sabato 30 giugno 2018

Metti la nonna in freezer

anno: 2018       
regia: FONTANA, GIANCARLO * STASI, GIUSEPPE G.    
genere: comico    
con Fabio De Luigi, Miriam Leone, Lucia Ocone, Marina Rocco, Francesco Di Leva, Susy Laude, Carlo Luca De Ruggieri, Maurizio Lombardi, Eros Pagni, Barbara Bouchet, Giovanni Esposito, Paolo Bessegato, Nando Irene, Antonello Morelli, Salvatore Costa, Francesco Zenzola, Maria Fruci, Ugo Piva, Cristina Chinaglia    
location: Italia
voto: 4    

Una giovane restauratrice (Leone) è costretta ad appoggiarsi alla lauta pensione della nonna (Bouchet) per mandare avanti la ditta che gestisce con due sue amiche, perché lo Stato continua a essere insolvente. Quando l'anziana donna viene a mancare, le tre progettano di metterla nel surgelatore senza denunciarne la morte per continuare a percepire l'introito della defunta. I problemi nascono quando tra la giovane e un irreprensibile quanto stakanovista maresciallo della finanza (De Luigi) nasce una love story che rischia di smascherare il gioco.
Opera seconda della coppia di YouTubers formata da Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi (la prima era Amore Oggi), che spendono al meglio la carta della comicità bonaria e gentile di Fabio De Luigi, coniugandola con un tema d'attualità (la fatica dei giovani d'oggi ad inserirsi nel mercato del lavoro senza godere neppure delle minime tutele), mettendola al servizio di una narrazione in chiave di commedia nera banale e prevedibile, ma non per questo priva di guizzi, soprattutto quando vanno in scena i diabolici blitz dell'ineccepibile maresciallo. Fa tenerezza rivedere - dopo Easy - la ex sex symbol Barbara Bouchet che sembra avere ritrovato una seconda giovinezza cinematografica dopo una prolungata assenza dal set (nemmeno una pellicola girata tra il 1981 e il 2001), mentre la presenza sulla scena della ex miss Italia Miriam Leone è irritante tanto dimostra l'assurdità del casting nel far giocare un ruolo da comprimaria a una presunta attrice del tutto incapace.    

venerdì 29 giugno 2018

Therapy

anno: 2018   
regia: D'ANGELO, PETER * VALLE, FABIO    
genere: documentario    
location: Italia
voto: 7    

Fabio si è lasciato con la sua ragazza dopo 7 anni, ha fatto una miriade di lavori che non lo soddisfacevano ma vorrebbe darsi al giornalismo ed è tornato a vivere a casa dei genitori. Demotivato e sotto toon, decide così di fare una terapia cognitivo-comportamentale e di filmare le sedute dall'analista. Il risultato è questo documentario, frutto di un'operazione a mia conoscenza del tutto inedita, nel quale l'autore/attore assembla i momenti salienti della terapia, mostrandone il percorso di sviluppo e la progressiva conquista di un benessere maggiore. Se il contenuto è di indubbio interesse, presumibilmente anche per un pubblico di non specialisti, va detto che la forma non rimane indietro ma, anzi, è assai curata: le sedute sono inframmezzate da scorci di vita reale che aiutano a ricostruire l'esistenza del protagonista e integrate da soluzioni visive accattivanti. Un'opera intelligente e coraggiosa per mostrare la traiettoria di una psicoterapia.    

giovedì 28 giugno 2018

Tully

anno: 2018       
regia: REITMAN, JASON    
genere: drammatico    
con Charlize Theron, Mackenzie Davis, Mark Duplass, Ron Livingston, Emily Haine, Elaine Tan, Kitty Crystal, Elfina Luk, Marceline Hugot, Michael Patrick Lane, Colleen Wheeler, Katie Hayashida, Lia Frankland, Maddie Dixon-Poirier, Gameela Wright, Steven Roberts, Asher Miles Fallica, Joshua Pak, Candus Churchill, Shade Rupe, Stormy Ent, Bella Star Choy    
location: Usa
voto: 5    

Marlo (Theron) gira tutto il giorno come una trottola per stare appresso ai figli (uno dei quali ti fa venir voglia di menare le mani), ne aspetta un terzo, è ingrassata, stanca, ai limiti delle resistenza fisica, eppure mantiene i nervi saldi, mentre suo marito (Duplass) passa le ore a giocare con la playstation. Quando si profila la possibilità di prendere una tata notturna (Davis) che provveda allo svezzamento della neonata, Marlo dapprima nicchia, ma poi cede al bisogno. Un incidente automobilistico la riporterà alla realtà.
Se avete qualche dubbio circa la possibilità di avere figli o meno, guardatevi Rosemary's baby, L'innocenza del diavolo, ...E ora parliamo di Kevin e questo Tully, che nella prima mezz'ora ve la farà passare completamente. Jason Reitman - ancora una volta accompagnato da Diablo Cody - torna al tema della maternità che gli aveva regalato un successo planetario con Juno, dando a Charlize Theron - come in Young Adult - l'occasione per un'altra prova attoriale stoica e superlativa. Nonostante la presenza gigantesca (22 chili in più, un corpo sfatto come in Monster) della 42enne attrice di origini sudafricane, il film si attorciglia su un loop narrativo che, dall'ingresso della tata nella vita della protagonista, procedendo per piccolissimi passi evolutivi fino all'agnizione finale, risolta con un espediente metafisico. Un passo falso nella carriera dell'autore di gioielli come Men, women & children, che nel sommare una tata a personaggi epocali come Mary Poppins e Mrs. Doubfire non va oltre il compitino sul surplus lavorativo delle madri, senza aggiungere nulla di originale.    

