domenica 26 settembre 2021

Cry Macho - Ritorno a casa

anno: 2021
regia: CLINT EASTWOOD
genere: drammatico
con Clint Eastwood, Eduardo Minett, Natalia Traven, Dwight Yoakam, Fernanda Urrejola, Brytnee Ratledge, Paul Lincoln Alayo, Horacio Garcia Rojas
location: Messico, USA
voto: 6

1979. Il novantenne Mike (Eastwood) è una ex star texana del rodeo. Diventatato vedovo, si è perduto ed è stato salvato da un vecchio amico (Yoakam) che gestisce un enorme ranch. Quest'ultimo chiede a Mike il favore di andare in Messico a recuperare il tredicenne figlio scapestrato (Minett), uno che passa il tempo tra furti e lotte clandestine dei galli. A Mike spetta il difficile compito di riportare a casa il ragazzo e Macho, il suo bipede da combattimento, cercando di guadagnasi la fiducia del giovane.
Tratto dal romanzo omonimo di Richard Nash, Cry Macho è un ossimoro che risolve l'essenza del titolo in una voglia di tenerezza che è lontanissima dalla vacuità - pur efficacissima - di certi ruoli da duro giocati in precedenza. Per Eastwood, vistosamente dimagrito e claudicante, si tratta quasi di un epitaffio a suggello di un'intera carriera, che segna il suo film più delicato e intimista, un raffinato racconto di formazione in forma di road movie che si colloca al crocevia tra Gran Torino, Million Dollar Baby e The Mule. Non il film migliore di Eastwood, ma certamente il più tenero, nel quale la saggezza del protagonista va di pari passo con il suo indomabile senso dell'ironia.



giovedì 23 settembre 2021

Tre piani

anno: 2021
regia: NANNI MORETTI
genere: drammatico
con Margherita Buy, Nanni Moretti, Alessandro Sperduti, Riccardo Scamarcio, Elena Lietti, Alba Rohrwacher, Adriano Giannini, Denise Tantucci, Anna Bonaiuto, Paolo Graziosi, Stefano Dionisi, Tommaso Ragno, Teco Celio, Francesco Acquaroli, Daria Deflorian, Francesco Brandi, Lorenzo Fantastichini, Chiara Abalsamo, Giulia Coppari, Gea Dall'Orto, Alice Adamu, Letizia Arnò, Roberto De Francesco
location: Italia
voto: 5 

I tre piani del titolo sono quelli di un condominio della Roma bene (zona Piazza Mazzini, superfluo dirlo). Al primo piano abitano Lucio (Scamarcio) e Sara (Lietti), così indaffarati da spingersi a chiedere spesso di tenere la loro bambina per qualche ora a Giovanna (Bonaiuto) e Renato (Graziosi), loro anziani dirimpettai. Ma quando la piccola si perde in un bosco con Renato, Lucio si lascia ossessionare dall'idea che possa esserle accaduto qualcosa di orribile e medita vendetta. Al secondo piano vive Monica (Rohrwacher), puerpera con qualche psicosi latente e un marito (Giannini) impegnato costantemente all'estero. Al terzo piano abita una coppia di giudici, il cui figlio (Sperduti), dopo una notte brava, investe e uccide una donna, cercando vanamente la comprensione e la complicità dei genitori.
Il primo film che Moretti dirige senza partire da un proprio soggetto (che qui è lo sciatto e ambizioso romanzo omonimo, ambientato a Tel Aviv, di Eshkol Nevo, Neri Pozza Editore) è l'ennesimo e forse definitivo tassello di un cambio di rotta cominciato 20 anni fa con La stanza del figlio e andato sempre più verso un vicolo cieco di evidente senilità che fa registrare la tappa di Tre piani come il punto più basso della sua carriera. Degli anni gloriosi del cinema del regista romano rimane soltanto l'attitudine a sentenziare, qui propriamente cucita su misura indossando i panni di un giudice inflessibile. Già, perché la figura di Moretti è soltanto una delle tre figure paterne in difficoltà col proprio ruolo: se la sua rappresenta quella del super-io inflessibile, quella di Adriano Giannini è l'io che mette costantemente in primo piano le proprie urgenze lavorative e quella di Scamarcio è l'es ingovernabile di chi è accecato dalle proprie ossessioni, al punto di passare dal ruolo di potenziale co-vittima a quello del persecutore che dovrà rispondere in tribunale delle proprie azioni. Tre istanze intrapsichiche inchiodate a ruoli monodimensionali del tutto in contrasto con quelli giocati dai personaggi femminili, nobilitati dalla capacità di risolvere conflitti apparentemente inestricabili. E se sulla pagina questa lettura retriva e manichea dei ruoli di genere lascia spazio a una possibile chiusura del lettore, Moretti la risolve tutta a favore delle donne, anche quando queste sembrano disposte a dubbie macchinazioni per difendere un figlio omicida o ad abbandonare due bambini piccoli al proprio destino. Questa benevolenza pelosa si accompagna a uno script a teorema sui temi della colpa e della responsabilità e a una messa in scena piuttosto piatta, priva di quegli scarti improvvisi che ancora erano presenti in Habemus papam e persino in Mia madre. Del Moretti passato troviamo soltanto una bella scena di tango clandestino ambientato nel quartiere Della Vittoria: l'unico sussulto di un film che, nonostante i dieci anni che trascorrono nel racconto filmico, in un susseguirsi di nascite e morti, dimentica di reclutare qualche truccatore e spinge gli attori a una recitazione antinaturalistica che, come nel caso del pianto di Scamarcio, diventa persino goffa e imbarazzante.

