martedì 30 aprile 2019

Opera senza autore (Werk ohne Autor)

anno: 2018   
regia: HENCKEL VON DONNERSMARCK, FLORIAN    
genere: thriller    
con Tom Schilling, Paula Beer, Sebastian Koch, Saskia Rosendahl, Oliver Masucci    
location: Germania
voto: 6,5    

A 11 anni dal pluripremiato capolavoro Le vite degli altri e a 8 dal fiasco clamoroso di The Tourist, Florian Henckel Von Donnersmarck torna dietro la macchina da presa con un melodrammone degno di Matarazzo, nel quale convergono ancora una volta gli spettri del passato nazista della Germania, la difficile epoca della DDR e una riflessione piuttosto magniloquente sull'arte visiva. Al centro del fluviale racconto (3 ore e 10 di durata) c'è il giovane pittore idealista Kurt (Schilling), che dopo essersi visto portar via   l'amatissima zia (rinchiusa in un ospedale psichiatrico) quando era ancora un bambino, ritrova nel suo percorso biografico lo stesso medico delle SS (Koch) - un ginecologo opportunista, classista e sostenitore dell'eugenetica - che aveva deciso l'internamento della congiunta. Caso vuole che il ragazzo si innamori proprio della figlia del medico (Beer), straordinariamente somigliante alla zia. Ma l'ex nazista fa di tutto per ostacolare il rapporto tra i due giovani amanti. I quali, poco prima della costruzione del muro di Berlino (1961) riusciranno a varcare la frontiera e a trasferirsi a Düsseldorf, mentre in Germania si continuano a cercare gli ex criminali nazisti…
Alla sua opera terza, il regista tedesco ancora una volta si preoccupa assai più del plot narrativo che non dell'estetica filmica, al punto da rischiare di tenere involontariamente fede al titolo del film. Tanto è vero che - nonostante la sottotrama spionistica e qualche interessante riflessione sul senso dell'arte contemporanea - la regia sembra dimenticare un'idea minima di forma: Opera senza autore offre un cinema di livello quasi amatoriale, servito da attori che paiono recitare in uno sceneggiato televisivo, compreso il divo Sebastian Koch.    

lunedì 29 aprile 2019

Stanlio e Ollio

anno: 2018       
regia: BAIRD, JON S.    
genere: biografico    
con Steve Coogan, John C. Reilly, Nina Arianda, Shirley Henderson, Danny Huston, Rufus Jones, Stephanie Hyam, Susy Kane, Bentley Kalu, Ella Kenion    
location: Regno Unito, USA
voto: 6    

Nel 1953 Stan Laurel (Coogan) e Oliver Hardy (Reilly) - coppia comica che negli anni '30 aveva raggiunto un successo planetario - andarono in tournée nei teatri di Regno Unito e Irlanda, riproponendo vecchie gag e cercando l'ultimo colpo d'ala col miraggio di poter girare un'ultima pellicola.
Dopo un breve incipit nel quale si richiama il successo cinematografico de I fanciulli del west, il film di Jon S. Baird si sofferma soprattutto sulla tournée teatrale che vide protagonisti questi dioscuri della settima arte che si separarono in un'unica occasione nell'arco di un'intera carriera. Il tutto è confezionato secondo le regole di un cinema assai classico, un buddy movie che non lascia spazio ad alcun genere di inventiva ma che si affida alle strabilianti trasformazioni dei due protagonisti, entrambi perfettamente in parte senza mai scivolare nella caricatura. Ma la storia raccontata è soprattutto quella di una grande amicizia asimmetrica, con Laurel fraternamente attaccato al più debole Hardy (che sperperò gran parte del suo patrimonio giocando alle corse dei cavalli) e devoto alla coppia comica fino alla morte, avvenuta nel 1965, quando continuava imperterrito a scrivere battute per Stanlio e Ollio, ancora vivi nella memoria collettiva a più di cinquant'anni dalla morte.    

mercoledì 24 aprile 2019

Ma cosa ci dice il cervello

anno: 2019       
regia: MILANI, RICCARDO    
genere: commedia    
con Paola Cortellesi, Stefano Fresi, Tomas Arana, Teco Celio, Remo Girone, Vinicio Marchioni, Lucia Mascino, Ricky Memphis, Paola Minaccioni, Giampaolo Morelli, Claudia Pandolfi, Alessandro Roia, Carla Signoris    
location: Italia, Marocco, Spagna
voto: 5,5    

