav Biletskiy, Ivan Tishko, Alexander Osadchiy, Alexander Sidelnikov, Alexander Panivan  
location: Ucrania
voto: 2  

Strombazzato alla sua uscita come "film rivoluzionario", "senza precedenti", dopo il quale "il cinema non sarà più lo stesso", il film dell'ucraino Myroslav Slaboshpytskiy è parlato nella lingua dei segni: non una parola, non una didascalia, nessuna voce over a spiegare i fatti. Soltanto rumori di fondo. Siamo in un istituto per sordomuti dell'Ucraina. Qui arriva un ragazzo (Fesenko) costretto a piegarsi alle ferree regole della gang (la tribù del titolo) che gestisce i rapporti attraverso un feroce assetto gerarchico. Il ragazzo si innamora di una coetanea (Novikova) costretta a prostituirsi per raccogliere denaro sufficiente per poter fuggire in Italia. La donna rimane gravida, è obbligata ad abortire e a vedersela con i membri della gang che non gradiscono la tresca tra i due amanti.
Nel 1963 Andy Warhol girò un film intitolato Sleep. Durava cinque ore e venti (poche, tutto sommato) e mostrava un uomo che dorme. In attesa di vedere lo schermo completamente nero per un paio d'ore in un eventuale film destinato ai ciechi, tocca sorbirsi questo pretestuoso quanto inconsistente filmaccio di questo 40enne ucraino che squaderna davanti ai nostri occhi qualsiasi genere di brutalità: la scena di un aborto clandestino di 10 minuti, belluini riti di passaggio, teste fracassate, ogni forma di violenza psicologica. Né ci risparmia ogni singolo passo, ogni singola anta dell'armadio aperta per rubare denaro a casa di qualcuno, ogni singola rampa di scale calpestata, ogni singolo scompartimento del treno dove i sordomuti vendono paccottiglia. Al difetto di sintesi (2 ore e 20' di durata) si aggiunge la scelta di un cinema primordiale, straniato, tutto girato in campo medio e con macchina da presa fissa. L'apoteosi della contraffazione realizzata con la sola idea di restituire al pubblico l'handicap dell'incomprensibilità del linguaggio, costringendolo a districarsi nei meandri di una storia banale (l'amore impossibile tra un disadattato e una prostituta) peraltro mettendogli a disposizione un cast pessimo, incapace di interpretare una scazzottata o una fellatio con un minimo di verismo.    

sabato 30 maggio 2015

Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet (The Young and Prodigious T.S. Spivet 3D)

anno: 2014       
regia: JEUNET, JEAN PIERRE
genere: avventura
con Kyle Catlett, Helena Bonham Carter, Judy Davis, Callum Keith Rennie, Niamh Wilson, Jakob Davies, Rick Mercer, Dominique Pinon, Julian Richings, Richard Jutras
location: Usa
voto: 6,5

T.S. (Catlett) vive nel Montana con la sua famiglia: un padre cowboy (Rennie), una madre (Bonham carter) entomologa a tempo perso capace di bruciare  tostapane uno dopo l'altro, una sorella frivola e un fratello gemello dizigote morto accidentalmente. Lui, T.S., a soli 10 anni è un Leonardo Da Vinci in erba e ha inventato una macchina per il moto perpetuo capace di durare 400 anni. È per questo che è stato convocato dallo Smithsonian Institution per ritirare un premio prestigioso. T.S. decide di andare a ritirarlo senza dire nulla a casa e si avventura in un lunghissimo viaggio dall'Ovest all'Est del Paese, verso Washington, dove gli organizzatori dell'evento e la televisione si preparano a cannibalizzare mediaticamente il caso.
A sei anni di distanza dal precedente film-capolavoro, L'esplosivo piano di Bazil, torna il cinema immaginifico, surreale e pirotecnico di Jean Pierre Jeunet, uno dei registi più dotati e visionari della sua generazione, noto soprattutto per Il favoloso mondo di Amèlie. Stavolta però, come era già accaduto con Una lunga domenica di passioni, qualcosa non funziona: se gli occhi si riempiono di invenzioni visive straordinarie e spiazzanti, di un repertorio interminabile di trovate geniali e originalissime che frullano insieme fotografia ipersatura, movimenti di macchina in dolly, animazione e bricolage fotografico, il cuore rimane a secco e la narrazione - a dispetto del registro fiabesco - arranca, come se la sceneggiatura avesse cercato il modo per giustapporre le invenzioni di regia senza preoccuparsi troppo della svolgimento. Per di più, la retorica sulla famiglia e l'espediente narrativo del (non giustificato) senso di colpa del protagonista per la morte del fratello spostano l'ago della bilancia emotiva sul versante della stucchevolezza.    

