martedì 25 settembre 2018

Una storia senza nome

anno: 2018       
regia: ANDÒ, ROBERTO    
genere: giallo    
con Micaela Ramazzotti, Alessandro Gassmann (Alessandro Gassman), Laura Morante, Renato Carpentieri, Antonio Catania, Gaetano Bruno, Marco Foschi, Martina Pensa, Renato Scarpa, Silvia Calderoni, Emanuele Salce, Paolo Graziosi, Filippo Luna, Michele di Mauro, Allan Pearce Caister (Allan Caister Pearce), Giovanni Martorana, Jerzy Skolimowski    
location: Italia
voto: 1,5    

La regola è sempre la stessa: 9 volte su 10, quando un film parla di un regista in crisi, oppure di uno sceneggiatore o di uno scrittore con la sindrome da foglio bianco, non fidatevi: vuol dire che davvero chi lo ha scritto non sa cosa dire. Regola che diventa addirittura ferrea nel caso di questo Una storia senza nome, che - pur prendendo spunto da un fatto reale (il furto, in Sicilia, della Natività del Caravaggio da parte della mafia, mezzo secolo fa), annaspa nel più inverosimile dei plot possibili. Tutto sembra ruotare attorno ad Alessandro (Gassman), sceneggiatore che da un decina d'anni non riesce più a scrivere un rigo. A togliergli puntualmente le castagne dal fuoco c'è Valeria (Ramazzotti), segretaria nell'ufficio dove lavora il suo produttore (Catania), alla quale Alessandro passa somme cospicue in cambio di sceneggiature di successo. Ma la vera bomba arriva allorquando il nuovo soggetto scritto da Valeria proviene da una storia vera che le viene raccontata da un anziano quanto misterioso investigatore (Carpentieri), che le rivela i retroscena che stanno dietro il furto di quel famoso quadro.
Roberto Andò continua imperterrito per quella strada tanto impervia quanto senza uscita che è il suo cinema fatto di misteri irrisolti, personaggi doppi e tanta, tanta incompiutezza, come ne Le confessioni e Sotto falso nome. Qui l'intreccio diventa addirittura involontariamente comico, con una madre (Morante) che sta a stretto contatto con il gotha della politica, fa la ghostwriter per conto di un ministro della repubblica (Scarpa) ed entra indisturbata a Palazzo Chigi senza che nessuno controlli o la fermi. Poi c'è un produttore siciliano (Bruno) colluso con la mafia che non si sa quali esigenze di copione spingano a recitare balbettando, c'è Gassman che rimane per mesi in coma in ospedale e, pur di mostrarne i pettorali, nessuno si preoccupa mai di mettergli un pigiama addosso, per non dire delle figure di contorno (i mafiosi) che sono meno che caricature, o di gente che muore e poi resuscita. Altrettanti pietosissimi veli andrebbero stesi sulla protagonista, Micaela Ramazzotti, che parla come se fosse perennemente afona e come se in tutta la carriera non avesse mai cambiato set, o sulla Morante perennemente disabbigliata, nonché sui personaggi che spariscono improvvisamente dal racconto dopo essere stati legati al letto per un incontro sadomaso e così via. Come se non bastasse, le musiche onnipresenti, ampollose e tonitruanti di Marco Betta non abbassano mai il livello di decibel per l'intero film, finendo col mangiarsi anche qualche dialogo. Per Roberto Andò la strada del ridicolo non conosce confini.    

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