sabato 31 marzo 2018

Dark Night

anno: 2016       
regia: SUTTON, TIM  
genere: drammatico  
con Robert Jumper, Anna Rose Hopkins, Eddie Cacciol, Rosie Rodriguez, Karina Macias, Aaron Purvis   
location: Usa
voto: 1  


Nel 2012 un ex dottorando di neuroscienze fece irruzione in un multiplex di Aurora, in Colorado, in occasione della prima de Il cavaliere oscuro - Il ritorno, ennesimo episodio della saga dedicata da Christopher Nolan al personaggio di Batman, e uccise a colpi di fucile 12 persone. Se non si conoscono questi fatti, ciò che viene dato in pasto al malcapitato spettatore sono riprese delle cittadina dall'alto, lampioni, prese elettriche, cofani di automobili, quasi sempre senza alcun movimento della macchina da presa. Più sei ritratti di altrettanti debosciati - su tutti, il ragazzino che indica come suo migliore amico un tizio conosciuto su internet che però non ha mai incontrato dal vivo e una ragazza che passa giornate intere a scattarsi dei selfie - ciascuno dei quali potrebbe avere avuto una qualche ragione per commettere la strage. Se qualcuno vi dovesse dire che fino alla fine il film gioca sull'ambiguità dei personaggi, distribuendo salomonicamente la potenzialità della strage, non credetegli: gli indizi sono talmente telefonati che viene voglia di fare lo spoiler. 
Dark night ha il solo merito di giocare foneticamente col film della sera della strage (provate ad aggiungere k alla seconda parola…): per il resto è cinema borioso, allusivo, lentissimo, intraducibile da chiunque non sia al corrente dell'episodio di cronaca al quale rimanda e, in ultima analisi, tutt'altra cosa rispetto a lavori multiprospettici e frastagliati come …e ora parliamo di Kevin o Elephant.    

L'uomo sul treno - The Commuter

anno: 2018       
regia: COLLET-SERRA, JAUME
genere: thriller
con Liam Neeson, Vera Farmiga, Patrick Wilson, Sam Neill, Elizabeth McGovern, Jonathan Banks, Florence Pugh, Andy Nyman, Killian Scott, Shazad Latif, Clara Lago, Roland Møller, Kobna Holdbrook-Smith, Colin McFarlane, Dean-Charles Chapman, Ella-Rae Smith, Nila Aalia, Adam Nagaitis, Kingsley Ben-Adir, Damson Idris, Zaak Conway, Ben Kaplan, Letitia Wright, Simon Hibbs, Jamie Beamish, John Alastair, Aoiffe Hinds, Alana Maria, Pat Kiernan    
location: Usa
voto: 6

Per Michael (Neeson), agente assicuratore di con un passato in Polizia, non è una buona giornata: a sessant'anni suonati lo licenziano anzitempo, qualcuno gli ruba il cellulare mentre, come ogni giorno, sta andando al lavoro col treno insieme a tanti altri pendolari e, ciliegina sulla torta, una sconosciuta (Farmiga) gli propone di individuare un viaggiatore che non sia un pendolare con una borsa al seguito e di segnalarglielo in cambio di centomila dollari. Michael vorrebbe sottrarsi alla proposta, che tuttavia ben presto si trasforma in un ricatto che mette a repentaglio l'incolumità della sua famiglia. A Michael non rimane che cercare di trovare il misterioso personaggio che è in realtà uno scomodissimo testimone che ha visto uccidere un uomo dalla polizia.
Quarto film per la coppia Liam Neeson e Jaume Collet-Serra (gli altri sono Unkown, No stop e Run all night), che realizzano l'ennesimo prodotto fracassone, sempre ai limiti dell'inverosimile (qui abbondantemente superati in più d'una scena d'azione) ad altissimo tasso adrenalinico. C'è anche spazio per una minima riflessione sui tempi che corrono (la crisi finanziaria globale cominciata nel 2008), per riprese da punti di vista davvero inediti (la zoomata all'indietro nel treno è un passo in avanti rispetto a quella di Hitchcock in Vertigo) e soprattutto per gli effetti speciali, con sottofinale da film catastrofico nel quale il treno deraglia senza che nessuno riporti un solo graffio.    

mercoledì 28 marzo 2018

Oltre la notte (Aus dem Nichts)

anno: 2017       
regia: AKIN, FATIH
genere: drammatico
con Diane Kruger, Denis Moschitto, Johannes Krisch, Numan Acar, Samia Muriel Chancrin, Johannes Krisch, Ulrich Tukur, Ulrich Brandhoff, Hanna Hilsdorf    
location: Germania, Grecia
voto: 8

Nuri (Acar) è un cittadino di Amburgo di origini curde con qualche precedente per spaccio e un po' di galera alle spalle, ma ormai integrato nella società tedesca. Un giorno, mentre si trova col figlio piccolo al lavoro, una bomba li uccide entrambi. La moglie (Kruger) è convinta che si tratti di un'azione a sfondo razzista, dietro la quale si celano i neonazisti, mentre la polizia rovista nel passato non sempre cristallino del marito. Fine del primo atto. Si va a processo. La moglie non sbagliava: sul banco degli imputati c'è una coppia di giovani fanatici di Hitler. Il primo grado dà ragione a loro. Terzo atto: la vedova si trova in Grecia, sulle tracce di un sostenitore di Alba Dorata - il gruppo dell'ultradestra locale - per poter sbrogliare la matassa. Vietato lo spoiler.
Ci deve essere una qualche forma di idiosincrasia latente dei titolisti italiani nei confronti del regista turco-tedesco se ancora una volta l'epigrafe di un suo film - come era già accaduto con il notevolssimo Ai confini del paradiso - viene tradotto con tanta banalità (quello originale corrisponderebbe a "Dal nulla", che non è il massimo che si possa chiedere a un copywriter, ma è già qualcosa…). Ed è un vero peccato, perché Akin ha già dimostrato di avere talento, originalità da vendere (Soul kitchen) e grande sensibilità verso le tematiche sociali (La sposa turca) e non andrebbe zavorrato da titoli tanto improbabili. I tre atti di Oltre la notte sono la dimostrazione di una capacità narrativa indiscutibile, oltre che dell'attitudine a scrivere copioni impeccabili e senza sbavature. Se poi al tema di fondo, spinto dall'urgenza di raccontare le azioni omicide delle formazioni neonaziste tedesche (il film si ispira a fatti reali messi in pratica dal gruppo neo-nazista NSU - National Socialist Underground - a partire dal 2000), ci unisci una prova d'attrice magistrale come quella sfornata da Diane Kruger, giustissimamente premiata a Cannes per la migliore interpretazione femminile, ecco che non può sorprenderti nemmeno il Golden Globe 2018 come miglior film in lingua straniera.    

