venerdì 31 agosto 2012

Monsieur Lazhar (Bachir Lazhar)

anno: 2011       
regia: FALARDEAU, PHILIPPE 
genere: drammatico 
con Mohamed Fellag, Sophie Nélisse, Émilien Néron, Marie-Ève Beauregard, Vincent Millard, Seddik Benslimane, Louis-David Leblanc, Gabriel Verdier, Marianne Soucy-Lord, Danielle Proulx, Brigitte Poupart, Jules Philip, Louis Champagne, Daniel Gadouas, Francine Ruel, Sophie Sanscartier, Nicole-Sylvie Lagarde, André Robitaille, Marie Charlebois, Evelyne de la Chenelière, Stéphane Demers, Nathalie Costa, Judith Baribeau, Emmanuelle Girard, Gabrielle Thouin, Maxime Cadorette, Marion L'Espérance, Laurie Pominville, Jean-Luc Terriault, Carol-Anne Arbour, Enrik Cloutier, Samuel Chartier  
location: Canada
voto: 6


Il suicidio di un'insegnante di una scuola media di Montreal traumatizza un'intera classe. La preside ha urgenza di ripristinare un'aura di normalità e assume Bachir Lahzar (Fellag), un algerino che ha letto la notizia sul giornale e si è candidato per il posto. Sulle prime i metodi retroguardisti del nuovo insegnante (il dettato, Balzac, le file di banchi parallele) non piacciono ai ragazzi, che in seguito inizieranno ad amarlo, fino a quando non si renderà necessario il distacco.
Giocato sul doppio binario della precarità (la transitorietà della condizione adolescenziale da una parte e l'identità di immigrato dall'altra) e dell'elaborazione di un lutto (quello della separazione dall'insegnante per i ragazzi e quello della sua famiglia in un attentato terroristico ad Algeri per il professore, che otterrà il visto come rifugiato politico), il film tratto dalla pièce teatrale di Evelyne de la Chenelière si fa apprezzare per il tocco lieve e garbato con cui si mantiene sul crinale tra commedia degli affetti e melodramma. Ma l'eccesso di ambizione, i troppi temi in carniere, l'approssimazione di alcuni aspetti del racconto e il bozzettismo vagamente caricaturale di alcuni personaggi rappresentano la zona fragile del film, dal quale arriva comunque chiara e forte la critica di un sistema scolastico e pedagogico che costringe gli insegnanti a trattare i loro alunni "come se fossero scorie radioattive", evitando qualsiasi tipo di contatto fisico e affettivo.    

giovedì 30 agosto 2012

La scomparsa di Patò

anno: 2010   
regia: MORTELLITI, ROCCO  
genere: commedia gialla  
con Nino Frassica, Maurizio Casagrande, Gilberto Idonea, Roberto Herlitzka, Simona Marchini, Guia Jelo, Manlio Dovi, Franco Costanzo, Alessia Cardella, Danilo Formaggia, Flavio Bucci, Filippo Catanzaro, Neri Marcorè, Alessandra Mortelliti, Rocco Mortelliti, Francis Pardeilhan, Pietro Pulcini, Alessandro Scaretti  
location: Italia
voto: 5

Nell'immaginario paese siciliano di Vigata del 1890, al termine di una rappresentazione teatrale di piazza, lo stimato ragionier Patò (Marcorè), impiegato presso la banca locale, scompare misteriosamente dopo avere impersonato il ruolo di Giuda. Un maresciallo dei carabinieri (Frassica) e un delegato alla Pubblica Sicurezza (Casagrande) si incaricano delle indagini, tra pressioni esterne e omertà. Ma quando la verità viene a galla prenderanno una decisione inaspettata.
Tratto dall'omonimo romanzo di Andrea Camilleri, che in sottofinale presta anche la sua voce per l'epilogo della storia, il film diretto da Rocco Mortelliti e sceneggiato da Maurizio Nichetti ha dalla sua la capacità di restituire l'ironia sorniona della pagina del noto scrittore siciliano. Il problema del film non sta né nella messa in scena, efficace per quanto poco dispendiosa e a tratti televisiva, né tanto meno nelle soluzioni registiche, che senza voler strafare trovano espedienti originali anche in fase di montaggio. Il tallone d'Achille del film è la storia stessa, troppo debole per non cominciare a girare a vuoto dopo un po', a dispetto della prova maiuscola di Frassica e Casagrande, che si contendono la scena nella misura in cui i loro personaggi si contendono le indagini.    

martedì 28 agosto 2012

Il mio paese

anno: 2007   
regia: VICARI, DANIELE  
genere: documentario  
con Edoardo Nesi, Gianfranco Bettin  
location: Italia
voto: 5

Nel 1959, quando l'Italia aveva appena conosciuto il boom economico, il documentarista olandese Joris Ivens girò un film controverso (L'Italia non è un paese povero), che finì immancabilmente tagliato prima del suo passaggio televisivo dopo essere stato sottoposto alla rigida censura del tempo. Quel documentario metteva in luce tutte le contraddizioni di un paese spaccato a metà, in cui rimanevano sacche di povertà che i governanti del tempo non reputarono opportuno mostrare al pubblico televisivo. Daniele Vicari recupera parte di quei tagli agghiaccianti (sembra di essere nella regioni più povera dell'Africa sub sahariana), aggiornando l'operazione agli anni zero del XXI secolo. A distanza di tempo questo Paese ha ulteriormente accentuato le proprie contraddizioni, perso competitività sul piano internazionale e smarrito la fiducia nel futuro. Vicari ne parla percorrendolo da Sud a Nord e mostrando la dura realtà dei pescatori di Gela, fermi al tempo de La terra trema di Visconti, la povertà che permane a Grottole, in Basilicata, dove gli ultimi della Terra del documentario di Ivens sono oggi degli anziani con un tetto un po' più consistente sulla testa. Il viaggio lungo lo stivale prosegue facendo tappa a Termini Imerese e Melfi, località che denunciano la piena crisi industriale del paese per poi raccontare il problema di promozione delle nuove forme energetiche basate sulle celle a combustione degli imprenditori del Lazio. La fermata successiva è Prato, distretto industriale che conobbe una fortuna incredibile tra gli '80 e i '90, oggi costretto alla resa ai cinesi che, nelle loro kermesse ultrakitsch, allietano il pubblico con giochi di prestigio e intonando 'O sole mio (sic). Il punto d'arrivo (ma il viaggio proseguirà in pullman oltre frontiera per gli emigranti siciliani ancora in cerca di fortuna in Germania) di questa escursione in longitudine attraverso il Belpaese è Porto Marghera, stritolata tra il rischio dei licenziamenti di massa e la difficile riconversione industriale del polo petrolchimico. Encomiabile come sempre l'intento di Vicari, cineasta impegnato e serissimo al quale ancora una volta sembra mancare il giusto mordente e una consona capacità narrativa. La scelta della sua voce fuori campo si mostra infelice fin dalle prime battute, il passo registico è fortemente televisivo e pochissimo accattivante e l'intera operazione fornisce un quadro tutto sommato frammentario, anche se realistico, della condizione italiana, soprattutto sotto il profilo del lavoro. Gli interventi dell'ex imprenditore (oggi scrittore) Edoardo Nesi e del sociologo Gianfranco Bettin compendiano un'operazione riuscita soltanto a metà. Menzione di merito per l'ottimo accompagnamento musicale firmato da Massimo Zamboni.    