venerdì 29 maggio 2015

Elio Petri... appunti su un autore

anno: 2005   
regia: BACCI, FEDERICO * GUARNERI, NICOLA * LEONE, STEFANO
genere: documentario
con Robert Altman, Ursula Andress, Bernardo Bertolucci, Florinda Bolkan, Flavio Bucci, Lino Capolicchio, Marina Cicogna, Aurore Clement, Jim Dine, Dante Ferretti, Gianni Fucci, Antonio Ghirelli, Giancarlo Giannini, Jean Gili, Marco Giusti, Tonino Guerra, Luigi Kuveiller, Carlo Lizzani, Enrico Lucherini, Francesco Maselli, Mariangela Melato, Giuliano Montaldo, Franco Nero, Andrea Occhipinti, Paola Pascolini, Berto pelosso, Gillo Pontecorvo, Vanessa Redgrave, Marco Risi, Aggeo Savioli, Furio Scarpelli, Brandon Hussey, Natalia Loppi, Frederic Fasano, Edoardo Gabbriellini, Sonya Rhee
location: Italia
voto: 5,5

Appena 11 film girati, un Oscar come miglior film straniero per Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e una Palma d'oro al Festival di Cannes per La classe operaia va in paradiso. Basterebbero i premi ricevuti per collocare Elio Petri, romano de Roma classe 1929, morto ad appena 53 anni, nell'Olimpo dei grandi registi della Settima Arte. Petri invece è stato spesso ridotto a rango minore nelle storie del cinema e i suoi film, così scomodi, iconoclasti e pessimisti, non di rado sono stati ingiustamente dimenticati. A riscattarne in parte la memoria concorre questo documentario che ne ripercorre cronologicamente la traiettoria artistica: prima aiuto regista per De Santis, quindi sceneggiatore di molte opere per poi approdare alla regia nel 1961, con L'assassino. Quello interpretato da Mastroianni fu il primo di una manciata di film con cui Petri dimostrò una duttilità fuori dal comune, passando dal giallo (A ciascuno il suo), alla fantascienza (La decima vittima) fino al grottesco metafisico di La proprietà non è più un furto, Todo modo e Buone notizie, più una manciata di film drammatici attraverso i quali non si è peritato di tirare fendenti alla Democrazia Cristiana, al Partito Comunista e alla Chiesa, con immancabili ricadute legali e difficoltà, a ogni occasione, di trovare un nuovo produttore.
Il documentario è calligrafico e si limita a un assemblaggio di testimonianze, immagini di repertorio e spezzoni di film che nel complesso restituiscono un'immagine nitida del regista romano senza però alcun guizzo sul piano dell'invenzione filmica.    

giovedì 28 maggio 2015

Faber in Sardegna

anno: 2015       
regia: CABIDDU, GIANFRANCO  
genere: documentario  
con Fabrizio De André, Dori Ghezzi, Renzo Piano, Cristiano De André, Franco Macciocco, Paolo Casu, Filippo Mariotti, Don Salvatore Vico, Ingegner Giuseppe Viscale, Agostino Zizi, Tonina Puddu, Paolo Fresu, Danilo Rea, Morgan, Gianmaria Testa, Lella Costa, Maria Pia De Vito, Rita Marcotulli, Teresa De Sio, Ornella Vanoni  
location: Italia
voto: 4  

Quando se ne va un grande artista, specialmente se ha lasciato un'ampia eredità audiovisiva, avviene quasi puntualmente che i media ne saccheggino l'opera. Basterebbe pensare al diluvio di pubblicazioni immonde succedute alla morte di Jimi Hendrix.
Non fa eccezione questo documentario che Gianfranco Cabiddu - già autore de Il figlio di Bakunin nonché di un altro film di impronta musicale, Passaggi di tempo - ha dedicato a Fabrizio De André e al suo rapporto con la Sardegna. Peccato che qui, più che il fattore artistico conti la fattoria, quella magnifica terra di Gallura chiamata Agnata, dalle parti di Tempio Pausania, dove il grandissimo cantautore genovese volle avviare un progetto di allevamento di bovini e di coltivazione di uliveti e vigneti. Il documentario alterna interviste ai personaggi che rimasero a lungo a contatto con Faber, raccontandone più l'aspetto imprenditoriale che non quello umano e meno che mai quello artistico. Il quadro che ne risulta, debitore soprattutto nei confronti della compagna Dori Ghezzi, è di scarsissimo interesse e a poco serve alternare le interviste al prete, al sindaco o al fattore (rigorosamente parlate in stampatello) con le immagini della rassegna Time in jazz diretta dal sardo Paolo Fresu, in cui artisti di diversa fama riproducono una parte del repertorio dell'autore di La canzone di Marinella e Via del Campo, con Morgan che stupra La canzone dell'amore perduto. Ma al di là di qualche rapido riferimento agli interessi di De André per l'idioma gallurese, alla parte relativa alla ricostruzione del rapimento che il nostro subì insieme a Dori Ghezzi nel 1979 e a qualche pertinente osservazione di Renzo Piano, anch'egli genovese amante della Sardegna, il documentario dice pochissimo. La scelta poi di dilatare la durata del film a due ore, appiccicando in coda un'ampissima sintesi del dvd registrato al teatro Brancaccio di Roma nel 1998, è concettualmente del tutto incoerente, visivamente scadente e commercialmente suicida.    