lunedì 26 marzo 2018

Roma Golpe Capitale

anno: 2018       
regia: CORDIO, FRANCESCO   
genere: documentario   
con Ignazio Marino, Federica Angeli, Giancarlo Caselli, Giovanni Caudo, Francesca Danese, Loredana Granieri, Francesco Luna, Massimiliano Tonelli, Roberto Tricarico, Lila Yawn    
location: Italia, Usa
voto: 8   

Dopo 5 anni di sindacatura Alemanno, di saccheggio delle casse capitoline, di un debito di nuovo pari a 800.000 euro dopo che quello precedente era stato spalmato sulle tasse di tutti i contribuenti italiani, nella città eterna arriva un marziano, una figura apolide rispetto alle logiche di partito, un chirurgo di fama internazionale, cattolico ma di idee progressiste: Ignazio Marino. Il suo mandato in Campidoglio durò poco più di due anni: un tempo sufficiente per cercare di rimettere in ordine i conti della capitale, per chiudere la discarica di Malagrotta, ormai allo stremo e oggetto di enormi interessi malavitosi, per allontanare dal centro storico i camion bar gestiti con sistemi da malaffare dalla famiglia Tredicine, per aprire qualche altra stazione della linea C della metropolitana nonché i varchi d'accesso al litorale di Ostia, da decenni in mano alla mafia (e alla famiglia Spada in particolare), con connivenze gravissime da parte della politica e delle pubblica amministrazione. E ancora: pedonalizzazione dei Fori Imperiali con rilancio della zona archeologica adiacente e incremento delle iniziative culturali in città, a cominciare dallo splendido murale di Kentridge sui bastioni del Tevere. Tutto questo ha avuto un costo enorme: non in termini economici, ma politici. La giunta Marino si mise di traverso a interessi che andavano avanti da decenni, interessi che avevano dato un potere enorme ai palazzinari e alle partecipate, sempre sull'orlo del lastrico. A Palazzo Chigi, dove aveva preso posto Matteo Renzi, il nuovo corso di Marino non piacque affatto (come d'altronde le sue posizioni sui matrimoni omosessuali erano invise al Vaticano) e così partì una campagna diffamatoria che mise in luce l'unico vero neo di quella giunta: quello di non avere un ufficio comunicazione all'altezza che potesse ribattere punto per punto le calunnie costruite ad hoc dall'imbonitore toscano e dai suoi scherani. Ecco perché la questione degli scontrini per le cene di rappresentanza e quella della Panda rossa di proprietà del sindaco, usata senza presunti permessi dal primo cittadino in luogo delle auto blu, furono il vulnus che decretò l'accerchiamento di Marino da parte dei suoi capi partito. Un nugolo di lacchè, consiglieri al soldo di Renzi, andò così dal notaio (sic) per rassegnare le proprie dimissioni e la giunta fu sfiduciata.
Questi i fatti.
Il documentario mirabile per dinamismo e capacità di racconto di Francesco Cordio restituisce la voce a quell'uomo ingiustamente vituperato dai media, tornato nel frattempo a Philadelphia a lavorare come chirurgo, il quale - con serafica e cristallina chiarezza - racconta la sua versione di quel "pasticciaccio brutto" che fu la fine anticipata del suo mandato. Corredato dalle testimonianze della giornalista di Repubblica Federica Angeli (una che vive sotto scorta per avere messo a nudo le malefatte degli Spada), dal giudice Giancarlo Caselli e dai blogger Giovanni Caudo e Francesco Luna, il film a tratti rasenta l'agiografia, ma aiuta moltissimo a capire quanto marcio ci sia nel partito di Renzi e dei suoi pretoriani, dando anche a Marino l'opportunità di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, come quando fa riferimento a quel giornalista immondo,  quel monumento alla iattanza che è Francesco Merlo. Da vedere e rivedere e, soprattutto, da consigliare. Totalmente snobbato dalla critica e dai media, il film - tramite il passaparola - ha portato in sala interi torpedoni di spettatori, disposti a file sfiancanti pur di poterlo vedere.    

domenica 25 marzo 2018

Quello che non so di lei (D'après une histoire vraie)

anno: 2017       
regia: POLANSKI, ROMAN
genere: drammatico
con Emmanuelle Seigner, Eva Green, Vincent Perez, Dominique Pinon, Damien Bonnard, Noémie Lvovsky, Josée Dayan, Camille Chamoux, Brigitte Roüan, Mathilde Ripley    
location: Francia
voto: 3

