venerdì 27 febbraio 2004

Il medico della mutua

anno: 1968       
regia: ZAMPA, LUIGI  
genere: commedia  
con Alberto Sordi, Bice Valori, Sara Franchetti, Evelyn Stewart, Nanda Primavera, Claudio Gora, Franco Scandurra, Leopoldo Trieste, Tano Cimarosa, Patrizia De Clara, Filippo De Gara, Sandro Dori, Massimo Foschi, Pupella Maggio, Sandro Merli, Riccardo Paladini, Gastone Pescucci, Marisa Traversi  
location: Italia
voto: 6,5  

La malasanità ai suoi albori: il Dott. Tersilli (Sordi), appena preso servizio in ospedale, scopre la manna delle convenzioni con la mutua. Incitato da una madre molto ingerente (Primavera), il Dott. Tersilli non esiterà neppure a raggirare la moglie di un medico (Valori) con una "eredità" di oltre 2000 mutuati.
Affarismo, ingordigia, lo stato assistenziale portato al parossismo sono gli ingredienti che Luigi Zampa ha tradotto su pellicola dal romanzo di Giuseppe  D'Agata (sceneggiato da Sordi, Zampa e Sergio Amidei). Un film di denuncia sulla cancrena della sanità italiana, sul cui tema lo stesso regista tornerà con Bisturi. La mafia bianca. All'epoca, Il medico della mutua fu campione d'incassi.    

martedì 24 febbraio 2004

Primo amore

anno: 2004   
regia: GARRONE, MATTEO  
genere: drammatico  
con Vitaliano Trevisan, Michela Cescon  
location: Italia
voto: 7  

Dopo L'imbalsamatore, Matteo Garrone porta sullo schermo un'altra storia di "amore" estremo". Ne sono protagonisti Vittorio (Trevisan), gestore di un piccolo laboratorio orafo, e Sonia (Cescon), modella per un atelier d'arte e commessa presso un esercizio equosolidale. Vittorio ha una fissazione maniacale per le anoressiche e la sua relazione amorosa con Sonia si trasforma in una storia di plagio, con cui la costringe a dimagrire di quasi venti chili, in un'allucinata sopraffazione psicologica fatta di privazione del cibo che porterà a un drammatico epilogo. Garrone opta per la strada impervia del racconto diafano, con dialoghi ridotti al minimo, uno stile semidocumentaristico con molta macchina a spalla, larghe concessioni a una calata veneta, quella del protagonista, fortemente impastata. Ineccepibile nel mettere in scena la vicenda, tratta dal romanzo Il cacciatore di anoressiche, con lucidità entomologica, Garrone racconta la dialettica tra spirito e corpo poggiando sulla metafora della lavorazione aurea, che consiste nel togliere (laddove ne L'imbalsamatore aveva fatto la scelta opposta del riempire, impagliando i corpi degli animali) allo scopo di arrivare all'essenza: ed è esattamente questo il progetto di Vittorio, guidato dall'allucinata, crudelissima, violenta volontà di arrivare a possedere "la testa" di Sonia espugnandone il corpo. Un film che - pur mantenendosi a largo dalla tentazione di mostrare particolari raccapriccianti - racconta una violenza psicologica inaudita che lascia sgomenti.    

mercoledì 18 febbraio 2004

Mi piace lavorare – Mobbing

anno: 2003   
regia: COMENCINI, FRANCESCA   
genere: drammatico   
con Nicoletta Braschi, Camille Dugay Comencini, Marina Buoncristiani, Roberta Celea, Stefano Colace, Claudia Coli, Marcello Miglio, Moses Chika Obijiaku, Marian Serban, Frederique Siguier, Fabrizio Tola, Ginevra Benini, Impero Bartoli, Sonia De Meo, Francesca Romana Lugeri, Michele Luggeri, Rosa Matteucci, Tommaso Nanni, Maurizio Quadrana, Herbert Okey Obijiaku, Constance Obijiaku    
location: Italia
voto: 7   

Tutto comincia con la sparizione di un oggetto di uso quotidiano. Poi i colleghi a mensa ti isolano, il capoufficio ti assegna a qualifiche sempre più degradanti, non rispetta i tuoi orari e arriva a metterti contro altri colleghi, facendoti fare da capro espiatorio. I sintomi sono l'astenia, lo stress, la disistima di se stessi e le reazioni che tutto questo suscita anche nei familiari. È quanto accade ad Anna (Braschi), impiegata presso un'azienda romana, che vive a piazza Vittorio con una figlia adolescente a carico e fatica ad arrivare alla fine del mese. La trafila di disgrazie sul lavoro che riesce a inanellare ha un nome preciso. Si chiama mobbing. È la strategia che adottano alcune aziende per costringere il personale in esubero a dimettersi senza dovere ingaggiare battaglie contro i sindacati. Francesca Comencini lo racconta in maniera iperrealistica optando per il docu-drama: nessuna enfasi, pellicola sgranata, macchina a spalla quasi l'incubo della protagonista fosse uno scherzo di pessimo gusto oggetto di una candid camera. Il film, recitato da una Nicoletta Braschi in stato di grazia e mai tanto brava, ci rivela una verità amara: anche vincendo una causa per mobbing e ottenendo un risarcimento grazie all'intervento sindacale, nessuno torna più a lavorare in un posto dove ha sofferto e nel quale gli è stata tolta la dignità.    

