mercoledì 29 febbraio 2012

The artist

anno: 2011       
regia: HAZANAVICIUS, MICHEL
genere: commedia
con Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell, Penelope Ann Miller, Missi Pyle, Beth Grant, Ed Lauter, Joel Murray, Bitsie Tulloch, Ken Davitian, Malcolm McDowell, Basil Hoffman, Bill Fagerbakke, Nina Siemaszko, Stephen Mendillo, Dash Pomerantz, Beau Nelson, Alex Holliday, Wiley M. Pickett, Ben Kurland, Katie Nisa, Katie Wallack, Hal Landon Jr., Cleto Augusto, Sarah Karges, Sarah Scott, Maize Olinger, Ezra Buzzington, Fred Bishop, Stuart Pankin, Andy Milder, Bob Glouberman, David Allen Cluck, Kristian Francis Falkenstein, Matt Skollar, Annie O'Donnell, Patrick Mapel, Matthew Albrecht, Harvey J. Alperin, Lily Knight, Clement Blake, Tasso Feldman, Christopher Ashe, Adria Tennor, Cletus Young, J. Mark Donaldson, Brian J. Williams, Andrew Ross Wynn, Jen Lilley, Brian Chenoweth, Tim De Zarn, Uggie
location: Usa
voto: 7

L'idea di partenza sta tra i paradossi di Escher, l'anello di Möbius e la bottiglia di Klein: un film muto che - nell'epoca del sonoro - parla della scomparsa del muto e dell'avvento del sonoro. Pura fantascienza. A dirigerlo è un regista francese controcorrente, semiesordiente, premiato con un diluvio di statuette a Hollywood. Si tratta di Michel Hazanavicius, che in piena epoca di esplosione del cinema in 3 dimensioni torna all'antico con un film muto (ma c'è la colonna sonora, e che colonna sonora!) e in bianco e nero. La storia è risaputa, non fosse altro che per il fatto di ricalcare, con le dovute differenze, grandi classici che vanno da Luci della ribalta a Viale del tramonto. Siamo nel 1927 e George Valentin (Dujardin) è un divo del cinema. Una della sue fan, Peppy Miller (Bejo), in meno di un lustro passa dal ruolo di comparsa a stella di prima grandezza nel firmamento hollywoodiano. George, che non crede nell'innovazione del sonoro, è destinato a un amaro quanto inesorabile declino.
Il plot narrativo è ben poca cosa, condito con i più scontati ingredienti da commedia rosa. Ciò che invece convince pienamente sono le scelte di regia, gli intarsi sonori, un irresistibile cane ammaestrato e il sorriso trascinante di Jean Dujardin, che ha fatto incette di premi, dall'Oscar a quello per la migliore interpretazione maschile a Cannes.
Il film si è anche aggiudicato l'Oscar 2012 come miglior film, regia, costumi e colonna sonora.    

domenica 26 febbraio 2012

Paradiso amaro (The Descendants)

anno: 2012       
regia: PAYNE, ALEXANDER 
genere: commedia 
con George Clooney, Shailene Woodley, Amara Miller, Nick Krause, Patricia Hastie, Grace A. Cruz, Kim Gennaula, Karen Kuioka Hironaga, Carmen Kaichi, Kaui Hart Hemmings, Beau Bridges, Matt Corboy, Matt Esecson, Michael Ontkean, Stanton Johnston, Jon McManus, Hugh Foster, Tiare R. Finney, Tom McTigue, Milt Kogan, Mary Birdsong, Rob Huebel, Laird John Hamilton, Aileen 'Boo' Arnold, Esther Kang, Melissa Kim, Robert Forster, Barbara L. Southern, Celia Kenney, Matthew Reese, Zoel Turnbull, Matthew Lillard, Judy Greer, Linda Rose Herman, Scott Michael Morgan, Darryl K. Gonzales, Koko Kanealii, Romey 'Keola' Yokotake 
location: Usa
voto: 5,5

