martedì 30 agosto 2016

Legend

anno: 2015   
regia: HELGELAND, BRIAN
genere: gangster
con Tom Hardy, Emily Browning, David Thewlis, Christopher Eccleston, Chazz Palminteri, Taron Egerton, Duffy, Sam Spruell, Tara Fitzgerald, Colin Morgan, Paul Anderson, Joshua Hill, Nicholas Farrell, Adam Fogerty, Mel Raido, Millie Brady, Chris Mason, Stephen Thompson, Alex Ferns, Martin McCreadie, Shane Attwooll, Richard Riddell, Sam Hoare, Frankie Fitzgerald, Christopher Adamson, Alex Giannini, Samantha Pearl, Mark Theodore, Lara Cazalet, Charley Palmer Rothwell, John Sessions, Kevin McNally, Tim Woodward, Nick Hendrix, Robert Ashby, Jane Wood, Jon McKenna, John Sears, Stephen Lord    
location: Regno Unito
voto: 6,5

Da Piccolo Cesare (1930) in avanti, i gangster movie tendono spesso a somigliarsi: ascesa e declino di un boss, rapporti con la famiglia e gli amici, tradimenti e poi le tre P: potere, politica e polizia. Se le differenze ci sono - fatte le dovute eccezioni per capolavori come C'era una volta in America, Il padrino, Gli intoccabili, Quei bravi ragazzi, Leon, Pulp Fiction, Casinò e Ghost dog - queste vanno ricercate nei dettagli. Nel caso di Legend - film diretto da Brian Helgeland, americano di origini norvegesi - gli elementi di spicco sono tre: l'ambientazione (la swinging London degli anni Sessanta), i protagonisti (due fratelli gemelli) e lo spunto narrativo (una storia vera). Il perno indiscutibile è la presenza di Tom Hardy, semplicemente sublime, che si sdoppia a meraviglia per impersonare Ron e Reggie Kray. Il primo è uno psicopatico violentissimo e omosessuale; il secondo è un dandy che manda avanti gli affari, ha (abbastanza) rispetto per gli amici e ama la sua donna (Browning), dal cui punto di vista viene raccontata l'intera vicenda, con scarso mordente drammaturgico. Nel film non c'è molto altro: sparatorie, scazzottate, torture, ritorsioni, minacce, vendette: tutto secondo gli standard del genere. Ma vedere Tom Hardy in versione imbolsita, con gli occhiali e impacciata nei movimenti e il suo gemello aitante, azzimato e scattante è puro cinema nonché la conferma di un attore in irresistibile ascesa.    

domenica 28 agosto 2016

Il diritto di uccidere (Eye in the Sky)

anno: 2015       
regia: HOOD, GAVIN 
genere: guerra 
con Helen Mirren, Aaron Paul, Alan Rickman, Barkhad Abdi, Jeremy Northam, Iain Glen, Phoebe Fox, Monica Dolan, Aisha Takow, Armaan Haggio, Faisa Hassan, Daniel Fox, Jessica Jones, Mohamed Abdirahmaan, Hassan Abdullah, Ahmed Mohamed Ali, Carl Beukes, Babou Ceesay, Bob Chappell, Francis Chouler, Kim Engelbrecht, Sonia Esgueira, Dek Hassan, John Heffernan, Gavin Hood, Graham Hopkins, Lex King, Vusi Kunene, Warren Masemola, Richard McCabe, Roberto Meyer, Ma Mohamed, Ali Mohamed, Michael O'Keefe, Abdi Mohamed Osman, Laila Robins, Mondé Sibisi, Abdilatief Takow, Lemogang Tsipa, Ebby Weyime    
location: Kenya, Regno Unito, Singapore, Usa
voto: 7

