giovedì 3 febbraio 2011

L'egemonia sottoculturale

Max Stefani intervista Massimiliano Pananari, autore del libro L'egemonia sottoculturale (Einaudi).
Tratto da Il mucchio selvaggio, n. 679, febbraio 2010

COME SI È POTUTI DUNQUE PASSARE DALL’ITALIA DI GRAMSCI, CALVINO O PASOLINI AL GABIBBO E MARIA DE FILIPPI? COME È POTUTO ACCADERE QUESTO? E COME È POTUTA SPARIRE L’EGEMONIA CULTURALE DELLA SINISTRA?
È la (triste) storia di questo ultimo trentennio, coincidente con il dominio sempre più incontrastato del neoliberismo, ovvero di un tipo di economia ossessionata unicamente dalla creazione di profitto. Il vero e proprio “integralismo” e “fondamentalismo di mercato”, come lo chiamano giustamente alcuni studiosi. Una tipologia di economia che “mette tutto in produzione” e spreme anche le nostre teste e i nostri desideri per ricavarne soldi; anzi, in questa nostra epoca cosiddetta postmoderna, dove c’è sempre meno economia reale e produttiva, e sempre più l’economia si rivela immateriale e smaterializzata, questa diventa la principale e più impressionante fonte di profitto. In Italia, la Sinistra, pur non possedendo mai un’autentica egemonia culturale sul Paese, aveva saputo offrire opportunità di incivilimento a una parte della popolazione e le aveva proposto una serie di modelli culturali importanti e di livello. E nonostante la vicinanza all’Unione Sovietica della sua componente maggiore (il Partito comunista), aveva rappresentato un pilastro della democrazia repubblicana. A partire dagli anni Ottanta di Reagan e della Thatcher, il mondo ha preso a girare in un’altra direzione, in modo sempre più esclusivo e spietato. Un contributo importante alla riuscita di tale cambiamento l’hanno fornito i mass media, in particolare, l’industria dell’intrattenimento, che ha saputo plasmare i nostri desideri, e indirizzarli tutti verso i consumi. In Italia, questo lavoro - un lavoro eminentemente politico, perché tutto questo si è tradotto nella vittoria delle destre radicalconservatrici - è stato svolto innanzitutto da alcuni personaggi di primo piano della televisione privata e, da qualche tempo, pubblica (dove vige il sistema delle sliding doors, dal momento che siamo in presenza di un quasi monopolio). Un lavoro politico fatto attraverso trasmissioni che di politico non avevano, a prima vista, nulla: reality, varietà, giochi a premi e quiz show, i program mi di gossip (presenti dovunque e a tutte le ore), un’informazione che si è convertita in infotainment (nella quale ci sono dosi sempre maggiori di intrattenimento, stile “Porta a Porta”) e quella vera e propria corazzata di questo deteriore modello sottoculturale che è “Striscia la notizia”.
VOLEVO PARLARE CON TE DELLA FIGURA DI GRAMSCI. ANCHE PERCHÉ I SUOI QUADERNI DEL CARCERE SO STIENI SIANO STATI SOSTITUITI DAL CONFESSIONALE DEL “GRANDE FRATELLO”….
Gramsci è stato un grande pensatore, l’autore italiano novecentesco più tradotto al mondo, dopo che in molti qui, sul suo suolo natale, se lo erano scordati perché comunista. Uno che non credeva granché alla tesi di Marx sull’avvento sicuro della rivoluzione, e le contrapponeva l’idea che non ci sarebbe stata nessuna insurrezione se non si fosse tenuta nel debito conto la dimensione soggettiva degli esseri umani. E qui casca l’egemonia culturale. Un concetto piuttosto composito e articolato, e una chiave di lettura straordinaria per capire cosa accade in politica. Per conquistare il potere e subordinare un popolo si può usare il “dominio”, cioè la forza bruta, oppure - con risultati estremamente più proficui - il potere di persuasione, e imporre una forma di “egemonia culturale”. La “sindrome di Stoccolma”, in pratica, per cui la vittima si innamora del carnefice, che l’ha convinta; e, quindi, non sarà in grado di opporsi. Gramsci, che era un marxista molto moderno e originale, e capace di decifrare al meglio i segni del suo tempo, ci ha detto questo e molto altro, come l’analisi dell’americanismo (il modello capitalistico statunitense che ridefinisce l’esistenza stessa degli americani). E andrebbe davvero riscoperto e riattualizzato da una Sinistra senza complessi di inferiorità.
IL PROBLEMA È CHE QUESTA EGEMONIA NON NASCEVA PIÙ IN FABBRICA COME PREDICAVA GRAMSCI, MA PRENDEVA FORMA ALL’INTERNO DEGLI STUDI DI UNA TV COMPLETAMENTE DIVERSA DA QUELLA IN BN: LA TV DELLA PUBBLICITÀ E DEGLI SHOW CON LE BALLERINE SCOSCIATE.
Precisamente, era la tv commerciale, o la “neotelevisione” come l’ha battezzata Umberto Eco, che sorpassava (a destra, possiamo dire, col senno - politico - di poi) la “paleotelevisione” in bianco e nero. E faceva “felicemente” precipitare gli italiani in un universo di lustrini, paillettes, ricchi premi e cotillons, e donne svestite (assecondando un certo diffusissimo voyeurismo da nazione sessualmente repressa, il cui risvolto della medaglia è il proliferare dei “puttanieri”, guarda caso). E, soprattutto, in un mondo di beato e sfrenato consumismo come massimo della soddisfazione e realizzazione individuale.