martedì 26 maggio 2015

Fast & Furious 7 (Furious 7)

anno: 2015       
regia: WAN, JAMES   
genere: thriller   
con Vin Diesel, Paul Walker, Jason Statham, Michelle Rodriguez, Jordana Brewster, Tyrese Gibson, Ludacris, Dwayne Johnson, Lucas Black, Kurt Russell, Nathalie Emmanuel, Elsa Pataky, Gal Gadot, John Brotherton, Luke Evans, Tony Jaa, Djimon Hounsou, Noel Gugliemi, Ali Fazal, Sung Kang, Ronda Rousey, Iggy Azalea, Miller Kimsey, Charlie Kimsey, Eden Estrella, Gentry White, Jon Lee Brody, Levy Tran, Anna Colwell, Viktor Hernandez, Steve Coulter, Robert Pralgo, Antwan Mills, J.J. Phillips, Jorge Ferragut, Sara Sohn, Benjamin Blankenship, D.J. Hapa, Faheem Najm, Brian Mahoney, Brittney Alger, Romeo Santos, Jocelin Donahue, Stephanie Langston, Jorge Luis Pallo   
location: Azerbaijan, Emirati Arabi, Giappone, Repubblica Domenicana, Usa
voto: 6   

Un dispositivo chiamato "l'occhio di Dio", capace di localizzare chiunque grazie al software altamente sofisticato progettato da una hacker (Emmanuel) finisce nelle mani dei soliti malintenzionati. Su commissione dell'FBI - che in cambio promette di schierare le teste di cuoio per catturare un energumeno in cerca di vendetta (il solito Jason Statham espressivo come una trinca dimenticata per settimane nel frigorifero) - il criminale dal cuore tenero Dom Toretto (Diesel) raduna una squadra di professionisti del brivido con cui, in giro per mezzo mondo, cercherà di recuperare il dispositivo.
Giunto al suo settimo episodio, rispetto ai precedenti questo Fast & Furious rincara la dose di azione, violenza, inseguimenti ed effetti speciali, come al solito al servizio di un copione fumettistico, inverosimile, fracassone e inesistente ma adrenalinico e muscolare, con moltissime scene da antologia: le auto che vengono paracadutate da un aereo; quella che compie un salto spericolato saltando tra le vetrate di tre grattacieli, l'autobus blindato che finisce sul ciglio di un dirupo. Il consolidamento, dunque, dell'iconografia pop che vede nell'auto l'espressione per antonomasia di un'epoca intera e nei bicipiti testosteronici quella dell'estetica diffusa. Ma il vero miracolo del film sta nell'aver resuscitato l'attore Paul Walker, morto paradossalmente in un incidente d'auto durante le riprese. Per chiudere il film sono stati ingaggiati come controfigure i suoi fratelli e dei superesperti di effetti speciali. Il risultato di tanto investimento di denaro ed energia creativa è un blockbuster anabolizzato capace di assicurare il divertimento nel solco di un'inconsistenza pneumatica condita con l'inevitabile melassa della retorica sulla famiglia e servita da "attori" che, se anche venissero sommati alle maestranze e agli addetti ai cestini per la pausa pranzo, non riuscirebbero a farne uno solo degno di questo nome.    

domenica 24 maggio 2015

Il racconto dei racconti (The Tale of Tales)

anno: 2014       
regia: GARRONE, MATTEO  
genere: fantastico  
con Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, John C. Reilly, Shirley Henderson, Hayley Carmichael, Bebe Cave, Stacy Martin, Christian Lees, Jonah Lees, Laura Pizzirani, Franco Pistoni, Alba Rohrwacher, Jessie Cave, Massimo Ceccherini, Giselda Volodi, Giuseppina Cervizzi, Luisa Ragusa, Giovanni Calcagno, Stefano Strufaldi, Giuseppe Carnemolla, Diego Parenti, Gherardo Toccafondi, Lorenzo Mastronardi, Paolo Risi, Giuliano del Taglia, Betty La Padula, Kathryn Hunter, Ryan McParland, Kenneth Collard, Renato Scarpa, Guenda Goria, Catrinel Marlon, Talita Bartoli, Cristiana Vaccaro, Elizabeth Kinnear, Andrea Rodriguez, Sabrina La Torre, Guillaume Delaunay, Eric MacLennan, Nicola Sloane, Davide Campagna, Giulio Beranek, Vincenzo Nemolato  
location: Italia, Francia, Regno Unito
voto: 7,5  