Sua figlia la crede una noiosa impiegata ministeriale, sua madre (Signoris) - alla perenne ricerca della giovinezza perduta - non fa che criticarla su qualsiasi cosa, i suoi vecchi compagni di scuola la guardano con commiserazione quando pensano alla sua professione. Che però è quella di lavorare per i servizi segreti, con missioni al cardiopalmo in giro per il mondo. È per questa sua vocazione da 007 in gonnella che Giovanna (Cortellesi) trasferisce le sue competenze spionistiche nel privato, aiutando i suoi amici nelle controversie che li mettono in difficoltà ogni giorno, dando ai loro sopraffattori una lezione di vita e di civiltà.
La rodata coppia (anche nella vita) Cortellesi-Milani torna sul grande schermo a 2 anni dal successo di Come un gatto in tangenziale, con una commedia dai risvolti spionistici che sconfinano nella fantascienza. Il ritmo c'è, degli attori bisogna accontentarsi (tranne che di Paolo Graziosi, che è davvero irritante per quanto è incapace), ma l'opera numero 10 di Riccardo Milani ha il merito di trovare una chiave per far riflettere sulla mancanza di senso civico. Che è poi il vero tema del film.    

martedì 23 aprile 2019

Il campione

anno: 2019       
regia: D'AGOSTINI, LEONARDO    
genere: drammatico    
con Stefano Accorsi, Andrea Carpenzano, Massimo Popolizio, Gabriel Montesi, Camilla Semino Favro, Anita Caprioli, Mario Sgueglia    
location: Italia
voto: 7    

Lui (Carpenzano) è una specie di Balotelli, di Cassano, di Gascoigne. Anzi no: lui è soprattutto una specie di George Best. Si chiama Christian Ferro (ma il cognome lo ha preso dalla madre, morta precocemente per un tumore al seno), è una stella della Roma, ha appena vent'anni, un villone megagalattico dove vive con un maialino, una compagna influencer da 500mila followers, una serie di amici parassiti che bivaccano negli spazi immensi di quella abitazione e un padre approfittatore che si è rifatto vivo soltanto quando ha saputo della notorietà del figlio. Il problema è che il ragazzo, nonostante i piedi fatati capaci di fare la differenza in campo, è intemperante. Così il presidente della squadra (Popolizio) decide di ingaggiare una sorta di istitutore privato che lo rimetta in riga e che soprattutto lo faccia arrivare alla maturità liceale. Viene reclutato un insegnante demotivato (Accorsi), del tutto disinteressato al calcio, che riuscirà a prendere le misure al giovane e a impartirgli una lezione che andrà ben oltre l'apprendimento di nozioni scolastiche.
Esordio alla regia per Leonardo D'Agostini, che sotto l'egida di Sydney Sibilia e Matteo Rovere (produttori), firma un'opera che ricorda l'ottimo Scialla (la dinamica docente/discente che maschera quella padre/figlio) ma con una sua personalità. Il mondo del pallone è soltanto lo sfondo di un racconto di formazione a doppio passo che trova nella coppia di protagonisti due attori perfettamente in palla. Qualche stereotipo di troppo (o forse no, chissà…) sul mondo del ragazzo viziato - tutto genio e sregolatezza, arrivato prematuramente al successo, ma capace di conservare un cuore puro - è pienamente controbilanciato da un finale memorabile, consigliabile anche ai laziali.    

domenica 21 aprile 2019

Io sono un campione (This Sporting Life)

anno: 1963       
regia: ANDERSON, LINDSAY    
genere: drammatico    
con Richard Harris, Rachel Roberts, Alan Badel, William Hartnell, Colin Blakely, Vanda Godsell, Anne Cuningham, Jack Watson, Arthur Lowe, Harry Markham    
location: Regno Unito
voto: 4    

Un ex minatore dello Yorkshire (Harris) diventa un giocatore di rugby di una certa fama. Il successo e i soldi però non gli servono per gestire i rapporti con gli altri, spesso burrascosi, e soprattutto non gli permettono di ricevere le attenzioni della donna che dice di amare, la vedova presso la quale abita (l'algida Rachel Roberts), nonostante le attenzioni che riesce a riservare ai figli di questa.
Opera d'esordio di Lindsay Anderson nell'ambito del cosiddetto free cinema inglese, sotto l'egida di Karel Reisz, che di quella corrente fu l'esponente di punta. A distanza di anni il film tratto dal romanzo di David Storey non regge affatto l'usura del tempo, si perde in scene ripetitive, esorbitando le due ore di durata e limitandosi a raccontare, con uno stile iperrealista che all'epoca suscitò un certo scalpore, gli eccessi di una vita tutta sopra righe.    