martedì 26 giugno 2018

Noi siamo la marea (Wir sind die Flut)

anno: 2016       
regia: HILGER, SEBASTIAN    
genere: fantascienza    
con Max Mauff, Lana Cooper, Gro Swantje Kohlhof, Roland Koch, Max Herbrechter, Waldemar Hooge, Michael Epp, Ulrike Hübschmann, Mikke Emil Rasch, Hildegard Schroedter    
location: Germania
voto: 1    

Stupisce che sia arrivato nelle sale cinematografiche italiane soltanto con due anni di ritardo - e solo nei cinema off della penisola - l'opera d'esordio del tedesco Sebastian Hilger, un film che può aspirare a pieno titolo a candidarsi come uno dei più inguardabili e ignominiosi del decennio. In quell'interminabile ora e venticinque minuti vorresti essere ovunque, sottoporti a una retrospettiva dei film con Boldi & De Sica, andare da Ikea il sabato pomeriggio ma non vorresti essere imprigionato nella sala che lo proietta. Già, perché l'oggi 34enne regista di Adenau ci propina una favoletta a sfondo fantascientifico che ha la pretesa di mettere in campo il conflitto generazionale tra giovani e anziani con una metafora facile facile. Che è questa: nel paese costiero di Windholm, in Germania, nel 1994 improvvisamente scompaiono le maree e, con esse, i bambini del luogo (tranne una). Un giovane fisico (Mauff) che sta facendo un dottorato e la figlia (Cooper) del suo professore  falsano le carte per partire in missione verso quel luogo inospitale dove gli adulti sembrano essere tutti diffidenti e omertosi. Qui i due cercano di dare una risposta al mistero scientifico. E il film, che fino a quel momento aveva arrancato in un plot ora didascalico, ora ellittico, si sfibra in un paradosso temporale che risolve malissimo, palesando una sceneggiatura tracotante, piena di buchi, senza alcun pathos e dalle ambizioni eccessive. Certo che se le generazioni da salvare sono rappresentate da Hilger e dai suoi inguardabili attori, c'è di che preoccuparsi…
Pubblico torinese obnubilato da questa sciocchezzuola, al punto da conferire all'opera prima del crucco il premio come miglior film al 34esimo Torino Film Festival (2016).    

lunedì 25 giugno 2018

L'ultimo spettacolo di Pelé

anno: 2018   
regia: AUDISIO, EMANUELA * PATRONO, MATTEO    
genere: documentario    
con Edson Arantes do Nascimento (Pelé), Jimmy McAlister, Tarcisio Burgnich, Steve Hunt, Shep Messing, Darren Julien (Julien’s Auction), Werner Roth, Hunt, Walter Sabatini, Roberto Saviano, Peter Handke, Joe Barone, Rose Ganguzza, Kareem Abdul Jabbar, Bobby Smith, Richard Weisman, Charlie Martinelli, Giorgio Chinaglia, Franz Beckenbauer e con la voce narrante di Giuseppe Cederna    
location: Brasile, Usa
voto: 6    

Nel 1975, a 37 anni, Edson Arantes do Nascimento, il più noto calciatore del mondo meglio conosciuto come Pelé, indossò per la prima volta una casacca diversa da quelle carioca per chiudere la sua prestigiosissima carriera nei Cosmos di New York, la squadra nella quale l'anno successivo sarebbe arrivato anche il laziale Giorgio Chinaglia e più tardi Beckenbauer e Carlos Alberto. Si trattò di un'operazione commerciale che interessava tanto gli americani - determinatissimi a lanciare il soccer nel loro paese attraverso l'espediente del divismo (la personalizzazione delle maglie con il nome, a cui siamo abituati da tempo, è una loro invenzione) - quanto lo stesso Pelé, truffato dai suoi procuratori e ormai paradossalmente in bolletta (cose che capitano, come è accaduto a Leonard Cohen, costretto per lo stesso motivo a macinare dischi e concerti a settant'anni suonati). Fu così che il fuoriclasse brasiliano ricevette un ingaggio da favola: sei milioni di dollari per tre anni ai Cosmos. Una fortuna indicibile, considerando che O.J. Simpson - lo sportivo più pagato d'America - riceveva un cachet di 700.000 dollari all'anno e che l'allora presidente statunitense Gerald Ford incassava uno stipendio di 200.000 dollari. Fatto sta che l'operazione si rivelò redditizia, sebbene non subito. Il documentario firmato da Emanuela Audisio e Matteo Patrono racconta la breve stagione americana di Pelé con interviste che avrebbero un senso se tra esse non ci fosse l'onnipresente quanto insopportabile Roberto Saviano, chiamato a pontificare (a sproposito) su qualsiasi cosa. Tra un'animazione in bianco e nero che da sola vale la visione del doc e le magie sul campo dell'attempato giocoliere della pelota, scorrono cinquanta minuti ben assemblati.    