A Nairobi, in Kenya, è in corso un'operazione dell'intelligence britannica per catturare 3 dei 5 terroristi più ricercati dai servizi segreti internazionali. Quando il colonnello Powell (Mirren) scopre che la cellula di Al-Shabaab che sta monitorando grazie a un minuscolo drone sta preparando un attentato kamikaze, l'obiettivo dell'operazione diventa quello di distruggere con un missile telecomandato l'abitazione nella quale è in corso l'organizzazione dell'atto terroristico. Ma c'è un problema: una bambina si è messa a vendere del pane a un passo dalla staccionata che delimita la residenza dei terroristi. Tra i servizi segreti inglesi, il ministro degli esteri britannico, il segretario di stato americano (tra i terroristi è coinvolta una donna con passaporto a stelle e strisce) ed esperti di diritto internazionale ha inizio una logomachia (la memoria va al coevo Diplomacy) per decidere se sia opportuno o meno lanciare quel missile, sacrificando eventualmente la vita di una bambina per salvarne molte altre.
Il regista sudafricano Gavin Hood aveva già mostrato con Rendition (2007) il proprio interesse nei confronti dei dilemmi morali connessi con il terrorismo. Qui il tema - declinato sotto la maschera ipocrita della guerra "intelligente" e come tale ridicolizzato dal film - si arricchisce del contrasto tra chi la guerra la combatte sul campo (l'infiltrato keniota che manovra il drone) e chi la dirige dalla stanza dei bottoni, tra una corsa in bagno, una partita a ping pong e una tazza di caffè, con inevitabile effetto straniante su un problema etico sviscerato in maniera tutt'altro che scontata e raccontato con un registro thriller e tanta suspense.
Ultima apparizione per Alan Rickman, qui nei panni di un generale inglese dalle posizioni ondivaghe. 

giovedì 25 agosto 2016

Escobar (Escobar: Paradise Lost)

anno: 2014       
regia: DI STEFANO, ANDREA
genere: gangster
con Josh Hutcherson, Benicio Del Toro, Brady Corbet, Claudia Traisac, Carlos Bardem, Ana Girardot, Laura Londoño, Lauren Ziemski, Aaron Zebede    
location: Colombia, Usa
voto: 7

Verso la fine degli anni '80 un giovane surfista canadese (Hutcherson) si reca con il fratello e la fidanzata di quest'ultimo in Colombia, sperando di scovare lì il suo paradiso (e infatti Paradise Lost è il titolo originale del film). Trova invece la fidanzata (Traisac), una ragazza del posto il cui zio è nientemeno che Pablo Escobar (Del Toro), il re del narcotraffico. Il ragazzo entra così nella fazenda del potentissimo uomo, vivendo un dilaniante dilemma morale sull'opportunità o meno di rimanere lì. Qualche anno più tardi, nel 1991, Escobar gli affiderà una durissima prova di fiducia, che costringerà il ragazzo a una fuga rocambolesca.
Attore trascurabilissimo (tra le sue partecipazioni vanno ricordate Almost blue, Cuore sacro e persino Vita di Pi), Andrea Di Stefano passa per la prima volta dietro la macchina da presa. E lo fa con assoluta cognizione di causa, cercando finanziamenti all'estero (Francia, Spagna, Belgio) e puntando non su un biopic sul discusso affarista colombiano abilissimo nell'ingraziarsi il popolo al punto da occupare un posto rilevante anche sulla scena politica, bensì facendo leva sullo sguardo morale esterno del giovane protagonista capitato per caso in una situazione più grande di lui. Se la prima parte del film fatica a carburare, nonostante il consueto carisma di un Benicio Del Toro che ancora una volta deve misurarsi con personaggi legati al mondo della droga (Basquiat, Traffic, Noi due sconosciuti, Sicario), la seconda parte spicca il volo imboccando un registro thriller indovinatissimo, nel quale il problema etico non si opacizza e non cede mai il passo alla tentazione dell'action movie.    

