giovedì 31 luglio 2014

Io e te

anno: 2012   
regia: BERTOLUCCI, BERNARDO  
genere: drammatico  
con Jacopo Olmo Antinori, Tea Falco, Sonia Bergamasco, Veronica Lazar, Tommaso Ragno, Pippo Delbono, Rodolfo Corsato, Francesca De Martini, John Paul Rossi  
location: Italia
voto: 7  

Il quattordicenne romano Lorenzo (Antinori, un sosia in versione foruncolosa di Malcolm McDowell) vive con la agiata madre (Bergamasco) in un appartamento semicentrale della capitale. Quando gli si presenta l'occasione per andare in settimana bianca con i suoi compagni di classe, finge di coglierla, spiazzando la genitrice raggiante per questo suo piccolo progresso. In realtà se ne va per l'intero periodo nella cantina di casa (mai visti sottoscala come questo: praticamente un appartamento con tanto di doccia). Ma arriva una sorpresa: Olivia, la sorellastra tossica 25enne (interpretata con straordinaria bravura da Tea Falco, che però ha una delle voci più sgradevoli mai sentite al cinema, con un pesantissimo accento catanese) irrompe in quello spazio chiuso per recuperare un oggetto e rimane anche lei lì per l'intera settimana. I due, figli di madri diverse, impareranno a conoscersi.
Tratto dall'omonimo romanzo di Ammaniti, ex "scrittore cannibale" che ha anche collaborato alla sceneggiatura, Io e te arriva a 9 anni dal precedente The dreamers, complice anche la grave malattia che nel frattempo ha colpito Bertolucci. Si tratta di un romanzo di formazione nel quale ancora una volta si legge in filigrana la predilezione del maestro parmigiano per il tema della cattività (l'imprigionamento nei clichè borghesi de Il conformista, tratto da Moravia; gli spazi claustrofibici di Ultimo tango a Parigi e L'assedio; i condizionamenti culturali imposti a un bambino ne L'ultimo imperatore e Piccolo Buddha). Una cattività che funge da viatico per il giovane protagonista, ancora una volta nel segno del numero due, come era accaduto in Ultimo tango a Parigi, grazie all'incontro con un personaggio ancora più disadattato di lui. Il tutto messo in scena con guizzi di grande cinema e una tensione costante che fanno di Io e te uno dei film più riusciti di Bertolucci.
Nella colonna sonora figura anche una versione in italiano di Space oddity, di David Bowie.    

mercoledì 30 luglio 2014

The story of film. An odissey - EPISODIO 13 1990-1998 - Gli ultimi giorni della celluloide prima dell’arrivo del digitale

anno: 2011   
regia: COUSINS, MARK  
genere: documentario  
location: Regno Unito
voto: 8

Se avete fatto la fatica - e avete provato il piacere - di leggere i tomi sulla storia del cinema di Goffredo Fofi, di Giampiero Brunetta o di Fernaldo di Giammatteo, non potrete non appassionarvi a questa mirabolante storia del cinema firmata dal britannico Mark Cousins. Uno che fin dalle prime battute lascia intendere subito da che parte sta: Hollywood è stata prodigiosa, ma l'idea che noi europei abbiamo del cinema è parziale.
Così, in quindici capitoli della durata di un'ora ciascuno, ci lasciamo trasportare nel mondo magico che ebbe inizio grazie a Edison, i Lumiere e Melies, accompagnati dalla voce calda di Mario Cordova e da brevi quanto efficacissimi saggi sul linguaggio della settima arte.
Negli ultimi giorni della celluloide sembrava che il cinema di mezzo mondo volesse aggrapparsi alla realtà. Mentre film come Terminator II avrebbero segnato la svolta verso il digitale e la fantascienza più spinta, molti cineasti - tra i quali Moshen Makhmalbaf e Abbas Kiarostami - si concentrarono sulle cose più umane come le emozioni. La realtà e non più mostri e alieni furono anche l'elemento dominante del nascente J-Horror nipponico (Tsukamoto, Nakata). E ancora la realtà fu l'ossessione di un gruppo di cineasti danesi capitanati da Lars Von Trier che, attraverso Dogma, predicavano il ritorno del cinema alle origini: niente più cavalletto, schermo panoramico, scenografie fittizie. Il cerchio di questo ritorno alla realtà si chiuse con l'enorme contributo di Haneke e dei fratelli Dardenne.
Un'opera imprescindibile per chiunque ami la settima arte.    

martedì 29 luglio 2014

Breve film sull'uccidere (Krótki film o zabijaniu)

anno: 1988   
regia: KIESLOWSKI, KRZYSZTOF   
genere: drammatico   
con Miroslaw Baka, Krzysztof Globisz, Jan Tesarz, Zdzislaw Tobiasz, Krystyna Janda, Olgierd Lukaszewicz, Artur Barcis, Zbigniew Zapasiewicz, Barbara Dziekan   
location: Polonia
voto: 7,5

Comincia con l'immagine di un gatto impiccato su un albero il quinto episodio del Decalogo di Kieslowski, di cui esiste anche una versione in lungometraggio (circa mezz'ora in più di durata), destinata al cinema, mai uscita nelle sale italiane e intitolata Breve film sull'uccidere.
Jacek (Baka) gira senza meta per le strade di Varsavia. Non contento di avere gettato un sasso da un cavalcavia, causando un incidente (non sapremo mai di quale entità: in questa come in altre occasioni la regia procede per ellissi), strangola un tassista (Tesarz) nella sua vettura. Un anno più tardi gli viene comminata la pena capitale. A difenderlo un avvocato idealista e pieno di pietà (Globisz) che casualmente si trovava nello stesso bar del ragazzo nel giorno in cui quest'ultimo decise di assassinare la sua vittima. Un omicidio brutale, frutto di una violenza cieca, furiosa, gratuita, insostenibile allo sguardo dello spettatore, affidata a una scena interminabile.
Ancora una volta il ruolo del caso (l'incontro nello stesso locale tra avvocato e killer ma anche il contrappasso della morte con lo stesso strumento, una corda) fanno di questo apologo contro la pena di morte un momento altissimo della cinematografia del grande regista polacco, mettendone in mostra la disillusione di fondo. Prove ripetute di grande cinema d'autore, fotografia cupissima, scurita ai bordi, inquadrature inusitate, dettagli spiazzanti non farebbero mai pensare a un film nato per la televisione.    