lunedì 27 agosto 2012

La voce Stratos

anno: 2009   
regia: AFFATATO, MONICA * D'ONOFRIO, LUCIANO  
genere: documentario  
con Demetrio Stratos, Oskar Schindler, Diego Cossu, Francesco Avanzini, Daniele Ronconi Demetriou, Gianni Dall'Aglio, Matteo Guarnaccia, Gianni De Martino, Claudio Rocchi, Ares Tavolazzi, Patrizio Fariselli, Silvia Lelli (II), Roberto Masotti, Patrick Erard Djivas, Paolo Tofani, Cristian Capiozzo, Paolino Dalla Porta, Gianni Emilio Simonetti, Ambrogio Vitali, Oderso Rubini, Massimo Villa, Nanni Balestrini, Diamanda Galas, Brian Auger, John De Leo, Claudio Chianura, Sainko Namtchylak, Giorgio Benacchio, Fatima Miranda, Sherif El Sebaie, Arrigo Lora Totino, Mauro Pagani, Luciano Martinengo, Joan La Barbara  
location: Italia
voto: 6

Chissà cosa sarebbe diventato e cosa avrebbe fatto Demetrio Stratos, fenomeno della voce al punto da suscitare l'interesse di medici, fisici e altri scienziati, se non fosse morto di leucemia a soli 34 anni, nel 1979. A tre decenni dalla sua scomparsa i due documentaristi Monica Affatato e Luciano D'Onofrio ne ricostruiscono la parabola artistica (quella umana non viene neppure sfiorata, e forse questo è un pregio del film) attraverso una ricostruzione molto convenzionale, articolata soprattutto sulle generose testimonianze dei suoi compagni d'avventura del gruppo progressive degli Area (Tofani, Fariselli e Tavolazzi) e sulle immancabili immagini di repertorio. Stratos, il cui vero nome era Efstràtios Dimitrìu (trasformato, come è accaduto anche a Pippo Franco, col nome al posto del cognome), era di origini greche e fin da piccolo visse l'esperienza del plurilinguismo che gli avrebbe in seguito consentito di lavorare facilmente sulla voce e sull'orecchio. Discutibile come cantante, il frontman degli Area visse in totale immersione l'esperienza dell'avanguardia musicale degli anni '70, che costituisce il vero nucleo del film. Le prime esperienze con il gruppo beat dei Ribelli, la Milano di sinistra, gli happening musicali di Parco Lambro, la scuderia della Cramps Records, per la quale incise persino il grande John Cage, furono soltanto alcune dell'incredibile numero di tappe che condusse Stratos e il suo gruppo a vivere in totale simbiosi con l'avanguardia intellettuale e artistica di quegli anni. Il documentario ne rende tangibili le estremizzazioni più bizzarre (il canto totalmente svincolato da regole, gli spettatori che salgono sul palco col ciondolone al vento durante un concerto di Don Cherry e Tony Esposito, le frequenze dei sintetizzatori di Tofani che aumentano grazie al contatto fisico del pubblico), ma anche la voglia di assoluta libertà espressiva e di ricerca creativa. Il tutto viene ricostruito con zelo filologico ma senza particolari sussulti e di Stratos rimane la meraviglia per la sua capacità di creare le diplofonie (cioè l'emissione contemporanea di due suoni completamente distinti) e la triste leggenda popolare che volle accostare la sua morte prematura, celebrata in un famosissimo concerto milanese nel 1979, agli sforzi eccessivi a cui aveva sottoposto le sue corde vocali.    

domenica 26 agosto 2012

Singolarità di una ragazza bionda (Singularidades de uma Rapariga Loura)

anno: 2009   
regia: DE OLIVEIRA, MANOEL
genere: drammatico
con Ricardo Trêpa, Catarina Wallenstein, Diogo Dória, Júlia Buisel, Leonor Silveira, Maria-João Pires, Maria Burmester, Luís Miguel Cintra, Glória de Matos, Filipe Vargas, Rogério Samora
location: Portogallo
voto: 1

Singolare il titolo, singolari gli interpreti, singolare anche il film. Ci sarebbe da domandarsi cosa ne sarebbe stato di quest'opera tratta da José Maria Eça De Queirós, se a firmarla non fosse stato l'ultracentenario Manuel De Oliveira, ma un qualsiasi ragazzetto esordiente. Puzza di snobismo cripto intellettuale lontano un miglio l'aura di consenso che ammanta un lavoro come questo, che tradisce passatismo e senilità a ogni inquadratura, che mostra di avere in spregio le più elementari regole cinematografiche, volendo assolvere al solo compito di doversi proporre come cinema d'essai. Basterebbero i cinque minuti iniziali (sull'ora complessiva dell'intero film) - con un controllore impegnato a obliterare biglietti su un treno, augurando "buon viaggio" a ogni singolo viaggiatore - per far sorgere qualche sospetto e capire che l'azione non si innescherà mai. Non bastasse, ci sono le riprese, tutte rigorosamente a macchina fissa e con punti di ripresa a dir poco elementari, o la recitazione da oratorio di tutti gli attori (una addirittura sembra che interpreti la parte di una cieca, tanta è la fissità dello sguardo), o, ancora, gli inutili inserti vagamente grotteschi (un signore che ha perso il cappello) o intellettualoidi (la lettura di una poesia, un lungo assolo d'arpa) a mostrare che questo cinema gira totalmente a vuoto.
La storia è questa: in treno, un ragazzo (Trêpa) racconta a una sconosciuta (Silveira) la sua delusione amorosa. La bella ragazza bionda che vedeva dal suo posto di lavoro (Wallenstein) lo attirava; se ne era innamorato, voleva sposarla, chiede allo zio (Doria), che è anche il suo datore di lavoro, il permesso di poterlo fare ma questo glielo nega. Allora lascia il lavoro e la casa, vive di una condizione di quasi indigenza, ma quando tutto sembra ristabilirsi e lo zio si mostra d'accordo con il matrimonio, arriverà un'altra delusione. Il film di De Oliveira sembra una copia sbiaditissima che sta tra il peggior Bresson e Monteiro, l'oretta di durata è sufficiente a garantire l'orchite, la valuta corrente è l'euro ma tra parenti ci si dà del lei e si deve chiedere il permesso per sposarsi. Infine, il protagonista si chiama Macario ma, a differenza del comico piemontese, non fa ridere neppure un po'.    

