mercoledì 19 gennaio 2011

Kill me please

anno: 2010       
regia: BARCO, OLIAS
genere: grottesco
con Aurélien Recoing, Benoît Poelvoorde, Muriel Bersy, Nicolas Buysse, Ingrid Heiderscheidt, Jérôme Colin, Ewin Ryckaert, Stéphane Malandrin, Virgile Bramly, Gérard Rambert, Stéphanie Crayencour, Vincent Tavier, Zazie De Paris, Virginie Efira, Saul Rubinek, Clara Cleymans, Daniel Cohen, Bouli Lanners, Olga Grumberg, Philippe Nahon, Bruce Ellison, Philippe Grand-Henry
location: Belgio       
voto: 6

Nella clinica del dott. Kruger (Recoing) i pazienti vanno per ottenere una morte dolce. Soltanto uno di loro riuscirà a seguire il programma. Gli altri, con l'eccezione di una ex soprano con la voce da uomo, andranno tutti incontro a una morte violenta.
Commedia nera sul tema dell'eutanasia - argomento lambito occasionalmente dal cinema ma con maggiore frequenza negli ultimi anni: basti pensare a film come Di chi è la mia vita? (1981) Un medico, un uomo (1991), Le invasioni barbariche (2003), Mare dentro (2004) e Million dollar baby (2005) - premiata al Festival del Cinema di Roma con il massimo alloro, tanto furba quanto ambigua. Ambigua perché è uno di quei film che all'uscita dalla sala ti obbliga alla discussione, proprio alla maniera di un altro film che vinse a Roma, Juno. In quel caso la domanda era: ma è un film pro o contro l'aborto? In questo, analogamente, ci si chiede se il regista sia a favore o contro l'eutanasia. Sarà che il festival si svolge nel centro della cristianità e che i romani subiscono indefessamente il lavaggio del cervello da un paio di millenni circa, ma film che al massimo possono essere definiti "carini" piacciono tanto al pubblico capitolino. E poi è un film furbo, perché sotto le mentite spoglie del registro grottesco sul modello de La grande abbuffata, dove qualsiasi parossismo è lecito, veicola un messaggio preciso: vuoi la morte? L'avrai, ma sarà tutt'altro che dolce. Se sul piano dei contenuti il film richiama l'attenzione sul ritardo decennale (per ora…) col quale si è aperto il dibattito sull'eutanasia e sul testamento biologico anche in Italia, rispetto a civiltà che possono dirsi veramente tali, sul piano della forma va dato atto al quarantenne cineasta franco-belga di avere indovinato la carta del bianco e nero, che la direzione degli attori è impeccabile e che qualche trovata è piuttosto originale con irriverenti spunti splatter. Il tutto a bordo di un copione che per una buona mezz'ora trasforma lo spettatore in una macchina da sbadigli.    

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