Steve Jobs

anno: 2015   
regia: BOYLE, DANNY
genere: biografico
con Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Jeff Daniels, Michael Stuhlbarg, Katherine Waterston, Perla Haney-Jardine, Ripley Sobo, Makenzie Moss, Sarah Snook, John Ortiz, Adam Shapiro, John Steen, Stan Roth, Mihran Slougian, Robert Anthony Peters, Noreen Lee, Gail Fenton, Karen Kahn, Rachel Caproni, Lily Tung Crystal, Damara Reilly, Marika Casteel, Dylan Freitas-D'Louhy, Chris Tomasso, John Chovanec, Daniel Liddle, Lora Oliver, Colm O'Riain, Anita Bennett, Greg Mills, Melissa Etezadi, Rick Chambers, Sara Welch, Emmett Miller, Marc Istook, Carlo Cecchetto, Kristina Guerrero, Bill Seward, Mark Mester, Derrin Horton    
location: Usa
voto: 6,5

A soli due anni dal precedente biopic sul guru della Silicon Valley e a cinque dalla morte, ecco arrivare nelle sale cinematografiche la meno acquiescente e agiografica biografia su Steve Jobs (senza contare il documentario firmato da Alex Gibney, Steve Jobs: The Man in the Machine). A differenza di Jobs, il pessimo film di Joshua Michael Stern, qui Danny Boyle non fa sconti alla personalità di una delle icone pop più fasulle di tutto il Novecento, insieme a quella di Karol Wojtyla. Di quell'uomo avidissimo, arrogante, anaffettivo (e mi limito agli aggettivi spregiativi con la A), incapace di leggere un circuito o di scrivere una sola riga di comandi informatici, il film del regista inglese mette in risalto soprattutto l'aspetto umano, a dir poco deficitario, per usare un eufemismo. Dal protratto mancato riconoscimento della figlia ai continui tradimenti ai danni di amici e colleghi, Jobs proseguì senza alcun ritegno la scalata ai vertici dell'industria informatica, diventando ben presto il miliardario senza scrupoli e il millantatore capace di rubare ad arte le idee altrui che era. Fautore di un sistema informatico inespugnabile per gli acquirenti e totalmente autoreferenziale, Jobs patì gli alti e i bassi della sua protervia, con grandi successi commerciali presso la Apple e altrettanti clamorosi fiaschi. Non a caso, la regia di Boyle (che muove dalla scenaggiatira di Aaron Sorkin, già autore del biopic su Zuckerberg, The social network) si concentra quasi esclusivamente sui backstage del lancio dei tre prodotti che portarono il suo segno (per altrettanti atti, contrassegnati da una diversa cifra stilistica), dal Macintosh del 1984 all'iMac del 1998. E lo fa con una scelta espressiva tanto sfumata quanto indovinatissima: quella di mostrare persone che origliano continuamente da dietro le porte, in quel mondo di squali di cui Jobs, la scorrettezza fatta persona, era il campione indiscusso. Con la sua mimica limitatissima, Fassbender presta all'industriale statunitense più corpo che anima, offrendo un assist involontario ai molti comprimari che, come per ipersonaggi che rappresentano nella storia vera, non hanno nulla da invidiare al protagonista.    

martedì 23 agosto 2016

Images

anno: 1972   
regia: ALTMAN, ROBERT   
genere: drammatico   
con Susannah York, René Auberjonois, Marcel Bozzuffi, Hugh Milais, Cathryn Harrison, John Morley    
location: Usa
voto: 6,5   