domenica 24 giugno 2018

Desierto

anno: 2015   
regia: CUARON, JONAS    
genere: thriller
con Gael García Bernal, Jeffrey Dean Morgan, Alondra Hidalgo, Diego Cataño, Marco Pérez, Oscar Flores Guerrero, David Peraltra Arreola, David Lorenzo    
location: Usa
voto: 7,5    

Mentre Donald, il tizio col parrucchino arancione, durante la sua campagna elettorale pare determinato a costruire muri ai confini tra la nazione che si accinge a governare e il Messico (il film è del 2015), tanti disperati continuano a varcare la frontiera tra i due paesi nella speranza di una vita migliore. È quanto ci racconta questo notevole film del 35enne messicano Jonas Cuaròn, figlio del più noto Alfonso, che esordisce nel lungometraggio con una storia che ha la struttura narrativa di film come Duel, The hitcher e Caccia selvaggia e contenuti che lo avvicinano a La gabbia dorata e Babel. Un torpedone di messicani rimane appiedato in mezzo al torrido deserto situato al confine tra il loro paese natale e gli Stati Uniti poiché il mezzo sul quale viaggiano è in avaria. Proseguono a piedi, ma entrano nel mirino del fucile di un cacciatore sadico (Morgan) con feroce cane al seguito (al confronto, il Cujo di Stephen King era una mammoletta). L'uomo ne impallina una mezza dozzina a colpo sicuro, per poi mettersi sulle tracce dei superstiti, con lo scopo di eliminarli tutti.
Film ad altissima tensione e budget ridotto all'osso, che mette in scena l'odio viscerale del tipico provinciale americano con pickup, cappello da cowboy e bottiglia di whiskey al seguito nei confronti di un nugolo di disperati. La sfida a distanza tra il più sveglio dei messicani (Gabriel Garcia Bernal, ancora in una ruolo impegnato) e il cacciatore si risolve in parte in una carneficina che è un autentico atto politico di denuncia contro la libera iniziativa di chi può girare indisturbato, armi in pugno, trasformandosi all'occorrenza in cecchino.    

sabato 23 giugno 2018

Hotel Gagarin

anno: 2018       
regia: SPADA, SIMONE    
genere: commedia    
con Giuseppe Battiston, Barbora Bobulova, Claudio Amendola, Luca Argentero, Silvia D'Amico, Philippe Leroy, Caterina Shulha, Tommaso Ragno, Hovhannes Azoyan, Marjan Avetisyan, Simone Colombari, Alessandro Proietti, Caterina Siano, Marco Todisco, Paolo De Vita, Gianluca Bertogna    
location: Italia
voto: 6,5    

Un professore di liceo (Battiston) che spiega la storia ai suoi studenti attraverso i film, una prostituta svampita (D'Amico), un elettricista bonario (Amendola), un fotografo avvezzo ai cannabinoidi (Argentero) e una faccendiera (Bobulova), tutti in cerca di un'occasione di riscatto, vanno a girare un film in Armenia. Ma qui scoppia una guerra, il sedicente produttore che li ha spediti laggiù (Ragno) sparisce con i fondi europei che ha preso per l'operazione e i cinque si ritrovano intrappolati, insieme alla loro guida - una punk incinta (Shulha) -, in un hotel armeno in mezzo al nulla. Intorno a loro soltanto neve. Ma qui riusciranno a trasformare la disavventura in un'opportunità.
Già aiuto regista di Caligari per Non essere cattivo, di Mainetti per Lo chiamavano Jeeg Robot e di Edoardo Leo per Noi e la Giulia, il torinese Simone Spada esordisce con un film che parte come un'hoax story e si trasforma in una fiaba sulla fabbrica dei sogni eretta da un'armata Brancaleone di outsiders. Un'opera memore della lezione di Melies, con momenti di autentica poesia (da applausi le scenografie di Kathy Lebrun e i costumi di Claire Dubiene) e un finale - proprio sui titoli di coda - da standing ovation. Un'opera che - nonostante qualche artificiosità di troppo nei dialoghi, spesso alla ricerca dell'effetto - si dimostra capace di raccontare con leggerezza e intelligenza come una crisi, fin dal senso etimologico della parola, possa tramutarsi in un'occasione per inventarsi una vita diversa e cominciare, forse, a essere felici.    