TU SOSTIENI CHE DOPO L’11 OTTOBRE 1983, PRIMA PUNTATA DI “DRIVE IN” SU ITALIA 1 NULLA FU COME PRIMA. PER TE UNA DATA SPARTIACQUE, MA COME SI È APERTO IL VARCO? ALL’IMPROVVISO L’ITALIA SI CONVERTÌ AL NEOLIBERISMO CELEBRANDO L’AVVENTO DELL’INDIVIDUALISMO? COME SI È POTUTO PASSARE IN UN BATTERE DI CIGLIA DAGLI ANNI DI PIOMBO E DELLA SOLIDARIETÀ NAZIONALE A TUTTO QUESTO?
È l’esito di un processo storico di lungo periodo, preparato negli Stati Uniti da anni, quando l’America - certo con dei difetti, ma pur sempre la migliore che ci sia mai stata - di Roosevelt, dei Kennedy (entrambi ammazzati) e di Lyndon Johnson viene seppellita da quella di Reagan e delle “maggioranze silenziose”. L’arrivo dell’ex attore alla presidenza degli USA, nel 1980, non è un evento casuale, ma il frutto di un capillare e massiccio lavoro di cambiamento della mentalità e di spostamento delle priorità della politica nazionale, aiutato dalla propaganda di una parte rilevantissima dei mass media. Una vera e propria operazione - vittoriosa, ahinoi, anzi trionfale - di conquista dell’egemonia culturale, come l’avrebbe definita il nostro Antonio Gramsci, e che, come una grande onda, si sarebbe diffusa nel resto dell’Occidente, partendo proprio dagli USA e dalla Gran Bretagna (dove, l’anno precedente, aveva vinto “Iron Lady” Margaret Thatcher, che avrebbe distrutto senza pietà il Welfare State inglese, una delle punte più alte raggiunte dalla civiltà europea nel Novecento). E l’onda avrebbe infranto anche le speranze di un mondo migliore scaturite dal Sessantotto e dai movimenti (che pure avevano anch’essi, naturalmente, alcuni aspetti non condivisibili) degli anni Settanta. In Italia si schiacciarono così le mobilitazioni degli studenti e dei lavoratori in un angolo, dicendo che il loro sbocco naturale non poteva che essere la terribile stagione del terrorismo. Una falsità e, anch’essa, un’operazione di manipolazione che trovò terreno fertile anche perché gli italiani erano stati oppressi dagli anni di piombo e, giustamente, volevano chiudere con quella fase. Venne fatta loro la promessa dell’arricchimento garantito e illimitato (la figura del cittadino comune che investiva i suoi risparmi in Borsa, sull’esempio di quanto avveniva in Inghilterra, divenne l’idealtipo dell’epoca), e così la scoperta, golosa e quasi incredula, del consumismo da parte dell’italiano medio, dopo gli anni di piombo e della solidarietà nazionale, ebbe l’effetto di una scossa e di una boccata d’aria (troppo) inebriante, producendo un’impressionante rivoluzione antropologica. Era il debutto della società del Grande Riflusso. E a fare, per un verso da megafono e da specchio e, per l’altro, da catalizzatore e amplificatore di questa mutazione antropologica, c’era la tv commerciale coi suoi “nuovi” programmi, per niente paludati e, anzi, coloratissimi, a cominciare da “Drive In”, quello che possiamo considerare come l’inizio della fine.
CON IL SENNO DEL POI NON PENSI CHE TUTTO SIA STATO PROGRAMMATO IN ANTICIPO? NON VOGLIO DIRE DA GELLI E LA P2, O DA UN IPOTETICO “GRANDE VECCHIO”, CON BERLUSCONI BRACCIO ARMATO, MA PARE TUTTO GIÀ SCRITTO.
Sembra un copione già scritto, infatti. Pianificato in anticipo da qualcuno. Del resto, pur respingendo qualunque dietrologia o inclinazione al complottismo, che non ci piacciono, ci sono dei fatti, come quelli che citi, che vanno semplicemente registrati, se solo si ha l’onestà intellettuale di farlo (mentre al riguardo sembrano imperare, guarda caso, la malafede e la negazione delle evidenze). E altri, come, per fare soltanto un esempio, gli incontri periodici, ogni terzo mercoledì del mese, documentati e raccontati da un giornale non certo scandalistico come il “New York Times”, che vedevano (e vedono in questa, o altra forma) raccogliersi intorno a un tavolo i rappresentanti delle principali banche d’affari statunitensi. I Masters Of The Universe, gli stessi che hanno scatenato l’inferno della crisi dei subprime e che si incontrano per “salvaguardare la stabilità e l’integrità del “mercato” finanziario, come dicono loro. Sarebbe ben curioso che i “padroni del vapore”, o i decision makers come si dice in termini più neutrali, non si incontrassero, consultassero e pianificassero le loro mosse, non trovi? La storia è spinta e agita (anche) da gruppi, “avanguardie”, circoli; sarebbe ridicolo negarlo, anche perché questo genere di negazione o sottovalutazione non aiuta di certo alla comprensione dei fenomeni.
IN FIN DEI CONTI ERA FACILE ENTRARE IN UNA SOCIETÀ ITALIANA TRADIZIONALMENTE ARRETRATA, DOVE LA CHIESA, CON LO STATO, HA SEMPRE IMPARTITO AI CETI SUBORDINATI LA LINEA, CONSISTENTE NELL’ADEGUARSI ALL’ORDINE POLITICO VIGENTE. SIAMO ABITUATI A NON DISCUTERE IL POTERE. SI CHIAMI SIGNORE, PRINCIPE O RE, NOI L’ACCETTIAMO DA SECOLI. MAGARI LO DERIDIAMO, MA NON LO DISCUTIAMO.
