regia: MUNGIU, CRISTIAN
genere: drammatico
con
Cosmina Stratan, Cristina Flutur, Valeriu Andriuta, Dana Tapalaga,
Catalina Harabagiu, Gina Tandura, Vica Agache, Nora Covali, Dionisie
Vitcu, Ionut Ghinea, Liliana Mocanu, Doru Ana, Costache Babii, Luminita
Gheorghiu, Alina Berzunteanu, Teodor Corban, Calin Chirila, Cristina
Cristian, Tania Popa, Petronela Grigorescu, Radu Zetu, Ion Sapdaru,
Diana Chirila Ignat, Liana Petrescu, Alexandra Agavriloaiei, Alexandra
Apetrei, Noemi Gunea, Katia Pascariu, Mara Carutasu, Cristina
Mihailescu, Cerasela Iosifescu, Ada Barleanu, Mariana Liurca, Gheorghe
Ifrim, Mircea Florin Jr., Marian Adochitei, Ecaterina Tugulea, Nicoleta
Lefter, Andreea Bosneag
location: Romaniavoto: 6
Dopo la magnifica prova di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, Christian Mungiu torna a parlarci dell'oppressione che un mondo totalitario, maschilista e patriarcale continua e esercitare sulle donne. Anche stavolta il regista rumeno mette al centro della scena una coppia di donne (Cristina Flutur e Cosmina Stratan, premiate entrambe a Cannes per la miglior interpretazione femminile) e ancora una volta le due mostrano visioni del mondo radicalmente diverse e ben differente pragmatismo.
La venticinquenne Alina ha fatto rientro nella nativa Romania dalla Germania, dove ha lavorato per un po' di tempo lasciando prima l'orfanotrofio dove è cresciuta e nel quale ha conosciuto e amato Voichita, poi la famiglia che l'ha adottata. Il suo ritorno è motivato proprio dalla speranza dei potersi "riprendere" Voichita, che nel frattempo si è lasciata completamente irretire dalle rigidissime regole del monastero ai confini della Moldavia dove è andata a vivere, presieduto da un prete cristiano ortodosso (Andriuta) attorniato da un gineceo di femmine obbedienti. Lì Alina, tutt'altro che disposta "ad accogliere Dio dentro di sé" porta lo scompiglio, rompe le regole, viene allontanata e istituzionalizzata ancora una volta, sedata a forza e infine legata e messa letteralmente in croce, in un turbine di violenza e martirio perpetrata sempre e solo in nome di Dio, con tanto di esorcismo finale.
Le tre diverse forme di quelle che Erving Goffman chiama istituzioni totali (l'orfanotrofio, rimasto sulle quinte del racconto, il monastero e l'ospedale psichiatrico) costituiscono il nucleo di questa tragedia con molti complici incolpevoli, che oscilla tra scene cariche di pathos e zone narrative morte, nelle quali si ha l'impressione che la regia si lasci prendere la mano da un eccesso di ambizioni figurative, dilatando l'intero racconto a due ore e mezza di durata.
Premiato anche per la miglior sceneggiatura al 65. festival di Cannes (2012).
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