regia: ANDERSON, PAUL THOMAS
genere: drammatico
con Daniel Day-Lewis, Paul Dano, Kevin J. O'Connor, Ciarán Hinds, Russell Harvard, Colleen Foy, Coco Leigh, Paul F. Tompkins, Mary Elizabeth Barrett, David Willis, Rhonda Reeves, Hope Elizabeth Reeves, Hans R. Howes
location: Usa
voto: 9
Agli inizi del '900 il minatore Daniel Plainview (Day-Lewis) si trasforma in breve tempo in un cercatore di petrolio. Con il figlioccio al seguito (lo spunto ricorda moltissimo quello di Paper moon, di Bogdanovich), si muove verso Ovest alla ricerca di giacimenti e fortuna economica. L'occasione per il grande salto a magnate del petrolio gliela offre Eli Sunday (Dano), giovanissimo predicatore invasato, capace di raccogliere attorno a sé un'intera comunità sotto il nome di Chiesa della Terza Rivelazione, l'unico consapevole della presenza del petrolio nella zona dove abita. Per Daniel l'inizio di un arricchimento immane coincide con il precipizio verso una misantropia e un isolamento sempre più assoluti.
Il regista di Magnolia estrae dal romanzo "Petrolio!" di Upton Sinclair un film potentissimo, spettacolare, incantevole. "Ci sarà del sangue", avvertono secchi i titoli di testa. E infatti i venti minuti iniziali, durissimi e iperrealisti, non contengono neppure una parola e sono destinati a entrare di diritto tra gli incipit più impressionanti che la storia del cinema possa ricordare. Sono i minuti nei quali Anderson sembra andare alla ricerca della origine "fisica" del capitalismo, della sua forma ancestrale. Quindi il film si dipana trovando una sua misura nel gioco di specchi tra Daniel, materialista spregiudicato, ed Eli, sobillatore visionario, facce di una stessa medaglia ugualmente segnata dalla bramosia di potere. Ed è proprio il gioco di specchi tra i due personaggi il vero asse di un film giocato in più parti sul filo dell'ambiguità che lancia allo spettatore più di un interrogativo. Qualche prolissità di troppo priva Il petroliere di quel nitore da capolavoro che l'uso eterodosso della musica (a firma di Jonny Grennwood dei Radiohead), il registro straniato, lo splendore paradossale di paesaggi dominati da sassi e bitume e la prova ciclopica di un Daniel Day-Lewis che al cinema si vede col contagocce (3 film in 10 anni) avrebbero contribuito a dargli.
Secondo, strameritatissimo Oscar a Daniel Day Lewis come miglior attore protagonista dopo quello vinto con Il mio piede sinistro.
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