lunedì 28 luglio 2014

The story of film. An odissey - EPISODIO 12 Gli anni ‘80 - Cinema e protesta in giro per il mondo

anno: 2011   
regia: COUSINS, MARK  
genere: documentario  
location: Regno Unito
voto: 7,5

Se avete fatto la fatica - e avete provato il piacere - di leggere i tomi sulla storia del cinema di Goffredo Fofi, di Giampiero Brunetta o di Fernaldo di Giammatteo, non potrete non appassionarvi a questa mirabolante storia del cinema firmata dal britannico Mark Cousins. Uno che fin dalle prime battute lascia intendere subito da che parte sta: Hollywood è stata prodigiosa, ma l'idea che noi europei abbiamo del cinema è parziale.
Così, in quindici capitoli della durata di un'ora ciascuno, ci lasciamo trasportare nel mondo magico che ebbe inizio grazie a Edison, i Lumiere e Melies, accompagnati dalla voce calda di Mario Cordova e da brevi quanto efficacissimi saggi sul linguaggio della settima arte.
Le illusioni portate dalle Reaganomics e dal liberismo dissennato della Thatcher negli anni '80 fecero emergere, tra l'assalto dell'estetica da videoclip e l'euforia generalizzata, molte voci dissenzienti che riuscirono a esprimersi attraverso il cinema. Tra queste, quelle dei grandi maestri cinesi e russi, di Kieslowski, del cinema indipendentente americano che, in mezzo a tanta spazzatura, diede spazio a gente come Spike Lee, David Lynch e John Sayles, mentre in Europa autori come i francesi Carax e Besson, lo spagnolo Almodovar o i britannici Frears, Greenaway e Jarman cercarono di mettere in crisi i modelli precostituiti della cultura e del potere di una borghesia sempre più intenzionata a mantenere i propri privilegi.
Un'opera imprescindibile per chiunque ami la settima arte.  

domenica 27 luglio 2014

Diario di un maestro

anno: 1973   
regia: DE SETA, VITTORIO
genere: documentario
con Bruno Cirino, Massimo Bonini, Luciano Del Croce, Romano Di Mascio, Giorgio Mennuni, Franco Munzi, Sergio Piazza, Fabrizio Ranuzzi, Renzo Sacco, Stefano Scafati, Marco Speranza, Remo Tamasco, Franco Tomasso, Giancarlo Valente, Tullio Altamura, Filippo De Gara, Mico Cundari, Marisa Fabbri
location: Italia
voto: 8,5

Nel 1967 don Lorenzo Milani diede alle stampe Lettere a una professoressa. L'anno successivo Albino Bernardini, un maestro sardo trasferitosi a Roma, pubblicò Un anno a Pietralata, racconto autobiografico della sua esperienza nelle borgate capitoline. Fu un'epoca di grandi rivolgimenti sociali e il modello scolastico veniva messo in discussione non soltanto dagli studenti, ma anche da alcuni docenti illuminati.
Nel 1972 la RAI affidò a Vittorio De Seta, documentarista il cui spessore è paragonabile a quello di Robert Flaherty, la trasposizione del romanzo autobiografico di Bernardini. Girato nella borgate orientali della capitale (Tiburtino Terzo, Pietralata e Torraccia), il capolavoro del regista siciliano rende vivide le difficoltà di un maestro di scuola elementare (Bruno Cirino, attore politicamente e socialmente impegnato, scomparso prematuramente e fratello maggiore del ben più noto e assai diverso Paolo Cirino Pomicino) animato dalle migliori intenzioni. I colleghi lo irridono per gli sforzi inani, il preside ne avversa i metodi innovativi, lui ha qualche comprensibile momento di scoraggiamento. E parte caparbiamente dal basso: capisce che la scuola è vissuta in maniera banalmente performativa (il voto, la promozione), che i processi d'astrazione devono partire dalla concretezza delle vite dei ragazzi, che l'abbandono scolastico non può essere arginato a suon di lettere e ingiunzioni alle famiglie, ma andando casa per casa a parlare con quegli stessi genitori che hanno bisogno dei figli per arrotondare le entrate.
Grazie alla sua dedizione, la sua classe quinta di discoli, tutti maschi, si trasforma. E noi siamo testimoni di quella metamorfosi faticosa, lenta, raccontata con sguardo iperrealista (impossibile distinguere la realtà dalla finzione anche rispetto all'unico attore professionista, Cirino, che offre una prova di stratosferico verismo), di un gruppo di bambini poveri o poverissimi (entriamo nelle loro baracche, vediamo i volti segnati prematuramente dalla mancanza di cura, ascoltiamo il loro implacabile romanesco), che a poco a poco recepiscono gli sforzi del loro maestro. Il loro rapporto con la natura (animali cacciati e torturati) rappresenta il viatico per quel passaggio dall'esperienza diretta all'organizzazione del pensiero che capovolge l'approccio brutalmente mnemonico manifestato all'arrivo del nuovo insegnante.
Senza Diario di un maestro, docufiction - come si dice oggi - incontrovertibilmente seminale nell'evoluzione del linguaggio documentaristico, non ci sarebbero stati film come Essere e avere, La classe e La mia classe né autori come Andrea Segre e Daniele Vicari.    