È una costante storica, divenuta quasi antropologica: l’omaggio al potere, che genera conformismo e rifiuto del pensiero alternativo. Siamo un popolo tristemente abituato a correre in soccorso dei vincitori. Non siamo gli unici, e ci sono parti importanti della società italiana sane sotto questo profilo, ma certo l’attitudine è estremamente diffusa. E la derisione di chi esercita il comando, cui fai riferimento, infatti, spesso non ha una valenza sovversiva, ma autoconsolatoria o rinunciataria, quando non (come nel caso dello “sberleffo dei potenti” che si verifica in talune trasmissioni) di “distorsione cognitiva”. In quest’ultimo caso, si finge di deridere il potere (per la verità, una porzione selezionata di interessi o di individui potenti) e si distrae il pubblico televisivo (il “popolo” dei nostri tempi), per lasciare indisturbato il vero manovratore, che non viene mai davvero toccato.
ALCUNI STORICI SOSTENGONO CHE IL FASCISMO FU L’ESTREMIZZAZIONE DELLA DELEGA E RINUNCIA ALLA LIBERTÀ, PAURA DELLA LIBERTÀ. CON BERLUSCONI È SUCCESSA UNA COSA SIMILE?
È una tesi interessante, e che spiega molto, a mio giudizio. L’esercizio autentico della libertà è un’attività complessa, perché richiede consapevolezza di sé e dei propri diritti. E senso del rispetto degli altri, volontà di non prevaricare: la mia libertà finisce dove comincia la vostra, come ci ha detto Martin Luther King. E la democrazia è un sistema politico assai difficile che richiede un’educazione alla cittadinanza, e sforzo, impegno da parte di tutti. Una democrazia, così come la libertà, vive davvero soltanto se viene praticata e alimentata da ciascuno di noi, giorno dopo giorno. È un tipo di regime esigente, quindi. Mentre la scorciatoia dell’affidarsi all’uomo forte, a quello cui delegare le attività pubbliche, per farsi così tranquillamente gli affari (quando non gli affaracci) propri, risulta molto più semplice. Ecco perché, nel Paese dove il tornaconto personale è considerato uno dei (dis)valori massimi, la tendenza a cercare un Capo è continua. Ma deleteria, come possiamo vedere continuamente, per la libertà dei singoli e della comunità nel suo complesso.
POSSIBILE CHE LA DESTRA DELLA CULTURA NON SAPPIA COSA FARSENE? APPESANTISCE, ANNOIA E SOPRATTUTTO FA PENSARE, CHE, COME È NOTO, È L’ANTICAMERA DELLA CRITICA?
È soprattutto questo il punto: la cultura genera e alimenta lo spirito critico. E il potere non ama - utilizzo un eufemismo - la capacità di essere critici che, invece, è il principio su cui si deve basare una democrazia. Coltivare il dubbio, e rifiutare qualunque verità assoluta imposta: ecco la dote essenziale di un buon cittadino. E la Destra, che trova nel principio d’autorità uno dei suoi fondamenti politici, risulta particolarmente allergica allo spirito critico.
POSSIBILE CHE D’UN TRATTO TUTTA L’ITALIA ABBIA SENTITO IL BISOGNO DI ACCENDERE LA TV, SEDERSI SUL DIVANO E FINALMENTE RIDERE SGUAIATAMENTE SENZA SENTIRSI IN COLPA E FUORI LUOGO? FINO A PERDERE LA TESTA PER TETTE E CULI. SIAMO UN POPOLO DI ALVARO VITALI POTENZIALI? COME DICEVA GABER “NON HO PAURA DI BERLUSCONI IN SÉ. HO PAURA DI BERLUSCONI CHE È IN ME”.
Tra Otto e Novecento, vari studiosi delle allora nascenti scienze politiche - tutti appartenenti alle classi dirigenti e terrorizzati dal socialismo e dall’organizzarsi del movimento operaio - studiavano preoccupati le dinamiche della “psicologia delle folle” che potevano travolgere e seppellire i valori liberali dell’individuo. Elias Canetti, in un libro straordinario e molto “eccentrico” e fuori dalle consuetudini (Massa e potere), ci ha mostrato cosa accade quando i singoli si fondono in masse indistinte. I regimi totalitari sono stati le palestre dei peggiori istinti animali degli individui che, disciolti in una folla sedotta da un dittatore, perdevano ogni traccia di umanità e si consegnavano a quella che Hannah Arendt ha chiamato la “banalità del male”. E negli Stati Uniti, la prima “democrazia di massa” della Storia occidentale, eserciti di psicologi sociali, esperti di pubbliche relazioni e specialisti di marketing, al servizio della grande industria, si sono dedicati a manipolare, per fini commerciali ed economici, le moltitudini. Sono altrettanti casi, figli dei mutamenti profondi introdotti dalla modernità, di comportamenti che si producono quando gli individui vengono avviluppati all’interno di forme di manipolazione, tanto più forti quanto più straordinaria è la potenza dei mass media, come avviene nella nostra età liquida e postmoderna. Anche perché proprio lo stare all’interno di masse (o branchi), garantisce un senso di terribile “condivisione” (e magari di impunità), che fa perdere ogni freno inibitorio. E, quindi, dovremmo essere giustamente spaventati da quello che sta dentro di noi, che può scatenarsi da un momento all’altro. Se, poi, nel l’Italia berlusconiana, l’egoismo più spinto, il rifiuto della solidarietà e della cultura e la “furbizia” vengono non soltanto sdoganati, ma esaltati, dovremmo avere tremendamente paura di quello che si agita dentro noi stessi quando permettiamo agli animal spirits di sopraffare la nostra parte migliore. E, invece, il vero “miracolo italiano” (deteriore) si è compiuto: e moltissimi sono felicissimi di ostentare il loro volto peggiore, quello che ci allontana dalle nazioni più civili.
