sabato 30 dicembre 2017

La prima neve

anno: 2013       
regia: SEGRE, ANDREA  
genere: drammatico  
con Jean-Christophe Folly, Matteo Marchel, Anita Caprioli, Peter Mitterrutzner, Giuseppe Battiston, Paolo Pierobon, Leonardo Paoli, Lorenzo Pintarelli, Roberto Citran, Andrea Pennacchi    
location: Italia
voto: 2  

Regista e documentarista impegnato sui temi del lavoro (Il sangue verde) e dell'immigrazione (Io sono Li), Andrea Segre prova a raccontare il dramma di un rifugiato proveniente dal Togo (Folly) che ha perso la moglie subito dopo che questa ha partorito la loro bambina. L'uomo sembra essersi integrato nella piccola comunità del Trentino dove entra in contatto con l'adolescente Michele (Marchel), orfano di padre, e con il nonno di quest'ultimo (Mitterrutzner), presso il quale svolge piccoli lavori di falegnameria. Ma il suo sogno è quello di proseguire il viaggio oltre confine.
Con uno stile semidocumentaristico, Segre registra gli infinitesimali spostamenti emotivi del protagonista, mettendoli in relazione con la tranquilla vita della comunità montanara. Lo stile, figlio della lezione olmiana, è di una lentezza esasperante e letargica, i dialoghi frammisti ai pensieri del protagonista sono didascalici e meno che ordinari, e sull'intera operazione grava - complice anche la fotografia sempre ricercatissima di Luca Bigazzi - un'aura di gelida autorialità, che non suscita alcuna empatia verso nessuno dei personaggi.    

venerdì 29 dicembre 2017

Driver l'imprendibile (The driver)

anno: 1978   
regia: HILL, WALTER   
genere: poliziesco   
con Ryan O'Neal, Bruce Dern, Isabelle Adjani, Denny Macko, Tara King, Felice Orlandi, Rudy Ramos, Fidel Corona, William Walker, Victor Gilmour, Joseph Walsh, Frank Bruno, Sandy Brown Wyeth, Ronee Blakley, Richard Carey, Matt Clark, Nick Dimitri    
location: Usa
voto: 7   

Guardie e ladri. Un commissario di polizia (Dern) è da tempo ossessionato dalla cattura di un uomo (O'Neal) che fa il pilota per conto di vari rapinatori, ma che puntualmente esce pulito dalle azioni criminose. Prova a incastrarlo mettendo in mezzo un malvivente con molti conti in sospeso con la giustizia, ma le cose vanno ben diversamente dal previsto.
Fin dalla prima sequenza in montaggio alternato si vede il tocco di classe di un regista dal pedigree certificato, che riesce a creare tensione semplicemente mostrando due persone in attesa. Uno è il protagonista, l'altra una donna enigmatica, anch'ella senza nome (Isabelle Adjani, qui alla sua prima, incerta trasferta americana), una delle pochissime ad avere rapporti con lui. Il resto è cinema di genere assai ben confezionato, che resiste all'usura del tempo grazie a una serie di colpi di scena ben assestati e alle pirotecniche scene di inseguimento tra automobili e che coniuga un certo astrattismo - visibile a partire dall'assenza dei nomi dei personaggi - con l'action di cui i veri protagonisti sono gli stuntmen.

Socrates. Uno di noi

anno: 2014       
regia: CALOPRESTI, MIMMO 
genere: documentario 
con Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira    
location: Brasile, Italia
voto: 4 

Alto, magro, bello, ma soprattutto medico e politicamente impegnato: Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, noto semplicemente come Socrates, è stato uno dei calciatori più amati del Brasile, attivo tra gli anni '70 e gli '80, capitano della nazionale carioca, nella quale collezionò una sessantina di presenze. Non è chiaro cosa abbia spinto Mimmo Calopresti, da qualche tempo convertitosi al documentario (Volevo solo vivere, La fabbrica dei tedeschi), a raccontare la faccia più popolare di Socrates, idolo del Corinthians, ritiratosi dal calcio nel 2004 e morto senza neppure arrivare a 60 ani di età, ma ancora vivissimo nella memoria dei tifosi brasiliani, alcuni dei quali lo celebrano come il più grande asso verdeoro, persino più di Pelè. Il documentario sembra essere solo lo spunto di una passione del tutto personale e assembla qualche immagine d'archivio con testimonianze raccolte da giornalisti, ex compagni di squadra e tifosi (compresi quelli della Fiorentina, dove giocò nella stagione 1984-1985), con una sintassi filmica poverissima e inutili incursioni del regista davanti alla camera da presa. Tanta povertà di racconto e montaggio non accenderebbero la curiosità neppure del calciofilo più ossessivo sicché del documentario rimangono ben poche cose: l'enfasi sulla democrazia corinthiana, una forma di autogestione della squadra che fece scuola e di cui Socrates fu l'artefice principale, e la tristissima eclissi di quell'uomo stroncato precocemente dall'alcol.    