sabato 26 luglio 2014

Trashed. Verso rifiuti zero

anno: 2013   
regia: BRADY, CANDIDA
genere: documentario
con Jeremy Irons
location: Francia, Indonesia, Islanda, Libano, Regno Unito, Usa, Vietnam
voto: 8

Più di una volta ho avuto sgradevoli diverbi con amici e parenti sul tema dell'immondizia. "Sei fissato", "la differenziata non serve a nulla, tanto va tutto in discarica", "non ho spazio dove mettere il vetro e la plastica" erano le risposte più comuni che ricevevo. Dopo la visione dell'ottimo film della documentarista inglese Candida Brady ho pensato che a chi si ostina tanto ottusamente a rifiutare il proprio contributo per la salvaguardia di questo pianeta in allarmante pericolo dovrebbe essere imposta la visione di Trashed con il metodo Ludwig a cui venne sottoposto il drugo Alex di Arancia meccanica: occhi spalancati in maniera coatta e visione ripetuta a gogo.
Forse così gli appassionati dell'usa e getta, i barricaderi del consumismo spinto "tanto poi ci penserà la tecnologia" riuscirebbero a capire qualcosa. Innanzitutto, che negli ultimi 150 anni, come argomenta il film al quale Jeremy Irons si è prestato come testimonial e Virgilio nel mondo della spazzatura, i rifiuti prodotti sono completamente cambiati: prima avevamo quelli naturali, che in tempi relativamente brevi si biodegradavano. Nell'ultimo secolo e mezzo l'uomo ha prodotto una quantità ingente di metalli pesanti, sostanze radioattive, plastiche di ogni genere. La tecnologia ha cambiato le parole - da "inceneritore" a "termovalorizzatore" - ma non i fatti: le diossine che piovono sull'ambiente entrano nelle viscere degli animali che mangiamo e producono danni incalcolabili sui feti (alcune immagini di bambini con pesantissime malformazioni sono una bordata micidiale in pieno stomaco) e sulla nostra salute, aumentando esponenzialmente i rischi di tumori. Cose che molti di noi sanno, direte. Giusto. Ma a fare la differenza, però, sono i dati e le testimonianze puntualissime degli esperti chiamati in causa dalla Brady. Dati che non lasciano scampo: la plastica dei nostri oceani è ormai in quantità incomparabilmente superiore rispetto a quella del fitoplancton che si trova alla base della catena alimentare marina, con buona pace di chi, come Claude Allegre - autore di un libro seminale come Economizzare il pianeta, di cui raccomando la lettura - vedeva negli oceani dei potenziali "purificatori infiniti". Per fortuna c'è anche qualche caso virtuoso, come la città di San Francisco, che con il suo 75% di riciclaggio sta andando verso un'economia a rifiuti zero. La strada che dovremmo imboccare tutti.    

venerdì 25 luglio 2014

Il giorno dello sciacallo (The day of the jackal)

anno: 1973   
regia: ZINNEMANN, FRED  
genere: poliziesco  
con Edward Fox, Terence Alexander, Michel Auclair, Alan Badel, Tony Britton, Denis Carey, Adrien Cayla-Legrand, Cyril Cusack, Maurice Denham, Vernon Dobtcheff, Jacques François, Olga Georges-Picot, Raymond Gérôme, Barrie Ingham, Derek Jacobi, Michael Lonsdale, Jean Martin, Ronald Pickup, Eric Porter, Anton Rodgers, Delphine Seyrig, Donald Sinden, Jean Sorel, David Swift, Timothy West, Bernard Archard, Jacques Alric, Colette Bergé, Edmond Bernard, Gérard Buhr, Philippe Léotard, Maurice Teynac, Van Doude, Nicolas Vogel  
location: Francia, Italia, Regno Unito
voto: 7

Nel 1963 l'Organisation armée secrète, decisa a mantenere il dominio coloniale in Algeria, prepara un attentato a De Gaulle, ingaggiando un killer professionista chiamato "lo sciacallo" (Fox). L'intelligence francese viene a sapere dell'operazione e cerca in tutti i modi di bloccare il killer che però è determinatissimo nella sua azione che gli potrebbe fruttare mezzo milione di franchi.
Poliziesco di impianto classico tratto da un thriller politico di Frederick Forsyth, ha dalla sua una tensione crescente e una messa in scena credibile e molto professionale. Resta invece un mistero la scelta di Edward Fox come protagonista: inespressivo e senza il minimo carisma.
Nel 1997 il film ebbe un remake interpretato da bruce Willis, dal titolo The jackal.    

mercoledì 23 luglio 2014

La rapina (3000 miles to Graceland)

anno: 2002   
regia: LICHTENSTEIN, DEMIAN   
genere: thriller   
con Kevin Costner, Kurt Russell, Courteney Cox, Christian Slater, Kevin Pollak, David Arquette, Jon Lovitz, Howie Long, Thomas Haden Church, Bokeem Woodbine, Ice-T,  David Kaye, Louis Lombardi, Mike Kopsa, Daisy McCrackin, Sharron Leigh, J. Winston Carroll   
location: Usa
voto: 4

In un casinò di Las Vegas, la città più trash di tutta la via Lattea, si tiene una kermesse di imitatori di Elvis. Tra questi, cinque sgherri che sono lì per rapinare un casinò. I loro modi non sono propriamente da filantropi: nel corso della rapina ci vuole una calcolatrice di ultimissima generazione per sapere quanti sono i morti. Che non finiscono lì: uno dei rapinatori-killer ci lascia la pelle e allora comincia una tiritera: dividiamo anche la sua parte, anzi no, anzi sì. Fatto sta che altri due tirano le cuoia e la borsa col bottino viaggia su e giù per gli States tra i due superstiti che se la contendono.
Da un'ideuccia infinitesimale un film con un buon cast completamente sprecato: sembra uno scult programmatico con tanto di prologo per minus habens in cui alcuni scorpioni animati si danno la guerra, regia inesistente e trovate completamente inverosimili al servizio di un plot sostanzialmente ripetitivo.    