Cattivissimo me (Despicable me)

anno: 2010   
regia: COFFIN, PIERRE * RENAUD, CHRIS 
genere: animazione 
con la voce di Max Giusti 
location: Usa
voto: 7

Invidioso perché il suo giovane rivale ha rubato una piramide in Egitto, sostituendola con un modello gonfiabile (l'inizio è esilarante), Gru ha un progetto ancora più ambizioso: rubare la luna e diventare il cattivo più cattivo del mondo. Per raggiungere il suo scopo ha però bisogno di usare tre orfanelle come una sorta di cavallo di Troia, in modo da poter portar via al suo antagonista il macchinario che rimpicciolisce qualsiasi cosa, così da potersi mettere la luna in tasca. Inevitabili le complicazioni.
Prodotto targato Illumination Entertainment (Universal), che cerca di rompere il duopolio Pixar/Dreamworks, Cattivissimo me si attesta qualche gradino più in basso rispetto alla qualità delle animazioni, ma è pirotecnico quanto a inventiva, sebbene si avverta con chiarezza che alcune soluzioni particolarmente ingegnose siano frutto di una netta deviazione dalla trama e che il personaggio di Gru non è granchè originale, stando a metà strada tra Lemony Snicket e lo Scroodge di Dickens. Più vicino alla sensibilità dei bambini che a quella degli adulti (stavolta niente citazionismo cinematografico, doppi sensi, vocaboli inappropriati), il film di Pierre Coffin e Chris Renaud funziona anche sotto il profilo del messaggio, ovviamente buonista, che rovista sull'origine del male come perdita affettiva. Inascoltabile il doppiaggio italiano di Max Giusti.    

venerdì 24 agosto 2012

Lars e una ragazza tutta sua (Land the ral girl)

anno: 2008   
regia: GILLESPIE, CRAIG
genere: commedia
con Ryan Gosling, Emily Mortimer, Paul Schneider, Kelli Garner, Patricia Clarkson, Nancy Beatty, R.D. Reid, Joe Bostick, Liz Gordon, Nicky Guadagni, Doug Lennox, Karen Robinson, Maxwell McCabe-Lokos, Billy Parrott, Sally Cahill, Angela Vint, Liisa Repo-Martell, Darren Hynes, Víctor Gómez, Tommy Chang, Arnold Pinnock, Joshua Peace, Aurora Browne, Alec McClure, Tannis Burnett, Lauren Ash, Lindsey Connell, Aaron Ferguson, Danna Howe, Annabelle Torsein, Tim Blake, Torquil Colbo
location: Usa
voto: 6

Lars (Gosling) ha una forma di introversione parossistica, che lo porta a evitare relazioni sociali e qualsiasi tipo di contatto fisico. Finché un giorno non decide di farsi spedire a casa una ragazza su misura. Il fratello (Schneider) e la compagna di quest'ultimo (Mortimer), che abitano proprio di fronte a lui in un paesino sperduto degli States, restano increduli, nonostante siano abituati alle stramberie del congiunto. Poi, su consiglio di una psichiatra interpellata (Clarkson), stanno al gioco, e con loro tutta la cittadinanza, fino a quando, finalmente, Lars non esce dal guscio.
ùLa trovata, anche se non nuovissima (basti pensare a Life size o a Io e Caterina) è geniale: qui siamo tra Harvey e una sorta di Truman Show a copione invertito. La favola dell'introverso patologico che trova lentamente una sua faticosissima via verso la socialità è toccante e commovente, con punte di autentico lirismo, perennemente in bilico tra commedia fantastica e dramma psicologico in un'ambientazione fuori dal tempo (anche se non mancano riferimenti a Internet e cellulari). Un eccesso di buonismo è forse la sola pecca di un film peraltro servito da un Gosling imbolsito ma mai tanto bravo e dalla strepitosa colonna sonora di David Torn.    

giovedì 23 agosto 2012

Donkey Xote

anno: 2007   
regia: POZO, JOSE 
genere: animazione 
nazionalità: Spagna
voto: 1

Accontentatevi della trovata del titolo, che gioca tra il nome dell'antieroe del più noto personaggio di Cervantes e l'asino (in inglese) che è il quasi protagonista del film. Perché di sostanza non troverete altro in questo pessimo esemplare di cinema-groviera, tanti e tali sono i buchi di sceneggiatura che ne rendono impossibile una qualsiasi attribuzione di senso. Il film ha la pretesa di ergersi a controstoria, raccontata dal punto di vista del somaro, che sfaterebbe l'idea di un Don Chisciotte visionario per sostituirla con quella di un eroe determinato e appassionato. La vicenda, per il pochissimo che se ne capisce, è più o meno questa: Don Chisciotte e Sancho Panza, insieme ai loro fidati equidi Ronzinante e Rucio (il somaro del titolo) partono alla ricerca dell'amata (?) Dulcinea, che però è un'impostora che, insieme ad alcuni colleghi di un gruppo teatrale, è stata ingaggiata da un vecchio amico di Don Chisciotte che ha sempre invidiato il suo ex sodale. Un torneo di cavalieri porterà Don Chisciotte a conoscere la sua vera amata.
Produzione italo-spagnola con discrete animazioni, assai simili al modello di Shrek, zero inventiva sul piano visivo e sceneggiatura scritta tra una seduta e l'altra al gabinetto, con ampi riferimenti all'attualità italiana nella sua versione doppiata e scurrilità a gogo. Sconsigliatissimo.    

Crazy, Stupid, Love

anno: 2011   
regia: FICARRA, GLENN * REQUA, JOHN 
genere: commedia 
con Steve Carell, Ryan Gosling, Julianne Moore, Emma Stone, Analeigh Tipton, Jonah Bobo, Joey King, Marisa Tomei, Beth Littleford, John Carroll Lynch, Kevin Bacon, Liza Lapira, Josh Groban, Mekia Cox, Julianna Guill, Zayne Emory, Crystal Reed, Joanne Brooks, Reggie Lee, Caitlin Thompson, Karolina Wydra, Tracy Mulholland, Katerina Mikailenko, Janine Barris, Jenny Mollen, Charlie Hartsock, Algerita Wynn Lewis, Wendy Worthington, Dan Butler, Tiara Parker, Laurel Coppock, Rasika Mathur, Joshua Sternlicht, Jasen Salvatore, Michael John Long, Dillon Neaman, J-ray, Janae Nicole Caudillo, Christopher Darga, Rich Hutchman, Richard Steven Horvitz, Lauren Stone, Megan James, Rebecca Flinn, Billy Atchison, Ehrin Marlow, David Orosz, Camille Abelow, Maija Polsley, Christian Pitre, Heather La Bella, Georgia Hurd, Lisa Brown, Tingting Yu, Raena Cassidy, Ami Haruna, Jessica Diz, Tania Wagner, Georgia Treantafelles, Holly Daniels 
location: Usa
voto: 5