mercoledì 27 dicembre 2017

Civiltà perduta (The Lost City of Z)

anno: 2016       
regia: GRAY, JAMES    
genere: avventura    
con Charlie Hunnam, Robert Pattinson, Sienna Miller, Tom Holland (II), Angus Macfadyen, Edward Ashley, Clive Francis, Ian McDiarmid, Franco Nero, Pedro Coello, Matthew Sunderland, Johann Myers, Aleksandar Jovanovic, Elena Solovej, Murray Melvin, Harry Melling    
location: Bolivia, Francia, Irlanda, Regno Unito
voto: 4    

Fu un'ossessione durata oltre un quarto di secolo quella che l'esploratore Percy Fawcett (Hunnam) ebbe nei confronti della città perduta di Z, in Bolivia. Militare scarsamente gallonato e figlio di una famiglia tutt'altro che blasonata, Fawcett venne inviato dalla corona d'Inghilterra a compiere dei rilevamenti in Sudamerica, per definire i confini tra i confliggenti stati del Brasile e della Bolivia. Qui, nonostante tutte le difficoltà (indios aggressivi, animali della foresta, piranha), arrivò con la sua equipe in un luogo nel quale scorse i resti di una civiltà evoluta della quale non si era mai saputo nulla prima di quel momento. Caparbiamente, nonostante una famiglia che con gli anni stava diventando sempre più numerosa e nonostante la chiamata al fronte durante la prima guerra mondiale, la sua ossessione non cessò di esistere, scontrandosi di continuo con i reazionari bianchi che negarono ogni possibilità di civiltà evolute al di sotto dell'equatore. Fawcett fece ritorno in quel luogo negli anni Venti del Novecento, dopo esserci stato per la prima volta all'inizio del secolo, portandosi dietro anche il maggiore dei figli.
Salutato dalla critica come un film di grande appeal, Civiltà perduta è un film di impianto classicissimo che pendola tra le aule nelle quali scienziati e accademici discettano sulla possibile fondatezza delle tesi di Fawcett, ritratti di famiglia in un interno e racconto d'avventura. Se la traccia narrativa che evidenzia il conservatorismo radicale degli scienziati inglesi, ben saldi nel paradigma colonialista, è l'elemento di maggiore interesse del film, ben più fiacca è quella del racconto avventuroso, costretto - senza quel pizzico di follia che fece grande il Fitzcarraldo di Herzog - nelle paludi dell'ovvio e della coazione a ripetere, nonostante la notevole fotografia.    

Così parlò De Crescenzo

anno: 2016   
regia: NAPOLI, ANTONIO    
genere: documentario    
con Luciano De Crescenzo, Renzo Arbore, Isabella Rossellini, Bud Spencer, Lina Wertmüller, Marisa Laurito, Renato Scarpa, Benedetto Casillo, Marina Confalone, Domenico De Masi    
location: Italia
voto: 7    

Ingegnere all'IBM fino al 1977, poi scrittore, regista, saggista, divulgatore, umorista: Luciano De Crescenzo, classe 1928, è un uomo eclettico, maestro d'ironia, napoletanissimo, instancabile tombeur de femmes, leggero senza essere frivolo, socievolissimo e devoto al culto dell'amicizia. Antonio Napoli gli dedica questo documentario che lo ritrae, ormai prossimo ai 90, nella sua casa - regno di oggetti stravaganti - e in particolare nel suo studio, dove il nostro continua infaticabile a scrivere saggi sulla filosofia greca e altre varietà tra le copertine dei libri disposte sulle pareti e sul soffitto. Libri tradotti in decine di lingue, che fanno da bordone alle testimonianze raccolte dai suoi amici più cari (il puntualissimo sociologo De Masi, ma anche Renzo Arbore, Marisa Laurito, Marina Confalone), assemblate con immagini di repertorio che ne raccontano anche il talento come disegnatore e narratore per i più piccoli, e con spezzoni tratti dai suoi film: quelli girati da regista (Così parlò Bellavista e 32 Dicembre in particolare) e quelli che lo hanno visto partecipare unicamente in veste di attore (Il Pap'occhio e F.F.S.S.). Tra rievocazioni dei grandi amori del passato (Isabella Rossellini, ma c'è anche un velatissimo richiamo a Moana Pozzi), aneddoti e la ricostruzione di una traiettoria fortunatissima e inusitata che - grazie al successo di Così parlò Bellavista e all'apparizione in Bontà loro - fecero di De Crescenzo un fenomeno pop sempre intelligente e garbato, passa un'ora e un quarto di racconto senza fronzoli né tentazioni agiografiche.    