lunedì 21 luglio 2014

The story of film. An odissey - EPISODIO 11 Gli anni ‘70 e oltre. Nuovi linguaggi nel cinema popolare

anno: 2011   
regia: COUSINS, MARK 
genere: documentario 
location: Regno Unito
voto: 7

Se avete fatto la fatica - e avete provato il piacere - di leggere i tomi sulla storia del cinema di Goffredo Fofi, di Giampiero Brunetta o di Fernaldo di Giammatteo, non potrete non appassionarvi a questa mirabolante storia del cinema firmata dal britannico Mark Cousins. Uno che fin dalle prime battute lascia intendere subito da che parte sta: Hollywood è stata prodigiosa, ma l'idea che noi europei abbiamo del cinema è parziale.
Così, in quindici capitoli della durata di un'ora ciascuno, ci lasciamo trasportare nel mondo magico che ebbe inizio grazie a Edison, i Lumiere e Melies, accompagnati dalla voce calda di Mario Cordova e da brevi quanto efficacissimi saggi sul linguaggio della settima arte.
Il cinema popolare degli anni settanta è il protagonista dell'undicesimo episodio della saga cinematografica raccontata dall'irlandese Mark Cousins. In una lunga traiettoria che dai fratelli Shaw arriva a Matrix, passando per il kung fu di Bruce Lee e John Wood, il film ricostruisce la genesi del cinema popolare di Hong Kong che si andò affermando in quegli anni. Anni che furono anche quelli dell'esplosione di Bollywood e del cinema arabo, mentre in Occidente si registrarono i primi casi di blockbuster ad altissimo budget produttivo: Lo squalo, L'esorcista e Guerre stellari.
Episodio un po' più sbiadito rispetto agli altri di un'opera comunque imprescindibile per chiunque ami la settima arte.    

domenica 20 luglio 2014

I nordici (De Noorderlingen)

anno: 1992   
regia: VAN WARMERDAM, ALEX
genere: grottesco
con Jack Wouterse, Annet Malherbe, Rudolf Lucieer, Loes Wouterson, Leonard Lucieer, Alex van Warmerdam, Veerle Dobbelaere, Dary Some, Theo van Gogh, Jacques Commandeur, Loes Luca, Leny Breederveld, Olga Zuiderhoek, Cecile Heuer, Annemarie Blom, Janni Goslinga, Beppie Melissen, Anton Kothuis, Victor Löw, Marriet Ciggaar, Houk van Warmerdam, Aat Ceelen, Chris Bolczek, Wil Spoor, Rein Bloem, Ger Smit, Jaap Vrenegoor, Ben Ramakers, Henri Garcin, Dolf Sauter, Frans Koppers 
location: Olanda
voto: 6

In una cittadina olandese degli anni '60, che sembra un villaggio western, brulicano personaggi inquietanti: dal postino che legge la corrispondenza di tutti all'autorità pubblica che gira armata con un fucile da caccia, fino al macellaio erotomane. L'insieme viene osservato attraverso lo sguardo del figlio adolescente di quest'ultimo, un adolescente che si identifica con Lumumba, figura di primo piano della rivolta indipendentista del Congo Belga.
L'inconfondibile registro cinico-grottesco di Alex Van Warmerdam (il regista del capolavoro Il vestito) viene messo a servizio di un'analisi spietata dei rapporti di vicinato. Con sequenze che stanno tra le coreografie da musical e gli elementi fiabeschi, il regista olandese ci consegna un ritratto corale spietato e straniato di una piccola comunità voyeurista, rappresentata da individui sordidi e infingardi. L'assemblaggio dei tanti personaggi però non riesce fino in fondo e nella seconda parte il film perde mordente, finendo con l'esaurire le risorse migliori e avvitandosi su se stesso.
Nel film recita anche Theo Van Gogh, il regista pronipote del pittore Vincent, finito assassinato da un fondamentalista musulmano proprio per colpa dei suoi film.
Anni dopo, M.Night Shyamalan avrebbe ripreso in The village il rapporto tra piccola comunità e bosco, rovesciando la prospettiva di relazione.    

giovedì 17 luglio 2014

Francesco De Gregori: Finestre rotte

anno: 2012    regia: PISTOLINI, STEFANO   
genere: documentario   
con Francesco De Gregori, Giovanna Marini, Ambrogio Sparagna, Guido Guglielminetti, Alessandro Arianti, Lucio Bardi, Elena Cirillo, Paolo Giovenchi, Stefano Parenti, Alessandro Valle, Dario Arianti, Gianmario Lussana, Vincenzo Lombi (Chips), Houston, Giovanni Chinnici, Michele Mondella, Cristiano Califano   
location: Italia
voto: 5


Finestre rotte è il titolo di una delle canzoni più recenti di De Gregori, noto cantautore romano. Stefano Pistolini, giornalista e scrittore, si improvvisa regista e, nel dimenticare l'origine volutamente sociologica del titolo della canzone, la usa come metafora per raccontare l'osservazione "da dentro" del musicista. A parte qualche tentativo di esegesi su alcune canzoni, il documentario non aggiunge nulla al sapere di già conosce e ama De Gregori. Al contrario, irrita l'approssimazione di tutta l'operazione: non solo perché il dvd è uscito in negozio con un difetto tecnico che ha costretto la casa distributrice a ritirarlo quando ormai gli acquirenti avevano gettato via lo scontrino (la RAI ci ha messo una pezza offrendolo gratuitamente sul suo sito web), ma anche perché si percepisce fin troppo la mano amatoriale del progetto, che finisce col restituire un prodotto a dir poco abborracciato: suono sporco, una parte delle interviste girate sul ciglio di un'autostrada, tra folate di vento e passaggio di auto, montaggio senza criterio (impossibile decifrare un filo conduttore, se non nel breve tratto in cui si fa riferimento alle influenze della canzone popolare, con testimonianza di Giovanna Marini e Ambrogio Sparagna) e fastidiosa voce off del regista stesso. Un'operazione che difficilmente riuscirebbe ad avvicinare il neofita all'autore di canzoni come Rimmel, Generale e La donna cannone, ma che ha il suo punto di forza proprio nel repertorio del protagonista.    