LA FUNZIONE DISEDUCATIVA DEL PICCOLO SCHERMO NEI CONFRONTI DELLA NUOVE GENERAZIONI L’AVEVA GIÀ FATTA NOTARE IL POVERO PASOLINI, CHE RISCONTRAVA CON COSTERNAZIONE LA “MUTAZIONE ANTROPOLOGICA” INDOTTA DALL’ELETTRODOMESTICO NEI SUOI AMATI RAGAZZI DI BORGATA E NEGLI ITALIANI TUTTI, DECIMATI DAL GENOCIDIO CULTURALE PRODOTTO DALL’OMOLOGAZIONE E DAL CONSUMISMO, ACCURATAMENTE PIANIFICATI DAL POTERE CAPITALISTICO.
È l’eredità più attuale di Pier Paolo Pasolini, il quale, peraltro, era un po’ troppo innamorato di un’idea arcaica e arcadica di società. Mentre il Pasolini critico, da subito, delle degenerazioni future della società dei consumi e della “mutazione antropologica” (che osservava nei ragazzi delle periferie romane, ma destinata presto a estendersi, in maniera apparentemente irresistibile, a buona parte della società tutta), fu un profeta. Come fu preveggente nell’intuire, senza averne le prove dirette, i contorni multiformi e sfuggenti di un potere ircocervo (in stile P2) che governava illegalmente l’Italia da dietro le quinte. Se il Pasolini scrittore è, per i miei gusti, discutibile, il Pasolini critico e geografo del potere in via di diventare postmoderno ci dice invece moltissimo, e in modo estremamente acuto.
SE LA TV HA FATTO TABULA RASA DELL’INTELLIGENZA DEGLI ITALIANI, HANNO CONTRIBUITO MOLTO ANCHE I GIORNALI. TU CITI ALFONSO SIGNORINI DIRETTORE DEI SETTIMANALI DI MONDADORI “CHI” E “TV SORRISI E CANZONI” CHE HA SVOLTO UN RUOLO DI AUTENTICO POLITICO INCARICATO DI UNA MISSIONE DELICATISSIMA E CENTRALE DAL DIAVOLO DI ARCORE. UN TEMIBILE SPIN DOCTOR… MA NEI SUOI GIORNALI SI SONO ARRUOLATI TANTI EX RIVOLUZIONARI DI PROFESSIONE, MAGARI STANCHI DAL GRIGIORE CHE PERMEAVA LE PROPRIE FILE.
Già. L’attrazione irresistibile esercitata dall’altro da sé (insieme ai benefici professionali), il lato oscuro della Forza (descritto infatti benissimo da un film postmodernissimo come Guerre stellari), che ha traghettato alcuni ex rivoluzionari di professione dal grigiore tetragono di una Sinistra spiazzata e dal fallimento delle utopie al mondo vincente dell’edonismo reaganiano. E berlusconiano, dove imperversa il gran Maestro di cerimonie (politiche) Alfonso Signorini, che possiamo considerare come l’inventore della gossipcrazia e del gossipopolare, il ministro del Mincul (gossi)pop del Premier.
È VERO CHE, COME DICE BATTISTA, LA SINISTRA HA SMESSO DI PENSARE MA LA DESTRA NON HA MAI COMINCIATO?
Dipende da quale tipo di pensiero. Una certa Destra ha utilizzato altri strumenti, come sta accadendo da anni in Italia, per conquista re “i cuori e le menti” degli individui, tenendoli ben lontani dal pensiero, che quando viene esercitato, come sappiamo bene, risulta pericoloso per tutti gli ordini costituiti. Ma l’egemonia sottoculturale che ha imposto è frutto di elaborazione e strategia, e dunque di un certo tipo di pensiero, non emancipatorio, ma volto a tenere le persone in uno stato di soggezione e minorità. Battista, d’altronde, è lo stesso che dopo l’uscita del libro L’egemonia sottoculturale lo ha liquidato scrivendo così sul “Corriere della sera” (6 agosto 2010): “Non si capisce ancora come mai in Italia si apra un dibattito demenziale (non è uno scherzo, c’è un libro apposito di Massimiliano Panarari) imperniato sul seguente, vertiginoso interrogativo modello Monty Python: l’egemonia culturale del Gabibbo ha sostituito quella di Antonio Gramsci?”. Direi che si commenta da sé, e non mi sembra ci sia nulla da aggiungere, se non che i Monty Python erano strepitosi…
PERCHÉ IL NOSTRO GIORNALISMO È DA SEMPRE PRONO AL POTERE E SI DÀ SEMPRE MOLTO DA FARE PER METTERE A PROPRIO AGIO I POTENTI? DIFETTO PRESENTE SIA A DESTRA CHE A SINISTRA. RICORDO QUANDO FABIO FAZIO OSPITÒ FASSINO IN OCCASIONE DELLO SCANDALO UNIPOL-CONSORTE, FASSINO SI DISCOLPÒ DICENDO CHE SI STAVA SOLO INFORMANDO. FAZIO FINSE DI BERSI LA BALLA E PASSÒ OLTRE. L’UOMO GIUSTO AL POSTO GIUSTO.