Nel passaggio dall'iperrealismo della sua opera d'esordio, Terra di mezzo, a questo film fiabesco tratto da alcuni racconti del '600 scritti da Giambattista Basile, sembrerebbe che nel cinema d'essai di Matteo Garrone non ci sia alcuna continuità. E invece il prodigio di questo Cunto de li cunti, come recitava il titolo vernacolare originale, sta proprio nell'aver riportato nell'alveo del racconto fantastico i perni tematici delle ossessioni del regista romano: l'inganno e la semiotica dei corpi. Già perché le tre storie che Garrone seleziona dall'originale parlano proprio di tentativi di raggiro: due gemelli albini nati da un sortilegio ma di diverso lignaggio (uno è figlio della regina, l'altro di una serva), che cercano di confondere la testa coronata (Hayek), maldisposta verso tanta supposta promiscuità di casta; una vecchia sedotta da un re (Cassel) e tramutatasi in una bellissima giovinetta grazie all'incantesimo di una maga e in seguito diventata regina e infine un re (Jones) niente affatto disposto a cedere la mano della propria figlia, promessa in palio a chi saprà riconoscere a quale animale appartenga la pelle di una pulce (gigante) nella convinzione che nessuno riuscirà a farlo. Vincerà un orco, uno dei tanti freaks somatici raffigurati con enorme gusto pittorico che popolano quest'opera immaginifica: pelli ricucite, cuori di drago estratti dalle interiora, nani, volti di sconvolgente bruttezza, i due albini. Il tutto coniugato con un casting internazionale e la colonna sonora assai pertinente di Alexandre Desplat, incastonata su una cornice con lacerazioni da grand-guignol nella quale la differenza la fanno le incredibili location (Donnafugata, Sammezzano e Sermoneta e altri luoghi così magici da non aver bisogno del ritocco al computer) dove la troupe è andata a girare.
Così, dall'inganno per eccellenza del reality a questo Racconto dei racconti (e, in precedenza, Primo amore e L'imbalsamatore), il cinema di Garrone continua a raccontarci l'illusione del reale attraverso il prima deformante del parossismo dei corpi. Peccato soltanto che lo faccia attinendosi a un'illustrazione magistrale ma sostanzialmente fredda.    

mercoledì 20 maggio 2015

Youth - La giovinezza

anno: 2015       
regia: SORRENTINO, PAOLO
genere: drammatico
con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda, Mark Kozelek, Robert Seethaler, Alex Macqueen, Luna Zimic Mijovic, Tom Lipinski, Chloe Pirrie, Alex Beckett, Nate Dern, Mark Gessner, Paloma Faith, Ed Stoppard, Sonia Gessner, Madalina Diana Ghenea, Sumi Jo, Rest of cast listed alphabetically:, Leoni Amandin, Jozef Aoki, Ian Keir Attard, Richard Banks, Paul Blackwell, Melinda Bokor, Leo Artin Boschin, Ashley Bryant, Rebecca Calder, Loredana Cannata, Eugenia Caruso, Pamela Betsy Cooper, Poppy Corby-Tuech, Anna Marie Cseh, Beatrice Curnew, Veronika Dash, Raniero Della Peruta, Jason Ebelthite, David Fritts, Neve Gachev, Emilia Jones, Elizabeth Kinnear, Anabel Kutay, Tatiana Luter, Shina Shihoko Nagai, Jay Natelle, Tony Pankhurst, Aaron Sequerah, Roly Serrano, Ruth Shaw, Josie Taylor, The Retrosettes, Beatrice Walker, Janette Sharpe
location: Italia, Svizzera
voto: 6,5