mercoledì 16 luglio 2014

The story of film. An odissey - EPISODIO 10 1969-1979 - I registi radicali negli anni ‘70 raccontano lo stato della Nazione

anno: 2011   
regia: COUSINS, MARK   
genere: documentario   
location: Regno Unito
voto: 8

Se avete fatto la fatica - e avete provato il piacere - di leggere i tomi sulla storia del cinema di Goffredo Fofi, di Giampiero Brunetta o di Fernaldo di Giammatteo, non potrete non appassionarvi a questa mirabolante storia del cinema firmata dal britannico Mark Cousins. Uno che fin dalle prime battute lascia intendere subito da che parte sta: Hollywood è stata prodigiosa, ma l'idea che noi europei abbiamo del cinema è parziale.
Così, in quindici capitoli della durata di un'ora ciascuno, ci lasciamo trasportare nel mondo magico che ebbe inizio grazie a Edison, i Lumiere e Melies, accompagnati dalla voce calda di Mario Cordova e da brevi quanto efficacissimi saggi sul linguaggio della settima arte.
Gli sconvolgimenti sociali e politici della seconda metà degli anni Sessanta indussero molti cineasti a interrogarsi sul tema dell'identità: della nazione, ma anche sessuale, politica, religiosa. Fu da questo humus culturale che emerse il Nuovo Cinema Tedesco (Fassbinder, Wenders, Von Trotta, Herzog), o che in Italia si affermarono figure dirompenti come quella di Bernardo Bertolucci, che era stato assistente alla regia di Pasolini. Il tema dell'identità investì anche l'Inghilterra (Ken Rusell), l'Australia (Roeg, Weir, Armstrong) e il Giappone, per presentarsi nella sua forma più radicale in quello che viene chiamato "il terzo cinema": quello africano di impegno politico.
Un'opera imprescindibile per chiunque ami la settima arte.    

domenica 13 luglio 2014

District 9

anno: 2009   
regia: BLOMKAMP, NEILL
genere: fantascienza
con Sharlto Copley, Jason Cope, Nathalie Boltt, Sylvaine Strike, Elizabeth Mkandawie, John Sumner, William Allen Young, Greg Melvill-Smith, Nick Blake, Morena Busa Sesatsa, Themba Nkosi, Mzwandile Nqoba, Barry Strydom, Jed Brophy, Louis Minnaar
location: Repubblica Sudafricana
voto: 7

1982. Una nave aliena arriva a Johannesburg, in Sudafrica, con intenti assolutamente pacifici. Gli umani recintano i nuovi ospiti, spregiativamente chiamati "gamberoni", in un centro di accoglienza che in realtà è un baraccopoli-ghetto con le sembianze di una gigantesca discarica (non è difficile cogliere le analogie con quello che accadde negli stessi anni ai neri del Distretto 6 a causa dell'apartheid). Il burocrate (Copley) che ha il compito di farli spostare altrove per via delle continue lamentele degli autoctoni (esattamente come avviene con i campi rom) viene contagiato dal loro dna. Da quel momento, con il passare delle ore, comincia a tramutandosi lentamente in un alieno (ricordate La mosca di Cronenberg?), diventando una ghiottoneria commerciale e trasformandosi da predatore in preda: gli alieni possiedono infatti armi sofisticatissime che funzionano soltanto con il riconoscimento del dna. Potrebbe essere la frontiera di un business estremamente redditizio.
Girato come un mockumentary, con registri tra l'ironico e il grottesco, il film scritto e diretto da Neill Blomkamp è un blockbuster da 30 milioni di dollari (produce Peter Jackson) che propone uno sguardo insolito, rovesciando i ruoli tra umani assediati e alieni cattivi e imbastendo un plot narrativo adrenalinico e spiazzante. Se l'insieme ricorda un mix tra Redacted e Wall-e e il finale sembra voler citare E.T., il resto contribuisce a farne un'opera eterodossa. Le dettagliatissime scenografie, la verosimiglianza dei movimenti alieni e la potenza metaforica del racconto ne fanno, nonostante qualche imperfezione, un'opera comunque da non perdere.    

venerdì 11 luglio 2014

Song 'e Napule

anno: 2013       
regia: MANETTI BROS. (Antonio & Marco Manetti) 
genere: poliziesco 
con Alessandro Roja, Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Paolo Sassanelli, Peppe Servillo, Antonio Pennarella, Juliet Esey Joseph, Antonello Cossia, Marco Mario De Notaris, Ciro Petrone, Franco Ricciardi, Ivan Granatino, Antonio Buonuomo, Carlo Buccirosso 
location: Italia
voto: 9