D’altra parte anche in America i trotskysti sono diventati neocon al servizio di Reagan e Bush e stessa cosa è successa in Inghilterra con la Thatcher. Il conformismo è, purtroppo, nella natura umana; rappresenta un’esigenza psicologica, che diventa fortissima di fronte al potere quando questo decide delle facoltà, della visibilità e degli stipendi dei giornalisti (come di qualunque altra categoria di lavoratori intellettuali). E il potere sa essere molto riconoscente con gli operatori dell’informazione che si adattano e si prestano a fare da megafoni. Vale per l’Italia, come per gli Stati Uniti, come ricordi a proposito di un’esperienza, quella degli ex trotskisti passati al servizio dei regimi neoliberali in cui, oltre all’essere stati comprati, scattò anche un altro meccanismo. Volevano fare la rivoluzione, spaccare il mondo e riplasmarlo: dal momento che non ci erano riusciti da sinistra, si apriva loro la possibilità di fare i “consiglieri del principe” del Verbo neoliberista e di una Destra radicalconservatrice, che nulla aveva più a che fare col liberalismo classico e moderato. Era la “rivoluzione ultraconservatrice”, che distruggeva un vecchio ordine; e, quindi, questi “pentiti” del radicalismo di sinistra potevano persino fingere di mettersi la coscienza a posto, recitando la formuletta della continuità e della fedeltà ai loro ideali giovanili di sconvolgimento dell’ordine delle cose. Sempre “eversivi”, per l’appunto, questa volta dall’altra parte della barricata.
SEMBRA INCREDIBILE OGGI CREDERE CHE LA SINISTRA SIA STATA A SUO TEMPO EGEMONE, ALMENO SUL PIANO CULTURALE E NON ABBIA FATTO NIENTE PER DIFENDERE L’ENORME PATRIMONIO CULTURALE ACCUMULATO IN ANNI DI RIFLESSIONE E DIBATTITO. AL PUNTO CHE, IN CERCA DI RIFERIMENTI ALTERNATIVI RISPETTO ALLA PROPRIA TRADIZIONE, HA INIZIATO CON ESITI DISASTROSI A BAZZICARE GLI STUDI TV. RICORDO FASSINO CON LA VECCHIA TATA…
Si chiama subordinazione culturale. Arriva quando “si getta il bambino con l’acqua sporca”, e si dismettono, insieme all’ideologia, gli ideali politici e culturali, non facendo l’indispensabile sforzo di reinventarli e riaggiornarli in relazione ai cambiamenti della società. Che è il lavoro essenziale che dovrebbe fare una Sinistra seria. E così si lasciano dilagare le varie egemonie sottoculturali, fino a farsene stregare e, come racconta lo spin doctor Alfonso Signorini, il mago della propaganda berlusconiana attraverso il gossip, a piatire interviste sui suoi rotocalchi. Facendo così allontanare tante persone che nella Sinistra credevano e credono.
PERCHÉ NESSUNO SOPPORTA PIÙ LA STORIA? PERCHÉ C’È COSÌ TANTA DIFFICOLTÀ PER CELEBRARE 150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA?
Già, non siamo una nazione per molte ragioni. Alcune di lungo corso, come ci spiegano gli storici: il nostro processo di Nation building (di costruzione e unificazione nazionale) è stato ritardato e assai più faticoso rispetto a quello degli altri Paesi europei. Il Risorgimento è stato certamente un processo condotto dalle élites, assai più che autenticamente partecipato dalla popolazione. E siamo da sempre - come diceva, tra Quattro e Cinquecento, lo scrittore e pensatore politico Francesco Guicciardini - un popolo mosso innanzitutto dal proprio “particulare”, il tornaconto personale. In questi ultimi decenni, nel corso dei quali una delle reazioni prevalenti alla globalizzazione si è concretizzata nel populismo e nell’egoismo delle piccole patrie (nutrito spesso di xenofobia), anche da noi si sono diffuse moltissimo le spinte alla disgregazione dell’unità nazionale. E dietro etichette e modelli - sui quali valeva naturalmente la pena di riflettere seriamente, e non di farne slogan improvvisati - come “federalismo” - sono passati disegni di separatismo e potenziale secessione. Ecco perché a molti, troppi, a Nord come a Sud, sta bene indebolire il più possibile il Paese ed esaltare strumentalmente localismi e tradizioni. Ora, nel momento in cui dovremmo cercare di diventare tutti quanti cosmopoliti, ci troviamo a dover difendere l’unità nazionale da violente spinte centrifughe. E, così, il nostro ritardo rispetto ai Paesi normali e civili si incrementa ulteriormente.
LA GELMINI HA DETTO “FINALMENTE ABBIAMO MANDATO IN SOFFITTA IL ’68”. COS’È? IGNORANZA, PROVOCAZIONE?
È pura ideologia (di destra), e una lettura strumentale degli eventi.
COME VEDI IL DECRETO GELMINI SULLA SCUOLA? A SINISTRA SI PIANGE, A DESTRA SI SORRIDE. LA VERITÀ STA NEL MEZZO?
Lo trovo un modo sbagliato per affrontare dei problemi che esistono davvero, e che la Sinistra, per presentarsi come forza innovatrice (e non conservatrice) avrebbe dovuto porre con forza. La nostra Università sta soffocando, non premia il merito (al netto di alcune eccezioni, naturalmente, in università pubbliche e soprattutto private), fa emigrare i cervelli migliori, scivola in fondo nelle graduatorie internazionali. Quanto ci vuole ancora per intervenire?
PARLI MOLTO DI SITUAZIONISTI E DEL COLPO DI STATO INDOLORE. POCO SOPPORTATI AI TEMPI, HANNO VISTO IL FUTURO?