Una donna giovane e benestante, Catheryn (York), crede di essere oggetto di persecuzioni telefoniche da parte di una misteriosa voce femminile che la informa a proposito di presunte infedeltà del marito (Auberjonois). Con quest'ultimo la donna si trasferisce nella loro casa di campagna, nella quale Catheryn rivede il fantasma di un amante avuto anni prima (Bozziffi) e dove fa loro visita un uomo (Milais) col quale, in passato, c'è stata una accidentata liason. La donna dà fondo a tutta la sua schizofrenia.
Thriller psicologico che parte incrociando le tematiche del tradimento, della colpa, del lutto e della gelosia, ma che finisce per avvitarsi su sé stesso in maniera labirintica quando prova a sondare più da vicino lo sdoppiamento della protagonista, l'attrice Susannah York, dai cui racconti è tratto il film. Altman conferisce al tutto un'impeccabile messa in scena con divagazioni horror, ma la parte migliore la gioca il mai abbastanza apprezzato musicista giapponese Stomu Yamashta, all'epoca uno dei nomi di punta dell'avanguardia elettronica mondiale, con rumorismi ad altissimo tasso ansiogeno.

lunedì 22 agosto 2016

L'illusionista (L'illusionniste)

anno: 2010       
regia: CHOMET, SYLVAIN  
genere: animazione  
location: Francia, Irlanda, Regno Unito
voto: 5,5  

Jacques Tati c'è e si vede tutto in questo secondo lungometraggio animato di Sylvain Chomet, che dopo Appuntamento a Belleville riprende la poetica lunare del malincomico transalpino per tradurre questa sua opera inedita in punta di matita con il suo tratto tipicamente retrò. La storia è quella di un illusionista che, nella Francia di fine anni '50, vede il suo successo eclissarsi a vantaggio degli emergenti divi del rock. Dopo l'incontro con la piccola Alice, l'uomo decide di spostarsi prima in Inghilterra e poi in Irlanda, accompagnando il suo lavoro da artista con altri lavoretti per sbarcare il lunario, e continuando a far vivere la piccola nell'illusione di un'esistenza da favola.
Poetico, delicatissimo, con fulminanti punte di grottesco e dialoghi ridotti a poco più che suoni gutturali in una sorta di grammelot ancestrale, L'illusionista mostra però gli stessi punti deboli dell'opera precedente, con una sceneggiatura che non sembra riuscire a sostenere in maniera sufficientemente fluida le molte intuizioni dell'opera, che così finisce per sembrare rapsodica e a tratti indecifrabile.    

sabato 20 agosto 2016

Un posto sicuro

anno: 2015       
regia: GHIACCIO, FRANCESCO   
genere: drammatico   
con Marco D’Amore, Giorgio Colangeli, Matilde Gioli   
location: Italia
voto: 6   

Casale Monferrato, 2011. Luca (interpretato da Marco D'Amore che, reduce dal successo della serie televisiva Gomorra, dà qui prova di grande versatilità) e suo padre (Colangeli) non si rivolgono parola da anni. Il rapporto cambia quando il primo viene a sapere che il secondo si trova nello stadio terminale di un mesotelioma contratto lavorando per anni l'amianto in fabbrica. Con l'occasione, Luca concentra tutte le sue energie per far conoscere la vicenda della fabbrica Eternit che ha ucciso migliaia di persone senza che i padroni rivelassero nulla di ciò che sapevano sulla pericolosità dell'amianto. Ma per lui è anche l'occasione per affrancarsi dal lavoro di giullare per feste da ricchi e tornare a calcare il palcoscenico teatrale.
Cinema di impegno civile con guizzi visionari di grande impatto (su tutti, la scena metaforica in cui il protagonista svuota sul palco interi sacchi di palline da ping pong), il film dell'esordiente Francesco Ghiaccio perde parte del suo potenziale in un fragile schematismo, con rivoli narrativi prescindibili, a cominciare dalla sottotrama rosa. Un'occasione parzialmente sprecata per raccontare un disastro sanitario e ambientale al quale la giustizia italiana ha aggiunto un'intollerabile quota di oscenità e iniquità.    

venerdì 19 agosto 2016

The Wolfpack - Il branco

anno: 2015       
regia: MOSELLE, CRYSTAL   
genere: documentario   
con Bhagavan Angulo, Govinda Angulo, Narayana Angulo,  Mukunda Angulo, Krsna Angulo, Jagadisa Angulo, Visnu Angulo, Susanne Angulo, Oscar Angulo, Chloe Pecorino    
location: Usa
voto: 5   