sabato 20 aprile 2019

Lo spietato

anno: 2019   
regia: DE MARIA, RENATO    
genere: gangster    
con Riccardo Scamarcio, Sara Serraiocco, Alessandro Tedeschi, Alessio Praticò, Casta Valentine Payen, Fulvio Milani, Marie-Ange, Matteo Leoni    
location: Francia, Italia
voto: 5,5    

Lo sapete qual è la regione d'Italia dove si sono radicate di più le 'ndrine calabresi? La Calabria Saudita? No, sbagliato. È la Lombardia. E questo almeno dagli anni '80 - '90 del Novecento. E proprio del primo pentito di mafia delle cosche calabresi trasferitesi per fare grossi affari col mattone e con sostanze che somigliano tanto al borotalco parla questo film diretto da Renato De Maria. Il regista varesotto - che deve essersi appassionato al tema, visto che il suo film precedente era un'antologia del peggio del crimine italiano in forma di docu-fiction, intitolato, per l'appunto, Italian gangsters - si limita al compito facile facile che gli viene dalla distribuzione Netflix per palati disposti a qualsiasi McMovie. Non a caso la vicenda di Santo Russo (un intonato Scamarcio, guascone in bilico tra vernacolo lombardo e pugliese) che, ancora adolescente, arriva nella periferia meneghina a bordo di una fiat 600 guidata da una padre tiranno che preferisce vederlo al servizio della mala pur di non averlo in casa, si snoda sul più prevedibile degli sviluppi narrativi: racconto di formazione giovanile in ampio flashback, con riformatorio e inevitabili cattive compagnie annesse, servizio dal capocosca più in vista, scalata ai vertici della mala. Il tutto accompagnato da un matrimonio con una devotissima (in tutti i sensi) moglie, che a lui regala due figli e a noi la solita faccia incredibilmente inespressiva di Sara Serraiocco (è un talento riuscire a non cambiare mai mutria per un intero film), e un intreccio ben più focoso con una sofisticata ragazza francese (Valentine Payen). Un po' di ritmo c'è, ma lo sguardo - che pure si rivolge ai poliziotteschi anni '70 - è banale come già lo fu in occasione de La prima linea, esordio della coppia Scamarcio-De Maria sul grande schermo.    

giovedì 18 aprile 2019

La donna elettrica (Kona fer í stríð)

anno: 2018   
regia: ERLINGSSON, BENEDIKT    
genere: drammatico    
con Halldóra Geirharðsdóttir, Jóhann Sigurðarson, Davíð Þór Jónsson, Magnús Trygvason Eliasen, Ómar Guðjónsson, Iryna Danyleiko, Galyna Goncharenko, Jörundur Ragnarsson    
location: Islanda, Ucraina
voto: 6    

In Islanda, una donna di mezza età (Geirharðsdóttir) in attesa di adottare una bambina compie continui sabotaggi della rete elettrica come risposta allo scempio che le multinazionali stanno compiendo su quell'isola a livello ambientale. Braccata dalla polizia che non ne conosce la vera identità (la donna, nel quotidiano, è un'innocua insegnante di canto), la nostra eroina trova la complicità di un vecchio agricoltore e di un amico, mentre tiene all'oscuro della faccenda la sorella gemella, che si rivelerà determinante nell'esito di tutta la storia.
L'opera seconda di Benedikt Erlingsson, già attore per Von Trier ne Il grande capo, è un film coraggioso e originale, che racconta la vocazione ambientalista della protagonista con un registro bizzarro, straniato e spiazzante, accompagnato da un trio tastiere, bassotuba e batteria e da un trio vocale femminile che punteggiano moltissime scene del film con una funzione da coro greco in commento sonoro del film. Ed è questo il vero valore aggiunto di un'opera nella quale la sottotrama sulla maternità adottiva  della bio-terrorista fa barcollare a tratti il racconto, facendogli perdere l'efficacia dello spunto in chiave quasi thriller.    

domenica 14 aprile 2019

Troppa grazia (Lucia's grace)

anno: 2018   
regia: ZANASI, GIANNI    
genere: commedia fantastica
con Alba Rohrwacher, Elio Germano, Giuseppe Battiston, Hadas Yaron, Carlotta Natoli, Thomas Trabacchi, Daniele De Angelis, Rosa Vanucci, Teco Celio    
location: Italia
voto: 6    