Decisamente sì. Sono stati i profeti lucidissimi della società dello spettacolo; il dramma - a dimostrazione di quanto avessero ragione - è che delle loro teorie possiamo dire che si sono impossessati i loro acerrimi nemici, le destre diventate neoliberali, cioè il nuovo tipo di capitalismo di cui i situazionisti avevano intuito la genesi e la formazione. Il neoliberismo ha occupato militarmente e colonizzato totalitaristicamente il nostro immaginario, piegandolo a fini consumistici e biopolitici. E si è proposto come l’orizzonte pressoché unico, da cui non si scappa, e di cui siamo diventati tutti sudditi inconsapevoli. E all’apparenza pure felici, fino a che le crisi economiche continue, le bolle speculative, le enormi differenze di ricchezza e possibilità non ci ricordano che questo è un regime economico (e politico) fondato sul dominio di pochissimi e l’oppressione dei tanti (che crescono ogni giorno di più, con lo spappolamento delle classi medie considerate inutili e abbandonate al loro destino di impoverimento progressivo da questo neocapitalismo aggressivo che le considera inutili).
SOSTIENI CHE I PRIMI A CEDERE ALLA TV SPAZZATURA SONO STATI PREVALENTEMENTE I SETTENTRIONALI CHE MAI SI SAREBBERO SOGNATI DI RECARSI A TEATRO, NEPPURE PER VEDERE UN’OPERETTA… IL LOMBARDO VENETO E IL PIEMONTE HANNO FATTO DA CAVIA?
Queste regioni settentrionali sono state i laboratori di un modello destinato a diventare dominante; e, non a caso, i luoghi di partenza delle gite per andare a vedere i mobilifici Aiazzone, quelli delle televendite pionieristiche delle reti Fininvest. Era l’Italia dei “bauscia” e delle sterminate piane di capannoni industriali del Veneto che, svolgendo un ruolo di locomotiva economica, si sentivano in diritto di estendere la propria way of life a modello per tutta la nazione, e si preparavano alla presa del potere tramite il tycoon, il padrone delle tv che amavano.
E IN TUTTO QUESTO COME SI COLLOCA LA LEGA?
Ci si colloca perfettamente a proprio agio. Oltre ad avere assunto, giustappunto, un ruolo sempre maggiore di rappresentanza politica di quelle zone del Paese. Aree sempre più spaventate dalla globalizzazione economica e dalle difficoltà della gara economica con altri Paesi (non potendo più contare, tra l’altro, sulla svalutazione competitiva della valuta per le esportazioni a causa della sostituzione della moneta unica, l’euro, alla lira), e dall’immigrazione. E la Lega, che è il principale “imprenditore politico” della paura, propone ricette populiste (tra mille contraddizioni rispetto alla sua azione di governo), così come fanno altri partiti in giro per l’Europa, di tipo xenofobo e sostenitori delle “piccole patrie”. Il populismo, che urla contro la globalizzazione finanziaria e sostiene di difendere i gruppi sociali più penalizzati da essa, non è altro che il rovescio della medaglia di quel neoliberismo che ha intensificato una mondializzazione a senso unico, ispirata alla legge del più forte. E, infatti, i due fenomeni vanno a braccetto e, politicamente, rappresentano due volti della Destra, tra loro esplicitamente o implicitamente alleati.
ANTONIO RICCI, LE “IENE”, ETC. LA LORO L’IRONIA È UNA RISATA CORTIGIANA A FAVORE DEGLI INSERZIONISTI O COMMITTENTI POLITICI CHE SIANO? CLIMA CARNEVALESCO, DISPENSATORE DI NOTIZIE E SOGGETTO DI DENUNCIA, MA LA POLITICA VIENE CARICATURIZZATA, SVILITA, ACCOSTATA A UN’ACCOZZAGLIA DI CASTE EGOISTE, SBEFFEGGIATA SENZA PIETÀ TUTTO PER PORTARE ACQUA AL MULINO DEL CAVALIERE E RENDERGLI SEMPRE PIÙ FACILE LA STRADA VERSO IL POTERE ASSOLUTO?
Se fare satira significa bersagliare il potere e l’ordine sociale, in modo pungente e tagliente, esprimendo, tramite la risata, una critica, le trasmissioni che citi appartengono chiaramente, direi, a un altro genere. Che promuove, appositamente, l’antipolitica, diffondendo l’idea che la politica sia tutta “merda” e, soprattutto, che non si possa contare su di essa per cambiare le cose. Perché lo stato delle cose - cioè l’Italia del Cavaliere, nel mondo neoliberista dell’amico Bush e nell’universo politico autoritario dell’amico Putin - rappresenta la migliore delle situazioni possibili. Risate cortigiane, a maggior gloria del signore della corte, per l’appunto.
MARIA DE FILIPPI STA SCRIVENDO ALCUNE DELLE PAGINE DECISIVE DELLE NEO-SUBCULTURE GIOVANILI ITALIANE… CHE NE PENSI? IL TRONISMO È LA CONDANNA SENZA APPELLO E LA MESSA A MORTE DEL GUSTO ITALIANO?