Insyriated

anno: 2017       
regia: VAN LEEUW, PHILIPPE    
genere: drammatico    
con Hiam Abbass, Diamand Bou Abboud, Juliette Navis, Mohsen Abbas, Moustapha Al Kar, Alissar Kaghadou, Ninar Halabi, Jihad Sleik    
location: Siria
voto: 6,5    

In un grande appartamento siriano vivono come reclusi una donna (Abbass), suo suocero, le sue tre figlie figlie, un nipote, la domestica (Navis) e Halima, un'inquilina (Diamand Bou Abboud, già splendida interprete de L'insulto) che abita nello stesso stabile ma alla quale i bombardamenti hanno distrutto la casa. Halima sta progettando una fuga in Libano con il marito e il figlio ancora in fasce. Quando il coniuge esce da casa per prendere accordi con chi  dovrebbe portarli oltre confine, viene colpito da un cecchino. La domestica ha visto tutto, lo confida alla padrona di casa che però nasconde la verità alla moglie dell'uomo. La quale, tra un bombardamento e l'altro, durante un attacco da parte di alcuni sciacalli intenzionati al saccheggio, viene anche stuprata mettendo in salvo tutti gli altri residenti.
Diretto dal belga Philippe Van Leeuw, Insyriated (che titolo magnifico!) è un film claustrofobico (l'ambientazione domestica da guerra civile ricorda l'italiano Private, di Saverio Costanzo) ambientato nell'arco di ventiquattr'ore in una Damasco assediata dalle bombe: una città nella quale la morte preme su finestre e porte sprangate e nella quale la sopravvivenza a qualsiasi costo sembra essere l'unica possibilità di esistenza. Opera di grande tensione civile, che propone un dilemma etico, risolto dalla due protagoniste in maniera opposta.    

mercoledì 20 giugno 2018

Blue Kids

anno: 2017       
regia: TAGLIAFERRI, ANDREA    
genere: drammatico    
con Fabrizio Falco, Agnese Claisse, Matilde Gioli, Giustiniano Alpi, Lorenzo Gioielli, Silvana Bosi, Beatrice Cevolani, Irene Splendorini    
location: Italia
voto: 2,5    

Bonnie e Clyde sono due fratelli perennemente sul crinale dell'incesto, anonimi come i nomi che non hanno. Vivono tra il delta del Po e i dintorni di Faenza, rubano in sacrestia dopo aver preso l'eucarestia e passano la loro vita nella totale inattività, tanto papà (Gioielli) ha un sacco di soldi. Il problema è che quando muore la mamma il testamento è interamente a favore del genitore. I due allora, complice un amico (Alpi), moltiplicano per due il coefficiente Pietro Maso e mandano al creatore il padre e la sua compagna (Cevolani), nell'attesa di mettere le mani sull'eredità. Nel frattempo, non avendo altro da fare, coinvolgono nelle loro scorribande un'inconsapevole cameriera (Gioli), sparano e mietono un'altra vittima.
Irritante esordio di Andrea Tagliaferri sotto l'inspiegabile egida produttiva di Matteo Garrone: movimenti di macchina con piani lunghissimi e insistite sequenze immobili sembrano voler sottolineare, insieme a una musica tanto onnipresente quanto irritante, il mondo senza valori dei due protagonisti (Fabrizio Falco - espressione stolida perennemente piantata sul viso - era stato il protagonista de Le ultime cose; Agnese Claisse - caricaturali occhi extralarge da manga giapponese - si era vista ne Io, loro e Lara), che impersonano due figli di papà nichilisti e saprofiti. Il loro mondo di provincia viene raccontato in forma di road movie con il gusto del repellente fine a sé stesso e con un respiro narrativo asmatico, piano di ellissi, pressoché privo di dialoghi e senza la minima attenzione alla plausibilità della storia, con personaggi monodimensionali fuori dal tempo e con inutili sottolineature sulla "devianza" delle abitudini sessuali (lei, giusto per aggiungere un po' di pepe, è anche lesbica). Un autentico scult.    

domenica 17 giugno 2018

Porno & Libertà

anno: 2016   
regia: AMOROSO, CARMINE    
genere: documentario    
con Riccardo Schicchi, Judith Malina, Lasse Braun, Giuliana Gamba, Giampiero Mughini, Helena Velena, Ilona Staller, Porpora Marcasciano, Lidia Ravera, Marco Giusti, Marco Pannella, Achille Bonito Oliva, Francesco Coniglio, Vincenzo Sparagna    
location: Italia, Usa
voto: 6,5    