Dopo una trafila di pessimi film (Padri e figli, Non pensarci, La felicità è un sistema complesso), Gianni Zanasi compie il miracolo: riesce a far sparire dallo schermo per quasi un'ora Elio Germano, la cui interpretazione bastava a ridare linfa al sonnecchiante cinema del regista emiliano, e a far comparire la madonna (Yaron) che pratica le arti marziali e fa la parcheggiatrice abusiva. È lei che appare a Lucia (Rohrwacher), geometra in piena crisi sentimentale ed esistenziale, per la quale la ricerca del sacro - che anche dalle persone più intime viene letta come un segno di squilibrio mentale - è il tentativo di spostare verso l'alto i problemi che stanno in basso (diciamo a un palmo dall'ombelico). Lettura triviale? Forse, ma di spirituale in film di Zanasi - che comunque ha un respiro originale e si avvale di ottimi comprimari, in primis Carlotta Natoli nei panni dell'amica del cuore della protagonista - non ha proprio nulla. L'ambizione dell'autore che ci sorprese con il bell'esordio di Nella mischia va oltre le sue possibilità e la parte in cui Lucia viene presa per una santa è anche quella più caricaturale. Sulla carta la vicenda raccontata dal copione che il regista ha scritto con Giacomo Ciarrapico, Michele Pellegrini e Federica Pontremoli è quella di una giovane madre in piena crisi, alla quale appare la madonna. Ma il contenuto del film si presta meglio a una lettura sulle traiettorie sghembe della vita sentimentale (vedi anche il finale che resuscita la figura di Germano nei panni dell'ex fidanzato), concludendo un'ideale trilogia mistica nella quale la Rohrwacher ha interpretato Vergine giurata e Lazzaro felice.    

venerdì 12 aprile 2019

Cafarnao - Caos e miracoli (Capharnaüm)

anno: 2019       
regia: LABAKI, NADINE    
genere: drammatico    
con Zain Alrafeea, Yordanos Shifera, Boluwatife Treasure Bankole, Kawthar Al Haddad, Fadi Youssef, Treasure Bankole, Nadine Labaki, Yordanos Shiferaw    
location: Libano
voto: 2,5    

In una Beirut completamente degradata, ridotta a una kasbah piena di macerie, il tredicenne Zain (Alrafeea) fa causa ai suoi genitori per averlo messo al mondo, dopo che questi hanno venduto la figlia undicenne a un uomo che, dopo averla ingravidata, le ha procurato la morte. Assistiamo così a una impacciata ricostruzione in flashback in cui seguiamo il ragazzino per le strade cittadine, mentre si arrabatta tra vendita di cianfrusaglie, lavoretti per sbarcare il lunario e il babysitteraggio di un bambino etiope che cammina appena: un compito che gli viene offerto dalla madre di questo in cambio di un rifugio.
Il film di Nadine Labaki - già regista del mediocre Caramel - è un polpettone che cerca, senza mai trovarla, la lacrima dello spettatore, rovistando nel parossismo di una vita impossibile, per descrivere la quale è insufficiente persino la parola povertà. Eppure, la regista non riesce mai a creare empatia neppure col protagonista, tanto è manifestamente programmatico e ricattatorio l'intento di commuovere. Insignito del premio del pubblico al festival di Cannes, Cafarnao è il classico film per palati senza alcuna pretesa, contenti di ingozzarsi per due ore di badilate di retorica sottolineate da una musica per archi onnipresente e inopportuna. Scomodare per il confronto film come The Millionaire o Lion è da T.S.O. urgente.    

martedì 9 aprile 2019

Happy End

anno: 2017       
regia: HANEKE, MICHAEL    
genere: drammatico    
con Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant, Mathieu Kassovitz, Fantine Harduin, Franz Rogowski, Laura Verlinden, Toby Jones    
location: Francia
voto: 4,5    