Due amici sull'ottantina - un direttore d'orchestra britannico ritiratosi dalle scene (Caine), al quale un emissario della Corona inglese chiede espressamente un ritorno sul palcoscenico, e un regista (Keitel) alle prese con la sceneggiatura destinata a diventare il suo testamento artistico - si trovano in un albergo di lusso sulle Alpi svizzere. Tra lazzi sul funzionamento della prostata e scommesse goliardiche, per i due è l'occasione per fare i conti con la propria vecchiaia.
Youth è un film quasi fantascientico, capace di guardare lontanissimo - come Harvey Keitel che mostra a Rachel Weitz la diversa prospettiva di un giovane e di un vecchio attraverso il cannocchiale - a quando al regista italiano indiscutibilmente più talentuoso di questa epoca verranno offerti riconoscimenti, tributi, premi alla carriera, chiudendo un occhio sugli eventuali passi falsi (This must be the place). È un'ipoteca per ostracizzare la propria maturità artistica attraverso una visionarietà profetica, il suggello di chi potrà dire di sé stesso che tutto era stato previsto, eventuale declino e attacchi da parte degli intellettuali compresi. In questo senso, Youth sembra essere un film implicitamente autobiografico (il dialogo sul ricordo sbiadito dei genitori richiama la condizione di orfano sia di padre che di madre che il regista ha conosciuto a 17 anni: i due morirono per una fuga di gas in casa). Sorrentino gioca a fare Sorrentino, il fuoriclasse della settima arte, il vincitore di un premio Oscar (strameritato) con La grande bellezza. E non è forse un caso che nel film il passare del tempo venga osservato attraverso il prisma non solo dei due protagonisti - uno apparentemente distaccato dal proprio passato, l'altro convinto di poter dare ancora il meglio a dispetto dell'età avanzata - ma anche di un giovane attore di grande successo (Dano) che deve la sua fama a un ruolo da robot nel quale gli si vede appena la faccia (ma il suo Hitler ricorda il führer di Cattelan) e, ancor di più, di un personaggio apparentemente secondario come il sosia di Maradona, l'epitome del doloroso passaggio da una gioventù che è stata gloria e piena bellezza (del talento) a un presente che riposa solo su ciò che è stato, nonostante la pancia enorme, la zoppia e l'estro sostanzialmente immutato (tra le scene indimenticabili del film, quella del suo palleggio infaticabile con una pallina da tennis). Attraverso questa densa quanto rapsodica riflessione sullo scorrere del tempo, il regista partenopeo sembra gettare un ponte ideale con La grande bellezza, insistendo sulla mediocrità del tempo presente, sull'estetica dei corpi, sulla caducità delle relazioni affettive sintetizzata nel contrasto micidiale tra le mani di un padre che non hanno mai accarezzato la figlia e quelle che, attraverso la tecnica del massaggio, sono capaci di indovinare gli anfratti più reconditi dello spirito. Così come Youth è un film sull'imperscrutabilità, almeno apparente, dei rapporti umani, epitomizzata dalla coppia che, a tavola, rimane costantemente muta per poi vivere coiti dirompenti in mezzo ai boschi. L'eccesso di virtuosismo - con squarci onirici notevolissimi e immagini memorabili - e di ambizione fanno però di Youth un film eccessivo, ai limiti del manierismo, il più filosofico dei lavori di Sorrentino ma anche uno dei più criptici e frammentari, disseminato com'è di simbolismi e personaggi borderline difficilmente intelligibili (dalla massaggiatrice con l'apparecchio ai denti alla giovanissima prostituta, passando per Miss Universo e la vecchia attrice mummificata interpretata da una Jane Fonda con paresi da botulino, tutte possibili espressioni di una diversa ossessione per il corpo e dell'inconsapevolezza del ruolo sociale di esso), il tutto inserito all'interno di una cornice extra-lusso non solo per via della location, ma anche per il funambolismo visivo (dietro c'è il numero uno della fotografia in Italia, Luca Bigazzi) e per le straordinarie intuizioni di regia (la direzione dell'orchestra di campanacci delle mucche, la musica prodotta con la cartina di una caramella Rossana, l'ingresso in piscina e la rassegna delle possibili attrici protagoniste del prossimo film di Keitel in primis), che lasciano però l'impressione di essere un po' fini a sé stesse, estetizzanti e inconcludenti.    

domenica 17 maggio 2015

Zero rifiuti (The Clean Bin Project)

anno: 2010   
regia: BALDWIN, GRANT
genere: documentario
con Grant Baldwin, Jenny Rustemeyer, Chris Jordan, Charles Moore
location: Canada
voto: 7

Basterebbe vedere come si è trasformato il packaging della bambola Barbie tra il 1953 e il 2009 per capire quanto spazzatura, quanto superfluo, quanto indottrinamento al consumo, quanta superficialità, quanto edonismo venga veicolato attraverso le merci e quanto sia lontano, al contempo, lo spirito pauperista del dopoguerra e il rispetto per il pianeta. La Barbie del 1953 conteneva una scatola e una bambola; quella del 2009 una miriade di altri ammennicoli del tutto inutili, simbolo di un'opulenza effimera e vuota, fine a sé stessa. Per far fronte a questa e a moltissime altre forme di spreco, Jen e Grant, affiatata coppia canadese sensibile ai problemi ambientali, si lanciano una sfida sotto forma di gioco: passare un anno intero senza produrre rifiuti o, almeno, producendone il meno possibile. Il documentario girato dallo stesso Grant Baldwin è il diario scanzonato di quei 365 giorni passati a combattere contro imballaggi inutili, a produrre dentifricio e saponi artigianali, a scambiarsi "esperienze" più che oggetti in occasione del Natale, riutilizzando in quell'occasione le stesse borse di tela che girano da anni tra parenti. Il tutto è intervallato da animazioni nient'affatto banali, dalle chiose tutt'altro che magniloquenti degli specialisti e da un artista che ha fatto dell'esibizione dei numeri inimmaginabili legati ai rifiuti la propria cifra espressiva, il tutto presentato in una veste carica di umorismo. Un documentario da non perdere che si affianca ad altri - come Home, Waste land e Thrashed - che, nel corso dell'ultimo decennio, si sono sforzati di inviare un messaggio forte e chiaro all'indirizzo di chi continua a pensare che il pianeta potrà farcela da solo, senza bisogno di una radicale inversione di rotta.
Premiatissimo: Grand Prize al Gold Film Festival, Best Environmental Documentary Feature all'Atlanta DocuFest e Audience Choice al Reel Earth Film Festival.    