Se lasci del tutto sulle quinte il fatto che quella del porno è ed è stata innanzitutto un'industria, può anche darsi che la storiella secondo cui esso nacque, in Italia, come reazione a un'etica doppiamente puritana - quella cattolica in primis, ma anche quella di matrice comunista - possa risultare convincente. Prova a proporci questa versione Carmine Amoroso, che dopo l'esordio marcatamente queer di Come mi vuoi ci aveva lasciato otto anni fa con quel gioiellino di Cover boy. Qui siamo in piena zona documentario, con immancabili testimonianze di personaggi più o meno probabili (oltre a prezzemolo Mughini, ci sono Lasse Braun, che si attribuisce il ruolo di pioniere mondiale dell'hardcore, un'ammucchiata di transgender nient'affatto banali per la gioia della comunità LGBT, Marco Pannella - che negli anni '80 portò Ilona Staller, alias Cicciolina, in parlamento -, l'autrice di Porci con le ali Lidia Ravera, la fondatrice dei Living Theatre Judith Malina e poi il grande Achille Bonito Oliva e, ça va sans dire, Riccardo Schicchi) che raccontano un'epoca di radicale trasformazione del nostro paese, passato in breve tempo dalla censura alle kermesse pubbliche e, a loro modo rivoluzionarie, come i riti collettivi di Parco Lambro o il festival della poesia di Castel Porziano, vero antesignano del vaffa day grillino. A questa rivolta di costume collettiva parteciparono anche registi come Marco Ferreri e Bernardo Bertolucci, autori che - con film come L'ultima donna e Ultimo tango a Parigi (con quell'aggettivo - ultimo - che li rendeva estremi già dai titoli) - ingaggiarono asperrime lotte con la giustizia. Il documentario, con buon ritmo, leggerezza e ampiezza di considerazioni sociologiche, ricostruisce quella stagione di fermento gettando una luce tutt'altro che fosca su un fenomeno del quale è tuttavia impossibile tacere l'aspetto mercantile.    

venerdì 15 giugno 2018

My Italy

anno: 2017       
regia: COLELLA, BRUNO    
genere: grottesco    
con Krzysztof Bednarski, Thorsten Kirchhoff, Mark Kostabi, H.H. Lim, Marco Tornese, Bruno Colella, Lina Sastri, Piera Degli Esposti, Jerzy Stuhr, Serena Grandi, Maciej Robakiewicz, Rocco Papaleo, Nino Frassica, Enzo Gragnaniello, Nicola Vorelli, Sebastiano Somma, Eugenio Bennato, Alessandro Haber, Tony Esposito, Edoardo Bennato, Pietra Montecorvino, Remo Remotti, Luisa Ranieri, Rino Barillari, Enzo Aisler, Claude Pommier, Francesca Tasini, Judith Freiha, Leonardo Lacaria, Giovanni Allocca, Alessandra Bonarota, Sonia Totaro, Giancarlo Bizzarri, Achille Bonito Oliva    
location: Francia, Italia, Polonia, Usa
voto: 4,5    

Non è un documentario, non è un noir, non è un dramma, non è un film erotico, non è la solita commedia, annuncia il trailer. E c'è da dargli assolutamente ragione, perché My Italy è l'ennesima opera simpaticamente senza capo né coda di Bruno Colella, autore apolide del cinema italiano, capace di passare dall'erotismo di Amami - che assembla Flavio Bucci con Moana Pozzi - a Ladri di barzellette, senza mai prendersi minimamente sul serio e anzi mostrando un'autoironia che soltanto i napoletani hanno in misura tanto accentuata. Una capacità di prendersi in giro che si fa manifesta nel finale, quando amici e ospiti del lungometraggio a vario titolo fanno la coda per entrare alla Casa del Cinema di Villa Borghese, a Roma, per assistere alla prima del film, ricevendo domande su una trama del tutto inesistente. Metacinema, verrebbe da dire, con il regista e il suo assistente Marco Tornese che se ne vanno in giro per l'Italia cercando di rastrellare finanziamenti per un film sugli artisti contemporanei innamorati dell'Italia. Quattro artisti eccentrici come il polacco Krzysztof Bednarski (specializzato in statue cimiteriali), il danese Thorsten Kirchhoff, che ha realizzato un bagno alla Certosa di Padula, l'americano Mark Kostabi - venditore d'arte porta a porta e à la page con i suoi acquirenti, che gli garantiscono vitto a vita. Infine, il malesiano H.H. Lim, alla perenne ricerca di equilibrio e corpi femminili. My Italy si risolve come una docu-fuction sgangherata, un hellzapoppin con molti cammei (imperdibili quelli di Lina Sastri, Piera Degli Esposti, Jerzy Stuhr, Serena Grandi, Rocco Papaleo, Nino Frassica, Alessandro Haber e Remo Remotti) e le chiose puntualissime di Achille Bonito Oliva. Un divertissement scombinato e spiazzante, continuamente giocato su un registro grottesco, ma del tutto refrattario alle regole anche minime della sintassi filmica, un pidgin di linguaggi spesso assemblati fino a creare solo un gran rumore.    

