giovedì 10 ottobre 2013

Mood Indigo - La schiuma dei giorni (L'écume des jours)

anno: 2013       
regia: GONDRY, MICHEL
genere: fantastico
con Romain Duris, Audrey Tautou, Gad Elmaleh, Omar Sy, Aïssa Mäiga, Charlotte Le Bon, Sacha Bourdo, Philippe Torreton, Vincent Rottiers, Laurent Lafitte, Natacha Régnier, Zinedine Soualem, Alain Chabat, Frédéric Saurel, Wilfred Benaïche, Tilly Scott Pedersen
location: Francia
voto: 4

Il jazz, la scrittura debordante, l'ossessione per la tecnologia, la follia allucinata: c'è tutto Boris Vian, scrittore, trombettista jazz e critico musicale (in Italia qualcuno lo ricorderà anche per lo splendido adattamento che Ivano Fossati ha fatto di una sua canzone, Il disertore), portato sul grande schermo da un regista che, quanto a visionarietà, gli tiene perfettamente il passo, quel Michel Gondry che aveva già mostrato la sua vocazione a cimentarsi con opere impossibili come in Se mi lasci ti cancello, il film che, insieme a La tigre e il dragone, più di ogni altro è riuscito a farmi vivere la sala cinematografica come penitenziario e luogo di espiazione dal quale non vedevo l'ora di fuggire.
Il miracolo si è ripetuto con questo Mood indigo (il titolo riprende una celeberrima composizione di Duke Ellington). È la storia di Colin (Duris), giovane ultrabenestante con tanto di valletto a servizio, che si innamora di Chloe (quella Audrey Tautou che da Il favoloso mondo di Amèlie ha sempre la stessa espressione). Quando nel polmone di quest'ultima, durante la luna di miele, penetra una ninfea, la ragazza si ammala, la casa dei due comincia a diventare sempre più piccola, la vita perde letteralmente colore (con viraggio della pellicola sul bianco e nero) e i loro amici iniziano ad accumulare disgrazie e tutto andare.
A chi, come chi scrive, ha sempre anteposto il realismo dei Lumiere alla potenza immaginativa di Melies, La schiuma dei giorni pare un guazzabuglio di trovate che stanno tra il demenziale e il grottesco, un bric-à-brac di stampo tecnologico, un racconto che sembra partorito da un Terry Gilliam dopo una massiccia ingestione di LSD. Le invenzioni visive sono straordinarie dal primo all'ultimo fotogramma, ma alla lunga stancano e sembrano fini a esse stesse e il racconto non riesce a emozionare neppure per un attimo. Così, a noi poveracci che la fantasia non sappiamo neppure dove sia di casa, il film non lascia che la sensazione di un florilegio di virtuosismi della messa in scena, acrobazie con la macchina da presa, effetti speciali a gogo che tuttavia tradiscono anche una massiccia dose di manierismo.    

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