La regola è sempre la stessa: quando qualcuno dirige un film su un regista in crisi o su uno scrittore con la sindrome da foglio bianco, non fidatevi: vuol dire che è a corto di idee. Se poi quel regista ha già girato un film nel quale si parla di un ghostwriter (L'uomo nell'ombra), allora fidatevi ancora meno. Non fa eccezione questo film dell'ottantatreenne Roman Polanski, che - a partire dal romanzo Da una storia vera di Delphine de Vigan, sceneggiato con Olivier Assayas - mette in scena una scrittrice di successo (Seigner) che non sa più come inchiostrare la pagina. Durante un party, la donna incontra Lei (Eva Green, gli occhi più brutti di tutto il cinema europeo), una ragazza dai modi seduttivi che fa la ghostwriter per importanti personalità della politica, dello sport e dello spettacolo. Tra le due nasce un legame che porterà la scrittrice ad ospitare Lei nella propria casa, fino a diventarne dipendente e infine succube. A rischio spoiler, dirò che il finale è risolto alla maniera de La nona porta, con sterzata su una dimensione metafisica che al tempo stesso sembra essere la bruttissima copia di Misery non deve morire.
Con Quello che non so di lei il regista franco-polacco mette il pilota automatico, mostrando il consueto mestiere sia sul piano figurativo che su quello narrativo, ma affidandosi a un copione del tutto implausibile e persino irritante e a due attrici di scarsissima levatura, i cui personaggi sono uniti da un legame vagamente saffico e sadomasochistico che fin dall'inizio non è minimamente credibile.    

La via della conciliazione

anno: 2016   
regia: BRUNETTI, RAFFAELE * CURZI, PIERGIORGIO   
genere: documentario   
con Franco Ferrarotti, David Kertzer, Padre Bernard Ardura, Paolo Portoghesi, Gianni Gai, Anna Baldi, Franco Andreoli    
location: Italia
voto: 8   

Via della Conciliazione è quella strada maestosa che dal colonnato della basilica di S. Pietro porta verso Castel Sant'Angelo, il collegamento, anche simbolico, tra la Roma papalina e quella laica. Quella strada prima non esisteva. Al suo posto c'era un borgo, che ancora permane in parte ai lati di essa, popolato da artigiani, piccoli commercianti, professionisti di vario genere. Quel borgo fu spazzato via per effetto del Concordato del 1929 tra lo Stato rappresentato da Mussolini e la Chiesa, nelle mani di Pio XI, con buona pace dei residenti. L'ottimo documentario di Raffaele Brunetti e Piergiorgio Curzi racconta questa tortuosa vicenda il cui primo seme su piantato con la breccia di Porta Pia nel 1870, a cui seguì il ridimensionamento dello Stato Pontificio e che terminò soltanto nel 1950, quando fu un altro papa, Pio XII, a inaugurare la strada che avrebbe dovuto essere pronta per l'arrivo a Roma di Hitler. Aiutati dalle immagini di repertorio dell'istituto Luce, da fotografie d'epoca e soprattutto da animazioni efficacissime che dinamizzano il racconto, i due registi confezionano un prodotto di alto livello che racconta lo sventramento di quel borgo capitolino, cominciato nel 1936 sotto la direzione di Piacentini (con Mussolini che, in cima a un tetto, diede la prima, simbolica picconata) come effetto dei Patti Lateranensi e che fu una vera e propria deportazione degli abitanti, alcuni dei quali - insieme al sociologo Franco Ferrarotti, all'architetto Paolo Portoghesi, allo storico David Kertzer e a Padre Bernard Ardura che ha la faccia di uno appena uscito da un processo per pedofilia - offrono le loro testimonianze. Quell'opera urbanistica così magniloquente fu realizzata a colpi di pala e picconi, con le funi, senza le ruspe, con un intero palazzo spostato da un lato all'altro della strada (sic), tradendo gli intenti architettonici di Michelangelo e di Bernini, entrambi consapevoli dell'effetto sorpresa che avrebbe dovuto suscitare nei pellegrini la grandiosità della basilica una volta districatisi dal labirinto di strade e stradine del Borgo. Unico neo del documentario è la totale mancanza di riferimenti al luogo dove furono mandati gli abitanti del rione: la zona paludosa di Tor Marancia, oggi oggetto di progetti di riqualificazione urbanistica.    

La Cina è vicina

anno: 1967       
regia: BELLOCCHIO, MARCO   
genere: drammatico   
con Glauco Mauri, Elda Tattoli, Paolo Graziosi, Daniela Surina, Pierluigi Aprà, Alessandro Haber, Renato Jalenti, Claudio Trionfi, Mimma Biscardi, Claudio Cassinelli, Laura De Marchi, Jà Jà    
location: Italia
voto: 6   

Al suo secondo film dopo I pugni in tasca, il 28enne Bellocchio propone un altro ritratto al vetriolo dell'istituzione familiare. Siamo a Imola dove, in una lussuosa casa patrizia, convivono tre fratelli. Vittorio (Mauri), il maggiore, è un professore di liceo, un trasformista della politica che sta per candidarsi con il Partito Socialista. La sorella Elena (Tattoli, anche co-sceneggiatrice) possiede una notevole facilità ad avere relazioni amorose e gestisce i beni di casa con piglio autoritario mentre il più piccolo (Aprà, attore che morì a soli 36 anni) scavalca entrambi i fratelli a sinistra, frequentando gruppi maoisti che vorrebbero anche redimere le prostitute, salvo poi servire messa la domenica. La vicenda famigliare si complica quando Elena si fa mettere incinta da un ragioniere (Graziosi) che, oltre a essere il portaborse di Vittorio, è anche l'ex della segretaria di quest'ultimo (Surina), a sua volta invaghito proprio della ragazza e dterminato ad evitare lo scandalo.
Girato in un notevole bianco e nero e con scelte fotografiche da cinema espressionista, La Cina è vicina - il cui titolo, oltre a diventare una scritta su un muro realizzata dal collettivo extraparlamentare, è anche il titolo di un libro di Enrico Emanuelli - si muove tra satira di costume e analisi politico-sociale con un registro che spinge sul pedale del grottesco, mettendo in evidenza soprattutto l'ipocrisia della famiglia. Una scelta decisamente più efficace sul piano narrativo che su quello dei contenuti, qui stemperati da un racconto a teorema nel quale il sarcasmo sembra mirare più ad innescare la risata che non a mettere a nudo le assurdità dell'eccesso di ideologia, col rischio di rasentare il qualunquismo.    