Lo schema dei film di Alexander Payne è sempre lo stesso: che si tratti della morte improvvisa della moglie (come in A proposito di Schmidt), dell'addio al celibato (come in Sideways) o di un incidente occorso alla moglie in occasione di uno sport estremo, come in questo Paradiso amaro, c'è sempre qualcosa che fa da innesco al tema del viaggio. Che è ovviamente un viaggio anche e soprattutto metaforico, alla ricerca di se stessi.
Matt King (Clooney), che vive alle Hawaii e ha ereditato dal bisnonno un'enorme fetta di quella terra, è sempre stato un marito assente, occupato soltanto ad accumulare quattrini. In occasione dell'incidente della moglie (Hastie), che ha dato disposizioni di staccare la spina in caso di coma irreversibile, si ritrova a dover governare la piccola Scottie (Miller) e la diciassettenne Alex (Woodley), le quali non gli riconoscono alcuna autorità paterna. Con le due e uno strambo amichetto di Alex al seguito, Matt, dopo aver appreso di essere stato tradito dalla moglie che avrebbe addirittura voluto lasciarlo per un altro uomo, si mette in viaggio alla ricerca di quest'ultimo: sarà l'occasione per fare i conti con se stesso e rivedere anche la sue scelte finanziarie.
In equilibrio tra melodramma familiare e commedia, il film di Payne riesce di gran lunga meglio in questa seconda dimensione. Situazioni ai limiti del grottesco e battute spiritose non mancano, ma l'insieme è davvero poco consistente anche per una sola nomination all'oscar. Fatto sta che il film si è assicurato la statuetta per la miglior sceneggiatura non originale.    

venerdì 24 febbraio 2012

Cortesie per gli ospiti (The comfort of strangers)

anno: 1990   
regia: SCHRADER, PAUL
genere: drammatico
con Christopher Walken, Rupert Everett, Natasha Richardson, Helen Mirren, Mario Cotone, Rossana Cagliari, Manfredi Aliquò, Fabrizio Castellani, David Ford, Daniel Franco, Giancarlo Previati, Antonio Serrano
location: Italia
voto: 5

A Ian McEwan piacciono le storie forti, estreme. È questo il segreto del suo successo ed è per questa ragione che i suoi romanzi hanno tanto appeal sul pubblico femminile. Cortesie per gli ospiti è la prima tra le sue opere a essere portata sul grande schermo (seguiranno Il giardino di cemento, L'innocenza del diavolo, L'amore fatale ed Espiazione). La storia, implausibile dall'inizio alla fine, è quella di una coppia in viaggio a Venezia alla ricerca del perduto ardore. Tra i vicoli della laguna i due si imbattono in un personaggio eccentrico e misterioso (Walken), che li introduce nella sua lussuosissima casa sul Canal Grande, tutta damascata, una sorta di museo, nella quale comincia ad avere strani comportamenti, fino agli eccessi finali che, rappresentando il culmine del racconto, non possono ovviamente venir raccontati.
Schrader, sceneggiatore feticcio di Scorsese, conserva la tensione del romanzo, affidando alla fisicità di Rupert Everett (abbondantemente esposto in costume adamitico) e allo sguardo mefistofelico di Christopher Walken i ruoli centrali. La fotografia gotica di Dante Spinotti enfatizza la tanto la Venezia moresca quanto l'alone di mistero che avvolge la storia, che tuttavia si muove goffamente tra riferimenti a Lewis Carroll e morbosità erotiche fini a se stesse. Da ricordare l'interpretazione di Natasha Richardson: raramente al cinema si è vista una prova peggiore di questa. Sceneggiatura (sprecata) di Harold Pinter.    

domenica 19 febbraio 2012

In time

anno: 2012       
regia: NICCOL, ANDREW
genere: fantascienza
con Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Cillian Murphy, Vincent Kartheiser, Olivia Wilde, Alex Pettyfer, Johnny Galecki, Matt Bomer, Jesse Lee Soffer, Aaron Perilo, Nick Lashaway, William Peltz, Ray Santiago, Zuleyka Silver, Will Harris, Michael William Freeman, Shyloh Oostwald 
location: Usa
voto: 5