martedì 17 febbraio 2004

Le invasioni barbariche (Les invasion barbares)

anno: 2003   
regia: ARCAND, DENYS 
genere: drammatico 
con Romy Girard, Stèphane Rousseau, Marie-Josée Croze, Marina Hands, Louise Portal, Dorothée Berryman, Dominique Michel, Toni Cecchinato, Yves Jacques, Pierre Curzì 
location: Canada
voto: 9

A un anziano professore universitario di Montreal (Girard), attaccatissimo alla vita, sottaniere ed epicureo, viene diagnosticato un cancro in stato ormai avanzato. Da Londra arriva suo figlio (Rousseau), epitome in carne e ossa della barbarie neocapitalista, che farà di tutto per lenirgli le sofferenze degli ultimi giorni di vita, a dispetto dei rapporti non proprio fluidi che i due hanno avuto per un'esistenza intera. Così, il figlio raduna al capezzale del padre quelli che per quest'ultimo furono gli amici di un tempo, gli fa ricavare un alloggio dignitoso in un ospedale che somiglia a una casbah, assolda alcuni studenti perché questi vengano ad omaggiarlo all'indomani del suo improvviso pensionamento e arriva al punto di procurargli dell'eroina per ottenere sul dolore l'effetto decuplicato della morfina. 17 anni dopo Il declino dell'impero americano, Arcand raduna gli attori di un tempo per una sorta di Grande freddo che affronta i grandi temi della morte, dell'amicizia, dell'amore e dei rapporti tra genitori e figli con uno stile che si muove in perfetto equilibrio sul crinale tra la rappresentazione del bene e quella del male. Droga, tradimento e corruzione vengono mostrati in una doppia valenza, all'insegna di una dialettica nietzschiana capacissima di guardare oltre l'apparenza delle cose. Dialoghi acutissimi, recitazione impeccabile, narrazione fluida, riso e pianto, sceneggiatura da manuale - giustamente premiata a Cannes con il massimo titolo - fanno del film del regista canadese un gioiello che dimostra come il cinema possa volare altissimo posandosi leggero sui tanti -ismi di una narrazione che ribatte all'imperialismo barbaro del denaro con una rappresentazione entusiasmante del sapere. Premio a Cannes per la migliore interpretazione femminile a Marie-Josée Croze, bella oltre che brava.    

domenica 15 febbraio 2004

Maledetti vi amerò

anno: 1980   
regia: GIORDANA, MARCO TULLIO
genere: drammatico
con Flavio Bucci, Micaela Pignatelli, Agnes De Nobecourt, Franco Bizzoccoli, Massimo Jacoboni, Stefano Manca, David Riondino, Pasquale Zito, Alfredo Pea, Anna Miserocchi, Biagio Pelligra
location: Italia   
voto: 8

Dopo cinque anni di assenza passati in Sudamerica, Svitol (Bucci) torna a Milano. Nel frattempo sono stati uccisi Pasolini e Moro e molte cose sono cambiate. "Era bello quando i nemici li potevi riconoscere": è questa la frase che condensa il senso di smarrimento del protogonista, la sua incapacità di conciliarsi con una sinistra che sta ripensando se stessa, proiettata com'è verso il riflusso.
Con Maledetti vi amerò, l'appena 28enne Giordana - autore della sceneggiatura con Vincenzo Caretti - esordisce alla regia guardando alla generazione del post-'68 e anticipando il revisionismo dei decenni successivi. Un immenso Flavio Bucci veste i panni di un comunista disorientato dal crollo ideologico con una recitazione straniata, a ciglio asciutto e "con lampi di sarcasmo" (Morandini). I temi del riflusso, del revisionismo, del terrorismo (uno dei cavalli di battaglia di tutto il cinema del regista milanese) e delle ideologie vengono compendiati in quel monologo da antologia nel quale Svitol si arrovella solipsisticamente sulla distinzione tra destra e sinistra. Massimo alloro al festival di Locarno.
Il film lo trovate qui.

sabato 14 febbraio 2004

Non uno di meno (Yi Ge Dou Bu Neng Shao)

anno: 1999   
regia: YIMOU, ZHANG  
genere: commedia  
con Wei Minzhi, Zhang Huike, Trian Zhenda, Gao Enman, Sun Zhimei, Feng Yuying, Li Fanfan, Zhang Yichang, Xu Zhanquing  
location: Hong Kong   
voto: 8