Afflitto da eccesso di monogamia (sua moglie, conosciuta ai tempi del liceo, è l'unica donna con cui è stato), il quarantenne Cal Weaver (Carell)  si è trasformato in un marito noioso e prevedibile. La consorte (Moore) lo tradisce con un collega (Bacon) e vuole il divorzio, lui affoga di conseguenza i dispiaceri nell'alcol servito in un locale dove conosce Jacob (Gosling), seduttore incallito che gli svela i trucchi del "mestiere". Ma Cal ha un solo chiodo fisso - sua moglie - come d'altronde suo figlio e la baby sitter, e a poco serve la trafila di incontri ravvicinati sul materasso che inanella in pochissimo tempo.
Ficarra e Requa, già autori di commedie leggerissime come Colpo di fulmine, impacchettano un messaggio elementare: che l'amore, lo dice anche il titolo, è stupido e capriccioso. Elementare il messaggio, ma elementare anche lo svolgimento, che però ha dalla sua un buon ritmo, qualche indovinata situazione da commedia degli equivoci e un tredicenne (Bobo) che è ingrediente essenziale della messa in scena. Peccato per il naufragio nell'alto mare del familismo più becero in un finale tutto da dimenticare nel quale si celebra ovviamente l'elisir di lunga vita della famiglia.    

mercoledì 22 agosto 2012

Scrivimi una canzone (Music and lyrics)

anno: 2007   
regia: LAWRENCE, MARC 
genere: commedia 
con Hugh Grant, Drew Barrymore, Brad Garrett, Kristen Johnston, Campbell Scott, Haley Bennett, Jason Antoon, Billy Griffith, Adam Grupper, Ellen Harvey, Jeremy Karson, Spenser Leigh, Matthew Morrison, Scott Porter, Charlie Sandlan, Brooke Tansley, Lanette Ware, Emma Lesser 
location: Usa
voto: 5,5

Un cantante in stile Duran Duran (Grant), che aveva vissuto un successo meteoritico negli anni '80, è anche l'idolo della starlette del momento (Bennett). Quest'ultima gli chiede di scrivere per lei un brano per il nuovo album; ma la popstar ormai sul viale del tramonto ha da anni la vena inaridita, si esibisce in locali di quart'ordine o nei luna park ma ha la fortuna di trovare sulla propria strada un'aspirante scrittrice dalla rima facile (Barrymore), grazie alla quale riconquisterà il successo. Fin dal titolo (l'originale è Music & Lyrics) il film di Marc Lawrence ristabilisce le dovute proporzioni a testi e musica (spesso sbilanciate a favore di quest'ultima, anche se non mancano clamorosi casi opposti, come quello di Michele Novaro, autore di Fratelli d'Italia): è tutto ampiamente prevedibile, il sottotesto rosa è scontato e la satira contro l'industria musicale piuttosto loffia anche se gradevole. Tuttavia i due protagonisti reggono bene la scena (anche se Grant recita come se avesse perennemente il torcicollo), il ritmo non manca e i dialoghi sono assai ben scritti, con scambi come quello in cui Hugh Grant ironizza sul suo esordio da solista: "Rolling Stone l'ha definito un disco grossolano e artificioso, non utile neanche in una sala d'aspetto" "Beh - replica la Barrymore - di sicuro ci sono state altre recensioni". E lui: "Come no? Ma nessuna buona quanto questa!".    

martedì 21 agosto 2012

Hot fuzz

anno: 2007   
regia: WRIGHT, EDWARD 
genere: commedia gialla 
con Simon Pegg,  Martin Freeman,  Bill Nighy,  Robert Popper,  Joe Cornish,  Chris Waitt,  Eric Mason,  Billie Whitelaw,  Nick Frost,  Peter Wight,  Julia Deakin,  Tom Strode Walton,  Troy Woollan,  Rory Lowings,  Bill Bailey,  Paul Freeman,  Trevor Nichols,  Elizabeth Elvin,  Stuart Wilson,  Lorraine Hilton,  Kevin Wilson,  Nicholas Wilson,  Timothy Dalton,  Jim Broadbent,  Paddy Considine,  Rafe Spall,  Kevin Eldon,  Karl Johnson,  Sampson,  Olivia Colman,  Edward Woodward,  Graham Low,  Patricia Franklin,  Anne Reid,  Kenneth Cranham,  Adam Buxton,  Stephen Merchant,  Elvis,  Tim Barlow,  Ben McKay,  Rory McCann,  Alice Lowe,  Ron Cook,  David Threlfall,  Lucy Punch,  David Bradley,  Colin Michael Carmichael,  Maria Charles,  Alexander King 
location: Regno Unito
voto: 6

Nicolas Angel (Pegg) viene allontanato dal corpo di polizia di Londra perché il suo zelo e le sue capacità mettono in difficoltà i colleghi che non riescono a tenerne il suo passo. Spedito nella campagna di Sanford, che da anni si aggiudica il premio come miglior villaggio d'Inghilterra e dove sembra non accadere mai alcun reato, Nicolas scoperchia un vaso di Pandora dal quale vengono fuori malefatte di ogni genere e una connivenza tra i rappresentanti di spicco della cittadina, collegati a una fitta serie di omicidi.
Con tipico umorismo inglese, qualche scantonata nello splatter e nell'horror e un misto di commedia nera e action movie poliziesco, il film di Edward Wright mantiene un registro altalenante, con una seconda parte decisamente più movimentata e una prima in sintonia col grottesco. Spiccano l'eccellente qualità del montaggio, l'originalità di alcune soluzioni registiche ma anche una certo sentore di dèjà vù, con un gusto per il citazionismo che spazia tra La congiura degli innocenti, Twin Peaks e i rimandi espliciti a Point Break e Bad Boys 2. Molte le esagerazioni, ma non mancano neppure i momenti di puro divertimento.    

sabato 18 agosto 2012

Il salario della paura (Sorcerer)

anno: 1977   
regia: FRIEDKIN, WILLIAM
genere: avventura
con Roy Scheider, Bruno Cremer, Francisco Rabal, Amidou, Ramon Bieri, Peter Capell, Karl John, Friedrich von Ledebur, Chico Martínez, Joe Spinell, Rosario Almontes, Richard Holley, Anne-Marie Deschott, Jean-Luc Bideau, Jacques François, André Falcon
location: Francia, Israele, Messico, Usa
voto: 7

Remake di un film di Clouzot della fine degli anni '50 (Vite vendute), Il salario della paura (Sorcerer, ossia "stregone", nell'originale) è un film targato William Friedkin (Il braccio violento della legge, L'esorcista) e si vede. il grande regista americano sfodera mestiere, ritmo e trovate narrative all'altezza del suo nome, con un film sostanzialmente diviso in due parti. nella prima assistiamo ai reati di un killer nazista (Rabal), di un terrorista arabo (Amidou), di un bancarottiere (Cremer) e di un rapinatore (Scheider). Nella seconda, tutti e quattro, sotto falso nome, riparano nell'America Latina, e vengono selezionati per una missione rischiosissima nel pieno della giungla amazzonica: quella di trasportare un ingente quantitativo di nitroglicerina per far saltare un oleodotto in fiamme. Per i quattro sarà un'odissea. Girato con grande dispendio di mezzi e con due scene che hanno tutti i numeri in regola per campeggiare di diritto in un ipotetico manuale del film d'avventura (il passaggio dei camion su un ponte sospeso e l'esplosione di un albero che impedisce il passaggio), il film tratto dal romanzo di Georges Arnaud si fa apprezzare per il ritmo incessante e l'efficacia dell'intreccio ma, ancor più, per le riprese vertiginose e i capolavori di inventiva ingegneristica.
Notevoli anche se anacronistiche le musiche dei Tangerine Dream.    

