sabato 29 settembre 2018

Hold the dark

anno: 2018       
regia: SAULNIER, JEREMY    
genere: giallo    
con Jeffrey Wright, Alexander Skarsgard, James Badge Dale, Riley Keough, Julian Black Antelope, Tantoo Cardinal, Macon Blair, Jonathan Whitesell, Peter McRobbie    
location: Iraq, Usa
voto: 1,5    

- Ciao Emy
- Cosa è successo?
- Poi ti spiego…
Ecco, ci piacerebbe se lo spiegasse pure a noi cosa è successo nelle due ore e passa di film, dopo aver pronunciato queste che sono le battute finali. Già perché l'ennesimo prodotto di infimo livello targato Netflix, che si sta profilando come l'annichilimento del Cinema a vantaggio sia di produttori che del pubblico incapace di alzare le terga dalla poltrona, è un'opera quanto mai criptica (colpa del romanzo da cui trae spunto, firmato da William Giraldi?). C'è uno scrittore (Wright), che è esperto di lupi, il quale riceve una lettera (non una mail: proprio una lettera, vergata a mano) da una tizia in Alaska che sostiene che i quadrupedi hanno banchettato col suo unico figlioletto. L'uomo, senza sapere chi sia l'interlocutrice, prende e parte. Stacco. Da qualche parte in medio oriente, il marito della signora (Skarsgard) gioca a sparatutto con gli islamici del posto, salvo poi difendere l'onore di un'autoctona stuprata da un suo commilitone. Stacco. Torniamo in Alaska. La donna è sparita, il cadavere del bambino viene ritrovato (intatto, ma pur sempre cadavere) e così comincia la caccia alla donna. Stacco. Il maritino torna a casa e sembra che sia un filino irritato con la consorte per la riduzione del 33% del nucleo familiare. Stacco. Un pazzo fa una strage di poliziotti. Poi accadono altre cose che è inutile raccontare. Ogni tanto si vede qualche lupo in mezzo alle nevi del Grande Nord e anche il maritino, nonostante Carnevale sia ancora lontano, si traveste da lupo (giuro!). Fine della cronaca.
Quando si parla di fiducia nei sistemi esperti e del fatto che la rete abbia sottratto al giornali una fetta considerevolissima di lettori, si invoca sempre la stessa questione nella speranza di riequilibrare le cose e dare dell'imbecille a chi preferisce qualche buon blog alla carta stampata: di qua ci sono gli esperti, i professoroni, quelli che hanno studiato la materia; di là gli scribacchini improvvisati. Tutto vero. Ma si dimentica di dire che i primi spesso (si veda il caso clamorosissimo de La Repubblica che oggi riesce a far sbiadire le imprese della Pravda) fanno marchette per i potenti (che, nel caso del cinema, si chiamano Rai, Netflix, Amazon, Sky Cinema, eccetera), mentre i secondi sono certamente più liberi. Tutta questa giaculatoria per dire che le poche riviste di cinema edite in Italia promuovono filmacci come questo senza alcun pudore e l'appassionato che cerca di documentarsi non fa che caderci regolarmente con tutte le scarpe. Evitate Hold the dark.    

mercoledì 26 settembre 2018

La banda Grossi

anno: 2018       
regia: RIPALTI, CLAUDIO    
genere: drammatico    
con Camillo Marcello Ciorciaro, Roberto Marinelli, Rosario Di Giovanna, Leonardo Ventura, Paolo Santinelli, Aldo Ferrara, Edoardo Raggetta, Mateo Çili, Cristian Marleta, Manuel D'Amario    
location: Italia
voto: 6,5    

È una storia vera eppure rimossa dai libri di storia quella della banda Grossi, guidata da Terenzio Grossi (Ciorciaro), che nel 1860, alla vigilia dell'unità d'Italia, imperversò nelle Marche e nel centro Italia, raccogliendo consensi e sostegno da una popolazione messa alla fame dalle continue vessazioni del governo sabaudo, che peraltro voleva introdurre il servizio di leva obbligatorio. Il racconto parte dalla testimonianza rilasciata in carcere dal numero due della banda, Olinto Venturi, detto Zinzin, a un membro della commissione d'inchiesta che deve fare luce sull'operato di un carabiniere mandato dal Prefetto a catturare Grossi sulle alture dell'Appennino. Il racconto di Olinto mette in luce l'anima rivoluzionaria di questi briganti renitenti alla leva, atei, eppure sostenuti almeno in parte dal papato, avversi ai piemontesi e costretti a vivere di espedienti pur di sopravvivere. Ma tra morti, catture e dissidi interni alla stessa banda - alla quale aderì il temibilissimo Sante Frontini, vero ago della bilancia dell'intera vicenda - la vicenda arrivò a un terribile epilogo.
Ci sarebbe da fare un monumento all'esordiente Claudio Ripalti, che con un crowdfounding di appena 50.000 euro è riuscito a realizzare un film dignitosissimo con un cast di attori perfettamente sconosciuti eppure assolutamente in parte, giostrando al meglio l'uso delle location (gran parte del film è girato in esterni, su sfondi naturalistici). Ripalti aggiorna così in una chiave quasi western la lezione del Salvatore Giuliano di Rosi a proposito di film sul brigantaggio, collocandola su uno sfondo storico ricco di contraddizioni e consegnandoci personaggi a tutto tondo, a partire Terenzio Grossi, capobanda carismatico e idealista. Come idealista e speculare alla sua figura è quella del carabiniere che gli dà la caccia. Alla complessità dei personaggi e alla ricchezza di sfumature del racconto si aggiungono anche elementi che permettono di leggere in filigrana i vizi della politica nostrana, la corruzione perpetua, l'intoccabilità dei vertici. Qualche inevitabile ingenuità - in primis l'uso della lingua italiana in luogo del vernacolo, ma anche la cura eccessiva delle dentature - e alcune lungaggini nel racconto non tolgono comunque valore a un film esemplare nella sua traiettoria produttiva.    