sabato 16 maggio 2015

Mommy

anno: 2014   
regia: DOLAN, XAVIER
genere: drammatico
con Anne Dorval, Suzanne Clément, Antoine-Olivier Pilon, Patrick Huard, Alexandre Goyette, Michèle Lituac, Viviane Pascal, Natalie Hamel-Roy, Steven Chevrin 
location: Canada
voto: 6


"Sono davvero fatti così", mi assicura il mio amico Roby, neuropsichiatra infantile, dopo aver visto sul grande schermo questo ritratto di un quindicenne canadese (interpretato da un Antoine-Olivier Pilon di titanica bravura)  con deficit d'attenzione oppositivo provocatorio. Sua madre (Dorval), una 46enne che non ha tutti i venerdì in ordine, se lo porta in casa dopo che il ragazzo ha dato fuoco alla mensa del collegio nel quale era ospite. Una legge locale consentirebbe alla donna di istituzionalizzarlo, ma lei, vedova, prova a tenerlo con sé, sorretta nell'arduo compito da una vicina di casa introversa, balbuziente e misteriosa (Clément). Già, perché il ragazzo si esprime con una coprolalia incessante, è violento, incontenibile, disturba tutto e tutti, rappresenta un pericolo costante, è geloso della madre e ha persino qualche tendenza incestuosa. Esasperata, la madre dovrà correre ai ripari.
A Cannes Xavier Dolan, regista francofono venticinquenne, qui già al suo quarto film, ha vinto il premio della giuria ex-aequo con Godard. Si vede che da quelle parti lo strapazzamento del linguaggio filmico va assai di moda: tanto disarticolato e rapsodico quello del Maestro della Nouvelle Vague, quanto sintatticamente dichiarato e innovativo quello di questo ragazzo dall'ego extra-large, che verticalizza l'immagine in un formato 1:1 decisamente insolito per riportarla in 16:9 soltanto nei due momenti del film in cui la madre riesce a tirare il fiato e a sorridere. Il suo lungometraggio (2 ore e 20') così "pop" e spiazzante è percorso da una potenza emotiva febbricitante, che cadenza il ritmo soltanto con brevissime pause durante le quali il protagonista tira letteralmente il fiato, lasciando che il pubblico faccia altrettanto. Tutto questo pathos, coniugato con una dirompente potenza del logos, mette però in ombra la componente aristotelica dell'ethos, al punto da far sorgere il sospetto che il film, per quanto apprezzabile, a conti fatti esprima meno di quanto non sembri in apparenza e in fondo sia anche un po' furbetto.    

venerdì 8 maggio 2015

Forza maggiore (Force Majeure)

anno: 2014       
regia: OSTLUND, RUBEN   
genere: drammatico   
con Kristofer Hivju, Lisa Loven Kongsli, Johannes Kuhnke, Clara Wettergren, Vincent Wettergren   
location: Francia, Svezia
voto: 6   

Una valanga "controllata" sta per abbattersi su una famiglia svedese che sta passando la settimana bianca sulle Alpi francesi. Nessuna conseguenza fisica, mentre la vera slavina sono le conseguenze psicologiche. Il padre (Kuhnke) rivela tutta la sua codardia davanti all'evento (preferisce salvare la pelle piuttosto che la famiglia), ma è restio ad ammetterlo e una coppia di amici, chiamata casualmente a fare da arbitro tra marito e moglie, va in crisi anch'essa scoprendo incoerenze e vanità. Ci vorrà un altro evento che sfiora il dramma prima che la famiglia possa ritrovare un brandello di unità.
Nel film dello svedese Ruben Östlund, premio della giuria 'un Certain Regard' a Cannes, si scorgono alcuni tratti tipici di molto cinema scandinavo (il senso di straniamento, il gusto del grottesco e del paradosso), qui messi a servizio di un raggelante kammerspiel sul tema della vergogna, sottolineato da lunghe inquadrature con la macchina da presa immobile, sforamenti nel bianco, campi lunghissimi, tutte espressioni di una sintassi filmica mirata a enfatizzare lo scollamento emotivo di una famigliola, e del suo entourage, felice soltanto in apparenza.    