venerdì 23 marzo 2018

Manifesto

anno: 2015       
regia: ROSEFELDT, JULIAN 
genere: documentario 
con Cate Blanchett, Erika Bauer, Ruby Bustamante, Carl Dietrich, Marie Borkowski Foedrowitz, Ea-Ja Kim, Marina Michael, Hannelore Ohlendorf, Ottokar Sachse, Ralf Tempel    
location: Australia, Germania
voto: 4 

Un film da vedere, ma non da ascoltare, questo Manifesto dell'artista Julian Rosefeldt, che si stacca decisamente da qualsiasi altro prodotto visibile al cinema per via di uno sperimentalismo che ne fa un'opera del tutto apolide tra i generi, completamente inclassificabile. Il Manifesto del titolo fa riferimento ai manifesti artistici (situazionismo, futurismo, architettura, espressionismo astratto, creazionismo, costruttivismo, dadaismo, surrealismo, fluxus, arte concettuale) e politici del XX secolo, uniti a quelli di registi come Brakhage, Von Trier, Jarmusch ed Herzog. A interpretare senza soluzione di continuità i dodici personaggi che rappresentano altrettanti manifesti c'è Cate Blanchett, attrice straordinaria che qui dà una prova di versatilità del tutto fuori dal comune. Se l'opera - caso più unico che raro di prodotto cinematografico su commissione (a volerlo è stato l'Australian Centre for the Moving Image) - affascina sul piano visivo, proponendo alcuni degli stessi materiali del regista/artista stesso in forma di installazioni, è la voce fuori campo, quasi sempre uguale a sé stessa - a disturbare e a rendere troppo cerebrale, persino respingente, un'opera poco o per niente cinematografica, riuscita soltanto a metà.    

giovedì 22 marzo 2018

L'altra metà della storia (The Sense of an Ending)

anno: 2017       
regia: BATRA, RITESH   
genere: drammatico   
con Jim Broadbent, Charlotte Rampling, Harriet Walter, Michelle Dockery, Emily Mortimer, Billy Howle, Joe Alwyn, Freya Mavor, Matthew Goode, James Wilby, Edward Holcroft, Manjinder Virk    
location: Regno Unito
voto: 5   

Tony (Broadbent) è un pensionato separato dalla moglie (Walter), un uomo bisbetico e misantropo che gestisce un piccolo negozio di macchine fotografiche d'epoca. La sua vita procede senza grandi sussulti - il massimo dello sprint arriva nelle occasioni in cui deve accompagnare la figlia (Dockery) ai corsi di preparazione pre-parto - fino a quando non riceve una lettera di una sua fidanzata di gioventù, che annuncia una piccola eredità e un diario come lascito. Tony si mette in contatto con la sua ex (Rampling) e scopre gli effetti di un passato a tinte fosche che ha determinato la fine del rapporto con un amico (Alwyn), poi morto suicida.
Per oltre un'ora la regia cuoce a bagnomaria la pazienza dello spettatore, alludendo a qualcosa di segreto che scopriremo soltanto in sottofinale. Gioco astuto ma nient'affatto premiante, se si considera la lentezza spossante delle prima parte e l'opacità di personaggi e relazioni che sono cruciali ai fini del racconto. Troppo scritto e forse impossibile da riversare su grande schermo partendo dal romanzo Il senso di una fine di Julian Barnes, il film risente così di un disegno approssimativo ed effettistico dei personaggi (perché la figlia del protagonista vuole avere un figlio da sola? Che relazione esisteva tra l'amico suicida e la madre della ex ragazza di Tony?), abbandonati alla sola abilità degli interpreti, sicchè questo thriller dell'anima stempera proprio quello che vorrebbe essere il suo nucleo centrale: l'inaffidabilità dei ricordi e la ricerca di un senso del proprio passato.    

mercoledì 21 marzo 2018

I cuori infranti

anno: 1963       
regia: CAPRIOLI, VITTORIO * PUCCINI, GIANNI   
genere: commedia   
con Franca Valeri, Aldo Giuffrè, Paola Quattrini, Linda Sini, Dany Paris, Tino Buazzelli (La manina di Fatma, di Vittorio Caprioli), Nino Manfredi, Norma Bengell, Gianni Bonagura, Gigi Ballista (E vissero felici, di Gianni Puccini)    
location: Italia
voto: 3,5   

Due film in uno, uniti soltanto dall'idea di raccontare storie d'amore estreme, proprio come se ne facevano una volta, quando i produttori - per non scommettere l'intera posta su registi di scarso richiamo - puntavano su film a episodi con attori di grido. Vittorio Caprioli era qui alla sua terza regia, a servizio di un copione debolissimo (La manina di Fatma) nel quale una sorta di virago dalla mira impeccabile (Valeri) impedisce in tutti i modi al suo amato (Giuffrè) di sposare un'altra (Quattrini), costringendolo all'apostasia sentimentale e ricorrendo all'occasione alla magia. Nettamente meglio il secondo episodio (E vissero felici, firmato da Gianni Puccini, un mezzo specialista dei film in comproprietà), nel quale un incontenibile Nino Manfredi impersona un mantenuto la cui moglie (Norma Bengell) fa la prostituta.
Se il primo episodio fa acqua da tutte le parti - dal cast al copione - con Franca Valeri che non va oltre la caricatura, il secondo gioca con coraggio contro l'ipocrisia dell'epoca, avvalendosi di un Manfredi dal grande carisma.    

lunedì 19 marzo 2018

Punto di non ritorno (Before the flood)

anno: 2016       
regia: STEVENS, FISHER  
genere: documentario  
con Leonardo DiCaprio, Bill Clinton, John Kerry (II), Barack Obama, papa Francesco, John Kerry, Al Gore    
location: Canada, Cina, Francia, India, Indonesia, Italia, Kiribati, Usa
voto: 5  