venerdì 17 agosto 2012

Mare nero

anno: 2006       
regia: TORRE, ROBERTA
genere: poliziesco
con Luigi Lo Cascio, Anna Mouglalis, Maurizio Donadoni, Massimo Popolizio, Andrea Osvárt, Monica Samassa, Rossella D'Andrea, Malèna Tornatore
location: Italia
voto: 1

Dimenticate il tono leggero e beffardo di Tano da morire, film d'esordio che rivelò il talento iconoclasta di Roberta Torre. Qui siamo esattamente agli antipodi, alle atmosfere lugubri delle sale da autopsia, alle luci crepuscolari degli scambisti, a quelle al neon dei commissariati di polizia. Al centro della vicenda di questo pessimo poliziesco c'è l'omicidio di una studentessa romana di buona famiglia che per sollazzarsi troppo col sesso estremo ci è rimasta secca. Il commissario Luca Moccia (Lo Cascio), che indaga sul caso, comincia a sospettare che anche quella fatalona della sua compagna (Mouglalis) nasconda attività promiscue e spinge sul pedale della fantasia.
Imbarazzante, sconnesso, totalmente privo di tensione, il noir della Torre è un thriller dell'anima tanto pretenzioso quanto inutile, tutto da dimenticare, peraltro servito da una Mouglalis che sembra in posa perenne per la copertina di Vogue (però che voce!) e da un Lo Cascio imbalsamato e completamente fuori parte. Si salva soltanto la colonna sonora.    

giovedì 16 agosto 2012

Io sono Tony Scott, ovvero come l'Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz

anno: 2010   
regia: MARESCO, FRANCO 
genere: documentario 
con Tony Scott, Gabriele Mirabassi, Karl Potter, Franco D'Andrea, Buddy de Franco, Eddie Gomez, Enrico Rava, Lino Patruno, Dario Salvatori, Joe Lovano, Franco Cerri, Salvatore Bonafede, Don Byron, Paolo Bonolis, Piero Chiambretti 
location: Italia
voto: 7,5

Dopo il divorzio artistico da Daniele Ciprì, col quale condivise la gloriosa stagione della Cinico tv e alcuni lungometraggi di furore iconoclasta, Franco Maresco torna a ribadire il proprio amore per il jazz con un altro omaggio - dopo quello fatto a Duke Ellington - a un altro grande, Tony Scott, al secolo Antonio Sciacca. L'avventura jazzistica e umana di Tony Scott ebbe inizio negli anni '40, quando i numi tutelari del clarinetto jazz erano quelli di Benny Goodman e Artie Shaw. Nonostante gli incontri con i grandi maestri come Lester Young e Charlie Parker, con i quali condivise ripetutamente i palcoscenici di mezza America, negli anni '50 il declino del jazz costrinse il nostro uomo a ripiegare su esibizioni in locali di spogliarello, nonostante nella stessa epoca avesse fatto parte dell'orchestra di Duke Ellington. Incessantemente alla ricerca di novità e sperimentazione, alla fine del decennio Scott fa un viaggio in Giappone e l'incontro con la cultura orientale lo mette nelle condizioni di diventare l'autentico precursore della World Music e della New Age con un disco capolavoro come Music for zen meditation. Ma dall'Asia è anche costretto a fuggire per ragioni che rimangono a tutt'oggi ignote, si dice perché fosse collaboratore della CIA. Il clarinetto, lo strumento che privilegia e per il quale ha conteso per anni a Buddy De Franco il titolo di numero uno al mondo, negli anni '60 - con l'arrivo del free jazz e delle avanguardie - diventa fuori moda e Scott si trova ancora una volta a faticare per trovare una collocazione adeguata nel panorama jazzistico. La svolta, decisamente in peggio, arriva nel 1970, quando decide di stabilirsi in Italia: prima nell'originaria Sicilia, quindi a Roma e infine a Milano, in un precipitare continuo di condizioni che se inizialmente lo portano a suonare con Romano Mussolini - un pianista che deve il proprio successo unicamente al fatto di essere il figlio del Duce - in seguito lo sminuiscono a rango di musicista di intrattenimento per alberghi e ristoranti, feste rionali e sagre paesane, fino a qualche sporadica e tristissima apparizione in fiction televisive di infimo livello.
Maresco dimostra ancora una volta di avere talento e ironia da vendere: la sua voce accompagna sardonicamente lo spettatore per le quasi due ore e un quarto di film, alternandosi a spezzoni di film d'epoca, testimonianze di colleghi, parenti e amici, brani di repertorio e tracce di interviste. Dal suo lavoro emerge il ritratto di un jazzista che, nel momento in cui si trasferì in Italia, non solo vide eclissarsi clamorosamente la sua fama, ma che assunse al tempo stesso i connotati da santone (ricorda un po' il nostro Remotti), artista perennemente fuori sincrono nella diverse epoche, più apolide che cosmopolita, costretto - negli ultimi anni di vita - persino a mendicare un letto, lui che aveva suonato con Ellington e Parker, anche per via di quel caratteraccio ossessivo, paranoico, egocentrico e borderline che lo aveva trasformato, suo malgrado, in una sorta di clown da palcoscenico, incapace di trovare un posto persino da morto (l'ultimo soffio è datato 2007), con il suo corpo che non trova pace tra i cimiteri di quella terra che è la Sicilia.    

mercoledì 15 agosto 2012

Vogliamo anche le rose

anno: 2008   
regia: MARAZZI, ALINA  
genere: documentario  
con le voci di Anita Caprioli, Teresa Saponangelo, Valentina Carnelutti  
location: Italia
voto: 5

Al suo secondo documentario per il grande schermo il trucco di Alina Marazzi è sempre lo stesso: recuperare un bel po' di materiale d'archivio e farci il film. Solo che stavolta, a differenza del precedente Un'ora sola ti vorrei, l'omaggio non è riservato a una sola donna, ma a tutte le donne. Si tratta di un'operazione che assembla i diari d'epoca di tre ragazze degli anni sessanta e settanta - chi con problemi di sessuofobia, chi con quelli di relazione e di aborto, chi con il tentativo di trovare una dimensione ottimale nel Movimento - mescidati con immagini di repertorio e qualche geniale animazione di stampo dadaista (merito di Cristina Seresini). Se ne ricava un amalgama insipido declinato secondo le antinomie tra pubblico/privato, nord/sud, orgasmo vaginale/orgasmo clitorideo, coppia/divorzio, in un bigino nel quale si fatica a rintracciare le parti originali e che peraltro vira talmente sul privato e l'intimista dei tre racconti da rendere impossibile, a chi non sappia nulla di quella stagione di antagonismi e tensioni sociali che fu il femminismo militante (quello di via del Governo vecchio, per intenderci), capire cosa quest'ultimo abbia realmente rappresentato. Merito ai documentaristi dell'epoca per avere raccolto la testimonianza di quanto opportunisti e sciovinisti fossero molti militanti di sinistra, i quali - forti degli slogan sulla liberazione dei corpi - non perdevano occasione per procacciarsi ciò che più li interessava, altrimenti giù ingiurie contro le donne "piccolo borghesi, represse e anche frigide".    