martedì 25 settembre 2018

Una storia senza nome

anno: 2018       
regia: ANDÒ, ROBERTO    
genere: giallo    
con Micaela Ramazzotti, Alessandro Gassmann (Alessandro Gassman), Laura Morante, Renato Carpentieri, Antonio Catania, Gaetano Bruno, Marco Foschi, Martina Pensa, Renato Scarpa, Silvia Calderoni, Emanuele Salce, Paolo Graziosi, Filippo Luna, Michele di Mauro, Allan Pearce Caister (Allan Caister Pearce), Giovanni Martorana, Jerzy Skolimowski    
location: Italia
voto: 1,5    

La regola è sempre la stessa: 9 volte su 10, quando un film parla di un regista in crisi, oppure di uno sceneggiatore o di uno scrittore con la sindrome da foglio bianco, non fidatevi: vuol dire che davvero chi lo ha scritto non sa cosa dire. Regola che diventa addirittura ferrea nel caso di questo Una storia senza nome, che - pur prendendo spunto da un fatto reale (il furto, in Sicilia, della Natività del Caravaggio da parte della mafia, mezzo secolo fa), annaspa nel più inverosimile dei plot possibili. Tutto sembra ruotare attorno ad Alessandro (Gassman), sceneggiatore che da un decina d'anni non riesce più a scrivere un rigo. A togliergli puntualmente le castagne dal fuoco c'è Valeria (Ramazzotti), segretaria nell'ufficio dove lavora il suo produttore (Catania), alla quale Alessandro passa somme cospicue in cambio di sceneggiature di successo. Ma la vera bomba arriva allorquando il nuovo soggetto scritto da Valeria proviene da una storia vera che le viene raccontata da un anziano quanto misterioso investigatore (Carpentieri), che le rivela i retroscena che stanno dietro il furto di quel famoso quadro.
Roberto Andò continua imperterrito per quella strada tanto impervia quanto senza uscita che è il suo cinema fatto di misteri irrisolti, personaggi doppi e tanta, tanta incompiutezza, come ne Le confessioni e Sotto falso nome. Qui l'intreccio diventa addirittura involontariamente comico, con una madre (Morante) che sta a stretto contatto con il gotha della politica, fa la ghostwriter per conto di un ministro della repubblica (Scarpa) ed entra indisturbata a Palazzo Chigi senza che nessuno controlli o la fermi. Poi c'è un produttore siciliano (Bruno) colluso con la mafia che non si sa quali esigenze di copione spingano a recitare balbettando, c'è Gassman che rimane per mesi in coma in ospedale e, pur di mostrarne i pettorali, nessuno si preoccupa mai di mettergli un pigiama addosso, per non dire delle figure di contorno (i mafiosi) che sono meno che caricature, o di gente che muore e poi resuscita. Altrettanti pietosissimi veli andrebbero stesi sulla protagonista, Micaela Ramazzotti, che parla come se fosse perennemente afona e come se in tutta la carriera non avesse mai cambiato set, o sulla Morante perennemente disabbigliata, nonché sui personaggi che spariscono improvvisamente dal racconto dopo essere stati legati al letto per un incontro sadomaso e così via. Come se non bastasse, le musiche onnipresenti, ampollose e tonitruanti di Marco Betta non abbassano mai il livello di decibel per l'intero film, finendo col mangiarsi anche qualche dialogo. Per Roberto Andò la strada del ridicolo non conosce confini.    

sabato 22 settembre 2018

Final Portrait - L'Arte di essere Amici

anno: 2017       
regia: TUCCI, STANLEY    
genere: biografico    
con Geoffrey Rush, Armie Hammer, Clémence Poésy, Tony Shalhoub, Sylvie Testud, James Faulkner    
location: Francia
voto: 2    

Parigi, 1964. James Lord (Hammer), critico d'arte americano, incontra il suo sodale Alberto Giacometti (Rush), artista svizzero di acclarata fama. Quest'ultimo propone all'amico di posare per lui per un ritratto: l'operazione - dice - prenderà al massimo un paio di giorni. Che invece diventano 18, la stragrande maggioranza dei quali passati nell'atelier del geniale pittore e scultore, alla presenza della moglie di quest'ultimo (Testud) e di una prostituta (Poésy) frequentata da Giacometti alla luce del sole, tra giri in macchina e incursioni nei bistrot locali.
Stanely Tucci esordisce dietro la macchina con un film che più monocorde non si potrebbe. L'impresa finisce così col ricadere per intero sulla titanica interpretazione di Geoffrey Rush (una prova così maiuscola da meritare le stesse lodi che l'attore australiano ebbe per Shine, Tu chiamami Peter e La migliore offerta), che surclassa i suoi comprimari dando al suo personaggio un accento febbrile e nevrotico. Ma che non basta a bilanciare la ripetitività estenuante del racconto.    

Open Land - Meeting John Abercrombie

anno: 2018   
regia: OEHRI, ARNO    
genere: documentario    
con John Abercrombie, Lisa Abercrombie, Adam Nussbaum, Gary Versace, Ric McCurdy, Al    
location: Usa
voto: 6,5    

Nel 2017, a 73 anni, il chitarrista americano John Abercrombie ci ha lasciati. Giusto in tempo affinché Arno Oehri e Oliver Primus (ma la regia è soltanto del primo) riuscissero a impacchettare questo documentario che ne raccoglie una delle ultime confessioni. Dall'amore viscerale per la musica di Bill Evans e per il chitarrismo elettrico di Wes Montgomery, fino all'appassionato confronto con un liutaio sul suono delle sue chitarre, il musicista di Port Chester ci accompagna per un'ora e mezza con la sua consueta dose di umorismo, con quella voce profonda, magnifica e sincera, con quelle venature di timidezza nascoste dietro a quei lunghi mustacchi che hanno costantemente solcato il suo volto durante tutto il suo percorso artistico, cominciato quasi per caso sostituendo sul palco George Benson ("tremavo") e arrivando ad essere uno dei nomi di punta dell'etichetta bavarese ECM, che produce il documentario. In mezzo, un mucchio di sigarette fumate una dopo l'altra, brani di un concerto del 2014 in Lichtenstein con un organ trio composto da Adam Nussabaum (imperdibile il suo punto di vista a proposito della fatica dei viaggi durante i tour) e Gary Versace (fu proprio con un organ trio che Abercrombie esordì come bandleader con lo splendido Timeless, nel 1974, in compagnia di Jan Hammer e Jack DeJohnette). Immagini metropolitane e naturalistiche interrompono con la giusta cadenza il flusso narrativo per lasciare spazio alla musica (Within A Song, Banshee, 39 Steps, Class Trip), per poi tornare ai racconti penetranti e sinceri di quest'uomo aperto e fantasioso, che davanti alle macchina da presa ci racconta anche di quando perse tutto - chitarre comprese - nell'occasione in cui la sua casa bruciò. Lui e sua moglie Lisa - insieme per 33 anni - si salvarono. Ma non seppero mai se il loro gatto si salvò o finì nel rogo.    