In ossequio al celebre motto di Benjamin Franklin, secondo il quale "il tempo è denaro", nel film di Andrew Niccol la lotta di classe si sposta sull'asse del capitale cronometrico. In un futuro imprecisato gli umani sono geneticamente programmati per vivere fino a 25 anni. Dopo quel momento rimane loro soltanto un altro anno di vita: i più abbienti potranno comprare tempo a volontà fino a diventare quasi immortali; gli altri, la massa, dovranno subire l'inesorabilità del destino. Will Salas (Timberlake), operaio nel quartiere ghetto della città (rigorosamente divisa in zone orarie, altra trovata geniale del film) si ritrova con un inaspettato capitale di oltre un secolo grazie alla donazione di un suicida. Decide allora di varcare le zone orarie e, affiancato dalla figlia ribelle di un cronarca (Seyfried, una autentica caricatura umana), escogita un piano per donare tempo a tutta la popolazione.
Tolta la brillante idea di fondo, il film riprende in parte lo schema di un precedente lavoro dello stesso Niccol, Gattaca, al centro del quale c'era la stessa intuizione di un mondo diviso in classi secondo programmi genetici. Dopo una ventina di minuti, però, l'operazione comincia a traballare, il Robin Hood del tempo si trasforma sempre di più in un supereroe da fumetto o, con la sua sodale, in una versione futuristica di Bonnie & Clyde. La tiritera dello scambio di tempo alla lunga stanca, il custode del tempo (Murphy) che li insegue con piglio da burocrate zelante rasenta il ridicolo e le facce degli attori, tutti ugualmente scarsi, sono pupate come nel 99% dei film destinati ad attrarre il pubblico più giovane. Peccato, perché l'intuizione sociologica che sta dietro al film avrebbe potuto essere sfruttata con meno clangore, il sottotesto con riferimento a uno dei paradossi più noti della relatività (la velocità rallenta lo scorrere del tempo) è più che indovinata e le scenografie sono da applauso.    

Vittorio racconta Gassman - Una vita da mattatore

anno: 2010   
regia: SCARCHILLI, GIANCARLO
genere: documentario
con Vittorio Gassman, Alessandro Gassman, Agostina Belli, Sergio Castellitto, Dino De Laurentiis, Giancarlo Giannini, Roberto Herlitzka, Mario Monicelli, Ornella Muti, Jacques Perrin, Gigi Proietti, Francesco Rosi, Anna Proclemer, Ettore Scola, Carlo Verdone, Paolo Virzì
location: Italia
voto: 7


A dieci anni dalla morte uno dei più grandi attori italiani di tutti i tempi ("il più grande", sentenzia il figlio Alessandro, che nell'accompagnarci in questo viaggio ammette di essere di parte), Vittorio Gassman viene ricordato con un documentario molto classico, che si sviluppa cronologicamente alternando le testimonianze di chi lo ha conosciuto con i ritagli d'epoca. Ne emerge il quadro di un mattatore insaziabile, atletico, dal fisico prestante (iniziò con la pallacanestro), paradossalmente timido e riflessivo, fulminato - dopo l'iniziale spinta materna - dal teatro e in particolare dalla figura di Edmund Kean, figura luciferina e istrionica che si adatta perfettamente a quello che Gassman fu sui set cinematografici. Passano così in rassegna le immagini dei primi ruoli da cattivo, i virtuosismi atletici, la svolta nel genere comico arrivata con Monicelli, i ritagli di teatro shakespeariano e la televisione, le mattate di Canzonissima, ma anche qualche sprazzo del privato, condito da molte donne, qualche moglie e quattro figli, dalla depressione. Rispetto ai molti omaggi ai grandi del cinema che ci hanno lasciato e che abbiamo potuto vedere negli ultimi anni, il film di Scarchilli rimane una spanna sotto il magnifico documentario dedicato a Volontè (Gian Maria Volontè: un attore "contro"), ma supera certamente tanto quello su Mastroianni (Marcello, una vita dolce) che quello su Tognazzi (Ugo Tognazzi. Ritratto di mio padre).    