mercoledì 6 maggio 2015

The good life

anno: 2014   
regia: AMMANITI, NICCOLO'
genere: documentario
con Baba Shiva Das, Eris Binda, Francesca Fogli, Daya Binda, Giorgio Saccheggiani
location: India
voto: 7

Ai più, il flirt tra lo scrittore Niccolò Ammaniti e il cinema finora era noto grazie al consistente saccheggio dei suoi romanzi tradotti per il grande schermo: L'ultimo Capodanno, Branchie, Io non ho paura, Il siero delle vanità, Come Dio comanda, Io e te. Con questo documentario, il romanziere romano fornisce un segno esplicito del suo legame tutt'altro che furtivo con la settima arte. E lo fa passando dietro la macchina da presa e portando alla ribalta tre storie esemplari di altrettanti italiani (due veneti e un piemontese), tutti sulla sessantina, diventati idiosincratici all'Italia e stabilitisi in India. Allo sguardo dell'occidentale, forgiato dalla razionalità del mondo greco che gli ha dato l'imprinting, il confine tra realtà e stereotipo non potrà che apparire labile: due delle tre storie raccontate dagli stessi protagonisti riguardano quelli che qui chiameremmo santoni, persone più interessate alla spiritualità che alla religione, come sottolineano entrambi. Tutto secondo cliché, dunque. Ma si rimane incantati dalla capacità affabulatoria dei tre, dalle storie che stanno alle loro spalle, dal bisogno comune di affrancarsi da un Paese come l'Italia capace di trasformare gli uomini in polli di allevamento, di irreggimentare la vita di chi ambisce a posizioni defilate, ai margini della società. E se dalle parole dei due baba si indovina un percorso che parte dal movimento hippy e arriva in India per vie traverse, al crinale tra ricerca spirituale e sballo, in quelle di Eris, il costruttore di Treviso che ha la III media, si legge un'avversione radicale all'intero modello occidentale, congiugato con una visione spenceriana della società, del tutto avversa a qualsiasi forma di democrazia. Sentendolo parlare, uno come lui farebbe sembrare gente come Salvini e Borghezio dei morotei ingessati. Nonostante ciò, questo "nomade visitatore del pianeta" - come si autodefinisce - è riuscito a costruire case in legno e pietra ai confini con l'Himalaya, diventando l'artefice di un intero villaggio del quale si autoproclama capo e in cui ha avviato persino un progetto di recupero di ragazzi di strada. A lui e agli altri due protagonisti va attribuita gran parte del merito della riuscita di un documentario montato senza virtuosismi, ma efficacissimo nel riuscire a rendere leggibile la dialettica caduca tra Oriente e Occidente che alberga all'interno della stessa persona.    

lunedì 4 maggio 2015

Le streghe son tornate (Las brujas de Zugarramurdi)

anno: 2013       
regia: DE LA IGLESIA, ALEX
genere: fantastico
con Hugo Silva, Mario Casas, Pepón Nieto, Carolina Bang, Terele Pávez, Jaime Ordóñez, Gabriel Ángel Delgado, Santiago Segura, Macarena Gómez, Secun de la Rosa, Javier Botet, Enrique Villén, Carlos Areces, Manuel Tallafé, María Barranco, Carmen Maura, Alexandra Jiménez, Lucía González, Julián Valcárcel, Adrián López, Fabián Augusto Gómez, Nacho Braun, Javier Manrique, Juan Renedo, Malena Gutiérrez, Camilo Vázquez, David Vaquerizo, María Jesús Hoyos, Ángel Jodrá, Beatriz Urzáiz, Martín Mujica, Esperanza de la Encarnación
location: Spagna
voto: 3

Parte a razzo e si affloscia su un mix di grandguingol, trovate circensi, freak show, humour nero, grottesco spinto e fantahorror parodistico in stile b-movie l'ennesimo film del Cassano del cinema, il regista che ha sempre a disposizione la giocata geniale ma che il più delle volte spreca il gol a porta vuota per eccesso di virtuosismo, nemmeno fosse Egidio Calloni. Stavolta lo spunto è una rapina in un "Compro oro" che viene messa a segno da alcuni padri che arrivano a stento a fine mese perché costretti a passare alimenti troppo consistenti alle rispettive ex-mogli. Il piano non va secondo le previsioni e i tre sono costretti a scappare, con il figlioletto di uno di loro al seguito, verso una località chiamata Zugarramurdi, popolata da streghe vendicative che stanno aspettando l'arrivo dell'Eletto per consentire il ritorno della Grande Madre.
L'idea della rapina realizzata dalle statue viventi (un Cristo con la croce, un soldatino di plastica, una Minnie, Spongebob e l'uomo invisibile), in mezzo al caos cittadino, è perfettamente indovinata, così come quella di inserire i faccioni di Margaret Thatcher e Angela Merkel nella raccolta di immagini della stregoneria che accompagnano i titoli di testa. Ma il transito verso il sabba finale con la grande madre (un'orrenda cicciona nuda e deforme con dei seni enormi) non si discosta dal più banale road movie con inserti finalizzati a far uscire lo spettatore dalla narcosi, i contenuti sulla guerra dei sessi (uomini massacrati dal diritto uxorio versus donne parafemministe) sono risibili e pretestuosi e gli effetti speciali sono di terza mano. Nonostante gli 8 premi Goya ricevuti (gli Oscar spagnoli), per il regista basco di La comunidad, Crimen perfecto e Ballata dell'odio e dell'amore si tratta del passo falso più clamoroso.    