venerdì 21 settembre 2018

Veleno

anno: 2017       
regia: OLIVARES, DIEGO    
genere: drammatico    
con Massimiliano Gallo, Salvatore Esposito, Luisa Ranieri, Gennaro Di Colandrea, Miriam Candurro, Nando Paone, Marianna Robustelli, Gaetano Amato    
location: Italia
voto: 5,5    

Nel Casertano, Cosimo (Gallo) ha contratto un tumore causato dai veleni del terreno che lavora e dove alleva mucche. L'avvocato proprietario dell'appezzamento limitrofo (Esposito), in ascesa nella politica locale, fa di tutto per portarglielo via con offerte lusinghiere, volendone fare l'ennesima discarica a cielo aperto per rifiuti altamente inquinanti e pericolosi. Nonostante il tumore di Cosimo, disposto a cedere alla morte quanto al suo potenziale acquirente, sua moglie Rosaria (Ranieri) offre una spasmodica resistenza pur di non cedere al ricatto.
È dal lontano 2003 (I cinghiali di Portici) che non si vedeva un film del cinquantenne napoletano Diego Olivares, che qui torna con un'opera di grande impegno politico e civile che ci porta dritti agli orrori della terra dei fuochi. Il tema delle ecomafie à la Saviano e la presenza di Salvatore Esposito rimandano immediatamente la memoria alla serie Gomorra, ma qui lo stile - che risente di un'impostazione narrativa giocata eccessivamente su singoli quadretti - è tutt'altra cosa, giocato in sordina, su un registro che non ammicca mai alla violenza da gangster movie, ma cerca di mostrare la dignità di persone calpestate dalla camorra.    

The Equalizer 2 - Senza perdono

anno: 2018       
regia: FUQUA, ANTOINE    
genere: thriller    
con Denzel Washington, Pedro Pascal, Bill Pullman, Melissa Leo, Jonathan Scarfe, Ashton Sanders, Mickey Gilmore, Abigail Marlowe, Alexa Giuffre, Kayla Caulfield    
location: Belgio, Turchia, Usa
voto: 7    

Dopo 4 anni Denzel Washington torna più in forma che mai per mettere un po' d'ordine a Boston, ma all'occorrenza va anche in trasferta, per esempio in Turchia. E per fare piazza pulita di rapitori, sicari, bulletti di quartiere, figli di papà e killer professionisti non esita a ricorrere ad armi bianche come carte di credito o teiere, quando non arriva a veri e propri lavoretti da alta macelleria, con squartamenti chirurgici. Il due volte premio Oscar impersona un ex agente della CIA che lavora come tassista per una compagnia tipo Uber, un vedovo al quale viene uccisa l'unica amica (Leo) che gli è rimasta. Rimessosi in pista per vendicare l'omicidio, il nostro va alla ricerca dei responsabili, professionisti che hanno simulato una rapina per uccidere la donna, ma che invece sono dei fuoriusciti dalla stessa CIA. Nel frattempo, questo giustiziere della notte 2.0 ha un bel da fare per evitare che anche un giovane disegnatore che abita nel suo condominio (Sanders) venga assoldato dalla malavita.
Antoine Fuqua dimostra ancora una volta di essere uno dei migliori registi di film d'azione di Hollywood: ritmo tesissimo, intreccio ben congegnato e un bel po' di effetti speciali per simulare l'arrivo di un tornado nel lungo sottofinale si combinano con il tratteggio intimista e tutto in chiaroscuri di questo eroe appartato, che legge Proust e si muove col passo felpato di chi vorrebbe sempre stare nell'ombra. Washington lo interpreta anche senza muovere un solo muscolo facciale che non sia quello degli occhi, mettendo la firma su un'ennesima prova maiuscola. Sicché il secondo capitolo di The equalizer - tratto da una serie tv degli anni '80 - è uno di quei che non fanno affatto rimpiangere il precedente, salvo esplicitare forse un po' troppo quegli aspetti misteriosi del personaggio così finemente lasciati in ombra nell'opera precedente.    

giovedì 20 settembre 2018

La profezia dell'armadillo

anno: 2018       
regia: SCARINGI, EMANUELE    
genere: grottesco    
con Simone Liberati, Pietro Castellitto, Laura Morante, Valerio Aprea, Claudia Pandolfi, Teco Celio, Diana Del Bufalo, Kasia Smutniak, Vincent Candela, Adriano Panatta, Samuele Biscossi, Valerio Ardovino, Sofia Staderini, Gianluca Gobbi, Guglielmo Poggi    
location: Italia
voto: 1

Fino a qualche decennio fa i maestri del pensiero di chiamavano Alberto Arbasino, Italo Calvino, Umberto Eco, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia. Oggi si chiamano Maurizio Crozza, Roberto Saviano e Zerocalcare, al secolo Michele Rech. Così come una volta i fumetti si chiamavano fumetti e non graphic novel, con intollerabile magniloquenza. È proprio da Zerocalcare che esce uno dei film più insulsi dell'ultimo decennio, una di quelle opere che non possono neppure avvalersi - come nel caso di altri filmacci come L'arbitro o I peggiori - di un'efficace estetica da videoclip che per lo meno salva qualcosa sul piano della forma. Qui siamo di fronte al delirio totale, alla rappresentazione bislacca di una generazione per la quale l'ingresso nell'età adulta è segnato dai tragici fatti di Genova del 2001 e che non vede un futuro professionale possibile, dovendosi arrabattare  tra ambizioni artistiche, lavori in Co.Co.Co e ripetizioni private. Su una trama sconnessa che racconta il quotidiano di Zero (Liberati, già protagonista di Cuori puri), 27enne che vive nel quartiere periferico romano di Rebibbia insieme a un gigantesco armadillo (impersonato da Valerio Aprea) che è il suo alter-ego, si innesta una sottotrama legata alla perdita di una ex compagna di scuola di origini francesi, vissuta assieme al suo compagno di scorribande notturne Secco (Castellitto junior), forse l'elemento meno peggio del film. Dialoghi ampollosi a suon di frasi sentenziose, recitazione a zero, riprese meno che banali sono gli addendi di un film che ha avuto anche notevoli difficoltà produttive, passando dalle mani di Valerio Mastandrea, che dopo avere contribuito alla sceneggiatura ha abbandonato il progetto, a quelle di Emanuele Scaringi, che è riuscito nell'impresa di portare al disconoscimento dell'opera da parte dello stesso Zerocalcare.