Io penso di sì. Sono una vera e propria condanna (severissima) della grande predisposizione per l’eleganza e dell’innato gusto italiani. Del resto, come altro possiamo definire una situazione in cui dei tizi nerboruti e muscolosissimi, che si fanno vanto di parlare un italiano “verace” fatto di duecento parole o suppergiù, stretti in improbabili canotte stretch (che sono diventate la disperazione di chiunque non voglia morire stritolato in vestiti di almeno due taglie minori; ma, in questo caso, non c’è alternativa…), passano ore seduti in uno studio tv pontificando sul nulla con una tracotanza impressionante, e lanciando suoni gutturali, mentre va in onda una sorta di sublimazione del rituale di accoppiamento dei fagiani? Lo dico senza alcuno snobismo, e intuendo la volontà di affermarsi dei “tronisti” e delle “corteggiatrici” (per non citare che due delle nuove “figure sociali” lanciate dai programmi di Maria De Filippi). Ma mi domando, e vi chiedo: vi pare giusto? Non c’è un limite, per l’appunto, dettato dal buon gusto e da quella cosa che si chiama intelligenza (che in Italia si cerca di calpestare in ogni occasione)? È questo il modello che vogliamo dare alle generazioni più giovani cui è stata già distrutta la scuola, e a beneficio delle quali nessuno si preoccupa di creare opportunità di occupazione (e men che meno di qualità)?
SOLO CINQUE MILIONI DI ITALIANI POSSIEDONO DAVVERO LE COMPETENZE LINGUISTICHE E CULTURALI PER AFFRONTARE LA SOCIETÀ ODIERNA; LA RESTANTE ENORME PARTE DEL PAESE È VARIAMENTE CLASSIFICABILE SOTTO UNA DELLE CATEGORIE DI ANALFABETISMO. E SI ABBEVERA SOLTANTO AI TG. FORSE LA TV NON DECIDE LE ELEZIONI, MA RESTA FONDAMENTALE PER I PERSONAGGI CHE CREA, PER I MESSAGGI CHE LANCIA, E SOPRATTUTTO PER QUELLO CHE TACE. COME NEL TRUMAN SHOW, QUALCUNO CI AIUTA A PENSARE. E LA SITUAZIONE, ANZICHÉ MIGLIORARE, SI AGGRAVA PROGRESSIVAMENTE. THERE IS NO ALTERNATIVE?
“Tina” (There Is No Alternative, per l’appunto), uno dei mantra dell’epoca neoliberista - in cui, secondo qualcuno, saremmo dovuti persino arrivare alla “fine della Storia”, con il trionfo assoluto del capitalismo e dell’economia di mercato in ogni parte del globo. E uno degli slogan più utilizzati da Margaret Thatcher, la donna politica che ha inaugurato, diventando Primo Ministro della Gran Bretagna nel 1979, il pessimo mondo in cui ci tocca di vivere per colpa di gente come lei e degli avidi padroni della finanza planetaria. Ora, la prima e più importante delle alternative passa sicuramente per la diffusione e la promozione della cultura. Non in senso pedante, ma come passione, curiosità, allargamento degli orizzonti e degli interessi, amore per la lettura e la musica. Da questa curiosità, nasce la volontà di andare a vedere se quello che ci circonda rappresenta tutto quello che effettivamente esiste, oppure se esistono altri mondi possibili; delle alternative, per l’appunto, migliori di ciò che viviamo. Dall’ampliamento degli orizzonti scaturisce così anche lo spirito critico, reso possibile dal confronto tra la nostra esperienza e quelle degli altri. Ora, se tutti i mass media tirano dalla stessa parte e ci descrivono la realtà italiana come il migliore dei mondi possibili, dove non c’è crisi economica e tutti sono sereni e pacificati, ci troviamo - come purtroppo accade, e come fai giustamente notare - in una sorta di terribile e disonesto Truman Show. Un Paese virtuale e iperreale (molto postmoderno, nel senso cattivo del concetto), che ha abolito la realtà. Una specie di grande reality, per l’appunto (e purtroppo). Ecco perché il “padrone del vapore”, che oggi è quello delle tv, ha edificato un’egemonia sottoculturale che toglie e indebolisce le competenze linguistiche e culturali, così da mantenere i sudditi narcotizzati e incapaci di capire davvero il presente e la tristissima Italia contemporanea, dove per i giovani di talento, e per i giovani tutti, più in generale, non c’è posto.
PRIMA DELL’ULTIMA DOMANDA. TU SAI CHE LA ENDEMOL È DI PROPRIETÀ DI BERLUSCONI. È LA SOCIETÀ CHE DETIENE QUASI TUTTI I FORMAT TELEVISIVI (ED I LORO DIRITTI D’AUTORE). PRODUCE, TRA GLI ALTRI “AFFARI TUOI”, “GRANDE FRATELLO”, “LE INVASIONI BARBARICHE”, “CHE TEMPO CHE FA”, “L’ISOLA DEI FAMOSI”, “X-FACTOR” ETC. IN PRATICA MEDIASET GUADAGNA SULLA PUBBLICITÀ DELLE SUE RETI, SUI DIRITTI DELLE TRASMISSIONI RAI. IN PRATICA MEDIASET DIRIGE SE STESSA ED ANCHE LA RAI. QUANDO ANCHE IL PROGRAMMA DI FAZIO E SAVIANO È PRODOTTO DA BERLUSCONI FORSE È TROPPO TARDI PER RIBELLARSI?
