giovedì 21 luglio 2016

Human

anno: 2015   
regia: ARTHUS-BERTRAND, YANN
genere: documentario
location: Africa del sud, Allemagne, Australia, Bahamas, Bangladesh, Bolivia, Brasile, Burkina Faso, Cambogia, Canada, Cina, Congo, Corea del sud, Cuba, Egitto, Etiopia, Filippine, Francia, Giappone, Giordania, Grecia, Haiti, India, Irlanda, Israele, Italia, Kazakhstan, Kenya, Libano, Libia, Madagascar, Marocco, Mauritania, Messico, Mongolia, Myanmar, Namibia, Népal, Norvegia, Pakistan, Palestina, Papua-Nuova Guinea, Perù, Repubblica Centroafricana., Spagna, Usa
voto: 9

Human è l'ultimo arrivato di un polittico ideale composto da One day on earth, La vita in un giorno e dal decisamente meno riuscito Italy in a day. Il denominatore che accomuna questi documentari, tutti più o meno coevi, è dato dall'idea di fornire un racconto corale rivestendolo di una certa omogeneità stilistica. Se da questo punto di vista a Human va addebitato il peccato originale di somigliare molto, nell'idea, a One day on earth, non si può negare all'opera del francese Yann Arthus-Bertrand, già autore di documentari suggestivi come Planet ocean  e Home, il merito di avere optato per uno stile nitido, ben riconoscibile, che coniuga il racconto di persone che provengono dai Paesi più diversi (una sessantina in tutto: Africa del sud, Australia, Bahamas, Bangladesh, Bolivia, Brasile, Burkina Faso, Cambogia, Canada, Cina, Congo, Corea del sud, Cuba, Egitto, Etiopia, Filippine, Francia, Giappone, Giordania, Grecia, Haiti, India, Irlanda, Israele, Italia, Kazakhstan, Kenya, Libano, Libia, Madagascar, Marocco, Mauritania, Messico, Mongolia, Myanmar, Namibia, Népal, Norvegia, Pakistan, Palestina, Papua-Nuova Guinea, Perù, Repubblica Centroafricana., Spagna, Stati Uniti) con le immagini aeree che raffigurano gli umani nelle attività più diverse e che talvolta si trasformano in tavolozze pittoriche in movimento degne di William Turner. Se le seconde, affidate alla direzione della fotografia di Bruno Cusa, da sole valgono l'intero film e sono qualcosa di meraviglioso e mai visto (sebbene si intraveda l'ombra di Koyaanisqatsi e di The Tree of life di Malick), le prime - pur soffrendo della diseguale potenza del narrato - avvolgono lo spettatore in un flusso diegetico che tocca i temi della felicità, dell'amore, della religione, della guerra, del sesso, della povertà e del lavoro. Ritratti tutti in primissimo piano e su sfondo nero, le centinaia di volti che si avvicendano in questo flusso magnetico di varia umanità penetrano lo spettatore con la potenza dei loro sguardi e la debolezza dei loro denti, portandolo fino alla commozione. Se ne ricava il ritratto proteiforme di un'umanità variopinta, tra soldati ai quali piace uccidere, uomini che vedono le donne come esseri inferiori, persone misericordiose. Su tutti, quasi indistintamente, aleggia lo spettro di un futuro ad altissimo tasso di incertezza.
Nota a parte per le musiche (firmate per lo più da Armand Amar), che spaziano tra il cameristico e la world music in maniera esemplare.    

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