Sei fratelli (più una sorella che sembra autistica) vivono rinchiusi fin dall'infanzia in un fatiscente appartamento dell'East Side di Manhattan. La madre è stata la loro precettrice (nessuno di essi ha frequentato la scuola) e il mondo l'hanno conosciuto tramite l'infinità di film che il padre ha fatto vedere loro nel corso di tutta la vita. La regista Crystal Moselle entra nella loro abitazione quando ormai la rivolta è avvenuta, il padre è indebolito e anche la madre ha reso le armi di una complicità balorda.
L'idea di raccontare questa incredibile storia di segregazione, dettata da un feroce regime patriarcale, sulla carta ha tutte le credenziali per trasformarsi in un documentario memorabile, peraltro premiato al Sundance e alla festa del Cinema di Roma. Peccato però che la regia si soffermi eccessivamente sui racconti retrospettivi dei ragazzi, perda la misura con i videoclip girati in casa e finisca col sembrare compiaciuta di poter assistere ai primi veri contatti con la realtà (il mare, il cinematografo) di questi ragazzi schiavizzati sulla scorta delle bislacche idee di un peruviano che in gioventù aveva sposato la causa degli Hare Krishna, imponendo ai suoi figli nomi in sanscrito e impedendo loro il taglio dei capelli.    

mercoledì 17 agosto 2016

Eddie the Eagle - Il coraggio della follia (Eddie the Eagle)

anno: 2016   
regia: FLETCHER, DEXTER  
genere: drammatico  
con Taron Egerton, Hugh Jackman, Christopher Walken, Keith Allen, Jim Broadbent, Tim McInnerny, Jo Hartley, Rune Temte, Edvin Endre, Daniel Ings, Ania Sowinski, Marc Benjamin, Mads Sjøgård Pettersen, Russell Balogh    
location: Regno Unito, Germania, Usa
voto: 6,5  

Fin da bambino Eddie (Egerton), nonostante il problema al ginocchio che lo affligge fin dalla primissima infanzia, ha un preciso sogno nel cassetto: quello di partecipare alle olimpiadi. La madre (Hartley) è dalla sua, il padre (Allen) lo avversa e vorrebbe insegnargli il mestiere di intonacatore. Caparbio come pochi, diventato ormai l'epigono di Forrest Gump in versione nerd che beve soltanto latte, Eddie si candida per essere l'unico rappresentante britannico alle olimpiadi invernali di salto con gli sci. Dalla sua, durante la preparazione in Germania portata a termine contro l'opposizione tetragona della federazione, Eddie trova Bronson Peary (Jackman), un ex campione di quello sport, finito in malora per la continua indisciplina. Nel giro di pochissimo tempo i due riusciranno a portare la rappresentanza inglese in Canada, alle Olimpiadi invernali, dove Eddie si piazzerà ultimo, conquistandosi però la totale simpatia della stampa e del pubblico.
Basato sulla vera storia di Eddie Edwards, il film di Dexter Fletcher è un biopic di ambientazione sportiva con una massiccia dose di ironia, qualche cedimento al sentimentalismo ma anche trovate registiche intelligenti e originali (su tutte, quella di Eddie bambino che colleziona occhiali rotti nel tentavo di affermarsi in qualche disciplina sportiva). Il più classico dei film formato-famiglia, tra umorismo e qualche situazione reiterata quasi allo spasimo.    