Il cameo con Adriano Panatta è l'unica cosa da salvare.    

mercoledì 19 settembre 2018

La truffa del secolo (Carbone)

anno: 2017       
regia: MARCHAL, OLIVIER    
genere: noir    
con Benoît Magimel, Gérard Depardieu, Gringe, Idir Chender, Laura Smet, Michaël Youn, Dani, Patrick Catalifo, Moussa Maaskri, Carole Brana, Micky Sebastian, Catherine Arditi    
location: Francia
voto: 5    

Lo spunto di partenza del polar numero 5 firmato dall'ex poliziotto Olivier Marchal sta incollato alla crisi economica iniziata nel 2008 e non è affatto una cattiva idea. Dopo la firma del protocollo di Kyoto, nel 1997, fu istituita la Borsa del Carbonio, per ridurre i gas serra. Tra il 2008 e il 2009 un gruppo di truffatori mise su una gigantesca rete che approfittò di questa nuova situazione legislativa,  riuscendo a portare via all'Unione Europea e alla Francia, attraverso il sistema dei rimborsi, milioni di euro. La truffa del secolo (Carbone, nel titolo originale) parte proprio da qui: da un faccendiere (Magimel) che vede andare a picco l'azienda di famiglia ereditata dal padre e che faceva affari con la produzione del carbone. Per risanare i debiti, l'uomo fiuta l'occasione dei rimborsi, finendo in un giro criminale che lo porta a chiedere un anticipo di due milioni di euro a un malavitoso per poi creare una serie di società fittizie offshore, ciascuna delle quali avrebbe chiesto al governo francese i rimborsi per l'acquisto di pacchetti dell'eccedenza inquinante. Ma di mezzo c'è il ricchissimo suocero (Depardieu) dell'uomo in difficoltà, ebreo come lui, e la contesa del nipote.
Marchal continua a inseguire la vertigine di un film come L'ultima missione, licenziando tuttavia un film teso ma a tratti farraginoso e con una sottotrama - quella connessa al ruolo del suocero - piuttosto pretestuosa.    

lunedì 17 settembre 2018

I fantasmi d'Ismael (Les fantômes d'Ismaël)

anno: 2017       
regia: DESPLECHIN, ARNAUD    
genere: drammatico    
con Mathieu Amalric, Marion Cotillard, Charlotte Gainsbourg, Louis Garrel, Alba Rohrwacher, Laszló Szábó, Hippolyte Girardot, Samir Guesmi, Jacques Nolot    
location: Francia, Tagikistan
voto: 1,5    

Mathieu Amalric ha un talento straordinario nel fiutare copioni astrusi e pretenziosi, quando non è lui stesso a decidere di passare dietro la macchina da presa e a scrivere il soggetto, come nell'inguardabile Tournée. È successo con Gli amori folli, Venere in pelliccia - e stiamo parlando di Resnais e Polanski - o persino con uno dei peggiori 007 che la storia ricordi, Quantum of Solace. Si aggiunge alla lista, qui ridotta ai casi più clamorosi, anche questo I fantasmi d'Ismael, film pasticciatissimo costruito tra flashback e storie parallele con ambizioni così tracotanti che solo i francesi…
La vicenda raccontata è quella dello scrittore e regista Ismael, sottaniere accasatosi con un'affascinante astrofisica (Gainsbourg), che dopo 21 anni si ritrova sull'uscio di casa la ex moglie (Cotillard), sparita improvvisamente e data per morta dopo aver fatto di lui un vedovo inconsolabile e del padre (Garrel) un uomo in depressione perenne. La bella donna se l'è spassata in India, dove si è anche sposata, per poi decidere di riandarsi a prendere il marito come fosse una sua proprietà. Siccome così il lungometraggio sarebbe stato troppo poco assurdo e non abbastanza estenuante, meglio mescolare a caso immagini del film che il protagonista-regista sta girando con quelle del nuovo copione che sta scrivendo: vedi mai che la confusione non è sufficiente…
Arnaud Desplechin aveva giù diretto Amalric ne I re e la regina, Racconto di Natale, Jimmy P. e I miei giorni più belli. Qui - con quest'opera velleitaria e tracotante - riesce a sprecare il talento di attrici come Marion Cotillard, Charlotte Gainsbourg e Hippolyte Girardot, mentre la nostra Alba Rohrwacher continua a collezionare prove di una mediocrità imbarazzante, sembrando sempre la solita bambina catapultata suo malgrado sul set.    

domenica 16 settembre 2018

Salò o le 120 giornate di Sodoma

anno: 1975       
regia: PASOLINI, PIER PAOLO    
genere: grottesco    
con Paolo Bonacelli, Giorgio Cataldi, Umberto Paolo Quintavalle, Aldo Valletti, Caterina Boratto, Elsa De Giorgi, Hélène Surgère, Sonia Saviange, Sergio Fascetti, Bruno Musso, Antonio Orlando, Claudio Cicchetti, Franco Merli, Umberto Chessari, Lamberto Book, Gaspare Di Jenno, Giuliana Melis, Faridah Malik, Graziella Aniceto, Renata Moar, Dorit Henke, Antiniska Nemour, Benedetta Gaetani, Olga Andreis, Tatiana Mogilansky, Susanna Radaelli, Giuliana Orlandi, Liana Acquaviva, Rinaldo Missaglia, Giuseppe Patruno, Guido Galletti, Efisio Etzi, Claudio Troccoli, Fabrizio Menichini, Maurizio Valaguzza, Ezio Manni, Paola Pieracci, Carla Terlizzi, Anna Maria Dossena, Anna Recchimuzzi, Ines Pellegrini    
location: Italia
voto: 2    