martedì 26 dicembre 2017

Rocco

anno: 2016       
regia: DEMAIZIERE, THIERRY * TEURLAI, ALBAN  
genere: documentario  
con Rocco Siffredi, Rozsa Tano, Gabriele Galetta, Kelly Stafford, Mark Spiegler, Abella Danger, John Stagliano, James Deen    
location: Italia, Ungheria, Usa
voto: 1    

C'è Rocco Siffredi, icona indiscussa e inarrivabile del cinema porno tricolore. E poi c'è un film su di lui, girato da due cineasti francesi interessati a indagare l'unico fenomeno maschile del mondo dell'hard che sia stato capace di diventare fenomeno di costume, come era successo soltanto a John Holmes per via delle sue misure leggendarie. Non si sa se sia peggio il documentario o la retorica, l'emotività posticcia, le balle a propulsione termonucleare (il pornodivo dichiara di essere in procinto di lasciare le scene, salvo essersi smentito a pochi mesi dall'editing del documentario), la versione artefatta della famiglia da Mulino Bianco, i ricordi della madre "carabiniere" eppure amatissima, che avrebbe voluto vederlo prete. Nel film non c'è un solo riferimento alla carriera né al percorso che ha portato Rocco Tano (questo il suo nome all'anagrafe), figlio di una numerosa famiglia abruzzese di origini umili, sui set del cinema porno. Il film è una successione indistinta e letargica di scene riprese sul set, in automobile o in qualsiasi altra anonima location, prive di una sintassi minimamente leggibile, intervallate dalle dichiarazioni sempre lapidarie del protagonista, uno che si prende terribilmente sul serio, incapace di un minimo di ironia. Tra ragazzine cerebrolese e spesso fisicamente ipodotate sotto ogni aspetto, che calcano il set sperando di diventare delle star dell'hardcore, e un cugino parassita che ha lasciato il lavoro in banca per diventare l'assistente incapace e oggetto di continue rampognate di Siffredi, per un'ora e quaranta ci sorbiamo storielline inverosimili (il sesso a 8 anni, quello con una donna ottantenne fatto immediatamente dopo aver saputo della morte della madre) e racconti ruspanti di chi ha fatto sesso in modo piuttosto energico, a voler usare un eufemismo e nulla più. Prodotto di una noia mortale nel quale l'erotismo, grande assente, lascia completamente il campo a una mefitica aria da catena di montaggio del sesso.     

sabato 23 dicembre 2017

American Assassin

anno: 2017       
regia: CUESTA, MICHAEL  
genere: thriller  
con Dylan O'Brien, Michael Keaton, Sanaa Lathan, Shiva Negar, Taylor Kitsch, David Suchet, Navid Negahban, Scott Adkins, Sydney White, Kiera Bell, Chris Webster, Trevor White, Alaa Safi, Andrew Pleavin, Joseph Long, Khalid Laith, Tolga Safer, Jeff Davis, Mohammad Bakri, Ronan Summers, Yousef 'Joe' Sweid, Lamin Tamba, Jake Mann, Zackary Momoh, Bruno Bilotta, Gjevat Kelmendi, Vladimir Friedman    
location: Emirati Arabi, Italia, Libia, Polonia, Regno Unito, Romania, Spagna, Usa
voto: 6,5  