La regina dei castelli di carta (Luftslottet som sprängdes)

anno: 2010       
regia: ALFREDSON, DANIEL  
genere: giallo  
con Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Lena Endre, Annika Hallin, Jacob Ericksson, Sofia Ledarp, Anders Ahlbom, Micke Spreitz, Georgi Staykov, Mirja Turestedt, Niklas Falk, Hans Alfredson, Lennart Hjulström, Jan Holmquist, Niklas Hjulström, Johan Kylén, Tanja Lorentzon, Donald Högberg, Magnus Krepper, Michalis Koutsogiannakis, Aksel Morisse, Carl-Åke Eriksson, Jacob Nordenson, Peter Andersson, Sanna Krepper, Tomas Köhler, Johan Holmberg, Rolf Degerlund, Ylva Lööf, Pelle Bolander, Nicklas Gustavsson, Aida Gordon, Ismet Sabaredzovic, Hamidja Causevic, Tehilla Blad  
location: Svezia
voto: 5,5

Il terzo episodio della serie Millennium, uscita dalla penna dello sfortunato scrittore Stieg Larsson, assurto a fama mondiale soltanto dopo la pubblicazione della sua ultima fatica, è anche il meno riuscito. La hacker punk con una pesantissima storia personale sulle spalle, Lisbeth Salander (Rapace), ruba la scena e il primo posto nei credits al caporedattore della rivista Millennium, Mikael Blomkvist (Nyqvist). La ritroviamo in un ospedale, sorvegliata a vista, lì dove l'avevamo lasciata nell'episodio precedente, in occasione del quale aveva reagito al tentativo di omicidio da parte di suo padre, piantandogli un'accetta in testa. L'uomo ha la scorza dura, come d'altronde anche il fratellastro di Lisbeth che continua a darle la caccia, ed è implicato in un giro di servizi segreti paralleli dal quale si teme che possano uscire informazioni riservatissime proprio da parte di Lisbeth. Lo psichiatra della combriccola malavitosa vorrebbe internarla di nuovo ma Mikael fiuta il complotto ed è deciso a qualsiasi cosa pur di dare verità e giustizia alla ragazza. Tra aule di tribunale, dialoghi interminabili, minacce reiterate e regolazione di conti, le due ore e mezza di film passano tra molti sbadigli, qualche rara invenzione in fase di sceneggiatura, inseguimenti messi lì come il prezzemolo e una regia che sembra aver mutuato in tutto e per tutto lo stile da telefilm dell'ispettore Derrick.    

venerdì 17 febbraio 2012

Millennium - Uomini che Odiano le Donne (The Girl with the Dragon Tattoo)

anno: 2012       
regia: FINCHER, DAVID  
genere: giallo  
con Daniel Craig, Rooney Mara, Robin Wright, Stellan Skarsgård, Joel Kinnaman, Embeth Davidtz, Christopher Plummer, Joely Richardson, Goran Visnjic, Julian Sands  
location: Svezia
voto: 7

Mikael (Craig), giornalista d'assalto e direttore della prestigiosa rivista Millennium, viene assoldato da un miliardario (Plummer) per indagare sulla scomparsa della nipote, avvenuta 40 anni prima. Con l'aiuto della hacker Lisbet (Mara), ragazza interrotta dai marcati connotati punk, Mikael scopre una serie di delitti che sembrano essere accomunati da fanatismo filonazista. Forse anche il caso su cui sta indagando ricade tra questi…
Remake del film tratto dal primo best seller della serie Millennium, uscita dalla penna dello scomparso Stieg Larsson. Inevitabile il confronto con l'originale made in Sweden: dinamismo, cura del dettaglio e delle location, riuscita della struttura a ipertesto, montaggio ed effetti speciali sono tutti dalla parte del prodotto americano. Ma quello svedese affondava con maggiore crudezza nella mente torbida di molti personaggi, senza risparmio di grand guignol e con un'impostazione più classica. Per il resto, il film conferma le buone doti di Fincher nel dirigere film di genere ad alto tasso adrenalinico, senza farsi scrupolo di misurarsi con la violenza più efferata.    