Se non vivi sulla luna, non credi al miracolo del sangue di San Gennaro e al terzo segreto di Fatima, se nessuno finora è riuscito a convincerti che l'Olocausto è stata un'invenzione sionista, è difficile che i contenuti di Punto di non ritorno ti possano suonare come una novità. Prima che arrivi il diluvio (universale) del titolo, prima che le profezie del trittico di Hieronymus Bosch che Leonardo DiCaprio aveva nella sua cameretta da ragazzino si avverino, l'uomo deve fare qualcosa per salvare il pianeta. È questa la missione del documentario fortissimamente voluto dall'attore premio Oscar per Revenant, che tra una ripresa e l'altra del film con Iñárritu (le 200 persone della troupe si sono dovute spostare di 15.000 chilometri per trovare altra neve...) è andato in giro per il mondo a intervistare esperti, politici e persone comuni per farsi un'idea a tutto tondo delle condizioni del pianeta, ricevendo udienza persino da Bill Clinton, Barack Obama e Papa Francesco. L'affresco, prodotto dal National Geographic con Martin Scorsese nel ruolo di produttore esecutivo, è quello di un pianeta che, tra deforestazioni, aumento della temperatura e dei livelli di biossido di carbonio e sovrappopolazione, si trova a un punto cruciale. Per cambiare rotta occorre mutare i nostri comportamenti di consumo, guardare all'ambiente quando si va alle urne e mirare alla decrescita felice: tutti aspetti ben noti a chi è sensibile alla tematica ecologista, ma tuttavia non necessariamente sufficienti per scalfire il negazionismo che, dopo biechi personaggi come il presidente della commissione ambientale del senato americano James Inhofe, ha trovato nuovi epigoni niente meno che in Donald Trump. Le folli politiche ambientali di quest'ultimo vanno nella direzione opposta a quella del trattato di Parigi e si sommano alle nefandezze derivate dagli allevamenti intensivi di bovini (rileggere Ecocidio di Rifkin), alle coltivazioni di olio di palma, alle sabbie bituminose, all'azione scorrettissima delle corporazioni petrolifere. Finché non si ridurranno i costi altissimi che queste politiche provocano in termini di degrado ambientale, i cataclismi meteorologici non potranno che aumentare, come dimostrano le sempre più frequenti inondazioni di Miami, dove il manto stradale è stato sollevato di diversi metri in tutta la zona costiera per arginare provvisoriamente il problema.
Encomio dunque per DiCaprio, ambasciatore per l'ambiente alle Nazioni Unite: peccato però che il film non aggiunga molto in termini di documentazione e di impatto visivo a una tematica che è ormai dibattuta anche nel cinema da un più di un trentennio, ossia da quel lavoro seminale che fu Koyaanisqatsi, e che ha trovato in Thrashed, The end of the line, L'incubo di Darwin e Una scomoda verità alcune delle espressioni più riuscite.    

domenica 18 marzo 2018

Addio Fottuti Musi Verdi

anno: 2017       
regia: CAPALBO, FRANCESCO aka FRANCESCO EBBASTA   
genere: fantastico   
con Ciro Priello, Fabio Balsamo, Beatrice Arnera, Roberto Zibetti, Simone Russo, Fortunato Cerlino, Salvatore Esposito, Alfredo Felaco, Francesco Ebbasta (Francesco Capalbo)    
location: Italia
voto: 2,5   

Dura cinque minuti, cioè il tempo di un cortometraggio di brevissima durata, l'ideuzza microscopica partorita dalle menti di The Jackal, il duo comico affermatosi su YouTube grazie alla parodia della serie televisiva Gomorra, diventata per l'occasione Gli effetti di Gomorra sulla gente. Come in tanti altri casi - da Favij ai Pills - anche quello di Ciro Priello e Fabio Balsamo, diretti da Francesco Capalbo, è un debutto fallimentare, un'accozzaglia di gag riuscite male (o malissimo) che ha nel cameo dei due Savastano, Fortunato Cerlino e Salvatore Esposito, uno dei suoi pochissimi momenti riusciti. La storia è quella di un grafico napoletano (Priello) che, non trovando lavoro, invia il curriculum nello spazio. Gli alieni gli rispondono e l'incubo disoccupazione sembra finire. Ma ne inizia un altro: gli alieni vogliono invadere la terra.
Concessi gli indubbi meriti agli effetti speciali, al montaggio e a più di una trovata visiva (la fotografia è di Francesco Di Giacomo), Addio fottuti musi verdi non ha proprio un'idea di cinema. Al contrario, si dipana confusamente tra gusto per la citazione, trovate grottesco/demenziali in chiave fantascientifica a zero effetto comico e una satira sul tema della disoccupazione della quale l'unico profumo che si sente è quello dell'acqua di rose.    

mercoledì 14 marzo 2018

Il giustiziere della notte (Death Wish)

anno: 2018       
regia: ROTH, ELI  
genere: poliziesco  
con Bruce Willis, Elisabeth Shue, Vincent D'Onofrio, Dean Norris, Jack Kesy, Len Cariou, Kirby Bliss Blanton, Mike Epps, Beau Knapp, Kimberly Elise    
location: Usa
voto: 4  