Mitch Rapp (O'Brien) è in procinto di sposarsi quando, durante una vacanza a Ibiza, un commando dell'Isis fa una strage sull'isola, uccidendo anche la sua fidanzata. Lui vuole vendetta a tutti i costi, simula di essersi radicalizzato e si infila nella stessa cellula terroristica che lo ha privato della sua donna, sgominandola. I servizi segreti americani hanno messo gli occhi su di lui, che è ben contento di partecipare a un durissimo corso di addestramento impartito da un ex marine dalle maniere brusche (Keaton). Con quest'ultimo, partirà per una missione che ha come obiettivo quello di togliere dalla circolazione un pericolosissimo criminale (Kitsch) che, con la scusa della vendita di un ordigno nucleare al governo iraniano, vorrebbe invece fare una strage in Italia.
Già con La regola del gioco Michael Cuesta aveva mostrato di avere buone doti di narratore di genere, messe a servizio di un cinema muscolare che non bada alle sottigliezze. Qui, tra torture, scazzottate e sparatorie, le quasi ore di film scorrono in un attimo, grazie soprattutto alla fluidità del plot narrativo (tratto dal romanzo di Vince Flynn), all'efficacia del montaggio e alla varietà di location, tra le quali va segnalata quella romana, ripresa sia nel centro storico che al serpentone di Corviale, che si aggiudica la sezione più consistente del film.    

venerdì 22 dicembre 2017

Identità sospette (Unknown)

anno: 2006       
regia: BRAND, SIMON  
genere: giallo  
con Jim Caviezel (James Caviezel), Greg Kinnear, Bridget Moynahan, Joe Pantoliano, Barry Pepper, Jeremy Sisto, Peter Stormare, Chris Mulkey, Clayne Crawford, Kevin Chapman, Mark Boone (Mark Boone Junior), Wilmer Calderon, David Selby, Jeffrey Daniel Phillips, Thomas Rosales Jr.    
location: Usa
voto: 4  

Cinque uomini si risvegliano intorpiditi all'interno di una sorta di enorme deposito sperduto nel deserto. Non si capisce cosa sia accaduto loro, né perché siano lì. Si sa soltanto che di mezzo c'è un rapimento, i buoni sono indistinguibili dai cattivi e tutti hanno momentaneamente perso la memoria a causa di una fuga di gas e non ricordano i loro ruoli se non a brandelli, mentre le verità riemerge a poco a poco.
Diretto dall'esordiente Simon Brand (un passato da regista di videoclip musicali), Identità sospette gioca sporco sulla sceneggiatura, facendo della trovata iniziale della perdita della memoria l'occasione per una trama con agnizione a rilascio lento, tra flashback e tanta uggia. In mezzo, storie di poliziotti infiltrati, bambini malati e banditi inetti.    

giovedì 21 dicembre 2017

Detroit

anno: 2017       
regia: BIGELOW, KATHRYN
genere: drammatico
con John Boyega, Will Poulter, Anthony Mackie, Hannah Murray, Jack Reynor, Ben O'Toole, Algee Smith, Jason Mitchell, John Krasinski, Jacob Latimore, Kaitlyn Dever, Laz Alonso, Malcolm David Kelley, Jeremy Strong, Tyler James Williams, Nathan Davis Jr., Peyton 'Alex' Smith, Joseph David-Jones, Ephraim Sykes, Leon G. Thomas III, Gbenga Akinnagbe, Chris Chalk, Austin Hébert, Miguel Pimentel, Samira Wiley, Mason Alban, Bennett Deady, Tokunbo Joshua Olumide, Benz Veal, Dennis Staroselsky, Darren Goldstein, Karen Pittman, Zurin Villanueva, Eddie Troy, Ricardo Pitts-Wiley, Joey Lawyer, Will Bouvier, Morgan Taylor, David Adam Flannery (David Flannery), Timothy John Smith, Kris Sidberry, Lizan Mitchell, Chris Coy, Ato Blankson-Wood, Glenn Fitzgerald, Henry Frost III, Frank Wood    
location: Usa
voto: 7

Nel luglio del 1967 la città di Detroit fu teatro di scontri accesi e prolungati tra la popolazione di colore e le forze dell'ordine. La segregazione su base razziale era ancora dura a morire, Malcolm X era stato assassinato appena due anni prima e i diritti civili per i neri erano un'idea non facile da inculcare nella testa dei bianchi. In quello stesso mese, nell'hotel Algiers, due ragazzine bianche e sei neri passano la serata in allegria quando la polizia di Detroit fa irruzione con metodi che farebbero quasi rimpiangere Bolzaneto. Tra torture, umiliazioni e brutalità di ogni genere, ci scappano anche i morti. I tre principali responsabili, aiutati dall'ignavia quasi senza eccezioni degli uomini dell'esercito, vanno a processo. Vietato lo spoiler sull'esito di quest'ultimo.
Sono ormai 15 anni che Katryn Bigelow ha imboccato la strada dell'impegno civile e del racconto della storia americana, lasciandosi alle spalle prodotti di genere (Blue steel, Point break, Strange days, Il mistero dell'acqua). Qui siamo stilisticamente a metà strada tra il riuscitissimo The hurt locker e il ripetitivo Zero Dark Thirty: Detroit è un film di durata fluviale (quasi due ore e mezza) con un lunghissimo prologo (accompagnato da molte immagini di repertorio), un intermezzo che è il nucleo del film capace di tenere ottimamente la tensione, e un epilogo da dramma giudiziario davvero troppo frettoloso. Meritevolissimo sul piano dei contenuti - una metafora sulla nuova ondata razzista dell'era Trump - il film pecca su quello della struttura, alla quale avrebbe giovato un taglio netto nella mezz'ora iniziale.    