mercoledì 10 agosto 2016

Microbo & Gasolina (Microbe et Gasoil)

anno: 2015       
regia: GONDRY, MICHEL
genere: avventura
con Ange Dargent, Théophile Baquet, Diane Besnier, Audrey Tautou, Vincent Lamoureux, Agathe Peigney, Douglas Brosset, Charles Raymond, Ferdinand Roux-Balme, Marc Delarue, Ely Penh, Laurent Poitrenaux, Jana Bittnerova, Zimsky, Fabio Zenoni, Elsa Truscello, Étienne Charry, Amir Abou El Kacem, Hamza Meziani, Emeline Bayart, Masako Tomita, Eriko Takeda, Hélène Alexandridis, Nadine Sainsily, Sacha Bourdo, Matthias Fortune Droulers, Maureen O'Donoghue, Geoffrey Noël, Marie Berto, Jean-Christophe Bretignière    
location: Francia
voto: 4,5

Unanimemente riconosciuto come una delle menti più visionarie e immaginifiche della settima arte, dopo film come Se mi lasci ti cancello, Be kind rewind e Mood indigo, Michel Gondry conferma ancora una volta pregi e difetti del suo talento. Microbo e Gasolina è un buddy movie fiabesco sull'amicizia tra due quattordicenni, entrambi vittime del bullismo dei compagni di scuola ed ambedue appartenenti a famiglie disfunzionali. Efebico e innamorato di una compagna di classe con la quale pensa di non avere speranze, Microbo (Dargent) in realtà si chiama Daniel e ha una vera vocazione per il disegno. Il suo amico Theo (Baquet), soprannominato Gasolina per via dell'odore che si porta addosso dalle troppe ore trascorse a inventare strani oggetti a combustione, non vede l'ora di andarsene da casa. I due progettano una fuga a bordo di una casa con le ruote, sulla quale vivranno diverse avventure scorrazzando per la Francia.
Fin troppo dichiarativo a partire dagli intenti iniziali, il film ha il pregio di lambire l'amicizia tra adolescenti con accenti poetici e venature grottesche. Ma il plot, dopo le battute di ingresso, si perde alla maniera de Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet, finendo con somigliare a troppi altri teen movie dal registro avventuroso come Stand by me che, come racconti di formazione in chiave di road movie, avevano saputo dire molto di più.    

domenica 7 agosto 2016

La teoria svedese dell'amore (The Swedish Theory of Love)

anno: 2015   
regia: GANDINI, ERIK  
genere: documentario  
con Zygmunt Bauman  
location: Etiopia, Norvegia, Svezia
voto: 6  

Nel 1974 in Svezia venne redatto un manifesto che, in un connubio ideale con uno stato sociale solido ed efficientissimo, metteva al centro dell'attenzione l'indipendenza e la soggettività dell'individuo. Se da un lato quel progetto, figlio di una crescita economica fortissima e di un orientamento valoriale all'avanguardia, sembrava voler ottimizzare lo sviluppo dei singoli, dall'altro produsse una società composta da monadi in scarsa comunicazione tra loro, nella quale la metà circa degli individui vive da solo ed è concentrato soprattutto sulla realizzazione professionale. I conti di tutto questo individualismo sono spesso salati: i casi di persone che muoiono in totale solitudine aumentano di anno in anno, così come le reazioni di quella parte del corpo sociale che si ribella a tanto solipsismo, cercando il contatto con gli altri in forme talvolta parossistiche.
Dopo Videocracy, l'oriundo Erik Gandini - che da anni vive in Svezia - torna a mostrarci la sua prospettiva d'analisi da quella latitudine. Il documentario è accattivante e sociologicamente rilevante, ma le premesse di osservazione si svuotano nel pistolotto finale dai toni degni di Padre Amorth, con tanto di chiosa di Zygmunt Bauman, che offre l'ennesimo saggio di banalizzazione della sociologia.    

venerdì 5 agosto 2016

Criminal

anno: 2016   
regia: VROMEN, ARIEL
genere: poliziesco
con Kevin Costner, Gary Oldman, Tommy Lee Jones, Ryan Reynolds, Alice Eve, Michael Pitt, Jordi Mollà, Scott Adkins, Amaury Nolasco, Antje Traue, Colin Salmon, Gal Gadot, Robert Davi, Richard Reid, Tommy Hatto, Natalie Burn, Steven Brand    
location: Usa
voto. 6,5