La lunga strada verso casa (The long walk home)

anno: 1990   
regia: PEARCE, RICHARD  
genere: drammatico  
con Sissy Spacek, Whoopi Goldberg, Dwight Schultz, Ving Rhames, Dylan Baker, Erika Alexander, Lexi Randall, Richard Habersham, Jason Weaver, Crystal Robbins, Cherene Snow, Chelcie Ross, Dan Butler, Philip Sterling, Schuyler Fisk, Nancy Moore Atchison, Haynes Brooke, Jim Aycock, Rebecca Wackler, Charles Hubbard, Harriet Sumner, Gleaves Azar, Jim Haffey, Stacy Fleming, Jeff Taffet, Jay Reed, Afemo Omilami, Debbie Hackett, Lynne Pickering, Fairley McDonald, Graham Timbes, Norman Matlock, Dorrell Dorsey, Bobby Howard, Cynthia B. Wilson, Dan Jenkins, Katherine Conely, Sherwood 'Ric' Pearson, Kevin Thigpen, Everett McCorvey, T. Clifford Bibb, A. Bernard Sneed, David E. McCorvey, Carl Stephens, Perry Carter, Henry Marcus Jr., Troy La Don Pate, Michael Sansom, Dorothy Love Coates, Christine Windham, Gladys Bozwell, Betty Jean Washington, Minnie Stringer, Callie Graham, Lillian Luddington, Fidella Earls, Cynthia King  
location: Usa
voto: 7

La lunga strada percorsa da Obama verso la Casa Bianca parte da Montgomery, in Alabama, nel 1955. È qui che la nera Rose Parks si rifiutò di cedere il proprio posto a un bianco su un autobus. La gente di colore ne fece seguire un boicottaggio ad oltranza delle linee pubbliche che si concluse l'anno successivo con la fine dell'apartheid sui mezzi di trasporto. Da quelle lotte sarebbero seguiti l'emersione della figura di Martin Luther King, l'estensione del diritto di voto ai neri e, appunto, il primo nero alla Casa Bianca.
Pur non essendo immune da difetti - a cominciare dalla direzione degli attori e a proseguire con la confezione da sceneggiato televisivo - il film dell'ex documentarista Richard Pearce - tratto da un soggetto autobiografico dell'attrice  Mary Steenburgen - ha l'indiscutibile merito di proporsi come un apologo morale su quelle intollerabili distinzioni di razza. Al centro della vicenda, che fa ampi quanto didascalici riferimenti al contesto storico, c'è la domestica nera di un'agiatissima famiglia (Goldberg). La donna partecipa al boicottaggio e viene appoggiata dalla sua datrice di lavoro, la signora Thompson (Spaceck), persona progressista e impermeabile al gretto provincialismo dei suoi concittadini, marito compreso (Schultz). Mentre i bianchi si mobilitano per contrastare con maniere spicce un fenomeno di cui loro stessi sono i soli responsabili, la signora Thompson prosegue dritta per la sua strada.    

domenica 12 febbraio 2012

La locanda della sesta felicità (The inn of the sixth happiness)

anno: 1958   
regia: ROBSON, MARK 
genere: drammatico 
con Ingrid Bergman, Curd Jürgens, Robert Donat, Michael David, Athene Seyler, Ronald Squire, Moultrie Kelsall, Richard Wattis, Peter Chong, Tsai Chin, Edith Sahrpe, Joan Young, Lian-Shin Young, Noel Hood, Burt Kwouk 
location: Cina, Regno Unito
voto: 2

