sabato 12 marzo 2011

Modà


(Dalla rubrica Collateral di Tommaso Labranca FilmTV, n. 946, marzo 2011)

La cronaca macina uno scandalo dopo l’altro e quando presenta il più recente relega nell’oblio quello che fino al giorno prima sembrava un esecrabile motivo di indignazione. È lo stesso procedimento messo in atto dalla discografia quando offre alla venerazione del pubblico meno preparato gruppi di scarso valore presentati però come coloro che faranno impallidire Euterpe. Giusto per limitarci agli ultimi anni, abbiamo visto esplodere Le Vibrazioni subito sepolti da quella operazione di marketing, degna del lancio di un nuovo prosciutto, con cui si sono imposti i Negramaro. Dopo un dischetto pieno di motivetti mediocri eseguiti con un accento strascicato talmente irritante da farti rimpiangere il vibrato budinoso di Riccardo Fogli ai tempi dei Pooh, ecco i salentini già in fase down che incolpano la mancanza di promozione perché schiacciati dal lancio dei Modà. Che poi sarebbero l’ultima puntata in questa vertiginosa successione di carne da playlist radiofonica. Credo che i Modà meritino una attenzione entomologica. Noi che non frequentiamo le radio fatte con le divette televisive, con le prese in giro agli ascoltatori che telefonano e con le canzoncine imposte dalle case discografiche, ci siamo visti esplodere tra le mani troppo tardi questo ennesimo Progetto Bufala. Da quando nei supermercati, nelle pubblicità truffaldine di suonerie telefoniche e nelle autoradio periferiche a palla abbiamo sentito note sparse di una canzonecollage, tale La notte. Pare che abbia fatto impazzire eserciti di shampiste, troppo giovani per rendersi conto di alcune cose. Che la canzone, con i suoi toni infuocati, sembra Se bruciasse la città, antico successo di Massimo Ranieri. Che, come dimostrato dall’imperdibile sito plagimusicali.net, contiene un taglia-e-incolla da un noto brano di Elton John. E che il cantante, tale Kekko, urla troppo. Ogni tanto nel corso della Storia si urla. Negli anni 60 artisti come Tony Dallara e la prima Mina erano definiti urlatori perché avversavano il bel canto italiano e festivaliero, sussurrato e melodico, con un’onda energica e davvero rivoluzionaria. Oggi gente come i Modà e i loro sodali Emma Marrone e Francesco Renga quando sul palco urlano in maniera belluina non fanno la rivoluzione, ma credono di essere i portabandiera del bel canto italico. Purtroppo non basta lanciare grida lancinanti da film horror giapponese per porsi a eredi di Claudio Villa. Serve scuola, educazione, esercizio, preparazione. Leggete invece cosa scrive sul sito della band il Kekko: «Beh io sono un perito informatico ma non ci capisco molto... per quanto riguarda la musica... boh... schiaccio i tasti e mi vengono le parole... poi non so... a volte vengono le canzoni, altre le porcate. In pratica non sono un figlio d’arte o uno di quei maniaci che hanno studiato una vita...». Se avete studiato dieci anni al conservatorio siete solo dei poveri cretini perché per avere successo nella vita basta frequentare svogliatamente un Itis di periferia, girare tutto il giorno in motorino e ogni tanto pestare dei tasti a caso. Un bel messaggio educativo. Grazie, Kekko. E complimenti per le k nel tuo nomignolo, un ammiccamento all’ormai sbiadito giovanilismo da sms. Te l’ha suggerito Federiko Moccia? Rozzi, periferici, incolti, ma senza la forza animale dei Rolling Stones, i Modà si definiscono una band rock. Ma la loro musica sta al rock come Giampiero Galeazzi sta all’anoressia. Si definiscono allo stesso tempo romantici, ma a Sanremo hanno saputo proporre solo un’altra canzone-collage di frammenti già sentiti, rubati al patrimonio musicale degli anni 60. Noi abbiamo amato il citazionismo postmoderno, dichiarato e ironico di Franco Battiato. Non si può fare lo stesso con il continuo taccheggio dei Modà, anche perché in loro non c’è ironia, ma l’arroganza di chi si sente forte solo perché giovane. Anche se a ben vedere coSì giovani non sono stando alle capigliature in rapida fuga. Moda, fate qualcosa subito per salvare i capelli! Non fate come me che ho commesso un errore: non ho mai usato la brillantina Linetti (non l’avete capita? Era uno slogan pubblicitario molto in voga nel periodo in cui andavano le canzoni che oggi impunemente depredate).

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