Quando, nel 1975, Salò o le 120 giornate di Sodoma arrivò nelle sale, Pasolini era appena stato ucciso all'idroscalo di Ostia. Si ventilò l'ipotesi che tra le ragioni dell'omicidio si fosse aggiunta quella per cui l'intellettuale friulano avesse ormai superato il livello di guardia del tollerabile. Il film scatenò immediatamente la reazione della censura e avviò un processo nei confronti del produttore Grimaldi, poi assolto. Al di là della cronaca, il testamento cinematografico del Pasolini regista ha pochissimo o nulla a che fare col suo lascito di intellettuale raffinatissimo e lungimirante, attento a cogliere le contraddizioni di una società in rapido disfacimento e sempre più attratta dalla formula del consumo di massa. Il Pasolini regista non valeva un'unghia del Pasolini intellettuale. Il suo cinema, nel caso di questo film come in molti altri, è meno che amatoriale nei movimenti di macchina, approssimativo, rapsodico e a scatti nel montaggio, non ha alcun controllo sulla recitazione. È un cinema che rasenta costantemente la pura sperimentazione, al tempo stesso algido, incapace di coinvolgere nonostante la potenza dei temi. Che, in questo caso, ci portano al sadismo messo in atto da quattro autorità dei repubblichini di Salò, tra il 1944 e il 1945, che - in una villa sorvegliata da alcuni uomini armati - rinchiudono giovani ragazzi e ragazze per poi sottoporli a qualsiasi nefandezza. Articolato in quattro tempi (antinferno, girone delle manie, girone della merda e girone del sangue), il film per due ore segue sempre la stessa struttura narrativa e il medesimo cerimoniale: a turno, diverse vecchie megere raccontano particolari scabrosi della loro vita sessuale, che innescano l'eccitazione dei depravati gerarchi i quali abusano con ogni mezzo dei malcapitati, tutti costretti a recitare in costume adamitico per gran parte del film. L'orrore si manifesta in un succedersi ininterrotto di stupri, sodomia violenta, eonismo coatto, coprofagia (la scena del banchetto con escrementi umani serviti su pitali è davvero raccapricciante e inguardabile), asportazione di organi e altre amenità. Nelle intenzioni del regista, si tratterebbe di un'allegoria potente sulla mercificazione dei corpi e sull'annichilimento delle classi popolari, sopraffatte dal Potere nel suo stesso palazzo. Visto a distanza di anni, Salò è uno zibaldone di feroci mostruosità tratte da uno dei libri "più noiosi della letteratura mondiale, portato alle stelle dalla cultura snob, Le 120 giornate di Sodoma scritte dal marchese De Sade nel 1785", come ha scritto Giovanni Grazzini, allora come oggi una delle poche voci fuori dal coro di apostoli pasoliniani per i quali qualsiasi opera del saggista e poeta friulano è intoccabile.
A margine, un dettaglio non trascurabile: caso più unico che raro, il film è anticipato, nei titoli di testa, dalla bibliografia di riferimento.    

sabato 15 settembre 2018

La prima luce

anno: 2014   
regia: MARRA, VINCENZO    
genere: drammatico    
con Riccardo Scamarcio, Daniela Ramirez, Gianni Pezzolla, Luis Gnecco, Alejandro Goic, Paulina Urrutia, Maria Eugenia Barrenechea    
location: Cile, Italia
voto: 7    

Marco (Scamarcio) è un padre affettuoso e premuroso, oltre che un marito accorto. Fa l'avvocato e vive a Bari con Martina (Ramirez), che è di origine cilena. I due hanno un figlio, Mateo (Pezzolla), di sette anni. Martina è insofferente a quella città e vorrebbe tornare nel paese natale portando Mateo con sé. Ma ci vuole il nulla osta del padre, che è di tutt'altro avviso. Così la donna sparisce ugualmente senza farsi alcuno scrupolo. A Marco, dopo avere tentato la via dell'ambasciata, non rimane che andare sul posto e affidare la ricerca a un detective privato (Goic), prima di infognarsi in quel ginepraio della giustizia cilena.
Scamarcio interpreta con sensibilità e ricchezza di sfumature il padre che in molti vorremmo avere, assistito da una regia sorvegliata che inevitabilmente calca troppo sul teorema della colpa della madre. Difficile dunque resistere alla tentazione di una virulenta misoginia, quando al cinema ti viene squadernato davanti un personaggio così abominevole come quello di Martina. Fin dal principio non si capiscono le ragioni della donna, se non in maniera del tutto generica legate a un possibile nostos, né è chiara la ragione della sua acrimonia nei confronti del marito. Si capisce invece perché Vincenzo Marra - già autore di opere pregevoli come Vento di terra, Tornando a casa, L'ora di punta e Il gemello - abbia firmato un film così sbilanciato, eppure sincero, toccante, pieno di umanità e mai retorico: è la storia che lo stesso Marra ha vissuto sulla sua pelle. Ma il vero imputato del film sembra essere il farraginoso sistema della giustizia internazionale, che tutela assai più le madri rispetto ai padri.    

venerdì 14 settembre 2018

La convocazione

anno: 2017   
regia: MAISTO, ENRICO    
genere: documentario    
con Anna Conforti, Fabio Tucci, Daniela Migliacci, Pasquale Magnifico, Chiara Mangoni, Valentina Milanaccio,  Emanuele Marfoni, Susi Bassi, Luisella Iacono, Francesca Pesce, Danilo Rimoldi, Egidio Martinelli    
location: Italia
voto: 7    