Messa all'indice per via del suo matrimonio scandaloso con Roberto Rossellini, Ingrid Bergman trova il suo pieno riscatto cinematografico adottando un personaggio che è di segno opposto rispetto a quello pubblico che le era costato l'ostracismo. Peccato che la missionaria laica dai lei impersonata, che negli anni '30 lascia l'Inghilterra per andarsene in Cina, sia tutta una gentilezza, una carità, un ossequio alla precettistica cristiana più corriva. Tra ricevimenti a palazzo, lotta per la sopravvivenza, soprusi sventati per un soffio, pregiudizi da parte degli autoctoni, le oltre due ore e mezza di film scorrono con una lentezza insostenibile, nell'attesa dell'arrivo degli invasori giapponesi allo scoppio della seconda guerra mondiale. Ovvero, il momento topico del film, quello in cui la "straniera" dà fondo a tutto il proprio eroismo mettendo in salvo molti orfanelli.
Stucchevole, lentissimo, verboso, il film di Mark Robson dista anni luce da quel capolavoro corale che era stato I peccatori di Peyton, girato appena due anni prima, del quale conserva l'indole da melodrammone provinciale (lì, la provincia degli States, qui quella di un mondo ancora sottosviluppato). Da dimenticare.    

sabato 11 febbraio 2012

Davanti agli occhi (The Life Before Her Eyes)

anno: 2009       
regia: PERELMAN, VADIM 
genere: drammatico 
con Uma Thurman, Evan Rachel Wood, Eva Amurri Martino, Gabrielle Brennan, Brett Cullen, Oscar Isaac, Jack Gilpin, Maggie Lacey, John Magaro, Lynn Cohen, Nathalie Paulding, Molly Price, Oliver Solomon, Anna Moore, Isabel Keating, Adam Chanler-Berat, Tanner Cohen, Aldous Davidson, Ann McDonough, Sharon Washington, Kia Jam, J.T. Arbogast, Jewel Donohue, Shayna Levine, Anslem Richardson, Evan Neumann, Reathel Bean, Tuck Milligan, Jessica Carlson, Molly Shreger, T.J. Linnard 
location: Usa
voto: 1

Con La casa di sabbia e nebbia ci aveva storditi per la raffinatezza ed il garbo con cui era riuscito a ricamare lo splendido ritratto di due esistenze ferite, a dispetto della melensaggine del titolo. Cosa sia successo con questo Davanti agli occhi, anonimo e pessimo a partire dal titolo, non si capisce. Siamo in una scuola superiore della provincia americana, dove uno studente massacra compagni di scuola e professori proprio come alla Columbine. la diciassettenne Diane (Wood) si salva e la ritroviamo anni dopo (stavolta a interpretarla è Uma Thurman) con gli occhi distanziati, le labbra carnose e 3 taglie di più di reggipetto (nel casting vanno forte con le sottigliezze), in preda ai sensi di colpa: in occasione dell'eccidio, sembra farci credere la regia in un continuo viavai temporale, la sua migliore amica (Amurri) ebbe la peggio davanti all'ambarabaccicciccoccò del serial killer (Isaac). Ma forse le cose non stanno come sembrano…
Quanta mescalina abbia assunto Vadim ci è ignoto. È fuor di dubbio, tuttavia, che senza uno straccio di copione (lo spunto di partenza è La vita davanti ai suoi occhi di Laura Kasischke) il regista di origini ucraine è riuscito a tirarla per le lunghe per un'ora e mezza, sciorinandoci paccottiglia psicologica, ridicoli colpi di scena, attori inguardabili e pessimi dialoghi. La versione italiana completa l'opera con un doppiaggio nauseabondo.    

giovedì 9 febbraio 2012

Racconto di Natale (Un conte de Noël)

anno: 2008   
regia: DESPLECHIN, ARNAUD  
genere: drammatico  
con Catherine Deneuve, Jean-Paul Roussillon, Mathieu Amalric, Anne Consigny, Melvil Poupaud, Hippolyte Girardot, Emmanuelle Devos, Chiara Mastroianni, Laurent Capelluto, Emile Berling, Françoise Bertin, Samir Guesmi, Azize Kabouche, Thomas Obled, Clément Obled  
location: Francia
voto: 5