mercoledì 13 giugno 2018

La terra dell'abbastanza

anno: 2018       
regia: D'INNOCENZO, DAMIANO * D'INNOCENZO, FABIO    
genere: drammatico    
con Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Milena Mancini, Luca Zingaretti, Max Tortora, Demetra Bellina, Michela De Rossi, Giordano De Plano, Walter Toschi    
location: Italia
voto: 7,5    

Mirko (Olivetti) e Manolo (Carpenzano) sono amici da quando andavano alle scuole elementari, a Ostia. Nonostante l'età, non hanno ancora finito la scuola alberghiera che frequentano a stento in vista di un futuro quanto mai incerto. Una sera, mentre rientrano a casa, investono un uomo e scappano. Scoprono che quell'uomo è un collaboratore di giustizia al quale un boss locale (Zingaretti) sta dando la caccia da tempo. Così, i due entrano nell'orbita benevola del criminale, con incarichi che non si fanno mancare niente, dal giro di prostitute minorenni all'omicidio. Ma per i due ragazzi non sarà facile gestire quella realtà che sembra profilarsi come l'occasione per una svolta, l'unica via d'uscita da un'esistenza incapace di promettere qualsiasi prospettiva decorosa.
Film d'esordio dei gemelli D'Innocenzo, già sceneggiatori - con Garrone - di Dogman, i quali sembrano ripartire da dove finiva Non essere cattivo di Caligari. Qui il realismo delle periferie dei due fratelli guarda a quel mondo senza speranza con umanissima pietà, mettendo in scena il trambusto di due ragazzi che, per ragioni opposte, vorrebbero manifestare il loro valore agli occhi di due genitori soli: Mirko a una madre (Mancini) che si scapicolla per sbarcare il lunario, Manolo a un padre perdigiorno e smargiasso (Tortora) che lo vorrebbe come lui. Intenso, iperrealista, girato con un'impressionante padronanza della macchina da presa - dai piani lunghissimi ai close up sul volto dei protagonisti - e con una straordinaria capacità di direzione degli attori, La terra dell'abbastanza è un pugno allo stomaco dello spettatore, la raffigurazione della banalità del male sotto forma di racconto di formazione (al crimine) che è un atto di denuncia felicemente riuscito: un'opera che va a ispessire il nugolo di film tesi a raccontare il degrado delle periferie.    

domenica 10 giugno 2018

Il figlio di Internet. Storia di Aaron Swartz (The internet's ownboy)

anno: 2014   
regia: KNAPPENBERGER, BRIAN    
genere: documentario    
con Aaron Swartz e con la voce narrante di Roberto Certomà    
location: Usa
voto: 7    

Aaron Swartz è stato un bambino prodigio. In lui pulsavano, per dirla con Calvino, tanto il cristallo dell'informatica quanto la fiamma della passione civile. Fu così che a soli 14 anni Aaron si trovò a dibattere sugli stessi tavoli dei capoccioni di internet e che successivamente fu l'artefice di una serie di iniziative strabilianti, tutte votate alla diffusione libera del sapere. Ad Aaron Swartz dobbiamo infatti il sistema RSS dei feed, quello che ci consente di avere informazioni in tempo reale sull'aggiornamento delle pagine che seguiamo, il Creative Commons, che ha rivoluzionato il diritto d'autore, o anche la diffusione di tutti i documenti giuridici pubblici americani (che fino a quel momento erano accessibili solo a pagamento), frutto di un'arditissima operazione di hackeraggio. Inviso al potere alla stregua di Edward Snowden o di Julian Assange, Swartz crollò - suo e nostro malgrado - quando rese pubblici gli articoli accademici contenuti su JSTOR, la biblioteca digitale l'accesso alòla quale può costare una fortuna alle istituzioni che ne vogliano rendere disponibile i contenuti ai loro utenti. Convinto della necessità di liberare la conoscenza, a Swartz furono prospettati 35 (trentacinque!!!) anni di carcere e 4 milioni di dollari di multa. Stressatissimo da una vicenda a dir poco kafkiana, il "figlio di internet" si suicidò per impiccagione a soli 27 anni, lasciando il mondo privo di un genio che era l'esatto opposto di quella sanguisuga di Steve Jobs, essere immondo votato solo al sesterzio.
Brian Knappenberger, già autore di Anonymous, si affida alle testimonianze dei suoi familiari, a quelle dei guru della rete (tutti nomi altisonanti come Tim Berners-Lee o Lawrence Lessig), a molti filmati di repertorio e a una serie di animazioni che sono il vero valore aggiunto di un documentario necessario, raccontato con partecipazione febbrile ed encomiabile per la capacità dimostrata di porre una questione tanto rilevante come quella della libera circolazione del sapere.    