Milano, corte d'assise d'appello. È qui, nel palazzo di giustizia costruito durante il fascismo, che 60 cittadini scelti casualmente da un sistema informatico devono obbligatoriamente presentarsi per prendere parte alla selezione che individuerà in sei di loro i membri della giuria popolare che dovrà affiancare i magistrati nei processi per reati gravi: omicidi o stragi. L'originalissimo documentario diretto con grande professionalità da Enrico Maisto si sofferma per quasi un'ora sullo smarrimento dei convocati, registra le loro parole sussurrate, capta l'attrazione morbosa per la cronaca nera per casi come quello di Alberto Stasi, di Amanda Knox o di Annamaria Franzoni e registra persino momenti involontariamente esilaranti, come quello in cui due di loro bisbigliano, a proposito della strage di Piazza della Loggia a Brascia (1974) che "deve essere una cosa recente, tipo Olindo e Rosa Bazzi". Per fortuna non sono i due disinformatissimi convocati ad avere passato la selezione, perché è proprio di quella strage che si dibatterà ancora in aula, rovesciando la sentenza precedente. La regia osserva tutto con pudore e discrezione, annota le reazioni dei presenti ma lascia fuori campo i colloqui per la selezione davanti ai magistrati, mantenendo un registro costante che non approda, come ci si aspetterebbe, a un climax che espliciti i criteri di selezione. Montaggio e fotografia impeccabili riescono ad appassionare lo spettatore nonostante una certa monotonia della costruzione filmica.    

mercoledì 12 settembre 2018

Sulla mia pelle

anno: 2018   
regia: CREMONINI, ALESSIO    
genere: biografico    
con Alessandro Borghi, Max Tortora, Milvia Marigliano, Jasmine Trinca, Elisa Casavecchia, Aurora Casavecchia, Mauro Conte, Walter Nestola, David Petrucci, Paolo Bovani, Andrea Ottavi, Tiziano Floreani, Andrea Lattanzi, Orlando Cinque, Piergiorgio Savarese, Roberto Galano, Ignazio Deruvo, Stefano Miglio, Massimiliano Frateschi, Maris Leonetti, Antonio Gargiulo, Alessio De Persio, Roberta Sferzi    
location: Italia
voto: 8,5    

Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi, un giovane geometra della periferia romana, venne fermato dai carabinieri per un controllo. Colto in flagrante con delle dosi di hashish, venne portato alla vicina stazione dei Carabinieri e poi pestato a sangue. Da lì, per lui ebbe inizio, a causa delle conseguenze del pestaggio, un calvario che si concluse con la sua morte sei giorni più tardi.
Facendo filologicamente leva sulle carte processuali, frutto anche della testimonianza di 140 persone, il film diretto da Alessio Cremonini e distribuito da Netflix con una stranissima strategia (uscita contemporanea in sala e sulla piattaforma) è un'opera necessaria che getta una luce terribilmente sinistra sull'operato di agenti di stato che si sono macchiati dei delitti di Federico Aldrovandi, Carlo Giuliani, Giuseppe Uva e tanti altri ancora. Al di là dei contenuti quasi cronachistici - che raccontano le tortuosità di un sistema giuridico e penitenziario a dir poco kafkiano, che non permise ai genitori di Stefano e a sua sorella Ilaria (Trinca) di vederlo in quei tragici giorni (a parte un brevissimo contatto col padre in tribunale, durante l'udienza per direttissima) - è anche a la forma a convincere pienamente. Nulla che faccia pensare a un format televisivo, ma una regia sobria e misurata, refrattaria a qualsiasi tentazione voyeuristica, mai invadente, eppure curatissima, alla quale si accompagna un'impeccabile direzione degli attori. A cominciare da Alessandro Borghi che dà corpo (18 chili persi per poter entrare nel personaggio) e anima al suo Stefano Cucchi, l'antieroe, il derelitto umano privato di qualsiasi diritto e ucciso nella sua dignità, al quale un racconto mai agiografico non fa alcuno sconto, mantenendosi perfettamente a distanza da qualsiasi faziosità. Tutto il contrario di un film come Diaz che, pur raccontando la barbarie di cui sono capaci gli uomini in divisa, esplicita la violenza (che qui rimane rigorosamente fuori campo) e propone una visione manichea che in Sulla mia pelle è del tutto assente. Anche se vedere magistrati, infermieri, medici, agenti penitenziari che si limitano a imbrattare carte per portare a casa la pagnotta tra prepotenze e indifferenza, fa montare una rabbia indicibile, che si aggiunge al disprezzo per quella gentaglia da mattatoio che popola i nostri commissariati. Quei silenzi, quell'indifferenza, mostrati in maniera così asciutta, non fanno che raffreddare il tasso emotivo del film, per caricarlo di una tensione indicibile. Si esce dalla sala sconvolti.    

domenica 9 settembre 2018

Bob & Marys - Criminali a domicilio

anno: 2018       
regia: PRISCO, FRANCESCO    
genere: commedia    
con Rocco Papaleo, Laura Morante, Massimiliano Gallo, Giovanni Esposito, Simona Tabasco, Andrea Di Maria, Francesco Di Leva, Gianni Ferreri, Antonino Iuorio e Enzo Salomone    
location: Italia
voto: 3    

Roberto (Papaleo) e Marisa (Morante) sono una coppia di cinquantenni che vive in una vecchia casa nel napoletano. Lei non ne può più degli scarafaggi che vede in giro e così trova una scusa per convincere il marito, un istruttore di scuola guida, a trasferirsi altrove, cedendo l'usurata magione alla figlia (Tabasco), in procinto di sposarsi. Il nuovo appartamento è decisamente accattivante, ma ha un grosso difetto: è ubicato a due passi dalla zona del malaffare. Non a caso, dopo pochi giorni ai due viene fatta quella che in gergo si chiama l'accoppatura: tre malviventi piazzano dei pacchi contenenti non si sa cosa nella loro casa. La vita dei due ne viene sconvolta, le relazioni con gli amici e i parenti compromesse, il quotidiano collassa. Come ne usciranno?
Il film di Francesco Prisco (che già aveva dato dimostrazioni di ampia mediocrità col precedente Nottetempo) non fa neppure lo sforzo di appellarsi a quel minimo di richiamo al politico o al sociale che è diventata la foglia di fico di gran parte delle commedie italiane. Al regista basta assemblare una trama abborracciata, assegnare il pilota automatico a Papaleo e accontentarsi dell'avvenenza della Morante (recitazione zero) per licenziare un film ben ritmato, ma del tutto inconsistente.    