La raccomandazione di un assessore influente lo porta dietro una scrivania con una divisa da poliziotto. Due anni dopo Paco Stillo (Roja), anima gentile diploma in pianoforte al conservatorio, su ordini di un superiore (Sassanelli) deve trasformarsi in un infiltrato della band di un cantante neomelodico (Morelli) che è invitato al matrimonio al quale parteciperà anche un boss della camorra di cui non esistono fotografie e che deve essere preso a tutti i costi.
La trama, ben più fitta e ricchissima di colpi di scena, è solo uno dei punti di forza del capolavoro firmato dai fratelli Manetti. Interamente giocato sui contrasti - il dialetto napoletano e la lingua italiana, la legalità e l'illegalità, gli stereotipi e l'analisi antropologica, il centro e periferia della città, la faccia pulita da "Harry Potter" del protagonista e la sua trasformazione in un qualsiasi tamarro e persino il colore, incredibilmente saturo - Song 'e Napule è il prisma attraverso il quale leggere tutte le contraddizioni di una città e del suo popolo,  viste con una luce scanzonata e divertita. Poliziesco con un registro da commedia (siamo dalle parti di Operazione San Gennaro), il film dei Manetti è la summa di un cinema capace di portare in alto un genere popolare come il poliziesco, come già avevano fatto in precedenza con l'horror e la fantascienza (non caso, produce Luciano Martino, tra i capofila del trash degli anni '70 quando dirigeva Edwige Fenech). Se la messa in scena enfatizza il kitsch e la cafoneria (azzeccatissimo anche il nome del cantante, Lollo Love), il copione spariglia i luoghi comuni anche grazie a un meccanismo a orologeria servito da interpreti che gareggiano in bravura: dal camaleontico Alessandro Roja a Giampiero Morelli che si improvvisa cantante neomelodico. Ma a richiedere la standing ovation sono le interpretazioni di Paolo Sassanelli ("questo è uno dei più grandi attori viventi", dice giustamente di lui Roja nel backstage del film) e Carlo Buccirosso: due saggi di recitazione da scuola del cinema.
Se volete ridere a crepapelle, è vietato uscire dalla sala prima della fine dei titoli di coda.   

giovedì 10 luglio 2014

Terms and conditions may apply

anno: 2013   
regia: HOBACK, CULLEN  
genere: documentario  
con Leigh Bryan, Orson Scott Card, Raymond Kurzweil, Joe Lipari, Moby, Max Schrem, Christopher Shin, Mark Zuckerberg  
location: Regno Unito, Usa
voto: 7,5

Ogni volta che sul web qualcuno vi regala qualcosa gratis (da Google e Facebook), compare una scritta: "termini e condizioni possono applicarsi". Vi siete mai domandati quali siano questi termini e queste condizioni? Al posto vostro (e mio) ci ha pensato Cullen Hoback con questo documentario imperdibile. Per cominciare, la lunghezza di quei "termini e condizioni" è pensata apposta per far desistere chi le sottoscrive dal leggerle per intero: è stato calcolato che, in base al consumo medio di prodotti informatici che richiedono quella lettura, dovremmo spendere circa un mese all'anno in quella stupida attività. Quegli stessi "termini e condizioni" ci fanno perdere mediamente 250$ all'anno: uno dei siti più pericolosi, da questo punto di vista, sembra essere Linkedin (guardate il documentario e scoprirete perché e come). Questo brillante documentario, girato tra gli Stati Uniti e l'Inghilterra, snocciola una per una le questioni delicatissime che si riassumono in una sola frase: la morte della privacy e la violazione dei nostri diritti di cittadini. Se il Patriot Act voluto da Bush all'indomani dell'11 settembre ha legittimato l'intrusione del Governo con forme ai limiti della paranoia (imperdibili un paio di testimonianze a dir poco kafkiane), rimane del tutto ingiusitificabile il fatto che i Governi di mezzo mondo abbiano continuato ad avallare sistemi degni della Stasi, salvo poi crocifiggere Assange per aver riservato loro il trattamento che di norma investe soltanto i cittadini comuni (anche qui, un aneddoto grottesco: il capo dell'FBI spiato dalla CIA!). L'amministrazione Obama ha passato un brutto quarto d'ora (non di più: tanto poi la gente dimentica) quando si seppe la notizia che tutte le telefonate e i messaggi degli americani erano sotto controllo, in barba ai contratti stipulati con i gestori telefonici. D'altronde, è di questi giorni la notizia che ci si spia allegramente anche tra alleati, come ha dovuto constatare a sue spese la signora Merkel.
La rassegna è ampissima: gli Iphone che hanno pre-installato un programma che monitora tutta l'attività dell'utente; i cookies utilizzati in maniera diabolica; le multe comminate sulla base dei dati che i gestori dei sistemi GPS vendono alle amministrazioni locali, che in questo modo possono sapere a quale velocità media viaggiano gli automobilisti; l'amicizia tra quell'essere abominevole di Zuckerberg e il capo dell'FBI; i lobbisti di Google e Facebook che si guardano bene dal possedere un account personale perché ne conoscono tutti i rischi.
Montato con grande intelligenza espositiva, il film trova nei casi delle persone comuni uno dei suoi tanti punti di forza, mostrando che, come avvertiva Foucault già molto tempo fa, abbiamo lasciato la società della disciplina per saltare a piè pari in quella del controllo.    

lunedì 7 luglio 2014

Snowpiercer

anno: 2013   
regia: BONG, JOON-HO 
genere: fantascienza 
con Chris Evans, Tilda Swinton, Jamie Bell, Ed Harris, Luke Pasqualino, John Hurt, Alison Pill, Octavia Spencer, Ewen Bremner, Tómas Lemarquis, Kang-ho Song, Kenny Doughty, Steve Park, Adnan Haskovic, Paul Lazar, Clark Middleton, Ah-sung Ko, Emma Levie, Vlad Ivanov, Jim High, Igor Juric, Kojo Asiedu, Sean Connor Renwick, Brian Colin Foley, Marcanthonee Reis, Joseph Bertót, Peter Hallin, Kendrick Ong, Tyler John Williams, Griffin Seymour, Ana Braun, Luna Sophia Bar-Cohen, Haruna Honcoop 
location: Corea del Sud
voto:7

