sabato 16 maggio 2015

Mommy

anno: 2014   
regia: DOLAN, XAVIER
genere: drammatico
con Anne Dorval, Suzanne Clément, Antoine-Olivier Pilon, Patrick Huard, Alexandre Goyette, Michèle Lituac, Viviane Pascal, Natalie Hamel-Roy, Steven Chevrin 
location: Canada
voto: 6


"Sono davvero fatti così", mi assicura il mio amico Roby, neuropsichiatra infantile, dopo aver visto sul grande schermo questo ritratto di un quindicenne canadese (interpretato da un Antoine-Olivier Pilon di titanica bravura)  con deficit d'attenzione oppositivo provocatorio. Sua madre (Dorval), una 46enne che non ha tutti i venerdì in ordine, se lo porta in casa dopo che il ragazzo ha dato fuoco alla mensa del collegio nel quale era ospite. Una legge locale consentirebbe alla donna di istituzionalizzarlo, ma lei, vedova, prova a tenerlo con sé, sorretta nell'arduo compito da una vicina di casa introversa, balbuziente e misteriosa (Clément). Già, perché il ragazzo si esprime con una coprolalia incessante, è violento, incontenibile, disturba tutto e tutti, rappresenta un pericolo costante, è geloso della madre e ha persino qualche tendenza incestuosa. Esasperata, la madre dovrà correre ai ripari.
A Cannes Xavier Dolan, regista francofono venticinquenne, qui già al suo quarto film, ha vinto il premio della giuria ex-aequo con Godard. Si vede che da quelle parti lo strapazzamento del linguaggio filmico va assai di moda: tanto disarticolato e rapsodico quello del Maestro della Nouvelle Vague, quanto sintatticamente dichiarato e innovativo quello di questo ragazzo dall'ego extra-large, che verticalizza l'immagine in un formato 1:1 decisamente insolito per riportarla in 16:9 soltanto nei due momenti del film in cui la madre riesce a tirare il fiato e a sorridere. Il suo lungometraggio (2 ore e 20') così "pop" e spiazzante è percorso da una potenza emotiva febbricitante, che cadenza il ritmo soltanto con brevissime pause durante le quali il protagonista tira letteralmente il fiato, lasciando che il pubblico faccia altrettanto. Tutto questo pathos, coniugato con una dirompente potenza del logos, mette però in ombra la componente aristotelica dell'ethos, al punto da far sorgere il sospetto che il film, per quanto apprezzabile, a conti fatti esprima meno di quanto non sembri in apparenza e in fondo sia anche un po' furbetto.    

Nessun commento:

Posta un commento