Esistenze parallele, ferite profonde che il tempo non ha mai rimarginato, disfunzioni, amori inespressi, follia e un padre anziano e dolcissimo (Roussillon) che non riesce a rincollare i pezzi. È questo lo scenario che fa da sfondo ai giorni che una famiglia francese passa di nuovo insieme nella casa avita dopo tanto tempo. L'occasione è data dalla scoperta che mamma Junon (nomen omen: a interpretarla è una Catherine Deneuve molto imbolsita e giunonica) ha una rara malattia che ha qualche speranza di trattamento soltanto con un trapianto di midollo da un familiare geneticamente compatibile. In quei giorni, i vecchi rancori, le frustrazioni di un tempo, le asperità delle relazioni aggallano in forme anche violente.
Desplechin firma un film corale con un cast di attori mediocri nel quale spiccano le prove di Amalric e Roussillon. La materia filmica è debordante, l'urgenza di raccontare qualsiasi cosa sembra sfuggire dalle mani del regista, al punto da indurlo a ricorrere in più di un'occasione a indecifrabili soluzioni registiche in soggettiva e a simbolismi oscuri. La raffinatezza dei dialoghi riequilibra un film ipertrofico e fluviale, grottesco e originalissimo, ma assolutamente privo di un qualsiasi baricentro stilistico e davvero troppo ansioso di dire tutto il possibile in tutte le maniere possibili.    

martedì 7 febbraio 2012

Ti amerò sempre (Il y a longtemps que je t'aime)

anno: 2009   
regia: CLAUDEL, PHILIPPE  
genere: drammatico  
con Kristin Scott Thomas, Elsa Zylberstein, Serge Hazanavicius, Frédéric Pierrot, Laurent Grévill, Lise Ségur, Jean-Claude Arnaud, Mouss Zouheyri, Souad Mouchrik, Catherine Hosmalin, Claire Johnston, Olivier Cruveiller, Lily-Rose  
location: Francia
voto:6

Quale segreto nasconderà mai il mutismo di Juliette (Scott Thomas), donna solitaria, triste e scontrosa, che dopo quindici anni di prigione riassapora la brezza della libertà andandosi a stabilire per qualche tempo a casa della sorella minore (Zylberstein)? L'intero film è giocato sulla tensione che vortica intorno alla donna, sui pregiudizi di chi, pur intimo, non sa cosa sia realmente accaduto, su una dignità che non viene mai a compromessi con la crudeltà spesso gratuita degli umani. Facendo leva su un'intensa Kristine Scott Thomas, Philippe Claudel, scrittore passato al cinema, gioca le sue carte migliori con l'inquietudine della protagonista, una ex-medico profondamente laica e convinta fino in fondo delle proprie ragioni, ma sbalestra verso un sentimentalismo eccessivo e piagnucoloso a mano a mano che si avvicina l'agnizione.    

lunedì 6 febbraio 2012

Agenzia matrimoniale A (Robert et Robert)

anno: 1978   
regia: LELOUCH, CLAUDE  
genere: grottesco  
con Charles Denner, Jacques Villeret, Jean-Claude Brialy, Nella Bielski, Josette Derenne, Arlette Emmery, Arlette Gordon, Germaine Montero, Macha Meril, Michèle Morgan, Francis Perrin, Régine, Mohamed Zinet  
location: Francia
voto: 3

Il tassista Robert (Villeret) e l'aspirante vigile urbano Robert (Denner) si conoscono presso un'agenzia matrimoniale. Entrambi timidi inguaribili, riusciranno progressivamente a emanciparsi dal giogo delle rispettive mamme e a guardare al mondo con meno paura e diffidenza. Per l'aspirante vigile, poi, l'impaccio si trasformerà nell'occasione per diventare un asso del cabaret.
Buddy movie dal registro grottesco, giocato sul tema della timidezza riuscendo a coagulare sentimentalismo e cattiveria, il film di Lelouch rimane a metà strada tra la fenomenologia dell'introverso e l'analisi del pregiudizio.    

