regia: EASTWOOD, CLINT
genere: guerra
con Ryan Phillippe, Adam Beach, Jesse Bradford, Jamie Bell, Joseph Cross, Neal McDonough, Paul Walker, Barry Pepper, Jason Gray-Stanford, Matt Huffman, Robert Patrick, Stark Sands, Tom Verica, Ken Watanabe, Gunnarr Baldursson, Judith Ivey, Annette Chéri, Jim Cantafio, John Henry Canavan, Joe Michael Burke, Alex Bickle, Tom Beaver, James E. Ash, Melanie Lynskey, Jóhann G. Jóhannsson, Beth Grant, Pamela Fischer, Hank Fields, Beth Tapper, Grétar Sigurdsson, Angelina Riposta, Topher Rhys, Sean Moran, Jayma Mays, Alessandro Mastrobuono, Grant Linscott, Brian Kimmet, V.J. Foster, Kirk B.R. Woller, Dustin Wilkinson, Myra Turley, Georgiana Jianu, Sigurdur Hilmar Gudjonsson, Björgvin Franz Gíslason, David Foster, Daniel Forcey, Ron Fassler, Brandon DeShazer, Ingimar Björn Davidson, David Hornsby, John Benjamin Hickey, Kevin Chapman
location: Usa
voto: 5
Compiuto il giro di boa dei settant'anni, il vecchio Clint Eastwood può permettersi di raccontarci qualsiasi cosa con il suo stile personalissimo. In Flags of our fathers le bandiere del titolo sono quelle che un manipolo di soldati piantarono in Giappone durante la durissima battaglia di Iwo Jima. La foto dei sei militari che issano la bandiera divenne una delle immagini belliche più note di tutto il novecento. Eastwood prende spunto da quell'episodio per raccontare la retorica della guerra, il tentativo riuscito di plagiare un popolo stanco di vedere combattere i propri ragazzi. La messa in scena si snoda su diversi piani temporali, guidati dalla voce narrante del figlio di uno dei protagonisti di quella impresa che fu tutt'altro che eroica. Eastwood mette molta carne al fuoco: l'amicizia, le scene di combattimento - una lezione di regia destinata all'immortalità - le pagliacciate kitsch tipicamente americane, i risvolti razzisti nei confronti di uno dei sei "eroi", un nativo americano. Tanto, troppo e troppi talenti (Eastwood alla regia, Haggis - premio Oscar per Crash - alla sceneggiatura e Spielberg alla produzione): una tale mole narrativa che soffoca gli obiettivi del film e finisce col fare la retorica dell'antireterica.
Oscar ad Alan Robert Murray e Bub Asman per il miglior montaggio sonoro.
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