È il tema dei media conglomerate quello che sollevi. Una questione decisiva per la democrazia perché una parte significativa dei mass media richiede investimenti ingenti e tante risorse che, nell’epoca neoliberista, hanno assecondato la moltiplicazione a dismisura degli intrecci azionari e proprietari. E, nel settore fondamentale dell’intrattenimento e dell’informazione, questo significa, chiaramente, riduzione degli spazi di libertà. Il caso di Endemol, la multinazionale dell’immaginario globalizzato e standardizzato, è eclatante. Proprio per questo, occorre “impossessarsi” di ogni ambito non controllato e aprire delle taz, “zone temporaneamente autonome” come diceva Ha kim Bey, un maestro dell’anarchia, nelle reti di questi poteri cognitivi. Ritengo che occorrano, quindi, media di strada, strumenti di comunicazione popolari, occasioni di controinformazione, giornali liberi e indipendenti come Il Mucchio e che servano trasmissioni come quella di Saviano e Fazio, e libri fuori dal coro e dalla cappa (e che raggiungano tante persone possibili) all’interno dei grandi gruppi editoriali, compresi, chiaramente, Mondadori ed Einaudi. Serve, in una parola, quel pluralismo delle fonti di informazione che costituisce uno dei pilastri di una vera democrazia liberale, cosa ben lontana dalla visione dei tanti sedicenti liberali di cui ogni giorno ci tocca sentire le “lezioni” - su quasi tutti i mass media - in Italia; e che si riempiono la bocca di parole svuotate del loro significato autentico e girate, come frittelle, in direzioni pelose, strumentali e interessate. Per confondere le persone. Perché le parole sono importanti, e vanno ricondotte ai loro significati originari, altrimenti continueremo a vivere nel regime dell’equivalenza, come lo chiamava il filosofo francese Cornelius Castoriadis, quello del “non importa cosa si dice”, dove vale tutto e il contrario di tutto, come accade nell’Italia attuale.
COME SI FA A REAGIRE A TUTTO QUESTO? SENTO IN GIRO CHE TUTTO È FERMO, CHE TUTTO VA MALE, MA COSÌ È DIFFICILE MUOVERE QUALCUNO PERCHÉ PER MUOVERSI BISOGNA PENSARE CHE VI POSSA ESSERE MOVIMENTO. TU SOSTIENI CHE LA POLITICA DOVREBBE ESSERE IL PRIMO PRODUTTORE DI ANTICORPI. MA NE HA ANCORA LE CAPACITÀ DOPO 30 ANNI DI LAVAGGIO DEL CERVELLO? E QUAL È L’ALTERNATIVA? QUELLA DEL CENTRO SINISTRA SI È RIVELATA POCO APPETITOSA: COALIZIONI RISSOSE, PROPOSTE VAGHE, COMPORTAMENTI IPOCRITI. PUR DI TENER FUORI LA SINISTRA, GIUDICATA INAFFIDABILE, MOLTI ITALIANI AVREBBERO VOTATO IL DEMONIO...
Il problema - vero - penso sia quello di elaborare un’idea diversa di società, e non solo quello di arrivare al potere. Il potere fine a se stesso, infatti, se non è accompagnato da un progetto, si rivela, al contrario, controproducente e corruttivo. Serve un’altra idea di società, dunque. Con il mercato, certamente, perché non abbiamo trovato un modo migliore per fare economia e garantire la circolazione dei beni. Ma, soprattutto, una società più solidale, meno diseguale e capace, al tempo stesso, di valorizzare gli individui e di liberare le loro energie. E più sobria, perché i consumi devono servire a migliorare e rendere più soddisfacenti le nostre esistenze; non siamo noi, persone, a dover essere, come invece succede troppo spesso, funzione dei consumi.
CREDI CHE IL BERLUSCONISMO POTREBBE AVERE QUALCHE PERICOLOSO COLPO DI CODA E POTREBBE CONTINUARE AD IMPEDIRE A QUESTO PAESE DI AVERE E TENTARE ALTRE POSSIBILITÀ?
I blocchi economici e sociali dominanti, nelle democrazie imperfette e con scarse alternanze, fanno molta fatica a mollare il potere. Ciò vale, a maggior ragione, per un potere onnipervasivo, come quello attuale, in una società postdemocratica come la nostra. E, dal momento che il berlusconismo è la reincarnazione (rivisitata in chiave postmoderna) di una tendenza eterna della politica italiana (che è riuscita a entrare così profondamente, e trasversalmente, nel corpo sociale), le macerie rimarranno, malauguratamente, a lungo, molto a lungo. E, quindi, dobbiamo prepararci, coi nervi saldi e molta lucidità, a una lunga traversata nel deserto e a fare uno sforzo di creatività (politica e culturale) vera per raddrizzare la barra del Paese, e portarlo fuori da quell’atmosfera triste e plumbea in cui è stato sprofondato.
MARINO SEVERINI SOSTIENE CHE OCCORRE UN NUOVO UMANESIMO CHE SIA CAPACE DI FARCI RITROVARE IN UNA NUOVA UNITÀ E CI COINVOLGA IN UN PROGETTO IN CUI NOI TORNIAMO POPOLO E NON PIÙ PLEBE. LA POLITICA CONCEPITA COME STRUMENTO DELLA LOTTA CHE L’UOMO HA INGAGGIATO DA SECOLI PER LA SUA PROGRESSIVA LIBERAZIONE DA TUTTI I SERVAGGI, LE IGNORANZE, LE PAURE CHE HANNO ACCOMPAGNATO LA SUA STORIA, COMPRESA LA LOTTA PER L’EMANCIPAZIONE DEL LAVORO.
Sì, è vero; e l’impegno politico della sua band, d’altronde, va proprio in quella direzione. Direi che occorre un “umanesimo postmoderno”, chiamiamolo così, cosciente della fine delle ideologie come sistemi chiusi e oppressivi, ma in grado di rilanciare degli ideali, culturali, civili, etici. Un “umanesimo postmoderno” che creda nella politica come strumento di cambiamento e liberazione degli individui. Senza politica una società muore, e diventa preda indifesa di qualcos’altro, come l’economia inumana che ci sta opprimendo da decenni. Più politica, dunque, altro che meno. Certo, una politica intesa come spirito di servizio e ricerca del bene comune: parole antiche per un’esigenza eterna delle comunità.  

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