Il dottor Kersey (Willis) è uno stimato chirurgo che vive a Chicago con la moglie (Morrone) e la figlia adolescente (Shue). Alcuni malviventi fanno a pezzi l'idillio familiare irrompendo nella sua casa proprio nel giorno in cui lui viene chiamato d'urgenza in ospedale. La moglie finisce al creatore, la figlia va in coma. Lui si rivolge alla polizia che, come da protocollo, brancola nel buio e allora - con l'aiuto di qualche tutorial preso da YouTube e un po' di rabbia in corpo - l'uomo si trasforma in un tristo mietitore che gira semincappucciato per le strade della città allo scopo di ripulirla da qualche criminale e di arrivare agli uomini che lo hanno reso vedovo prima del tempo.
Operazione rischiosissima quella di proporre il remake de Il giustiziere della notte di Michael Winner, con Charles Bronson nei panni del protagonista. Un po' perché quelli erano altri tempi e il senso di film dichiaratamente di destra non si scontrava come adesso con il politically correct; ma ancora di più perché con la politica di Trump in materia di armi si rischia soltanto di mettere benzina sul fuoco di una questione già incandescente. Al di là dei contenuti discutibilissimi, dunque, sul piano squisitamente cinematografico Eli Roth, che viene dal cinema horror, non poteva che spingere sul pedale del grand guignol, consegnando ai cattivoni di turno una fine telefonatissima e quanto mai cruenta. Il tentativo di incipriare il film con qualche spruzzata di umorismo e l'aggiornamento ai tempi che corrono (il tam tam sui social, la pervasività dei mezzi elettronici, eccetera) non conferisce all'opera alcuna memorabile peculiarità e le quasi due ore di film - con un prologo stremante - se ne vanno in puro divertimento acefalo.    

domenica 11 marzo 2018

L'estate addosso

anno: 2016       
regia: MUCCINO, GABRIELE 
regia: commedia 
con Brando Pacitto, Matilda Lutz, Taylor Frey, Joseph Haro, Guglielmo Poggi, Jessica Rothe, Scott Bakula, Ludovico Tersigni, Timothy Martin, Tatiana Luter    
location: Cuba, Italia, Usa
voto: 2 

Marco (Pacitto) e Maria (Lutz) sono due compagni di classe che non si sopportano, freschi di diploma in un liceo ultra esclusivo della capitale, entrambi invitati a San Francisco da un terzo compagno di classe (Poggi), anch'egli sottoproletario, iscritto all'università di Stanford. Quest'ultimo trova loro una sistemazione da due suoi amici, una coppia gay dove i due romani vacanzieri dovrebbero sostare un paio di giorni al massimo. La gita si protrae invece per un mese, con tanto di escursione a Cuba, sigillando un'estate indimenticabile nella vita di tutti e quattro.
Scritto tra una colica renale e un attacco di dissenteria acuta, c'è da augurarsi che L'estate addosso possa siglare l'abbandono definitivo di Gabriele Muccino al territorio americano. Dopo i pessimi La ricerca della felicità e Sette anime, con quest'opera il regista romano mette in scena un racconto di formazione che coinvolge una ragazzetta con la puzza sotto il naso e bacchettona (pronta tuttavia a trasformarsi repentinamente in una maliarda seduttrice) e un adolescente incerto sul proprio futuro e avvolto da pensieri plumbei. Condito con il consueto corredo di scene madri, urlatissime (il bisogno di mettere i sui attori nelle condizioni di gridare arriva qui al parossismo di una scena in cui due dei quattro protagonisti si trovano sulla sommità di una duna per sentire l'eco dei loro strilli), il film è un bigino di frasi fatte che strizzano l'occhio a un esistenzialismo di maniera, toccando - con venature palesemente autobiografiche - il tema della ricerca della propria identità declinato secondo una storia d'amore impossibile. In un contesto così inconsistente, come sempre ultraborghese e lontanissimo dalla freschezza di Come te nessuno mai, a poco serve la colonna sonora di Jovanotti o le riprese che alternano dolly e piani sequenza, manifesto di un solido mestiere messo tuttavia a servizio di una scrittura sciattissima.    

sabato 10 marzo 2018

The Square

anno: 2017   
regia: OSTLUND, RUBEN  
genere: grottesco  
con Claes Bang, Elisabeth Moss, Dominic West, Terry Notary, Christopher Læssø, Marina Schiptjenko, Linda Anborg, Emelie Beckius, Denise Wessman, Jan Lindwall, John Nordling, Elijandro Edouard, Daniel Hallberg, Martin Sööder    
location: Svezia
voto: 9  

Il quadrato del titolo è un'installazione che dovrebbe essere il maggior elemento di richiamo di una galleria di arte contemporanea di Stoccolma, un'opera che mira a rievocare i concetti di empatia e solidarietà. Ma le cose nella civilissima Svezia sembrano andare ben diversamente, come dimostra l'avventura capitata al direttore del museo (Bang), derubato di portafoglio e cellulare con una messinscena in una strada affollata dove la gente manifesta un atteggiamento talmente blasé come nemmeno Simmel avrebbe potuto immaginare. L'uomo reagisce con una minaccia indirizzata a tutti i residenti del palazzo dove il gps ha localizzato lo smartphone, con conseguenze inattese.
Vincitore della Palma d'oro a Cannes, The square ribadisce il talento di Ruben Östlund (Forza maggiore), con un apologo densissimo sul rapporto tra apparenza e realtà, ribalta e retroscena, sul senso dell'arte contemporanea, mostrandoci - con un registro perennemente sintonizzato sul grottesco - gli aspetti parossistici dell'arte, qui veicolo fraudolento di disuguaglianze sociali e messa alla berlina della borghesia con uno spirito degno di Buñuel. Il film è una sorta di inventario di esperimenti etnometodologici che spiazzano continuamente lo spettatore, una successione di quadri girati con la macchina da presa fissa che di tanto in tanto lascia spazio a invenzioni visive strabilianti, come se la regia, così composta e algida, quasi manierata, volesse palesare il potere dello sguardo che sta nell'occhio di chi dirige. Le due ore e mezza di durata passano in un batter d'occhio tra inquadrature di rara potenza (la ricerca di un appunto in mezzo a centinaia di sacchetti dell'immondizia ripresi dall'alto, con la pioggia) e scene da manuale del cinema, come quella, devastante, in cui un performer artist (Notary) impersona uno scimmione durante una serata di gala, fino alle estreme conseguenze, dando un'impennata al disagio dello spettatore.    