Una ragazzina di 13 anni deve sostituire l'anziano maestro, costretto ad un'assenza di un mese dalla scuola di un sobborgo rurale della Cina. Pur di portare a termine il compito impeccabilmente, senza perdere neppure uno scolaro, la maestrina è disposta a tutto. Così, quando uno dei suoi piccoli studenti va in città per aiutare col lavoro la famiglia poverissima, la ragazzina si sobbarca l'impresa di un viaggio difficile, con una notte intera passata a fare anticamera sotto l'edificio della televisione locale dalla quale spera di poter mandare un messaggio per ritrovare il bambino e riportarlo a scuola. Con un nugolo di efficacissimi attori non professionisti, Zhang Yimou ci racconta con stile realista un mondo radicalmente lontano da quello individualistico occidentale, pur non dissimulando accenti critici all'indirizzo del suo paese natale. In un film che è un saggio di antropologia culturale, il regista cinese denuncia lo scandalo della dispersione scolastica, contrapponendogli lo spiccato senso della collettività che affonda le sue radici più solide nel Confucianesimo e mostrandoci come si può vivere ai margini del mondo nella povertà più assoluta conservando intatta la propria dignità. Leone d'oro a Venezia. La sceneggiatura è di Shi Xiangshen ed è tratta da un suo romanzo.    

lunedì 2 febbraio 2004

Appuntamento a Belleville

anno: 2003       
regia: CHOMET, SYLVAIN   
genere: animazione   
location: Francia
voto: 5   

Immaginate di tradurre Jacques Tati in punta di matita: ne otterrete l'effetto surreale di questo film di animazione francese  che racconta di un orfanello cresciuto dalla nonna, la quale fa del ragazzo una promessa del ciclismo. La storia, che si srotola nell'arco del trentennio che va dai '30 ai '60 (si vede anche una versione animata di De Gaulle) è interamente imperniata sul tentativo della nonna di ritrovare il ragazzo, rapito dalla mafia statunitense per venire impiegato come pedalatore nelle scommesse clandestine. L'operazione riesce anche grazie all'aiuto di tre arzille vecchiette e di un cane. Film agli antipodi dall'ottimismo sentimentaloide di stampo disneyano, Appuntamento a Belleville è un cartoon crepuscolare, in diversi momenti addirittura tetro, afasico (le sole parti parlate sono - come appunto nei film di Tati - del tutto irrilevanti), venato da una sguardo impietoso sui corpi e sulla loro profanazione (i corpi delle rane che fanno da pietanza quotidiana alle tre vecchiette, ma anche quelli obesi che dilagano della metropoli d'oltreatlantico, quello della nonna poliomielitica o quello del protagonista) che lascia trapelare una visione sardonica dell'umanità. Portando la sua cifra stilistica al paradosso, Chomet lascia la narrazione sullo sfondo, collocando in primo piano l'antiestetismo bolso di questa umanità aliena.    

domenica 1 febbraio 2004

La giuria (Runaway jury)

anno: 2004   
regia: FLEDER, GARY 
genere: giallo 
con John Cusack, Gene Hackman, Dustin Hoffman, Rachel Weisz, Rusty Schwimmer, Guy Torry, Cliff Curtis, Nora Dunn, Bill Nunn, Joanna Going, Jennifer Beals, Stanley Anderson, Luis Guzman, Leland Orser 
location: Usa
voto: 8

A New Orleans una donna rimasta vedova a seguito di un eccidio nell'ufficio dove lavorava il marito, fa causa all'industria d'armi che ha permesso al killer di acquistare un mitra con tanta disinvoltura. Gli interessi in gioco sono enormi: a difendere la donna c'è un navigato avvocato idealista (Hoffman); dalla parte opposta un cinico principe del foro (Hackman), avvezzo a intrugli d'ogni genere, in ossequio al motto secondo il quale "i processi sono troppo importanti per essere lasciati a una giuria". Ma è proprio nella giuria che si insidia un abile manipolatore (Cusack), coadiuvato dalla sua ragazza (Weisz), che vuole ottenere 10 milioni di dollari da una delle due parti per "indirizzare" il verdetto. In sottofinale scopriamo che la vicenda è assai più intricata e che la venalità della coppia è solo apparente.
Tratto da un dei tanti best-seller che John Grisham ha regalato al cinema (dopo Il socio, Il rapporto Pelican, Il cliente, L'ultimo appello, Il momento di uccidere, L'uomo della pioggia e Conflitto di interessi), La giuria è il degnissimo rappresentante di un sottogenere - quello del legal-thriller - che negli Usa ha una tradizione che parte almeno da La parola ai giurati di Lumet. I meccanismi psicologici disvelati nell'aula di tribunale e nel backstage fanno da contrappunto a una vicenda costruita con impeccabile mestiere, nella quale l'arzigogolato intreccio è affidato a un montaggio da manuale. Attori che gareggiano in bravura (Hackman e Hoffman si fronteggiano per la prima volta) e lo sguardo attento al sistema di giustizia americano danno a La giuria uno spessore che travalica di gran lunga gli angusti limiti del film di genere.