domenica 5 febbraio 2012

Cous cous (La Graine et le mulet)

anno: 2008   
regia: KECHICHE, ABDELLATIF 
genere: drammatico 
con Habib Boufares, Hafsia Herzi, Faridah Benkhetache, Abdelhamid Aktouche, Bouraouïa Marzouk, Alice Houri, Cyril Favre, Leila D'Issernio, Abdelkader Djeloulli, Bruno Lochet, Olivier Loustau, Sami Zitouni, Sabrina Ouazani, Mohamed Benabdeslem, Hatika Karaoui, Nadia Taouil, Henri Rodriguez 
location: Francia
voto: 6,5

Che dignità che ha Slimane (Boufares). A sessantuno anni perde il lavoro come manovale portuale in un paese dalle parti di Marsiglia. Non si perde d'animo, nonostante un'esistenza già precaria vissuta in una stanzetta, e comincia a vagare per banche e uffici comunali al fianco della sua figliastra (la sensualissima Hafsia Herzi) per mettere in piedi un'altra attività: un barcone-ristorante specializzato in cous cous di pesce. La sera del debutto, però, tutto va storto.
Tra commedia e melodramma, La graine et le mulet (questo il titolo originale) ha una cifra stilistica riconoscibile nella messa in scena della cultura magrebina di prima e seconda generazione trasferita in Francia e nei dialoghi tachilalici. L'impronta neorealista mostrata nei precedenti Tutta colpa di Voltaire e La schivata si ritrova in tutta evidenza in quest'opera corale e vociante, affidata ad attori non professionisti di strabiliante naturalezza. Il film tuttavia soffre di un eccesso di misura, sicché un'opera che avrebbe potuto essere un capolavoro non trova mai un baricentro, tra ellissi narrative e bruschi rallentamenti, come la lunghissima scena in montaggio alternato della danza del ventre. Finale tutt'altro che consolatorio.
Alla 64esima mostra di venezia il film ha vinto il premio speciale della giuria (ex-aequo con Io non sono qui di Todd Haynes), il premio Marcello Mastrianni ad Hafsia Herzi come miglior attrice emergente, il premio la Navicella-Venezia cinema, il premio Fipresci, la menzione speciale della giuria Signis, il premio Arcagiovani e il premio Nazareno Taddei.    

venerdì 3 febbraio 2012

La schivata

anno: 2005   
regia: KECHICHE, ABDELLATIF  
genere: drammatico      
con Osman Elkharraz, Sara Forestier, Sabrina Ouazani, Nanou Benhamou, Hafet Ben-Ahmed, Aurelie Ganito, Carole Franck, Hajar Hamlili, Rachid Hami, Meryem Serbah, Hanane Mazouz, Sylvain Phan, Fatima Lahbib, Ariyapitipum Naruemol, Brigitte Bellony-Riskwait, Ki Hong, Nu Du, Reinaldo Wong, Olivier Loustau, Rosalie Symon, Lucien Tipaldi, Patrick Kodjo Topou  
location: Francia
voto: 5

In Francia, per fare l'Autore con la A maiuscola basta trasferirsi nelle banlieues parigine, prendere qualche ragazzetto di origini magrebine e metterlo a recitare con stile neo-neorealista una storiellina sentimentale qualsiasi. È quello che avviene con questo La schivata, al centro del quale c'è Krimo (Elkharraz), bulletto adolescente beur, indolente e indeciso, che si lascia irretire da Lydia (Forestier), biondina provocante. La faccenda tra i due coinvolge amici e amiche, in una ridda di polemiche, sproloqui, liti e contraddizioni che fa da bordone all'attività teatrale nella quale il gruppo è coinvolto e che permette a Krimo di trovare la via per confessare il proprio innamoramento a Lydia. La regia va forte quando tratteggia le coordinate dell'estrema periferia parigina, ma si perde in una sceneggiatura inutilmente parolaia, costantemente sopra le righe, dove voci sovreccitate, sguardi iniettati di sangue e polizia incattivita non bastano a giustificare due ore di racconto prolisso.