Anno 2031. I pochi umani sopravvissuti a una glaciazione causata dagli squilibri ambientali provocati dall'uomo sono costretti a vivere in un enorme treno che è anche un ecosistema autosufficiente che gira in moto perpetuo intorno al mondo, segnando lo scorrere degli anni con il passaggio sopra un pericolosissimo ponte sospeso. In coda ci sono i reietti della società, stipati in condizioni impossibili, sottoposti continuamente a minacce e a torture, costretti a mangiare disgustose tavolette ricavate da una mistura di insetti e altre schifezze. Più ci si sposta verso la testa del treno, migliori diventano le condizioni dei viaggiatori perenni, fino allo sfarzo della locomotiva. Uno dei paria dei vagoni di coda (Evans), determinato ad arrivare fino alla locomotiva per sfidare il proprietario del treno (Harris), organizza una ribellione che richiederà ingenti perdite umane. Nel frattempo, la pianificazione demografica continua a suon di morti ammazzati.
Da una magnifica idea tratta dal fumetto francese 'Le Transperceneige', una metafora della possibile condizione umana del futuro forse un po' corriva (alla verticalità si sostituisce l'orizzontalità del treno), ma certamente intrigante nella realizzazione. La visione hobbesiana di un mondo di sopravvissuti costretti a torture, delazioni e lotte di classe trasformate in guerre ha mordente, ma perde credibilità nell'infrangersi tra virate grottesche ed eccessi di violenza tipici del cinema dell'estremo oriente. Distopia fantascientifica comunque seminale, alla quale manca un finale all'altezza.    

sabato 5 luglio 2014

La mossa del pinguino

anno: 2013       
regia: AMENDOLA, CLAUDIO
genere: commedia
con Edoardo Leo, Ricky Memphis, Ennio Fantastichini, Antonello Fassari, Francesca Inaudi, Sergio Fiorentini, Elisa Di Eusanio, Vittorio Emanuele Propizio, Barbara Scoppa
location: Italia
voto: 4,5

Bruno (Leo) è sotto sfratto, lavora di notte per 800 euro al mese come uomo delle pulizie in un museo capitolino e ha una moglie (Einaudi) e un figlio di nove anni. Eppure continua a escogitare idee per "svoltare". L'ultima è quella di andare a partecipare alle olimpiadi invernali come squadra di curling, una specie di gioco delle bocce su ghiaccio. E così, oltre all'amico di sempre Salvatore (Memphis), assolda un vigile urbano in pensione con la passione delle bocce (Fantastichini) e un avanzo di galera con quella del biliardo (Fassari). L'armata Brancaleone del ghiaccio, tra ripensamenti e dissapori, si mette così in viaggio verso il Piemonte.
Raccontato tutto come un lunghissimo flashback (l'azione si compie nel 2005), il film d'esordio alla regia di Claudio Amendola è la solita commedia innocua, con equo dosaggio di ingredienti agrodolci, che parte dal pretesto dello sfondo sociologico del precariato per poi fornire una copia sbiadita del già mediocre Full Monty (ma un'idea molto simile nella quale era coinvolto lo sport la si ritrova anche in Machan). Qualche inusuale ripresa dal basso, il clima cameratesco che emerge dal piacere di dirigere attori che sono anche degli amici e le battute del figlio del protagonista sono gli unici elementi di interesse del film.    

venerdì 4 luglio 2014

The Iron lady

anno: 2011       
regia: LLOYD, PHYLLIDA
genere: biografico
con Meryl Streep, Jim Broadbent, Susan Brown, Alice da Cunha, Phoebe Waller-Bridge, Iain Glen, Alexandra Roach, Victoria Bewick, Emma Dewhurst, Olivia Colman, Harry Lloyd, Sylvestra Le Touzel, Michael Culkin, Stephanie Jacob, Robert Portal, Richard Dixon, Amanda Root, Clifford Rose, Michael Cochrane, Jeremy Clyde, Michael Simkins, Eloise Webb, Alexander Beardsley, Nicholas Farrell, John Sessions, Anthony Head, Richard Syms, David Westhead, Julian Wadham, Richard E. Grant, Angus Wright, Roger Allam, Michael Pennington, John Harding, Simon Chandler, Stephen Boxer, Jasper Jacob, Rupert Vansittart, Robin Kermode, Andrew Havill, Michael Elwyn, Peter Pacey, Jeremy Child, James Smith, Hugh Ross, Chris Campbell, Paul Bentley, Martin Wimbush, Simon Slater, David Cann, Christopher Luscombe, Angela Curran, Michael Maloney, Pip Torrens, Nick Dunning, David Rintoul, Nicholas Jones, Richard Goulding, Matthew Marsh, Willie Jonah
location: Regno Unito
voto: 4,5