mercoledì 18 agosto 2021

Amica di salvataggio


anno: 2021
regia: NANNI DELBECCHI
genere: documentario
con Alessandra Appiano e la voce di Lella Costa
location: Italia
voto: 2 

Alessandra Appiano è stata dapprima fotomodella, poi conduttrice televisiva, giornalista e infine scrittrice di trascurabilissimi romanzi di sconcertante frivolezza (bastano i titoli: La vita è mia e me la rovino io; Sola? Come vivere felici con gli uomini. Delle altre; Più malsani più brutti; Scegli me; Le vie delle signore sono infinite; Le belle e le bestie; Amiche di salvataggio, da cui il titolo del mediometraggio). A tre anni dalla morte per suicidio (la donna si gettò dall'ottavo piano di un albergo, fuggita al controllo della clinica psichiatrica nella quale aveva chiesto il ricovero), suo marito Nanni Delbecchi decide di tributarle un documentario che Lorenzo Fiamingo su Ciak definisce "sinceramente strepitoso" (sic: mi deve un'ora - completamente persa - di vita). Con tutto il rispetto per la defunta, il film è un'accozzaglia di testimonianze di sconcertante banalità, un florilegio di prefiche (le sue amiche) che si limitano a raccontare quanto fosse brava, bella e buona la protagonista, colpita a un certo punto della sua vita da una fortissima crisi depressiva. Se i contenuti del documentario sono a dir poco vacui, la regia - che affida alla sgraziata voce di Lella Costa la lettura dei pensierini della Appiano in prima persona - non va oltre il banalissimo bigino di un racconto esistenziale che non riesce a coinvolgere né ad emozionare neppure per un attimo.

mercoledì 14 luglio 2021

Punta Sacra

anno: 2020
regia: FRANCESCA MAZZOLENI
genere: documentario
location: Italia
voto: 5 

Punta Sacra è il nome che viene dato all'idroscalo di Ostia, il luogo assurto a fama nazionale perché lì Pasolini trovò la morte. In quel luogo la regista Francesca Mazzoleni riprende ispirazione a otto anni di distanza da un corto ambientato nello stesso posto, per raccontare la fauna umana che vi abita, combattendo contro la minaccia di sgombero (ma molte famiglie che vivevano lì da un decennio sono costrette a vivere in un residence), autorganizzandosi, discutendo, componendo testi rap che si ispirano a Victor Jara (sic), apparecchiando una festicciola locale per il Natale con tanto di coro che canta una versione tradotta in italiano dell'Hallelujah di Leonard Cohen. È un'umanità raccontata quasi interamente al femminile, tra frizioni amicali, dispute tra madre e figlia, amori acerbi e serrati confronti sui valori della politica. Con una figura emergente, quella di Franca, una sorta di "onorevole Angelina", dal piglio volitivo e intelligente, che guida la resistenza locale con indomita tempra. Per quanto alcuni scorci siano piuttosto accattivanti, il film soffre degli stessi difetti del precedente Succede (opera di finzione). Esso, infatti, sembra un collage di situazioni filmate con una troupe pressoché invisibile, ma montate in maniera rapsodica, scandite da capitoli pretestuosi, girate con uno stile crepuscolare, quasi sempre notturno, che drammatizza scene che richiederebbero altro. Ma il problema maggiore è che allo spettatore non viene offerto neppure un barlume del conflitto che sta dietro lo smantellamento di Punta Sacra e alle ragioni politiche degli autoctoni si preferiscono i languori dei sentimenti.