mercoledì 20 dicembre 2017

Ferrante Fever

anno: 2017   
regia: DURZI, GIACOMO  
genere: documentario  
con Michael Reynolds, Francesca Marciano, Lisa Lucas, Ann Goldstein, Sarah McNally, Roberto Saviano, Nicola Lagioia, Elizabeth Strout, Jonathan Franzen, Giulia Zagrebelsky, Mario Martone, Roberto Faenza, Anna Bonaiuto    
location: Italia, Usa
voto: 6,5  

Elena Ferrante è un caso letterario fenomenale. Tradotta in ben 48 lingue, notissima negli Stati Uniti, alla maniera di Banksy la scrittrice vive da sempre nell'anonimato e sotto pseudonimo. Ben più schiva di Salinger e di Pynchon, a detta dei critici la Ferrante deve il suo successo a una scrittura fluida che si fonde magnificamente con contenuti profondi e toccanti. In Italia, Martone ha portato su pellicola una sua opera (L'amore molesto) e altrettanto ha fatto Faenza (I giorni dell'abbandono). Ora la scrittrice partenopea (pare…) ha attirato talmente l'attenzione da meritare un documentario imperniato su poche testimonianze (quella dello scrittore Jonathan Franzen, della sua traduttrice in lingua inglese, dei suoi editori, della trascurabilissima studiosa della sua opera Giulia Zagrebelsky, del rivale al premio Strega Nicola Lagioia, dei registi Faenza, Martone e Marciano e dell'immancabile prezzemolo Saviano) che cercano di restituirne un ritratto a tutto tondo. Quello stesso ritratto che viene opacizzato dalle belle animazioni di Mara Cerri e Magda Guidi che accompagnano la lettura di alcune pagine dei suoi libri (la voce è quella di Anna Bonaiuto) o da qualche estratto delle sue lettere. Si tratta di un'operazione forse poco adatta al grande schermo, ma sobria e nitida, capace di evitare gli accenti agiografici e al tempo stesso di appassionare all'enigma di questa scrittrice (ma è dubbia anche la sua identità sessuale: qualcuno vocifera che potrebbe trattarsi di un uomo…) persino il lettore meno incline alla narrativa.    

venerdì 15 dicembre 2017

Pronti a morire (The quick and the dead)

anno: 1995       
regia: RAIMI, SAM  
genere: western  
con Sharon Stone, Gene Hackman, Russell Crowe, Leonardo DiCaprio, Tobin Bell, Roberts Blossom, Kevin Conway, Keith David, Lance Henriksen, Pat Hingle, Gary Sinise, Mark Boone Junior, Olivia Burnette, Fay Masterson, Raynor Scheine, Woody Strode    
location: Usa
voto: 5  

Sotto il campanile di Redemption si sfidano, a ogni rintocco d'ora, vari pistoleri, nella folle kermesse voluta da un ferocissimo boss locale (Hackman). Tra questi, il figlio disconosciuto del boss (DiCaprio), che farebbe qualsiasi cosa per conquistarne la stima, un ex brigante trasformatosi in predicatore (Crowe), un indiano che sostiene di essere invulnerabile, un bounty killer di colore e altri ancora. Ma soprattutto, c'è una donna (Stone) - l'unica - arrivata lì come il Clint Eastwood de Il cavaliere pallido e assetata di vendetta per un episodio tragico di cui fu vittima durante l'infanzia.
Sam Raimi parte da un copione di Sam Moore per costruirci sopra un film monomodulare, interamente basato su una sparatoria. Se da una parte la tensione è tanta quanta ce ne sarebbe in una finale di coppa del mondo disputata ai calci di rigore, dall'altra il giochino alla lunga stanca e il vero movente della protagonista donna si palesa soltanto in zona Cesarini, per rimanere alla metafora calcistica. Qualche carrellata all'indietro di troppo, echi di Sergio Leone eccessivamente calcati e pistoleri trapassati con fori che sembrano prodotti da bisturi dotati di laser fanno a tratti scivolare il film su un registro involontariamente grottesco.    

