mercoledì 29 ottobre 2014

Boyhood

anno: 2014       
regia: LINKLATER, RICHARD 
genere: drammatico 
con Ellar Coltrane, Patricia Arquette, Elijah Smith, Lorelei Linklater, Steven Chester Prince, Bonnie Cross, Sydney Orta, Libby Villari, Ethan Hawke, Marco Perella, Jamie Howard, Andrew Villarreal, Shane Graham, Tess Allen, Ryan Power, Sharee Fowler, Mark Finn, Charlie Sexton, Byron Jenkins, Holly Moore, David Blackwell, Barbara Chisholm, Matthew Martinez-Arndt, Cassidy Johnson, Cambell Westmoreland, Jennifer Griffin, Garry Peters, Merrilee McCommas, Tamara Jolaine, Jordan Howard, Andrew Bunten, Tyler Strother, Evie Thompson, Brad Hawkins, Savannah Welch, Mika Odom, Sinjin Venegas, Nick Krause, Derek Chase Hickey, Angela Rawna, Megan Devine, Jenni Tooley, Landon Collier, Roland Ruiz, Richard Andrew Jones, Karen Jones, Gordon Friday, Tom McTigue, Sam Dillon, Martel Summers, David Clark, Zoe Graham, Jessie Tilton, Richard Robichaux, Will Harris, Indica Shaw, Bruce Salmon, Wayne Sutton, Joe Sundell, Sean Tracey, Ben Hodges, Daniel Zeh, Chris Doubek, Andrea Chen, Mona Lee Fultz, Bill Wise, Alina Linklater, Charlotte Linklater, Genevieve Kinney, Elijah Ford, Kyle Crusham, Conrad Choucroun, Maximillian McNamara, Taylor Weaver, Jessi Mechler 
location: Usa
voto: 6,5 

L'idea è geniale, innovativa, coraggiosa: raccontare la storia di Mason (Coltrane), di sua sorella (Linklater) e della madre (Arquette) che li sta crescendo da soli, nell'arco di dodici anni. Dodici anni veri, però: quelli durante i quali, dai 6 ai 18, vediamo crescere Mason un po' alla volta, sua madre imbolsire, suo padre (Hawke) fare qualche comparsata giocherellona, il tutto girato nell'arco di soli 39 giorni spalmati in tutto quell'arco di tempo. Se prescindiamo da come Truffaut ha seguito per due decenni Jean Pierre Lèaud (da I 400 colpi a L'amore fugge), dall'epica di Heimat e dalla trilogia che lo stesso Linklater ha costruito con la stessa coppia di attori (Ethan Hawke e Julie Dephy) nell'arco di un ventennio (Prima dell'alba, Prima del tramonto e Prima di mezzanotte), al cinema non si era mai visto nulla del genere, nessuno prima di lui aveva finora scommesso su un progetto che qualsiasi accidenti avrebbe potuto fatalmente interrompere. Siamo alla versione più radicale del racconto di formazione, quella in cui i riti di passaggio, i continui traslochi, i cambi di città, i mariti della madre (entrambi alcolizzati) che vanno e vengono, le amicizie a scuola, i primi amori, fino al college e all'ingresso in una vita che porterà Mason fuori da casa sono raccontati come tappe archetipiche, necessarie, alle quali siamo chiamati come testimoni di un'esistenza che sembra essere (quasi) quella di tutti. Fin qui tutto bene. Peccato che il film che si è aggiudicato l'Orso d'argento al festival di Berlino finisca col sembrare una qualsiasi antologia di vissuto comune, dal taglio quasi documentaristico e intimista, con la Storia lasciata quasi sempre sul retroscena (c'è giusto il riferimento a Obama e pochissimo altro, mentre un ruolo più funzionale lo svolge la trasformazione della tecnologia). Un'occasione in parte persa, dunque, in nome di un racconto quasi asettico, privo di sussulti, di un cinema dei corpi che gioca sostanzialmente sulla sola trasformazione fisica, affidando al racconto di formazione vero e proprio un ruolo del tutto sussidiario.    

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