venerdì 9 marzo 2018

My Friend Dahmer

anno: 2017       
regia: MEYERS, MARC   
genere: biografico   
con Zachary Davis Brown, Lily Kozub, Ross Lynch, Vincent Kartheiser, Alex Wolff, Adam Kroloff, Anne Heche, Brady M.K. Dunn, Michael Ryan Boehm, Dallas Roberts, Liam Koeth, Tommy Nelson, Harrison Holzer, Cameron McKendry, Jake Ingrassia, Benjamin Zgorecki, Kris Smith, Jack DeVillers, Gabriela Novogratz, Miles Robbins, Joey Vee, Tom Lepera, Joey Prines, Christopher Mele, Brigid Naughton, Susan Bennett, Maryanne Nagel, Andrew Gorell, Katie Stottlemire, Carmen Gangale, Dontez James, Lauren Rhodes, Tom Luce, Shane Patrick O'Neill, Sydney Jane Meyer, Nicholas Hulstine, Nancy Telzerow, Dave Sorboro    
location: Usa
voto: 7   

Chi era Jeffrey Dahmer (Brown) prima di diventare il famigerato mostro del Milwaukee? Prova a raccontarcelo questo film con un'impronta da high school comedy e un registro da umorismo nero che chiosa le tante stramberie di un ragazzo occhialuto, biondo, deriso dai compagni per la sua stranezza (Brown). Un ragazzo cresciuto in un clima familiare tossico, con papà e mamma che litigano continuamente e lui che risponde rifugiandosi in un ripostiglio dove compie trucidi esperimenti con le carogne di animali, con uso di acidi e altre sostanze. Il film deriva dal racconto che un compagno di scuola ne ha fatto molti anni dopo, rendendosi conto che le tante, troppe abiezioni di Jeff erano il sintomo di una psiche gravemente malata, quella di un omosessuale necrofilo che, finiti i tempi del liceo e rimasto a vivere da solo dopo la separazione tra i genitori, nel 1981 compì il primo dei 17 delitti di cui si rese protagonista, tutti su giovani maschi.
Se non sai chi sia Jeffrey Dahmer, il film può apparirti come il racconto di (de)formazione di uno psicopatico capace di assurdità di ogni genere. Se invece lo sai, raccogli tutti i segnali prodromici di quello che Dahmer sarebbe diventato in seguito, uno dei più efferati serial killer della recente storia americana, un osceno cannibale. Il regista Marc Meyers è bravissimo ad alludere, senza mai mostrare esplicitamente, a lasciare ogni violenza fuori campo, mantenendo una tensione altissima, col raccapriccio sempre dietro l'angolo, affidato alla fantasia e alle intuizioni dello spettatore.    

mercoledì 7 marzo 2018

Il filo nascosto (Phantom Thread)

anno: 2017       
regia: ANDERSON, PAUL THOMAS
genere: drammatico
con Daniel Day-Lewis, Lesley Manville, Vicky Krieps, Sue Clark, Joan Brown, Harriet Leitch, Dinah Nicholson, Julie Duck, Maryanne Frost, Elli Banks, Amy Cunningham, Amber Brabant, Geneva Corlett, Camilla Rutherford, Gina McKee, Philip Franks, George Glasgow, Nick Ashley, Brian Gleeson, Pauline Moriarty, Harriet Sansom Harris, Eric Sigmundsson, Phyllis McMahon, Richard Graham, Silas Carson, Martin Dew, Lujza Richter, Leopoldine Hugo, Emma Clandon, Sarah Lamesch, Julia Davis, Nicholas Mander, Jane Perry    
location: Regno Unito
voto: 8

Nella Londra degli anni '50 Reynolds Woodcock (nomen omen: alla lettera, "cazzo di legno") e sua sorella Cyril (Manville) sono una coppia di stilisti ricercatissimi ed estremamente apprezzati dall'alta società britannica. Segnati entrambi dalla precoce morte dell'amatissima madre, lei è una zitella algida, lui un narciso snob e terribilmente isterico che passa da una sottana all'altra fino a quando non incontra Alma (Krieps), una cameriera. La donna, sottoposta a lungo alle stesse sofferenze psicologiche di chi l'aveva preceduta, trova però la chiave per entrare nella atrofizzata vita sentimentale del suo amato, il quale dapprima la patisce, per poi diventarle complice in un finale spiazzante.
A più di tre anni dal deludente Vizio di forma, Paul Thomas Anderson si conferma comunque regista raffinatissimo, criptico, elegante come pochi altri, maestro assoluto nell'uso della macchina da presa, confezionando un film che entra nelle stanze più segrete della psiche umana e mettendo in scena un intreccio amoroso torbido, fatto di diniego e determinazione. Il copione affida il compito a due esecutori impeccabili: Daniel Day-Lewis, titanico come sempre e qui alla sua ultima prova (così dice...), riesce a rendere corporei i tormenti interiori del suo personaggio, mentre Vicky Kriepsdà impersona con una miscela di calcolo e passione una figura di donna che attende con fermezza tetragona il cambio di passo da parte del suo amato. Duetti laceranti, triangoli con la sorella-sfinge di Reynolds e scene corali di grande impatto visivo (su tutte, quella della festa di capodanno), congiugati con le musiche talora stranianti del Radiohead  Jonny Greenwood e con costumi giustimente premiati con l'Oscar, aggiungono valore a un'opera che ribadisce la vocazione sibillina e il talento smisurato del regista di capolavori come Magnolia, Il petroliere e The master.    

martedì 6 marzo 2018

L'uomo che vide l'infinito (The Man Who Knew Infinity)

anno: 2015       
regia: BROWN, MATT 
genere: biografico
con Dev Patel, Jeremy Irons, Devika Bhise, Toby Jones, Stephen Fry, Jeremy Northam, Kevin McNally, Richard Johnson, Anthony Calf, Pádraic Delaney, Shazad Latif, Arundhati Nag, Roger Narayan, Nicholas Agnew, Richard Cunningham, Alexander Forsyth    
location: India, Regno Unito
voto: 4 