martedì 8 giugno 2021

We Are the Thousand. L'incredibile storia di Rockin' 1000

anno. 2020
regia: ANITA RIVAROLI
genere: documentario
location: Italia, USA
voto: 10 

Etimologicamente, l'utopia è l'u (dal greco eu, buono) topia (sempre dal greco topos, luogo). Quel luogo buono e bello si chiama Cesena. Ed è lì che un gruppo di ragazzi, autentici sognatori, hanno realizzato una kermesse memorabile, radunando 1000 musicisti tra batteristi, chitarristi, bassisti e cantanti per suonate una sola canzone dei Foo Fighters, Learn to fly, tutti insieme, al fine di riuscire a convincere - tramite un video caricato su YouTube, che ha raccolto decine di milioni di visualizzazioni - la rock band americana a venire a suonare in terra romagnola.

Il film, a dir poco strepitoso, di Anita Rivaroli, racconta tutta quell'esperienza: dagli enormi problemi per la sincronia del suono (risolti da geniali tecnici del suono), al reclutamento dei volontari, fino al crowdfounding da 40.000 euro per realizzare l'operazione. Quell'utopia è diventata realtà (David Grohl e i suoi, nemmeno a dirlo, lusingatissimi), con l'enorme valore aggiunto di essere stata, per molti di coloro che vi hanno preso parte, un'esperienza seminale, catartica, resurrezionale. I mille che fecero l'impresa sono padri e figli, metallari e bluesmen, uomini e donne accorsi da tutta Italia per rendere possibile quel progetto che, appunto, è poi diventato un film ma anche un appuntamento annuale della più numerosa rock band della storia (si chiamano Rockin' 1000 e ogni anno suonano allo stadio di Cesena). E se l'impresa, in sé, non può che destare stupore e ammirazione, la costruzione del film non è da meno: per la potenza delle testimonianze raccolte ("facciamo i nostri lavori di merda per pagarci un sogno" e il sogno è essere lì), per la ricchezza di aneddoti, per la varietà della fauna umana e per la straordinarietà di riprese e montaggio. Ma anche per l'entusiasmo raggiante e contagioso di tutte queste persone che, una volta spente le luci in sala, ti lasciano addosso un'incontenibile sensazione di gioia.

lunedì 19 aprile 2021

The Wizard of Lies

anno: 2017
regia: BARRY LEVINSON
genere: drammatico
con Robert De Niro, Michelle Pfeiffer, Lily Rabe, Kristen Connolly, Hank Azaria, Nathan Darrow, Alessandro Nivola, Kathrine Narducci
location: USA
voto: 7,5

La più grande truffa finanziaria della storia americana ha come protagonista Bernie Madoff, un bagnino ebreo diventato il presidente del Nasdaq. Proprio così: presidente del Nasdaq. Un essere talmente malvagio da essere paragonato a Ted Bundy, il serial killer che dormiva a fianco delle teste mozzate delle sue vittime. Lo schema Ponzi applicato da Madoff arrivò alla cifra impensabile di 65 miliardi di dollari: un castello di carte costruito coinvolgendo moglie (una sempre bellissima, ma scheletrica Michelle Pfeiffer), fratello e figli, tutti ignari, tutti abilmente manipolati, tutti vessati dalla sua tirannia.
Il notevolissimo film di Barry Levinson (uno dei suoi migliori, con Good Morning, Vietnam) è il racconto - attraverso l'espediente narrativo di una lunga intervista in carcere - del momento in cui quel castello di carte venne giù, coincidendo con l'enorme crisi finanziaria del 2008. È anche la storia - girata benissimo - di un'autentica nemesi (i figli non gli sopravvissero), frutto di una truffa perpetrata per decenni con mefistofelica determinazione. Qualche lungaggine avrebbe potuto forse essere sacrificata, ma le due ore e un quarto scorrono comunque che è una bellezza, quasi tutte sulle spalle di un Robert De Niro tornato a giganteggiare dopo una serie di filmetti da strapazzo.