martedì 14 agosto 2012

Rango

anno: 2011   
regia: VERBINSKI, GORE
genere: animazione
location: Usa
voto: 7

Gore Verbinski è un giocherellone. Fin dal brillante esordio con Un topolino sotto sfratto ha dato prova di saperci fare con trucchi ed effetti speciali, come dimostra peraltro anche la trilogia di Pirati dei Caraibi. Rango, il suo primo film interamente d' animazione, è l'ulteriore prova di una capacità non comune di riuscire a ottimizzare la sua carica visionaria. L'occasione gliela fornisce la sceneggiatura del premio Oscar John Logan, nella quale un camaleonte (chissà perché definito "lucertola" nel film) con ambizioni attoriali finisce in un paese del deserto del Nevada (siamo nel www, il wild wild west…) che sta vivendo un'imponente emergenza idrica. Il suo istrionismo e una buona dose di fortuna lo portano ad essere visto come l'uomo - pardon, il camaleonte - della salvezza. Ovvio che quando la messa in scena viene a galla, Rango (questo il nome del rettile) si industrierà per trovare una vera soluzione a danno degli speculatori.
Apologo ambientalista nel quale si spreca il citazionismo (da Paura e delirio a Las Vegas ad Apocalypse Now, passando per Chinatown, E.T. e perfino I basilischi, senza contare i riferimenti al western declinati in tutti i modi, da Ford a Peckinpah, Leone e Eastwood) e che conferma ancora una volta che i cartoni animati stanno diventando sempre di più un diversivo per gli adulti, possibilmente cinefili.    

Un'ora sola ti vorrei

anno: 2002    regia: MARAZZI, ALINA  
genere: documentario  
location: Italia
voto: 2

Un'ora sola ti vorrei, titolo di una celebre canzone degli anni '30, è l'atto di amore che l'esordiente Alina Marazzi tributa alla madre morta suicida, quando lei aveva appena 7 anni, dopo lunghi periodi di istituzionalizzazione psichiatrica. È un mistero il motivo per cui la critica abbia speso tanti elogi per un documentario di un'oretta di durata che sembra collocarsi assai più sul versante del buco della serratura che non da quello del cinema d'essai. La regista è di quelle che sono nate e cresciute nei salotti bene, nelle atmosfere ovattate e rassicuranti, di alto lignaggio, nonché nipote dell'editore Hoepli: tanto le è bastato per raccogliere un consistente numero di filmati amatoriali delle generazioni che l'hanno preceduta, assemblarli alla bell'e meglio e cucirci sopra una straziante, insopportabile voce monocorde che miscela le parole dei diari della madre con qualche (raro) spunto di ricostruzione postuma. Ne esce un'operazione che non suscita alcun interesse, che rovista sgraziatamente tra ricette mediche, carte cliniche ed elenchi di farmaci senza riuscire né a emozionare né a ricostruire lo spaccato storico che sta dietro la vicenda personalissima che solo chi è nato e cresciuto nell'opulenza può permettersi di raccontare come fosse l'ultimo giochetto creativo.    

lunedì 13 agosto 2012

Unfaithful - L’amore infedele

anno: 2002   
regia: LYNE, ADRIAN
genere: thriller
con Diane Lane, Richard Gere, Olivier Martinez, Erik Per Sullivan, Chad Lowe, Kate Burton, Margaret Colin, Erich Anderson, Dominic Chianese, Myra Lucretia Taylor, Michelle Monaghan, Larry Gleason, Anne Pitoniak, Frederikke Borge, Russell Gibson, Maria Gelardi, Les Shenkel, Joseph Badalucco Jr., Michael Emerson, Lisa Emery, Gary Basaraba, Zeljko Ivanek, Geoffrey Nauffts 
location: Usa
voto: 5


Adrian Lyne è il campione dell'erotismo più patinato e glamour. Fin dagli esordi (A donne con gli amici), passando per l'enorme successo di pubblico ottenuto negli anni Ottanta con 9 settimane e ½, per arrivare al remake sfrontato di Lolita, il romanzo di Nabokov che Kubrick aveva trasformato in un capolavoro, non c'è stato film (con la sola eccezione di Flashdance) che non abbia creato la medesima miscela di torbido e sensuale, eros e thanatos. Non fa eccezione questo Unfaithful, ripresa con qualche variazione di un film di Chabrol (Stéphane, una moglie infedele), nel quale la splendida ancella del focolare domestico Diane Lane, nonostante si ritrovi con un pezzo di marito come Richard Gere e una magnifica villa fuori città, si lascia risucchiare in una storia con un rozzo playboy di Soho (Martinez), che tra una donna e l'altra vende e compra libri usati. Il marito comincia a sentire prurito in testa, sicché ingaggia un detective che gli squaderna davanti le prove. A quel punto la storia prende una pista gialla sulla quale non diremo di più. Impossibile però non rimarcare le pazzesche ingenuità compiute dal marito, l'eccesso di accidentalità della scena chiave del film e altre amenità che Lyne dissemina col consueto mestiere, che stavolta diventa oleografia pura.    

domenica 12 agosto 2012

The way back

anno: 2010       
regia: WEIR, PETER 
genere: avventura 
con Jim Sturgess, Ed Harris, Saoirse Ronan, Colin Farrell, Mark Strong, Gustaf Skarsgård, Alexandru Potocean, Sebastian Urzendowsky, Dragos Bucur, Zahary Baharov, Sally Edwards, Igor Gnezdilov, Dejan Angelov, Stanislav Pishtalov, Mariy Grigorov, Nikolay Stanoev, Stefan Shterev, Yordan Bikov, Ruslan Kupenov, Nikolay Mutafchiev, Valentin Ganev, Anton Trendafilov, Pearce Quigley, Sattar Dikambayev, Termirkhan Tursingaliev, An-Zung Le, Hal Yamanouchi, Meglena Karalambova, Irinei Konstantinov 
location: India, Mongolia, Russia, Unione Sovietica
voto: 6

Nel 1941 un gruppo di deportati fugge dai gulag siberani per tentare di raggiungere a piedi il confine con la Mongolia. Neve, deserto, siccità, lupi, una ragazza polacca (Ronan) che si aggiunge al gruppo: alla fine arriveranno in tre.
Dopo un lungo silenzio (dai tempi di Master & commander) Peter Weir torna dietro la macchina da presa con il suo terzo film d'avventura (gli altri sono Mosquito coast e lo stesso Master & commander). Le cose funzionano a meraviglia nella prima parte, quando sotto l'occhio della cinepresa si snoda il racconto epico di un'umanità disposta a tutto pur di sopravvivere. A funzionare decisamente meno è proprio la parte avventurosa del film, una sorta di road movie nel quale - al di là del cambio di scenografie naturali sempre impressionanti e magnificamente fotografate da Russell Boyd - non succede granché e quello che accade, nonostante si tratti di un'autentica odissea, viene raccontato in modo davvero poco avvincente.    