Distopico romanzo di formazione di una tredicenne (Fantine Harduin) che cresce in una famiglia aristocratica francese a Calais, nei pressi di quel mare che restituisce i cadaveri dei migranti. In apertura e in chiusura di film la vediamo in azione col suo smartphone, col quale riprende tanto la prevedibilissima liturgia mattutina della madre, quanto la morte del criceto al quale somministra gli psicofarmaci della donna, così come riprende il tentativo di suicidio del nonno (Trintignant). Quest'ultimo è un ricchissimo vegliardo fiero di avere soffocato la moglie sofferente (il rimando più che esplicito è ad Amour) e che vorrebbe passare anch'egli a miglior vita. Lo vediamo persino fermare per strada, stando a bordo di una carrozzella, alcuni emigrati ai quali chiede la cortesia, così come la chiede al suo barbiere, di procurargli una rivoltella per le sue necessità di autosoppressione. La famiglia si completa con il padre della ragazzina (Kassovitz), un medico compulsivamente fedifrago, sua sorella (Huppert), una imprenditrice edile che ha qualche grana con il crollo del cantiere sul quale sovraintende l'ottuso figlio (Rogowski) e altra umanità sparsa.
A cinque anni dal capolavoro Amour, Haneke licenzia un'opera stanca, manierata, nella quale sembra voler portare al parossismo lo spirito caustico col quale ha raccontato, in passato, l'anima più torbida dell'alta borghesia. Ma stavolta l'operazione sembra limitarsi a ricalcare pedissequamente le trovate stilistiche che caratterizzano il cinema del registra austriaco: riprese in campo lunghissimo in cui non ci è dato capire le conversazioni in momenti topici del racconto, il gioco del punto di vista, l'uso di attori feticcio (Trintignant e la Huppert) radunati per l'occasione, la replica degli stessi temi. Un passo clamorosamente falso in una carriera smagliante.    

sabato 6 aprile 2019

Glass

anno: 2019       
regia: SHYAMALAN, M.NIGHT    
genere: fantastico    
con Bruce Willis, Anya Taylor-Joy, James McAvoy, Sarah Paulson, Samuel L. Jackson, Spencer Treat Clark, Luke Kirby, Adam David Thompson, Jane Park Smith    
location: Usa
voto: 1    

Dall'ennesimo peto cerebrale di uno dei registi più sopravvalutati e inutili dell'intera storia del cinema, l'indiano M. Night Shyamalan, arriva una storiellina incomprensibile che vorrebbe idealmente chiudere una trilogia che parte da Unbreakable e passa per Split. Si tratta di un'accozzaglia indigesta che miscela fantascienza, fumetto  e supereroi, collocando al centro della scena uno psicopatico dalle molte personalità, Kevin Wendell Crumb (McAvoy), sulle cui tracce si mette David Dunn (Willis), una specie di giustiziere della notte in versione dark. I due vengono catturati dalla polizia e finiscono in un ospedale psichiatrico sotto le "cure" di Ellie Stapple (l'inguardabile Sarah Paulson) insieme a un altro disagiato psichico dalle ossa fragili (Jackson). Cosa succeda là dentro non mi è chiaro perché tra indomabili attacchi di letargia e colpi di sceneggiatura scritti con gli sfinteri qualcosa mi è sfuggito. C'è solo da domandarsi quale sia il senso di un'operazione che dimentica completamente l'azione e si affida per intero a dialoghi improponibili girati tutti in campo e controcampo. E così per due ore e dieci.    

martedì 2 aprile 2019

Ricordi?

anno: 2018       
regia: MIELI, VALERIO    
genere: sentimentale    
con Luca Marinelli, Linda Caridi, Giovanni Anzaldo, Camilla Diana    
location: Italia
voto: 7,5    

Lui (Marinelli) è un giovane professore universitario, tormentato, spesso triste, attaccatissimo al passato, lunare, acchiappasottane. Lei (Caridi) è solare, piena di voglia di vivere, sempre sorridente e insegna a scuola. Non sapremo mai i loro nomi (se li sussurrano in un orecchio), ma seguiremo i frammenti del loro discorso amoroso secondo un modello narrativo che occhieggia a Un amore di Tavarelli, ma che destruttura completamente il racconto, mettendo in risalto l'ingannevolezza dei ricordi: ma nevicava quella sera? Eri vestita di bianco o di rosso? Forse per te è stato importante, ma per me no. E così via. Acrobata dei racconti sentimentali, Valerio Mieli torna dietro la macchina da paresa a nove anni da Dieci inverni per raccontare le traiettorie sghembe di un percorso amoroso, trovando una cifra stilistica originalissima in un racconto a puzzle senza alcun ordine temporale, alla fine del quale però tutto torna. E, con esso, la meraviglia dello spettatore davanti a tanto palpitare, prendere e lasciare, vivere due volte a distanza di anni nella stessa casa, mettere l'amatissimo cane nel congelatore, invitare l'ex al proprio matrimonio. Nell'attesa che l'orizzonte poetico di Mieli possa allargarsi ad altri temi, ci godiamo questo tourbillon sentimentale con due attori perfettamente in parte e con una lei davvero mirabolante, al servizio di un film che trova nel virtuosistico montaggio di Desideria Rayner un ulteriore punto di forza.