sabato 8 settembre 2018

Tito e gli Alieni

anno: 2017       
regia: RANDI, PAOLA    
genere: commedia fantastica    
con Valerio Mastandrea, Clémence Poésy, Luca Esposito, Miguel Herrera, John Keogh, Gianfelice Imparato    
location: Italia, Usa
voto: 2    

Da 6 anni un professore di astrofisica italiano (Mastandrea) lavora in prossimità dell'area 51, nel bel mezzo del deserto del Nevada, a un progetto mirato a cogliere i rumori dell'universo profondo, allo scopo di mettersi in contatto con civiltà altre. Ma la morte del fratello (Imparato), padre di due ragazzini, lo mette nelle condizioni di doversi improvvisare tutore dei due minori, una sorella e un fratello, dei quali quest'ultimo è convinto di potersi mettere in contatto con il padre defunto.
Recitato in sordina da Valerio Mastandrea in buona parte in lingua inglese e in parte in napoletano, l'opera seconda di Paola Randi (dopo Into paradiso) è un film senza capo né coda che lascia moltissimo spazio alle tecnologie digitali e nessuno alla scrittura dei dialoghi e della sceneggiatura. Ne deriva un'opera terribilmente infantile e superficiale che sembra andare a parare sulla nostalgia degli affetti attraverso un percorso narrativo tortuoso e carinerie visive che vanno a vuoto.    
Il film è dedicato a Fausto Mesolella, coautore delle musiche e morto quando il film era ancora in fase di post-produzione.

Revenge

anno: 2017       
regia: FARGEAT, CORALIE    
genere: thriller    
con Matilda Anna Ingrid Lutz, Kevin Janssens, Vincent Colombe, Guillaume Bouchède    
location: Usa
voto: 3    

Pare che Quentin Tarantino stia progettando un remake dei volumi 1 e 2 di Kill Bill dopo avere visto il film della francese Coralie Fargeat: amici italiani gli hanno riferito che il critico cinematografico de L'Osservatore Romano, dopo avere assistito alla prima di questo Revenge, abbia parlato del suo dittico come di un film "per educande". In effetti, se lì dominava il giallo ocra, qui è il rosso a prendersi gran parte del film: rosso che arriva nell'occhio dello spettatore in forma di sangue fino a farsi involontaria arte pittorica nell'ultima scena. L'operina, girata con occhio di donna, è un filmetto di fantascienza inverosimile fin dalla prima scena, allorquando una ragazzina informe (interpretata da Matilda Anna Ingrid Lutz Serbelloni Mazzanti Bellotti Bom Alberti Casellati Pacini Battaglia Baget Bozzo Degli Atti di Sarno, vista dalle nostre parti ne L'ultima ruota del carro, Mi chiamo Maya, L'universale e L'estate addosso) passa una notte brava nella lussuosa villa del suo amante (Kevin Janssens, molto espressivo se ripreso da dietro con la macchina da presa posizionata a un metro da terra, meno se inquadrato su quello scarabocchio che madre natura gli ha dato al posto del viso) in mezzo al deserto e in compagnia di due amici balordi dell'uomo. Il giorno dopo, uno di questi la stupra ("se l'è cercata", come disse Andreotti in occasione della morte di Giorgio Ambrosoli). Lei minaccia di rivelare tutto alla moglie dell'amante. Quest'ultimo, per tutta risposta, la getta giù da una rupe. La ragazza sopravvive e si mette alla ricerca dei tre per vendicarsi (urge aggiornamento immediato del Manuale delle giovani marmotte lo stratagemma per togliersi un palo di legno dalla milza).
Con Revenge siamo in pieno B movie (ma anche Z) a costo zero: la location è il deserto, gli attori sembrano presi in prestito dal set pubblicitario di Starbucks e l'unica voce davvero consistente nel finanziamento del film è il pomodoro. Al vuoto pneumatico dei contenuti corrisponde una forma altrettanto esangue ma con tanto sangue: lo sguardo femminile è più belluino di quello maschile, la sceneggiatura con più buchi delle orecchie di Young Signorino e lo splatter l'unico vero oggetto d'interesse della regia. Se cercate qualcosa di paragonabile, con risultati del tutto diversi, andatevi a vedere Desierto.    

giovedì 6 settembre 2018

Fire Squad: Incubo di Fuoco (Only the Brave)

anno: 2017       
regia: KOSINSKI, JOSEPH    
genere: dramma catastrofico    
con Josh Brolin, Miles Teller, Jeff Bridges, Jennifer Connelly, James Badge Dale, Taylor Kitsch, Andie MacDowell, Geoff Stults    
location: Usa
voto: 6    

Le esercitazioni, la routine, i problemi familiari, il cameratismo di un gruppo di vigili del fuoco dell'Arizona che mira a diventare un hotspot contro gli incendi, sotto la guida del veterano Eric Marsh (Brolin). La vicenda è narrata in chiave di racconto di formazione tenendo soprattutto d'occhio la figura di una nuova recluta, appena diventato padre (Teller), che cerca nell'attività di pompiere la strada per lasciarsi alle spalle un passato da tossicodipendente perdigiorno. I compagni di squadra nicchiano, il capo è determinato a dargli un'occasione. Tutti diventeranno degli eroi quando, nel giugno 2013, di troveranno a fronteggiare un incendio di proporzioni immani che rischia di mettere a rischio gran parte del caseggiato.
Affidato alla regia di Joseph Kosinski, che viene dalla fantascienza (Tron: legacy, Oblivion), il film si dilunga in molti quadretti familiari esplicativi e didascalici che dilatano il film fino ai 130 minuti finali. Un eccesso di verbosità e descrittivismo che appanna l'ottima prova di tutto il cast e le (poche) scene d'azione che puntellano questo film che racconta una storia vera e tragica.    

mercoledì 5 settembre 2018

Resta con me (Adrift)

anno: 2018       
regia: KORMAKUR, BALTASAR    
genere: dramma catastrofico    
con Shailene Woodley, Sam Claflin, Grace Palmer, Jeffrey Thomas, Tami Ashcraft, Elizabeth Hawthorne, Kael Damlamian, Zac Beresford, Luna Campbell, Siale Tunoka    
location: Tahiti, Usa
voto: 6    

