regia: EASTWOOD, CLINT
genere: guerra
con Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Tsuyoshi Ihara, Ryo Kase, Shido Nakamura, Hiroshi Watanabe, Takumi Bando, Yuki Matsuzaki, Takashi Yamaguchi, Eijiro Ozaki, Nae Yuuki, Nobumasa Sakagami, Lucas Elliott, Sonny Saito, Hiro Abe, Toshiya Agata, Masashi Nagadoi, Ikuma Ando, Ken Kensei, Steve Santa Sekiyoshi, Yoshi Ishii, Toshi Toda
location: Giappone, Usa
voto: 7,5
Se in Flags on our fathers la ricostruzione della famigerata battaglia dell'isola di Iwo Jima, nel Pacifico - combattuta tra il febbraio e il marzo del 1945 da giapponesi e americani - era offerta dal punto di vista dei vincitori, in Lettere da Iwo Jima Eastwood ribalta la prospettiva a favore dei giapponesi. Rispetto alla retorica e alla propaganda tipicamente americani che segnano il film precedente, qui Eastwood si sposta su un taglio più intimista (a partire dal titolo, riferito alle lettere che vano e vengono dal fronte). Le ineludibili scene belliche di quel massacro, durissime nel loro macabro realismo, nel copione di Tadamichi Kuribayashi, Iris Yamashita e Paul Haggis fanno da cornice alle vicende umane raffigurate in primis dalle due figure - diversissime eppure assai vicine - del Generale Kuribayashi (Watanabe), ex campione olimpico un tempo amico degli americani, e di un soldato semplice quanto inetto, Saigo (Ninomiya), panettiere in attesa di vedere la sua primogenita. È attraverso i loro occhi che Eastwood ci mostra gli orrori della guerra, il fanatismo e il populismo nascosti dietro la propaganda patriottica, i pregiudizi che si sgretolano davanti al contatto col nemico fatto prigioniero. Il grandissimo cineasta di San Francisco opta per un registro stilistico radicale: niente doppiaggio, cromatismi esasperati (c'è solo il grigio della spiaggia e il rosso-arancio delle armi da fuoco), tonalità cupe, sprazzi di autentica poesia. Quanto basta per firmare l'ennesimo capitolo di una filmografia destinata all'immortalità.
Golden Globe 2007 come miglior film straniero. Oscar 2007: montaggio sonoro (Robert Murray, Bud Asman).
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