sabato 11 agosto 2012

Polisse

anno: 2012       
regia: LE BESCO, MAIWEEN  
genere: poliziesco  
con Karin Viard, Joey Starr, Marina Foïs, Nicolas Duvauchelle, Maïwenn, Karole Rocher, Emmanuelle Bercot, Frédéric Pierrot, Arnaud Henriet, Naidra Ayadi, Jérémie Elkaïm, Riccardo Scamarcio, Sandrine Kiberlain, Wladimir Yordanoff, Louis-Do de Lencquesaing, Carole Franck, Marcial Di Fonzo Bo, Riton Liebman, Laurent Bateau, Anne Suarez, Anthony Delon, Alain Attal, Maëva Pasquali, Bine Sarambounou, Audrey Lamy, Sophie Cattani, Laurence Arrouy, Aurélie Braconnier, Nathalie Boutefeu, Chrystel Charpentier, Alexandre Carrière, Caroline Attal, François Kraus, Lilou Fogli, Orazio Massaro, Virgil Vernier, Hervé Temime, Albert Igual, Sébastien Farran, Winston Ong, Emmanuel Gayet, Valérie de Monza, Michel Chesneau, Olivier Breton, Jamel Barbouche, Patrick Le Besco, Abdelkader Belkhodja, Amina Annabi, Lou Doillon, Julien Landais, Eric Dupuis, Rabah Loucif, Jérôme Perrot, Arabelle Savu, Jean Fornerod, Arben Bajraktaraj, Alice de Lencquesaing, Malonn Lévana, Gaye Sarambounou, Joseph Créhange, Violante Stillacci, Fiamma Stillacci, Luna Turcat, Carla Guffroy, Manon Tournier, Marguerite Machuel, Simone Machuel, Lisa Guibet, Elise Amblard, Denisa Nita, Maïlys Amrous, Nina Rodriguez, Nathan Mamberti, Wendy Nieto, Louis Dussol, Eden Mandereau, Chloé Vaello  
location: Francia
voto: 6

La smania di impressionare a colpi di originalità la si percepisce già dalla firma in calce al film: quel "Maïwenn" (senza il cognome Le Besco) che tanto si addiceva alle rockstar degli anni sessanta. Questa artista poliedrica (è attrice e sceneggiatrice prima ancora che regista), dopo un paio di lungometraggi distribuiti in maniera quasi carbonara soltanto in Francia, entra a gamba tesa nel mondo del cinema con un film che rovista nel quotidiano di una sezione di polizia parigina specificamente dedicata ai minori: si parla di pedofilia, stupri, prostituzione, ma si diventa spettatori anche del retroscena di questi poliziotti, tra mancanza cronica di fondi, amori difficili e famiglie in equilibrio precario. Il tutto viene condotto con uno stile volutamente frammentario, quasi a voler cogliere nel suo insieme una serie di istantanee proprio alla maniera della fotoreporter (la stessa Maïwenn) che sta lì per documentare il lavoro di questi poliziotti. Ne esce un film che sembra il singolo episodio di una serie tv, sghembo, in cui la parte di mockumentary prevale su quella di finzione, con direzione approssimativa degli attori, finale forzatamente ad effetto, ma anche col grande merito di riuscire a toccare a tutto tondo un tema difficile come quello della pedofilia, mostrandone non solo gli aspetti più aberranti, ma anche quelli più incredibilmente ingenui, come nei resoconti lasciati dalla madre che masturba tutte le sere il figlio per farlo addormentare o del bambino molestato dal suo insegnante di ginnastica, che però gli dà la sensazione di volergli un gran bene.
Premio della giuria al 64. festival di Cannes (2011).    

giovedì 9 agosto 2012

Ladri di Cadaveri - Burke and Hare

anno: 2011       
regia: LANDIS, JOHN 
genere: commedia nera 
con Simon Pegg, Andy Serkis, Isla Fisher, Jessica Stevenson, Tom Wilkinson, Ronnie Corbett, Tim Curry, Michael Smiley, Christopher Lee, Hugh Bonneville, Georgia King, Bill Bailey, David Schofield, Pollyanna McIntosh, Allan Corduner, David Hayman, Reece Shearsmith  
location: Regno Unito
voto: 2


Nella Edimburgo del 1828 le idee dell'illuminismo divampano senza scrupoli anche in ambito medico. Per aggiudicarsi i massimi allori regali, due medici - uno ipertradizionalista e ammanicato col potere politico (Curry), l'altro modernista e spregiudicato (Wilkinson) - si contendono il primato cercando di portare avanti gli studi di anatomia. Fa al caso del secondo l'attività di due truffatori (Pegg e Serkis) che arrivano direttamente all'omicidio pur di procurare al loro "datore di lavoro" cadaveri freschi. La milizia ci mette il naso e inevitabilmente salterà qualche altra testa.
I titoli di testa avvertono che si tratta di una storia vera, "tranne che per le parti che non lo sono": fin dalle primissime battute, dunque, è riconoscibile la firma - a metà strada tra provocazione e registro grottesco - di John Landis, che innesta una buona dose d'ironia in una miscela di realtà e finzione, con riferimenti al teatro shakespeariano, alla teoria dei giochi e al paradosso del prigioniero, agli albori del dagherrotipo e a quelli dei grandi scienziati del tempo (Darwin in primis), il tutto governato dal potere della ragione economica, implacabile anche a quei tempi. Il film segna il ritorno di John Landis dietro la macchina da presa dopo oltre un decennio, con una commedia nera inzeppata di comicità demenziale e slapstick. Ma le soluzioni comiche di Landis, come già ai tempi dell'acclamato The blues brothers, sono talmente elementari e la messa in scena così sgangherata da non suscitare, almeno a chi scrive, neppure un sorriso. C'è da augurarsi che per Landis si tratti dell'occasione buona per mandare definitivamente in soffitta la cinepresa, dopo l'ennesimo film di pessima fattura nel quale si salvano soltanto le scenografie.    

domenica 5 agosto 2012

Contraband

anno: 2012       
regia: KORMAKUR, BALTASAR 
genere: thriller 
con Mark Wahlberg, Kate Beckinsale, Ben Foster, Giovanni Ribisi, Caleb Landry Jones, Robert Wahlberg, Jason Mitchell, Paul LeBlanc, Lukas Haas, Amber Gaiennie, Kent Jude Bernard, David O'Hara, Jackson Beals, Jaqueline Fleming, Connor Hill, Bryce McDaniel, John Wilmot, Dane Rhodes, Juliette Enright, William Lucking, Ritchie Montgomery, Viktor Hernandez, Shannon Hand, J. Omar Castro, Michael L. Nesbitt, Jack Landry, J.K. Simmons, Lucky Johnson, Ólafur Darri Ólafsson, Carlos Compean, Kirk Bovill, Rose Bianco, Brian Nguyen, Roland Ruiz, Ian Casselberry, Diego Luna, Victor Lopez, Laura Iglesias, Eddie Fiola, Max Daniels, Joshua Teixidor, Randy Austin, Anthony Michael Frederick, Michael Beasley, Turner Crumbley, Lance E. Nichols, Anthony 'Ace' Thomas, Eric Weinstein 
location: Panama, Usa
voto: 7,5