giovedì 14 dicembre 2017

Loveless (Nelyubov)

anno: 2017       
regia: ZVYAGINTSEV, ANDREY 
genere: drammatico 
con Maryana Spivak, Alexey Rozin, Matvey Novikov, Marina Vasilyeva, Andris Keishs, Alexey Fateev    
location: Russia
voto: 7 

In Russia, una coppia sta per divorziare. I due si rimpallano l'affidamento del loro unico figlio dodicenne (Novikov). Il quale, all'improvviso, scompare, volatilizzandosi. Viene allertata la polizia, partono le ricerche, si spera nella complicità tra nonna materna e nipote, si fa persino visita all'obitorio. I due genitori mandano avanti le loro vite con i rispettivi compagni, come se la cosa non li riguardasse.
Andrey Zvyagintsev ha un abbonamento con i premi cinematografici. Non c'è film che non ne vinca uno. Non fa eccezione questo Loveless (premio della giuria al 70° festival di Cannes), spettacolo agghiacciante sull'assenza totale di sentimenti, che mette in scena il tristissimo rapporto tra un padre accidioso e irresponsabile (Rozin) e una madre in simbiosi totale con il proprio cellulare (Spivak), indifferenti alla sorte di un figlio che viene appellato, nel migliore dei casi, con espressioni carezzevoli come "quello spostato" o "impiastro". Ancora una volta Zvyagintsev torna sul tema della paternità, come già in The return e Leviathan, coniugandolo con quello di una sparizione. E ancora una volta lo fa senza alcuno sconto allo spettatore, mostrando un talento registico fuori dal comune, espressione di una nitidissima idea di cinema che sta tra l'eredità lasciata da Tarkovskij e quella di Bergman.    

lunedì 11 dicembre 2017

Smetto quando voglio - Ad Honorem

anno: 2017       
regia: SIBILIA, SYDNEY   
genere: commedia   
con Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti, Marco Bonini, Rosario Lisma, Giampaolo Morelli, Peppe Barra, Greta Scarano, Luigi Lo Cascio, Valeria Solarino, Neri Marcorè    
location: Italia
voto: 6   

Arrivata al terzo episodio, la banda capitanata dall'ex ricercatore universitario Pietro Zinni (Leo) ha il compito di sventare un attentato alla Sapienza di Roma. Qui un ex professore della stessa (Lo Cascio) punta sull'occasione del conferimento di una laurea honoris causa proprio all'attuale compagno della donna di Pietro (Solarino), che nel frattempo si è rifatta una vita, per poter mettere in atto i suoi intenti stragisti. La banda avrà bisogno della complicità di un altro ex professore universitario (Marcorè), uno che si fa chiamare er Murena, l'unico a sapere dove sia possibile trovare l'uomo assetato di vendetta.
Lasciati ormai sulle quinte gli elementi linguistici che avevano fatto la fortuna del primo episodio, quelli legati ai paradossi di accademici supertitolati costretti a dei mcjobs, il film di Sibilia punta soprattutto sul ritmo e su una trama nera dagli accenti grotteschi. Un bel salto di qualità rispetto al precedente, fiacchissimo episodio, se non fosse che ancora una volta il regista e la sua squadra di sceneggiatori (Francesca Manieri, Luigi Di Capua) dimostrano di sapere poco o nulla del mondo accademico, verso il quale non hanno il coraggio di affondare, sul finale, il colpo che sarebbe stato più che lecito aspettarsi. Al contrario, l'ultima scena va a coronare il tema con un anelito di speranza del tutto malriposto.    

venerdì 8 dicembre 2017

L'insulto (L'insulte)

anno: 2017       
regia: DOUEIRI, ZIAD  
genere: drammatico  
con Adel Karam, Kamel El Basha, Camille Salameh, Rita Hayek, Diamand Bou Abboud, Talal Jurdi, Christine Choueiri    
location: Libano
voto: 9  