Un agente infiltrato della Cia (Reynolds) sta per concludere una trattativa con un hacker chiamato "l'olandese", il quale vorrebbe vendere la sua creatura - un programma per comandare a distanza qualsiasi arma nucleare - al solito pazzo che vuole distruggere il pianeta (Mollà). L'agente muore ma uno scienziato che lavora all'impresa da anni (Jones) trova il modo per impiantare la sua memoria residua nell'unica cavia disponibile, un feroce assassino con un lobo cerebrale fuori uso (Costner). Attraverso i ricordi di quest'ultimo, i servizi segreti tenteranno di ricostruire il piano del'agente defunto.
L'idea del trasferimento di identità non è nuovissima: da La fuga fino Face/off e Self/less, se ne possono trovare tracce più o meno riuscite. Ad accendere la miccia ci pensa però Kevin Costner, che indovina un personaggio borderline, tra esplosioni violentissime e iniezioni di umana pietas che arrivano dalla parte modificata del suo cervello. Se il suo antieroe, indossato con carisma, possiede contorni ben definiti, alcuni comprimari - a dispetto del cast altisonante - rasentano la macchietta, anche a causa di qualche buco di sceneggiatura di troppo, con un plot concentrato soprattutto sulle scene d'azione e su una sottotrama rosa.    

mercoledì 3 agosto 2016

A single man

anno: 2009       
regia: FORD, TOM  
genere: drammatico  
con Colin Firth, Julianne Moore, Nicholas Hoult, Matthew Goode, Jon Kortajarena, Paulette Lamori, Ryan Simpkins, Ginnifer Goodwin, Teddy Sears, Paul Butler, Aaron Sanders, Keri Lynn Pratt, Jenna Gavigan, Alicia Carr, Lee Pace, Adam Shapiro, Marlene Martinez, Ridge Canipe, Elisabeth Harnois, Erin Daniels, Nicole Steinwedell, Tricia Munford    
location: Usa
voto: 4  

"Parlo mai di astrofisica, io? Parlo mai di biologia, io? Parlo mai di neuropsichiatria? Parlo mai di botanica? Parlo mai di algebra? Io non parlo di cose che non conosco! Parlo mai di epigrafia greca? Parlo mai di elettronica? Parlo mai delle dighe, dei ponti, delle autostrade? Io non parlo di cardiologia! Io non parlo di radiologia! Non parlo delle cose che non conosco!". Il celeberrimo sfogo di Nanni Moretti in Sogni d'oro andrebbe applicato alla lettera a Tom Ford, stilista assurto a fama planetaria grazie a Gucci e Saint Laurent, che produce occhiali e profumi e che, purtroppo, non si limita a parlare di cinema, ma si concede anche alla regia di film. Al suo primo lungometraggio, ispirato all'omonimo romanzo di Christopher Isherwood, Ford mette in scena un uomo sulla cinquantina (Firth, premiato a Venezia con la Coppa Volpi) che ha improvvisamente perso il suo compagno (Goode) a causa di un incidente automobilistico. La sua vita sembra avere smarrito qualsiasi senso, la compagnia della sua migliore amica (Moore) è poco più che un palliativo e le lezioni al college sono un obbligo al quale ottemperare svogliatamente. Fino a quando un ragazzino, suo studente, non accende una nuova luce in una vita ormai spenta e nella quale il pensiero del suicidio aleggia costantemente.
Estetizzante, oleografico, ambientato a Los Angeles durante la crisi di Cuba nel 1962, il film è un florilegio di situazioni scontate con aggiunta di scorci onirici e flashback pretestuosi, nel quale si respira un'insopportabile atmosfera decadente che guarda al cinema di Ivory con occhio gelido e stile calligrafico da lucidatore d'ottoni.