Nell'estate del 1983, a Tahiti, Tami (Woodley), una ragazza solitaria e giramondo che da anni ha lasciato la casa avita di San Diego, incontra Richard (Claflin), navigatore altrettanto solitario che ha percorso le rotte di mezzo mondo. I due si conoscono, si piacciono e quando a lui capita "l'occasione della vita" (condurre un'imbarcazione di grandi dimensioni proprio a San Diego per conto di due facoltosi turisti), decide di raccoglierla, portando Tami con sé. Ma una tempesta nel bel mezzo del Pacifico devasta l'imbarcazione e determina il naufragio della coppia. Dire di più sarebbe uno spoiler servito malignamente al lettore.
Baltasar Kormakur si conferma specialista di film adrenalinici che vanno dai thriller di Contraband e Cani sciolti ai drammi catastrofici come Everest e questo Resta con me. Al genere, il regista di origini islandesi non aggiunge molto: guarda al seminale hitchcockiano di Prigionieri dell'oceano e si affida a tutta la gamma di possibilità offribili alla coppia protagonista, dalle allucinazioni all'uso dei kit di sopravvivenza. Ma il prodotto finale, che comunque ha un buon ritmo ed è tratto da una storia vera, non si discosta da opere dello stesso genere come All is lost, 47 metri, Open Water e Alla deriva.    

martedì 4 settembre 2018

Don't worry

anno: 2018       
regia: VAN SANT, GUS Jr.    
genere: biografico    
con Joaquin Phoenix, Jonah Hill, Rooney Mara, Jack Black, Udo Kier, Olivia Hamilton, Beth Ditto, Kim Gordon, Carrie Brownstein, Emilio Rivera, Ken Tatafu, Angelique Rivera, Rebecca Rittenhouse, Anne Lane, Rebecca Field, Peter Banifaz, Santina Muha, Christopher Thornton, Edgar Momplaisir, Ron Perkins, Heather Matarazzo, Robby Rasmussen, Mark Webber, Ayden Mayeri, Jessica Jade Andres, Steve Zissis, Jedediah Jones, Jahmin Assa, Cameron Zandkarimi, Aleu Moana, Tony Greenhand    
location: Usa
voto: 4,5    

Non si era mai visto al cinema uno spottone tanto lungo della Pubblicità Progresso. Ai giovani habitué della movida notturna la visione del film manda un messaggio chiaro: bevete, bevete, perché poi ci pensa la strada a farvi cappottare e a lasciarvi tetraplegici e incazzati con la vita e col mondo. Visto così, il film di Gus Van Sant, eterna promessa mai mantenuta del cinema a stelle e strisce, ha anche un senso. Altrimenti, hai voglia a dire che sì, Van Sant trasforma il biopic, che non segue percorsi registici consueti e via arrampicandosi su specchi saponati. Già, perché di biopic si tratta, giacché il film racconta la storia di John Callahan, acceso cultore della cirrosi epatica che, negli anni Settanta, passa le serate tra festini e fiumi di alcol. Finché non arriva quella fatale in cui si schianta contro un palo a 150 chilometri all'ora insieme a un suo occasionale compagno di bevute, interpretato da un Jack Black che, nelle due sole scene a disposizione, dà un vero saggio di recitazione. Da lì gli ospedali, la fisioterapia, la sedia a rotelle, ma anche il flirt con una volontaria dell'ospedale (Mara) e la vocazione per il fumetto declinato su un registro da umorismo nero, che lo portò a essere una delle matite più note e corrosive degli States.
Van Sant mette a durissima prova lo stato di veglia dello spettatore con raffiche di sedute degli Alcolisti Anonimi, presiedute da un santone gay (Hill), che sono la copia carbone di quanto già visto in altre decine di pellicole. Il buono del film lo fanno le animazioni che prendono vita dalle vignette satiriche di Callahan e la solita performance maiuscola del protagonista, messo a servizio di un film incapace di appassionare.    

sabato 1 settembre 2018

Gran bollito

anno: 1977   
regia: BOLOGNINI, MAURO    
genere: grottesco    
con Shelley Winters, Max von Sydow, Renato Pozzetto, Alberto Lionello, Laura Antonelli, Mario Scaccia, Franco Branciaroli, Milena Vukotic, Rita Tushingham, Adriana Asti, Antonio Marsina, Liù Bosisio, Maria Monti, Giancarlo Badessi, Marco Modugno, Alberto Squillante, Franco Balducci    
location: Italia
voto: 7    

Come fare per raccontare la vicenda di uno dei più efferati casi di cronaca nera italiana del '900, quello che riguardò Leonarda Cianciulli, tristemente nota come la saponificatrice di Correggio? Se si esclude il film cronachistico e filologico à la Lizzani o à la Rosi, una delle poche strade percorribili sembra essere quella del grottesco. Ed è proprio quella imboccata da Mauro Bolognini, che affida il ruolo delle tre amiche uccise e poi ridotte a sapone e dolciumi a tre uomini: il bergmaniano Max Von Sydow, un Renato Pozzetto nelle vesti di una cantante dall'accento tedesco e la ninfomane interpretata da Alberto Lionello. La protagonista, che ha il volto di Shelley Winters, è una meridionale che vive a Bologna, ha sulle spalle ben 12 aborti ed è attaccatissima al figlio (Marsina) al quale cerca in tutti i modi di evitare il fidanzamento e assicurare un futuro professionale di alto profilo. Con quali soldi, visto che siamo negli anni '30 e la guerra è alle porte? Con quelli delle sfortunate amiche, di cui Leonarda, qui ribattezzata Lea, sfrutta le debolezze e che circuisce efficacemente, per poi scioglierne le carni in giganteschi pentoloni e ricavarne saponi dalle ossa. Sul film aleggia un'atmosfera macabra, che contrasta con il registro grottesco, usato quasi a smorzare la truculenza della vicenda. Comprensibile, dunque, che in rete possano essere rintracciate vere e proprie stroncature, come quella - capolavoro di ironia e scrittura, di Jonas - che potete leggere qui.