domenica 20 gennaio 2013

L'economia della felicità (The Economics of Happiness)

anno: 2011   
regia: GORELICK, STEVEN * NORBERG-HODGE, HELENA * PAGE, JOHN
genere: documentario
con Pracha Hutanuwatr, Jan Barham, Ronald Colman, Eliana Amparo Apaza Espillico, Zac Goldsmith, Daniel Greenberg, Clive Hamilton, Richard Heinberg, Rob Hopkins, Chris Johnstone, David Korten, Rodrigo Lopes, Bill McKibben
location: Australia, Cina, Francia, Germania, Giappone, India, Nicaragua, Perù, Regno Unito, Tailandia, USA
voto: 8

Tutto questo consumismo, tutte queste comodità, tutta questa tecnologia, ci fanno davvero bene? Ci rendono davvero più felici? A partire da queste semplicissime domande, Helena Norberg-Hodge, economista e attivista tra le maggiori sostenitrici della decrescita, già autrice del best seller Ancient futures, ha confezionato un documentario di 70 minuti che - a partire dalla sua lunga esperienza in Ladakh, sulla catena dell'Himalaya - mostra quale impatto devastante abbia prodotto la globalizzazione su una popolazione che prima era integrata e felice. Il materiale presentato, corredato da interviste, approfondimenti, fatti e dati, non dice granché di nuovo a chi davvero abbia già a cuore l'argomento, ma ha l'indiscusso merito di portare l'attenzione su un fenomeno rispetto al quale non si discute ancora abbastanza, e lo fa con assoluta chiarezza. Sul banco degli imputati, insieme alla globalizzazione, ci sono i grandi insediamenti urbani e lo strapotere delle multinazionali. Detto così potrebbe sembrare soltanto sloganistica spicciola. E invece l'autrice, che del film è anche co-regista, mostra con limpidezza quali effetti perversi abbia portato con sé l'economia globalizzata: perdita delle relazioni comunitarie, aumento della competitività, individualismo, incremento iperbolico dei danni ambientali, disoccupazione, standardizzazione dei consumi, riparametraggio delle proprie condizioni di vita con quelle degli improponibili standard americani, depressione, perdita della soggettività, intensificazione delle paure, sfiducia nel prossimo.
La soluzione, a sentire gli autori de L'economia della felicità o economisti influenti come il francese Latouche, va cercata cominciando col ridurre le dimensioni di scala delle economie. La parola d'ordine è localizzazione. Pare incredibile, ma persino a San Francisco qualcuno si sta muovendo in questa direzione.
Tutt'altro che innovativo sul piano del linguaggio cinematografico e documentaristico, L'economia della felicità dovrebbe essere imposto alle generazioni dei ventenni di oggi, molti dei quali votati al consumismo più accanito, mentre per i loro genitori, cioè la mia generazione, ci vorrebbe il metodo Ludwig che veniva imposto ad Alex in Arancia meccanica: occhi spalancati e visione coatta ad libitum.    

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