sabato 3 aprile 2021

Fabrizio De André e PFM - Il concerto ritrovato

anno: 2020
regia: VELTRONI, WALTER
genere: documentario
con Fabrizio De André, Dori Ghezzi, David Riondino, Franz Di Cioccio, Patrick Djivas, Piero Frattari, Guido Harari, Antonio Vivaldi, Roberto Colombo, Lucio Fabbri, Franco Mussida, Flavio Premoli
location: Italia
voto: 6 

De André non aveva un carattere facile e sul palco non arrivava sempre al massimo della lucidità. Certo è che non amava essere ripreso durante le sue esibizioni dal vivo, tanto è vero che per anni uno dei pochissimi concerti che si potevano vedere in televisione era quello per cui concesse la liberatoria, completamente ubriaco, a Sarzana, nel 1981. Altrettanto fece in occasione di uno dei tanti concerti che eseguì con la PFM nel 1978/79, quello che si tenne a Genova il 3 gennaio 1979, ripreso con zoomate improvvise e apparenti principî di Parkinson da Piero Frattari. Walter Veltroni ha miracolosamente recuperato le videocassette sulle quali fu registrato quel concerto e, senza miracolo alcuno (si vede da schifo, si sente passabilmente) ci ha fatto un film di un'ora e tre quarti. La prima mezz'ora, stringi stringi, è la cosa più interessante: "prezzemolo" Dori Ghezzi, che se non fosse stata la compagna di De André non se la filerebbe più nessuno da decenni, e alcuni esponenti (Franz Di Cioccio, Patrick Djivas, Franco Mussida, Flavio Premoli) di quella che fu una delle formazioni di punta del progressive italiano, la PFM, raccontano aneddoti su quella fortunatissima tournée che all'inizio sembrava destinata a scontentare tanto il pubblico rocchettaro della band quanto quello impegnato del cantautore. Alle loro testimonianze se ne aggiungono altre, come quella di David Riondino, che all'epoca apriva il concerto, del cameraman Piero Frattari e del notissimo fotografo Guido Harari. Filmati in parte su un treno, in parte nei luoghi - oggi desolati - dove si tenne quel concerto, i racconti aggiungono qualcosa anche per i più rigorosi esegeti del verbo di De André. Di suo, Veltroni ci mette la firma e pochissimo altro.

venerdì 26 marzo 2021

Zappa

anno: 2020
regia: WINTER, ALEX
genere: documentario
con Frank Zappa, Gail Zappa, Bruce Bickford, Pamela Des Barres, Henry Dutt, Bunk Gardner, David Harrington, Mike Keneally, John Sherba, Scott Thunes, Joe Travers, Ian Underwood, Ruth Underwood, Steve Vai, Ray White, Sunny Young
location: USA
voto: 10 