Dall'action movie ci si aspetta, nemmeno a dirlo, soprattutto azione. Riesce pienamente nell'obiettivo questo rifacimento di un film islandese del 2008, Reykjavik-Rotterdam, diretto da Baltasar Kormákur che di quel thriller fu l'interete principale e che qui trasferisce le location tra New Orleans e Panama. Al centro della vicenda c'è il redento Chris Farraday (Wahlberg, qui anche in veste di produttore), una specie di Houdini del contrabbando che si è rifatto una vita vendendo sistemi antifurto. Suo cognato (Landry Jones) però l'ha fatta grossa, gettando in mare un enorme quantitativo di cocaina che stava trasportando e che l'organizzazione per cui lavora rivuole indietro o per il quale pretende comunque un risarcimento. Messo sotto lo scacco della minaccia di morte a moglie e figli, Chris torna in pista per un'operazione a bordo di una nave cargo che implica il trasporto di un ingente quantitativo di banconote false e che si complica ogni minuto di più.
In mancanza di un confronto con l'originale, va detto che Contraband ha dalla sua una solida sceneggiatura thriller, non allenta mai il ritmo mozzafiato ed è servito da una regia indiscutibilmente all'altezza della situazione per licenziare un dignitosissimo film di genere.    

venerdì 3 agosto 2012

Take Shelter

anno: 2011       
regia: NICHOLS, JEFF 
genere: drammatico 
con Michael Shannon, Jessica Chastain, Tova Stewart, Shea Whigham, Katy Mixon, Natasha Randall, Ron Kennard, Scott Knisley, Robert Longstreet, Heather Caldwell, Sheila Hullihen, John Kloock, Marianna Alacchi, Jacque Jovic, Bob Maines, Charles Moore, Pete Ferry, Molly McGinnis, Angie Marino-Smith, Isabelle Smith, Tina Stump, Ken Strunk, Maryanne Nagel, Hailee Dickens, Kathy Baker, Guy Van Swearingen, LisaGay Hamilton, William Alexander, Joanna Tyler, Stuart Greer, Ray McKinnon, Jake Lockwood, Kim Hendrickson, Bart Flynn, Nick Koesters, Jeffrey Grover, Qenny O.T. Vitosha 
location: Usa
voto: 5

L'Apocalisse prossima ventura si nasconde nelle fobie di Curtis LaForche (Shannon, al quale risultano particolarmente congeniali i ruoli da psicopatico, come già in Revolutionary Road e My Son, My Son, What Have Ye Done), buon padre di famiglia e operaio specializzato che improvvisamente si convince che un tornado si abbatterà nella zona dell'Ohio dove abita portando via tutto. Per questo decide di investire ogni sua risorsa per risistemare il rifugio anti-tornado antistante la casa, perdendo l'opportunità dell'assicurazione sanitaria per ottenere un apparecchio acustico per la figlia sorda, poi il lavoro e infine anche gli amici, dopo essersi autodiagnosticato la schizofrenia. Ma ha davvero torto?
Il secondo film di Jeff Nichols contiene forti significati allegorici: la paura della minaccia dal cielo, ormai incardinata nell'inconscio collettivo degli americani dopo l'11 settembre; il timore della crisi economica e dei suoi effetti distruttivi; lo sfaldamento dei valori tradizionali. Per quanto Michael Shannon ci metta una forte presenza scenica e gli effetti speciali, dosati con parsimonia, rendano tangibile la follia del protagonista, il film rimane irrisolto, con un tocco à la Shamalyan incerto tra apologo sociale e thriller psicologico, servito da un ritmo assolutamente monocorde e da atmosfere rarefatte che sembrano cercare il tocco autoriale a tutti i costi.
Grand Prix 'Semaine de la Critique' a Cannes 2011. Ha inoltre ottenuto il premio Fipresci come miglior film nelle sezioni collaterali.    

giovedì 2 agosto 2012

Le cose che restano

anno: 2010     
regia: TAVARELLI, GIANLUCA MARIA
genere: drammatico
con Paola Cortellesi, Claudio Santamaria, Lorenzo Balducci, Ennio Fantastichini, Antonia Liskova, Leila Bekhti, Farida Rahouadj, Daniela Giordano, Valentina D'Agostino, Corrado Fortuna, Maurilio Leto, Enrico Roccaforte, Alessandro Sperduti, Federica De Cola, Sabrina Paravicini, Karen Ciaurro, Elisabetta Pellini, Antonella Attili, Vincenzo Amato, Thierry Neuvic, Francesco Scianna
location: Italia
voto: 3,5

Le cose che restano alla fine d questo film sono: due morti, due separazioni, due irachene (madre e figlia) che si ritrovano e due ragazzi che si fanno una nuotata insieme. Ma non resta nulla di quell'epopea raccontata con La meglio gioventù, film del quale quest'opera in quattro puntate per la televisione - scritta anch'essa da Rulli e Petraglia - vorrebbe implicitamente richiamarsi.
Al centro della scena c'è la grande casa di una famiglia dell borghesia romana salottiera, che con l'andare del tempo si trasforma in un porto di mare. L'unione iniziale del nucleo si infrange quando il più giovane, Lorenzo (Sperduti), muore in un incidente d'auto. La madre (Giordano) va in depressione e si trasferisce in una sorta di esilio coatto in una clinica toscana. Il padre (Fantastichini), che da tempo ha una relazione adulterina con una donna più giovane, si sposta per qualche tempo in Iraq per concludere i suoi affari. Affari che piacciono pochissimo al terzogenito Nino (Balducci), neolaureato in architettura ma poco disposto a subire il retaggio della famiglia, al punto da andare a fare il manovale ingaggiando al tempo stesso una relazione con la moglie (Liskova) del suo relatore di tesi (Amato). Ed è proprio lui che, in occasione di una visita in Sicilia al fratello maggiore Andrea (Santamaria), si imbatte in Shaba (Rahouadj), una profuga irachena in cerca della figlia (Bekhti). Dal canto suo Andrea, un giramondo ministeriale che lavora nell'ambito della cooperazione internazionale, è un omosessuale che ha una relazione con un francese (Neuvic) che lui non sa essere in fin di vita e che ha una figlia piccolissima. Rimane Nora (Cortellesi), la secondogenita, psicologa alle prese con un matrimonio sbagliato, un figlio appena nato e un caso difficile da risolvere tra i suoi pazienti, dovuto a perdita della memoria. Insomma, c'è materiale sovrabbondante e debordante in queste oltre 6 ore di film durante le quali si parla di prostituzione, droga, omosessualità, guerra, morte, aborto, immigrazione clandestina, tradimento, affidamento dei figli, omosessualità, malattia e nel quale assistiamo persino a  un'incursione nel poliziesco. Troppo, davvero troppo, per non suscitare il dubbio di voler accontentare qualsiasi palato, a cominciare da quello dei consumatori di polpettoni, in un registro che sembra voler continuamente vellicare il groppo in gola e cercare la lacrima a tutti i costi. Il Tavarelli di Un amore è lontanissimo.