venerdì 8 giugno 2018

Bellas Mariposas

anno: 2012       
regia: MEREU, SALVATORE    
genere: drammatico    
con Sara Podda, Maya Mulas, Davide Todde, Micaela Ramazzotti, Luciano Curreli, Maria Loi, Rosalba Piras, Simone Paris, Anna Karina Dyatlyk, Giulia Coni, Silvia Coni, Carlo Molinari, Enrico Sanna, Luca Sanna, Gianluca Lai, Roberto Voce, Lulli Lostia, Theatre en Vol    
location: Italia
voto: 2,5    

Una giornata estiva nella vita di Cate (Podda) e della sua amica Luna (Mulas), dodicenni cagliaritane con famiglie patriarcali altamente disfunzionali alle spalle. Liti in casa per il bagno occupato, fratelli maggiori che sfoggiano la "proboscide" alle sorelle più piccole, padri ipnotizzati dalle linee hot, sorelle un po' mignotte, amici sbandati. E poi tanti gelati, piccoli scherzi, qualche bavoso che le importuna, fino a una chiusura di film del tutto fuori luogo, con una brusca virata quasi thriller. Tutto qui.
Dopo Ballo a tre passi e Sonetàula, il nuorese Salvatore Mereu persegue ostinatamente la propria strada verso un cinema apolide e impervio, fatto di fotografia ipersatura, una voce narrante continua, sguardo della protagonista in macchina, recitazione meno che amatoriale. Ce n'è quanto basta perché possa continuare a piacere alla critica più snob (che l'ha osannato: "Uno dei migliori film italiani della stagione", Alberto Crespi su L'Unità; "Applausi che si fanno ovazioni", Michela Tamburrino su La Stampa), per la quale diverso vuol dire sempre e soltanto migliore, anche in assenza di una sintassi cinematografica minima. L'hanno pensata diversamente i distributori e gli esercenti, che hanno tenuto a lungo in congelatore questo ritratto del proletariato suburbano tratto da un racconto di Sergio Atzeni, che impasta dialetto sardo strettissimo con un italiano stentato.    

giovedì 7 giugno 2018

Dove non ho mai abitato

anno: 2017       
regia: FRANCHI, PAOLO    
genere: drammatico    
con Emmanuelle Devos, Fabrizio Gifuni, Giulio Brogi, Hippolyte Girardot, Isabella Briganti, Giulia Michelini, Fausto Cabra, Valentina Cervi, Jean-Pierre Lorit, Naike Rivelli, Yorgo Voyagis, Alexia Florens    
location: Francia, Italia
voto: 6,5    

Da quando il padre Manfredi (Brogi) - un famoso architetto con residenza a Torino - è rimasto vedovo, Francesca (Devos), unica figlia dell'anziano uomo, fa comparsate sempre più sporadiche nel capoluogo piemontese, giacché da tempo vive in Francia con una figlia adolescente e un marito più anziano di lei, ma assai protettivo e molto ricco (Girardot). In una di queste rare occasioni conosce Massimo (interpretato da Fabrizio Gufuni, che porta lo stesso nome di fantasia scelto per La spettatrice), delfino di Manfredi, il quale sta ristrutturando una casa faraonica per due facoltosi clienti. Spinta dal padre, Francesca - che aveva abbandonato la carriera come architetto - si affianca a Massimo. Quest'ultimo dapprima è diffidente, ma poi entra in sintonia con Francesca, fino a quando - in zona Cesarini - non scatta la scintilla.
Dopo l'inguardabile E la chiamano estate, che gli è costato un prolungato ostracismo da produttori ed esercenti, Paolo Franchi porta sul grande schermo un melodramma che è il nipote di Breve incontro e una prova in sedicesimi de I ponti di Madison County. La storia di amore fugace tra due persone con molti pieni (la realizzazione professionale per lui, quella finanziaria per lei) e altrettanti vuoti (lei è la classica casalinga disperata, lui non riesce ad abitare stabilmente alcun rapporto con l'altro sesso) è ritratta sullo sfondo di un'atmosfera sospesa e palpitante con echi di Antonioni, in ambientazioni elegantissime (il cinema di Franchi non si discosta mai da una collocazione sociale altolocata dei suoi personaggi) che sono innanzitutto avamposti emotivi e con personaggi di secondo piano tutt'altro che monodimensionali. Gifuni sfodera charme e mezzitoni con enorme maestria, mentre la Devos rende persino tangibile il marasma interiore che sta vivendo il suo personaggio.    

domenica 3 giugno 2018

I primitivi (Early Man)

anno: 2018       
regia: PARK, NICK    
genere: animazione    
con le voci di Riccardo Scamarcio, Salvatore Esposito, Paola Cortellesi, Corrado Guzzanti, Chef Rubio, Greg, Alessandro Florenzi    
location: Francia, Regno Unito
voto: 3,5    