"Sei un cane", sentenzia un ingegnere palestinese (El Basha) che lavora in nero a Beirut, all'indirizzo di un meccanico cristiano maronita (Karam), al quale ha riparato la grondaia che butta acqua sui passanti e che, per tutta risposta, frantuma il tubo appena riparato. Il meccanico esige che l'altro si scusi e ritiri l'insulto, ma quest'ultimo nicchia e il caso, dopo un'escalation tra costole rotte e frasi come "magari Sharon vi avesse sterminati tutti", finisce in tribunale, dove i due verranno difesi su sponde opposte da un principe del foro (Salameh) e da sua figlia (Abboud), per poi diventare un caso politico nazionale sul quale dovrà intervenire persino il presidente della Repubblica.
Prendendo spunto da un episodio autobiografico, il regista libanese - che al rientro in patria dopo la presentazione del film a Venezia è stato bloccato dalla polizia - torna sulla questione palestinese (rispetto alla quale il cinema ci ha regalato opere importanti e commoventi come Private, Il giardino di limoni e Il figlio dell'altra) mostrandone tutte le contraddizioni. Un conflitto mai sopito nonostante sia terminato nell'ormai lontano 1990, pur continuando a covare nella memoria delle vecchie generazioni. Doueiri lo trasforma in un dramma giudiziario in gran parte ambientato in tribunale, un apologo sul tema del perdono nel quale entrambe le parti hanno ferite ancora aperte, tra accuse di filosionismo e i ricordi tragici dei massacri di Damur ai danni di una popolazione cristiana inerme ma anche di quelli perpetrati dalle milizie cristiane libanesi guidate da Bashir Gemayel. Se i contenuti del film provocano nello spettatore un coinvolgimento emotivamente dilaniante, la forma non è da meno: un cinema di parola dal ritmo serratissimo, servito da una squadra di attori straordinaria, tra i quali Kamel El Basha si è aggiudicato la Coppa Volpi a Venezia.    

giovedì 7 dicembre 2017

Suburbicon

anno: 2017       
regia: CLOONEY, GEORGE
genere: noir
con Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe, Glenn Fleshler, Alex Hassell, Gary Basaraba, Oscar Isaac, Jack Conley, Karimah Westbrook, Tony Espinosa, Leith M. Burke, Megan Ferguson, Michael D. Cohen, Steve Monroe, Dash Williams, Ellen Crawford, Carter Hastings, Steven M. Porter, Diane Dehn, Robert Pierce, Pamela Dunlap, Nancy Daly, Mark Leslie Ford, Brady Allen, Vince Cefalu, Steven Shaw, Hope Banks, Don Baldaramos, Josh Meyer, Frank Ferruccio, Johnny Meyer, Jack Fisher, Brandon LaFleur, Blake Altounian, Frank Califano, Angus Sepenuk    
location: Usa
voto: 8

Ci sono i fratelli Coen, e si vede benissimo, dietro la sceneggiatura del sesto film da regista di George Clooney. Il sodalizio tra i due folletti hollywoodiani e uno dei maggiori esponenti del pensiero liberal del cinema americano parte dal 2000 (Fratello, dove sei?) e approda qui al suo risultato migliore. Siamo alla fine degli anni '50 nell'immaginaria cittadina di Suburbicon, molto wasp, percorsa da un razzismo tutt'altro che silenzioso. E infatti mentre la prima famiglia di neri appena arrivata a Suburbicon si ritrova sotto assedio con la casa messa a ferro e a fuoco dopo una lunga e pesantissima discriminazione, il loro vicino (Damon) organizza, in combutta con due balordi, l'assassinio della moglie (Moore) costretta sulla sedia a rotelle, per farsela con la gemella di questa, con conseguente truffa ai danni dell'assicurazione. Il tutto sotto gli occhi increduli di un bambino innocente (Jupe), l'unico bianco capace di fare amicizia con vicino di casa che ha la pelle di un altro colore.
Tra i coeniani Fargo, Ladykillers e Burn after reading, il film di Clooney gioca sulla commedia nera per raccontarci metonimicamente i prodromi della nuova ondata razzista impersonata da Trump. Sebbene la sottotrama che coinvolge la famiglia nera presa di mira dai vicini bianchi non sempre riesca a fondersi fluidamente con l'ossatura principale del racconto, il plot scorre a meraviglia, assemblando sfumature grottesche, tentazioni splatter ed eccessi macchiettistici su un impianto ottimamente calibrato e servito da più di un'invenzione in fase di fotografia e montaggio.    