domenica 3 maggio 2015

Massimo, il mio cinema secondo me

anno: 2013       
regia: VERZILLO, RAFFAELE   
genere: documentario   
con Massimo Troisi, Lello Arena, Massimo Bonetti, Maria Grazia Cucinotta, Francesca Neri, Anna Pavignano, Mario Sesti   
location: Italia
voto: 3,5

Una lunga intervista fa da sfondo a questo documentario nel quale attori e produttori che hanno lavorato con Massimo Troisi, il grande comico napoletano scomparso prematuramente nel 1994, raccontano il suo cinema, le sue scelte, la sua pigrizia, il dialetto come grimaldello per scardinare la fissità del registro comico di quegli anni. Il prodotto, che si avvale anche della testimonianza del critico Mario Sesti, è però svogliato e non riesce a fornire un quadro compiuto della poetica dell'attore partenopeo, al punto che l'unica intuizione davvero felice del documentario è quella di registrare le interviste negli stessi luoghi dove i diversi interpreti interpretarono le scene. Perdibile.    

venerdì 1 maggio 2015

Into the Storm

anno: 2014   
regia: QUALE, STEVEN  
genere: dramma catastrofico  
con Richard Armitage, Sarah Wayne Callies, Matt Walsh, Max Deacon, Nathan Kress, Alycia Debnam Carey, Arlen Escarpeta, Jeremy Sumpter, Lee Whittaker, Kyle Davis, Jon Reep, Scott Lawrence, David Drumm, Brandon Ruiter, Jimmy Groce, Linda Gehringer, Keala Wayne Winterhalt, Maryanne Nagel, Frank Zieger, Kron Moore, London Elise Moore, Michael Ellison, Vincent McCurdy-Clark, Stephanie Koenig, Gary England, Don Lemon, Chuck Gaidica, Steve Garagiola, John W. Hardy, Mikayla Bouchard, Gino Borri, Amanda Ryskamp, Taras Los  
location: Usa
voto: 4,5  

Regola numero 1: prendere una manciata di spunti narrativi separati tra loro; regola numero 2: cercare di appassionare lo spettatore inserendo elementi insoliti e di tensione emotiva, magari qualche risvolto sentimentale; regola numero 3: mettere in scena la catastrofe; regola numero 4: creare attriti all'interno del gruppo di superstiti in merito alla decisione più opportuna da prendere; regola numero 5: mandare al creatore qualcuno dei superstiti; regola numero 6: progettare scene stucchevoli e colpi di scena telefonati; regola numero 7: appaltare i dialoghi a un qualsiasi epigono di Gigi Marzullo. Si potrebbe riscrivere la Morfologia della fiaba di Propp aggiornandola al genere catastrofico e una miriade di film potrebbero venir incardinati in questi 7 canoni. Non fa ovviamente eccezione Into the storm, il cui spunto narrativo si dirama tra un padre, vicepreside di una scuola che si appresta a rilasciare i diplomi di fine anno, e i suoi due figli orfani di madre, un gruppo di sbandati che fa riprese pirotecniche per sfondare su YouTube e una troupe di cameramen, guidati da una meteorologa, alla ricerca delle riprese senza precedenti da ottenersi entrando nell'occhio del ciclone. L'uragano che colpisce la cittadina di Silverton è devastante: volano automobili, autobus e persino aerei sotto la spinta vorticosa del vento (non lo avevamo già visto in Twister?). Uno dei due figli del vicepreside è rimasto inghiottito con una ragazza all'interno di un capannone dal quale i due non riescono più a uscire dopo il crollo. Il padre fa di tutto per metterlo in salvo.
Tutto assolutamente ordinario, prevedibile, con dialoghi di irritante sciatteria, strizzatine d'occhio ai teen-movies e situazioni scontatissime. Ma la differenza la fanno gli effetti speciali strabilianti, iperrealistici e, se si vuole entrare nel ciclone, questo è il film giusto.