I due politici che hanno dato il maggiore contributo alla distruzione dell'economia occidentale, all'abbattimento dello stato sociale e all'incontinenza bulimica della finanza creativa sono finiti allo stesso modo: due vecchi rimbambiti con badante al seguito, tra Alzheimer e pazzia. La crisi di oggi la dobbiamo alle liberalizzazioni di ieri, quelle volute in maniera spregiudicata da Reagan e dalla Thatcher. La modestissima biopic di Phyllida Lloyd parte proprio dalla fine, dagli anni in cui la lady di ferro (Streep) si aggira tra le numerosissima stanze della sua casa di Chester Square con il fantasma del marito (Broadbent) costantemente alle spalle. Attraverso un'interessante sovrapposizione di piani temporali - unico elemento di valore del film insieme all'interpretazione come sempre magistrale di Maryl Streep, qui al terzo Oscar dopo quelli ricevuti per Kramer contro Kramer e La scelta di Sophie - presente e passato della donna si sovrappongono restituendo il senso di una deriva folle, peraltro accompagnata dall'alcol. Nata Roberts (il cognome Thatcher era quello del marito Denis), la figlia di un bottegaio conservatore, grazie alla sua invidiabile tenacia, sarebbe col tempo arrivata a essere la prima ministra donna dell'intero mondo occidentale, nonché la più resistente primo ministro in carica (i suoi tre mandati durarono dal 1979 al 1990). La Thatcher seppe farsi largo in un mondo dominato dagli uomini, imponendo le sue idee retrive, il suo disprezzo per l'uguaglianza e la solidarietà, il suo spirito guerrafondaio venato di rigurgiti di imperialismo, come dimostrò il caso della guerra delle Falkland. Un personaggio odioso, capace di applicare con ostinazione il suo modello di darwinismo sociale a qualsiasi ambito, trattata con tocco fin troppo felpato dalla regia stucchevole della Lloyd (alla quale vanno però riconosciute notevoli sequenze nelle scene collettive) e dal copione agiografico di Abi Morgan, persino rispetto a uno degli episodi più disgustosi che coinvolsero l'inquilina numero uno di Downing Street: quello della repressione contro gli esponenti dell'IRA. Senza contare i portuali, il massacro ai danni del sindacato, l'iniquità nel sistema di tassazione. Chi volesse farsi un'idea di chi sia stata Margareth Roberts in Thatcher dovrebbe partire da ben altro e astenersi dalla visione di questo film fazioso e irritante.    

giovedì 3 luglio 2014

The story of film. An odissey - EPISODIO 9 1967-1979 - Il Nuovo Cinema Americano

anno: 2011   
regia: COUSINS, MARK  
genere: documentario  
location: Regno Unito
voto: 8

Se avete fatto la fatica - e avete provato il piacere - di leggere i tomi sulla storia del cinema di Goffredo Fofi, di Giampiero Brunetta o di Fernaldo di Giammatteo, non potrete non appassionarvi a questa mirabolante storia del cinema firmata dal britannico Mark Cousins. Uno che fin dalle prime battute lascia intendere subito da che parte sta: Hollywood è stata prodigiosa, ma l'idea che noi europei abbiamo del cinema è parziale.
Così, in quindici capitoli della durata di un'ora ciascuno, ci lasciamo trasportare nel mondo magico che ebbe inizio grazie a Edison, i Lumiere e Melies, accompagnati dalla voce calda di Mario Cordova e da brevi quanto efficacissimi saggi sul linguaggio della settima arte.I
l nono episodio è uno dei più appassionanti: racconta gli anni rivoluzionari del cinema americano, quelli durante i quali la società a stelle e strisce divenne oggetto di sberleffi (il cinema di Jerry Lewis) e critiche al vetriolo (Hopper, Altman, Coppola, Schrader, Parks). Ma furono anche gli anni in cui cominciò a farsi notare Martin Scorsese, che sarebbe diventato il più grande di tutti e che avrebbe contribuito a portare nel cinema le specificità etniche e culturali (Mean streets), come avvenne per i neri con Burnett e per gli ebrei con Allen. A fianco di questa rivoluzione irriverente troviamo il cinema manierista di Bogdanovich, il western di Peckinpah, la visionarietà di Malick e le innovazioni tecniche come la glidecam, che avrebbe anticipato la steadycam.
Un'opera imprescindibile per chiunque ami la settima arte.    

martedì 1 luglio 2014

Le cose belle

anno: 2012       
regia: FERRENTE, AGOSTINO * PIPERNO, FRANCESCO
genere: documentario
con Enzo della Volpe, Fabio Rippa, Adele Serra, Silvana Sorbetti
location: Italia
voto: 6,5

Nel 1999 Agostino Ferrente e Francesco Piperno girarono per conto di Rai Tre un documentario che aveva per protagonisti alcuni adolescenti: si intitolava Intervista a mia madre. Due ragazzi e due ragazze raccontavano i loro sogni, le loro aspirazioni, i loro desideri: il ragazzino che accompagna il padre nella "posteggia", cantando presso i ristoranti il repertorio del canzoniere napoletano classico; la ragazzetta che spera di diventare una fotomodella e vive con una sorella nata maschio; quella cresciuta solo con il padre, che ha smesso di fare il "mariuolo" per mantenere dignitosamente i figli; e il più classico degli scugnizzi napoletani, protagonista di interviste esilaranti (quella al poliziotto) e di pezzi da attore consumato.
Dodici anni dopo la troupe ritrova quei ragazzi ormai cresciuti in una Napoli sempre più degradata e ricoperta dall'immondizia, dominata dal bordone dei cantanti neomelodici. I sogni si sono spezzati, le "tante cose belle", che si augurano non escludendo che ce ne possano essere anche di brutte, sono impalpabili, così come è diventato invisibile il loro ottimismo. Li ritroviamo con  pochissime speranze, ambizioni azzerate, vite vissute in famiglie sempre più disastrate. Lo scarto tra la spensieratezza dell'adolescenza e l'implacabilità della vita adulta è uno schiaffo in piena faccia, l'evidenza di un Paese che ha rubato il futuro ai giovani, costretti ad arrabattarsi tra vendite porta a porta, disoccupazione, lavoretti come ballerine di lap dance o come cameriere d'hotel. Dal regista di quel gioiello che fu L'orchestra di Piazza Vittorio, un altro documentario che riesce a coniugare sensibilità antropologica e analisi del territorio, ma che rischia, a distanza, di far crescere la pila dei tanti documentari che hanno cercato di raccontare l'Italia in maniera minimalista e che rischiano di perdersi nell'oblio. Ma il finale, con Enzo della Volpe, uno dei quattro, che finalmente può coronare il suo sogno di incidere una delle tante canzoni napoletane che ha imparato da piccolo, fa venire i lucciconi e non può che rimanere incisa nella memoria.