sabato 2 dicembre 2017

Il libro di Henry (The Book of Henry)

anno: 2017       
regia: TREVORROW, COLIN   
genere: thriller
con Naomi Watts, Jaeden Lieberher, Jacob Tremblay, Sarah Silverman, Dean Norris, Lee Pace, Maddie Ziegler, Tonya Pinkins, Bobby Moynihan, Geraldine Hughes    
location: Usa
voto: 3,5   

Prendiamo tre argomenti forti - un cancro che colpisce un bambino di 11 anni, il genio e il pedofilo - e vediamo che cosa succede. Sembra rispondere a questo diktat il film di Colin Trevorrow tratto dal romanzo di Gregg Hurwitz, che racconta la storia di una madre scapestratissima (Watts) con figli a carico. Il più grande, l'undicenne Henry (Lieberher), è appunto un genio e governa le finanze di casa (anche da morto), ha una simpatia per una compagna di classe che però viene molestata dal patrigno (Norris). Quando denuncia i suoi sospetti alla preside si vede rispedire le accuse al mittente: l'uomo, a parte il fatto di essere un poliziotto, è un personaggio molto in vista nella comunità. Il ragazzo passa a miglior vita, lasciando dettagliatissime istruzioni alla madre, scrupolosamente annotate sul libro del titolo, affinché quest'ultima faccia giustizia da sé.
Film insulso a cavaliere tra noir, fiaba dark con risvolti da realismo magico e melodrammone, con personaggi monodimensionali messi a servizio di un plot che è un autentico scult.    

venerdì 1 dicembre 2017

Amori che non sanno stare al mondo

anno: 2017       
regia: COMENCINI, FRANCESCA
genere: sentimentale
con Lucia Mascino, Thomas Trabacchi, Carlotta Natoli, Valentina Bellè, Iaia Forte, Camilla Semino Favro    
location: Italia
voto: 8,5

Claudia (Mascino) conosce Flavio (Trabacchi) durante una conferenza. Entrambi sono docenti universitari. Dopo la schermaglia iniziale, i due vanno a pranzo insieme. Lei gli dichiara precipitosamente il suo amore. Lui, gratificato, nicchia ma sta al gioco. Sboccia l'amore. Durerà sette anni, tra alti e bassi, passione e sofferenze. Una frase di troppo fa traboccare un vaso stracolmo. Lui la lascia e si trova una più giovane che non lo coinvolge ma non lo fa soffrire.
Dopo vari film impegnati (Carlo Giuliani, ragazzo, Mi piace lavorare, A casa nostra, In fabbrica, Lo spazio bianco) e varie puntate di Gomorra - La serie, Francesca Comencini gira la sua seconda commedia sentimentale con ampie venature autobiografiche, arrivando a realizzare la sua opera di gran lunga migliore. Nel personaggio di Claudia, figlio della pagina letteraria della stessa Comencini, c'è tutta la sofferenza e il tormento di una donna disperatamente innamorata che si strugge interrogandosi sui motivi dell'abbandono. Una donna intemperante, spesso sopra le righe. Per lei ogni esitazione è un segno d'ambiguità, ogni silenzio dell'altro una mortificazione della sua identità, mentre lui rimane indissolubilmente legato al suo bisogno di libertà, al suo aplomb sempre così apparentemente distaccato. La Comencini è straordinariamente efficace nel restituire tutte le sfumature dei suoi personaggi, curando moltissimo anche quelli in secondo piano (su tutti, quello di Carlotta Natoli,  che nella vita è la moglie di Trabacchi, e che qui troviamo nella parte dell'amica più intima di Claudia), senza mai prendersi eccessivamente sul serio. Anzi: disseminando il film con ampie dosi di ironia, momenti esilaranti (su tutti, quello del tentativo di non appoggiarsi alla tavoletta in un bagno pubblico), deviazioni grottesche (come nel bianco e nero della lezione sull'eterocapitalismo, una aritmetica sul mercato matrimoniale delle donne ultraquarantenni), scorci onirici abbinati a richiami bergmaniani (il fantasma di Claudia nella nuova vita di Flavio). Sicché il film, a dispetto del registro da commedia, propone una sorta di apologo sulla guerra dei sessi, una storia di amour fou che è anche una serissima lezione sull'elaborazione del lutto: un tripudio quasi schizofrenico di trovate stilistiche e mezzi toni, nel quale trovano posto escursioni saffiche, anonimi filmini in bianco e nero e scorci romani poco frequentati al cinema, a cominciare dal Macro di via Nizza.