C'è un aggettivo che ricorre spesso nel documentario che Alex Winter, già autore di Downloaded, ed è Weird. Weird come strano, bislacco. Perché Frank Zappa - il più grande e talentuoso musicista del Novecento - strano lo era davvero agli occhi di quei benpensanti contro i quali si accaniva il sarcasmo dei suoi testi. La forza del documentario di Winter - al quale la vedova di Zappa ha aperto i giganteschi archivi del marito - sta nel concedere molto proprio alla dimensione umana del chitarrista di Baltimora, senza ovviamente tralasciare quella squisitamente artistica. Per gli orfani di Zappa, il film di Winter è un'autentica manna che propone una quantità di materiale inedito da indigestione, tanti sono i filmati privati, quelli giovanili o quelli drammatici durante la malattia che diede la morte a Zappa a soli 52 anni, da richiedere più di una visione. Dentro c'è proprio tutto e questo è anche il limite (forse l'unico) del film: non fai a tempo a fermarti su un'immagine, una frase, un brano musicale, che già vieni catapultato altrove. In questo "tutto" ci sono l'infanzia povera, la passione giovanile per gli esplosivi, la musica che irrompe nella vita del nostro soltanto intorno ai 14 anni, il racconto di sei mesi di prigione per avere scritto la colonna sonora per un film porno (America parruccona e sessuofoba!), il perfezionismo maniacale, l'avversione radicale nei confronti della droghe, la sigaretta - al contempo - perennemente accesa, il rapporto con le altri arti (Lenny Bruce, il disegnatore Cal Shenkel e l'animatore Bruce Bickford, autentici maverick come lui), lo sberleffo costante nei confronti dell'industria musicale (la cui epitome fu la copertina di We're only in it for the Money, caricatura del beatlesiano Sgt. Pepper's, sulla quale campeggiava anche Jimi Hendrix). Né mancano gli episodi privati, dalla frattura alla gamba causatagli da un esagitato durante un concerto, alla nascita dei quattro figli. E c'è inevitabilmente il Zappa musicista, quello in grado di scalare le classifiche con una canzone come Valley Girl, di scrivere pezzi complicatissimi come Black Page (il titolo deriva dalla quantità di nero presente sul pentagramma) o di pagare di tasca propria un'intera orchestra (la London Symphony Orchestra, mica robetta) pur di sentire eseguire la propria musica come si deve. Zappa era tutto questo e il film, pur in un montaggio serratissimo, riesce a raccontarlo: un workhaolic capace di sfornare musica a getto continuo, un genio irriverente, refrattario a qualsiasi censura, un libertario autarchico (fu il primo musicista a metter su una propria etichetta discografica) dalla dialettica sopraffina e dal carisma smisurato, il cui mito, a più di un quarto di secolo dalla sua morte, è più vivo che mai.

sabato 20 febbraio 2021

Vincitori e vinti (Judgement at Nuremberg)

anno: 1961
regia: KRAMER, STANLEY
genere: drammatico
con Spencer Tracy, Burt Lancaster, Richard Widmark, Marlene Dietrich, Maximilian Schell, Judy Garland, Montgomery Clift, Edward Binns, Werner Klemperer, Torben Meyer, Martin Brandt, William Shatner, Kenneth MacKenna, Alan Baxter, Ray Teal, Virginia Christine, Ben Wright, Joseph Bernard, John Wengraf, Karl Swenson, Howard Caine, Otto Waldis, Olga Fabian, Paul Busch, Bernard Kates
voto: 10
location: USA
voto: 10 

Nel 1948, a Norimberga (Germania occidentale), si tenne il processo ai gerarchi nazisti che si resero responsabili di irraccontabili crimini contro l'umanità. A partire da un soggetto di Abby Mann, il film è la ricostruzione romanzata di quella vicenda, nella quale quattro magistrati tedeschi devono essere giudicati da un tribunale presieduto da un modesto, umile, quanto irreprensibile giudice della provincia americana (Tracy), che la vedova (Dietrich) di un gerarca nazista sta cercando di abbindolare. Nonostante la difesa tetragona e il tentativo dei vertici militari americani di accomodare la sentenza secondo le ragioni di stato, dettate soprattutto dalle incombenti necessità del ponte aereo con Berlino, il giudice non si lascerà intimidire. Stanley Kramer firma un capolavoro assoluto sulla banalità del male, mostrando quattro giudici alla sbarra asserviti all'applicazione di leggi del tutto inique quanto brutali, che portarono all'istituzione dei campi di concentramento (scioccanti le immagini di repertorio). Si tratta di un cinema di parola condito con dialoghi di qualità sopraffina, che restituisce tutta la complessità della vicenda giudiziaria in tre ore che scorrono d'un fiato. Un cinema che deve molto anche al magnifico bianco e nero di una campione della fotografia come Ernest Laszlo, giocato su un efficacissimo lavoro sui primi piani e impreziosito dalle impeccabili ricostruzioni degli esterni, nei quali sono ambientate le scene che interrompono l'avvicendarsi dei fatti nell'aula di tribunale. Una menzione a parte la merita un cast stellare nel quale Spencer Tracy, Burt Lancaster e un Montgomery Clift diventato quasi irriconoscibile dopo il terribile incidente d'auto di qualche anno prima gareggiano in bravura. Ma il premio Oscar lo vinse Maximilian Schell, che gigioneggia per tutto il tempo nella parte di un avvocato tanto arrogante quanto odioso. Il film ebbe anche una seconda, meritatissima statuetta: quella per la migliore sceneggiatura.