Alcuni uomini rimasti all'età della pietra vedono usurpato il proprio territorio da un lord inglese dell'età del bronzo che, per aumentare il proprio capitale in bronzollari, vorrebbe trasformare quelle stesse terre in miniere dalle quali estrarre il pregiato metallo. Ma i primitivi, guidati da Dag (doppiato, nella versione italiana, da Riccardo Scamarcio), li sfidano in una partita a calcio che deciderà il loro destino. Il lord, convinto di una vittoria senza problemi, accetta la sfida. Lo spirito di squadra farà più del talento dei singoli.
Era dal 2005 che aspettavamo il ritorno di Nick Park dietro la macchina da presa per conto della Collezione Aardman, dopo che il regista inglese aveva apposto la sua firma a gioielli come Wallace & Gromit ed altre storie, Galline in fuga e La maledizione del coniglio mannaro. E invece stavolta la delusione è davvero grande: non solo perché la storia è davvero insipida e scontata, ma ancora di più perché mancano quei guizzi di inventiva che l'animazione (in questo caso, in plastilina) permette, mangiandosi a volte l'intero film. Qui, a parte l'idea della moviola rifatta come se fosse un teatrino dei burattini, c'è davvero pochissimo.    

sabato 2 giugno 2018

Rotten 5: I soldi per il latte

anno: 2017       
regia: KENNEDY, LUCY    
genere: documentario    
location: Usa
voto: 3    

Rotten (alla lettera: "marcio") è una serie di documentari televisivi che Netflix ha prodotto sul tema dell'industria alimentare e delle nefandezze che si celano dietro di essa. La puntata dedicata al latte racconta di come, negli Stati Uniti, i produttori di latte di qualità - quasi sempre aziende a conduzione familiare, con bovini al pascolo su prati verdissimi - siano stati messi in ginocchio dapprima dal progressivo calo di consumo di latte in America e poi dalla diffusione sempre più capillare del cosiddetto latte crudo, ossia non trattato, vettore - con tutti i suoi batteri - di malattie che possono essere anche mortali. La diffusione di latte crudo è andata di pari passo con l'affermarsi di credenze sempre più resistenti sul fatto che esso potenzi il sistema immunitario dei bambini, a dispetto del parere degli esperti.
In meno di un'ora di durata, il documentario di Lucy Kennedy si sofferma moltissimo sulle condizioni di vita di chi fatica ad arrivare alla fine del mese, perdendo completamente di vista l'analisi delle cause e assemblando il materiale con ritmo monocorde e testimonianze sbilanciate e spesso del tutto trascurabili.    

Ciliegine (La cerise sur le gâteau)

anno: 2012       
regia: MORANTE, LAURA    
genere: commedia    
con Laura Morante, Pascal Elbé, Isabelle Carré, Samir Guesmi, Patrice Thibaud, Frédéric Pierrot, Loucilia Clément, Ennio Fantastichini, Vanessa Larré, Georges Claisse, Nadia Fossier, Yves Verhoeven, Elisabeth Catroux, Emmanuelle Galabru, Frédéric Moulin, Mathilda Vives, Louis-Charles Finger, José Fumanal, Sandrine Le Berre, Martin Bonjean, Yves Buchin, Yvonnick Muller, Morgan Brudieux, Sophie-Charlotte Husson, Gauthier de Crépy, Jeanne Bertin, Thierry Chauvin, Anne Mano    
location: Francia
voto: 4    

Amanda (Morante) è una donna isterica e capricciosa che soffre del tutto inconsapevolmente di androfobia. Rende impossibile la vita agli uomini che le stanno accanto ma finalmente il rapporto con il sesso forte sembra prendere una piega diversa quando, a causa di un equivoco, entra il relazione con Antoine (Elbé), credendolo erroneamente omosessuale. Nella speranza di vederla finalmente accasata, la sua amica Florance (Carrè) gioca sul quiproquo e tesse la tela, mentre Antoine - consapevole del retroscena - non sa come manifestare il proprio trasporto ad Amanda.
Esordio dietro la macchina da presa per la nipotina di Elsa Morante, in trasferta a Parigi (dove risiede), con un cast interamente transalpino (ma le maestranze sono tutte italiane: musica di Piovani, fotografia di Calvesi, montaggio di Esmeralda Calabria) e comparsate di Ennio Fantastichini (nei panni di un arabo) e di quel cocainomane assassino di Domenico Diele. Tra citazioni esplicite alleniane (in apertura e sul finale, con tanto di accordo ripreso dalla Rapsody in blue di Gershwin, da Manhattan) e un umorismo (si, vabbè, chiamiamolo così…) tipicamente francese (si guarda a Rohmer ma anche alla screwball comedy), il film dell'attrice toscana è un raccontino vezzoso, esilissimo e risaputo che però si avvale di qualche intuizione apprezzabile: dal ruolo dello psicanalista marito della migliore amica della protagonista (Patrice Thibaud), un uomo che parla sentenziosamente senza mai dare alcuna retta alla moglie, perennemente affaccendato nel bagno di casa, alle schermaglie nevrotiche tra la protagonista e il suo compagno (Frédéric Pierrot), costretto ad armarsi della pazienza di Giobbe.