Negli anni Dieci del Novecento, Srinivasa Ramanujan (Patel) - un genio della matematica indiano e autodidatta - grazie all'appoggio del suo mentore, il professor Hardy (Irons), riesce a entrare nell'esclusivo Trinity College di Cambridge e a pubblicare per quella università, per poi essere ammesso come membro della Royal society, in compagnia di gente della statura di Bertrand Russell. Il film di Matt Brown, che parte dalla biografia di Robert Kanigel, racconta la breve vita di questo ragazzo morto di tubercolosi durante il viaggio di ritorno in India, dove aveva lasciato la madre e la moglie. Lo schema di questo biopic è assai simile a quello di opere come Agora: una comunità di scienziati bianchi, razzisti e parrucconi, refrattari a qualsiasi innovazione, che si trovano a fare la guerra a chi porta il caos nelle loro vite tranquille. Diffidenti soprattutto a causa della dimensione fortemente intuitiva delle scoperte di Ramanujan (a partire dai suoi studi sulle partizioni), quasi mai supportate da dimostrazioni, i matematici di Cambridge vennero smossi dalla tempra dell'anarchico e ateo Hardy, uomo burbero ma giusto. Il film si snoda con una narrazione classicissima, affidando il ruolo di protagonista allo sguardo da cernia della star indiana Dev Patel (The millionaire, Lion) e indugiando su una serie infinita e stucchevole di quadretti piagnucolosi.    

sabato 3 marzo 2018

Il generale Della Rovere

anno: 1959   
regia: ROSSELLINI, ROBERTO   
genere: drammatico   
con Vittorio De Sica, Hannes Messemer, Vittorio Caprioli, Nando Angelini, Herbert Fischer, Mary Greco, Bernardino Menicacci, Lucia Modugno, Luciano Picozzi, Kurt Polter, Giuseppe Rossetti, Kurt Selge, Linda Veras, Sandra Milo, Giovanna Ralli, Anne Vernon    
location: Italia
voto: 8,5   

Nella Genova del 1944 occupata dai nazisti, Emanuele Bertone (De Sica) è un uomo col vizio del gioco che vive di espedienti, truffando persone che chiedono informazioni sui propri cari impegnati sul fronte bellico. Scoperto, finisce nel carcere milanese di San Vittore, dove un colonnello delle SS (Messemer) gli propone di farsi passare per il generale Della Rovere, un graduato a capo della Resistenza lombarda, per smascherare il coordinatore delle operazioni antinaziste rinchiuso in quella stessa casa circondariale, ma sotto mentite spoglie. In cambio, a Bertone viene promessa una somma consistente e la libertà. L'uomo si immedesimerà totalmente nella parte.
Tratto dal romanzo di Indro Montanelli, qui anche nelle vesti di sceneggiatore insieme a Sergio Amidei e Diego Fabbri, Il generale Della Rovere è uno dei più riusciti film di Rossellini, come testimonia anche il Leone d'oro vinto a Venezia ex-aequo con La grande guerra. Nettamente diviso in due parti (per un'ora e venti di durata complessiva), nella prima il film si sofferma soprattutto sulle condizioni di vita disperate di una popolazione umiliata e sottomessa dalle armate tedesche, mentre nella seconda parte il lavoro di Rossellini si trasforma in un'opera di ambientazione carceraria, forse meno fluida della prima ma con momenti commoventi. Il culmine sta nel ritratto della presa di coscienza di un uomo, capace di arrivare alle estreme conseguenze dopo aver vissuto una vita da millantatore, interpretato da un De Sica stratosferico che dà fondo a tutta la sua gigioneria.    

venerdì 2 marzo 2018

Nome di donna

anno: 2017       
regia: GIORDANA, MARCO TULLIO   
genere: drammatico   
con Cristiana Capotondi, Valerio Binasco, Stefano Scandaletti, Michela Cescon, Bebo Storti, Laura Marinoni, Anita Kravos, Stefania Monaco, Renato Sarti, Patrizia Punzo, Patrizia Piccinini, Vanessa Scalera, Linda Caridi, Adriana Asti    
location: Italia
voto: 7   

Nina (Capotondi), giovane madre che ha cresciuto da sola una figlia, trova un impiego come inserviente in una lussuosa casa di riposo per anziani al cui vertice si trova un prete dai modi spicciativi e sgraziati (Storti). Proprio quando finalmente Nina sembra aver arginato il suo bisogno di lavorare, ecco che il direttore della struttura (Binasco) le fa delle avances alle quali la ragazza reagisce con determinazione, portando il caso in tribunale nonostante l'omertà se non l'avversione delle sue colleghe, tutte vittime alla sua stessa stregua.
Sembra un instant movie girato sulla scorta dell'esplosione mediatica di #metoo questo film di Marco Tullio Giordana che parla di molestie sessuali sul luogo di lavoro, e invece è stato scritto ben due anni e mezzo prima, arrivando finalmente in sala proprio l'8 marzo (festa della donna) dopo diverse vicissitudini e accendendo i riflettori su un tema del quale si sarebbe dovuto parlare ben prima che scoppiasse il caso Weinstein. Con Nome di donna, il regista milanese si conferma uno degli autori del cinema italiano più attenti ai problemi della contemporaneità e firma, su sceneggiatura di Cristiana Mainardi, un film sobrio, dall'impianto assai classico, magari con qualche neo nel casting (in particolare, sembra debolissima la prestazione di Stefano Scandaletti, qui nella figura del compagno di Nina), qualche didascalia di troppo e un finale tanto catartico quanto poco plausibile. Tuttavia, i meriti dell'opera vanno ben oltre: dall'urgenza del trema trattato senza sconti al coraggio per avere ambientato il racconto in una struttura religiosa (siamo nella provincia di Pavia), senza risparmiare colpi alla codardia dei prelati.