sabato 28 maggio 2011

Mammuth

anno: 2010       
regia: DE KERVEM, GUSTAVE * DELEPINE, BENOIT
genere: grottesco
con Gérard Depardieu, Yolande Moreau, Isabelle Adjani, Benoît Poelvoorde, Miss Ming, Blutch, Philippe Nahon, Bouli Lanners, Anna Mouglalis, Siné, Dick Annegarn, Catherine Hosmalin, Albert Delpy, Gustave de Kervern, Bruno Lochet, Remy Kolpa, Paulo Anarkao, Noël Godin, Serge Larivière, Eric Monfourny, Serge Nuques, Zoé Weber
location: Francia
voto: 1

Come diceva Peter Sellers nella Lolita di Kubrick "fa battute che poi fanno ridere soltanto lui". Dal momento che Sellers / Quilty non aveva visto Berlusconi nella palla di vetro, quel suo apoftegma si staglia benissimo su uno dei massimi misteri della cinematografia mondiale, il duo Gustave De Kervem / Benoit Delepine. Non contenti di aver licenziato il pessimo Louise-Michel, i due registi transalpini - copia opachissima dei nostri Ciprì e Maresco - bissano la fatica con un trash movie altrettanto strampalato, per di più girato in un super16 che lo fa sembrare un filmino amatoriale. Al centro della vicenda c'è Gerard Depardieu (sembra Obelix in versione hippy), ex operaio di una macelleria ormai in pensione. Per raggiungere la liquidità sperata - siamo o non siamo nell'epoca di tagli al welfare con l'accetta? - l'uomo deve recuperare i documenti che ne certifichino l'operato nel periodo precedente a quello come macellaio, durante il quale si arrabattava con lavoretti di piccolo conto. Comincia così per lui un'avventura in motocicletta che lo porta a ritrovare facce e ambienti del tempo che fu e all'abreazione del primo amore, che riappare sotto forma di fantasma (Adjani).
Che l'umorismo francese sia qualcosa che sfugge ai più raffinati ermeneuti del pianeta è un fatto assodato. Qui però siamo nel metafisico: figure fantasmatiche che compaiono improvvisamente, vecchi amici grassoni con i quali ci si scambia la masturbazione reciproca, frasi sconnesse gettate lì a caso, dialoghi assurdi al confronto dei quali Ionesco passerebbe per un razionalista. E nessunissima risata.    

Corpo celeste

anno: 2011       
regia: ROHRWACHER, ALICE
genere: drammatico
con Yle Vianello, Salvatore Cantalupo, Pasqualina Scuncia, Anita Caprioli, Renato Carpentieri
location: Italia
voto: 7,5


Rohrwacher deve essere un cognome miracoloso nel campo del cinema. Se già da giovanissima Alba ha dimostrato di essere una delle interpreti più espressive, sua sorella Alice esordisce dietro la macchina da presa con un film di inconsueto coraggio e notevole impatto emotivo. La storia che ha scritto e diretto è ambientata a Reggio Calabria, dove Marta (Vianello) - emigrante di ritorno dodicenne - rimpatria insieme alla madre (Caprioli) e alla sorella dopo gli anni passati in Svizzera. Qui la ragazzina segue un corso per la cresima - nel quale le viene impartito un mix di sciatto catechismo e rozzo modernismo, epitomizzati nella canzoncina "mi sintonizzo con Dio, è la frequenza che ho scelto io" - che le fa vivere in maniera sempre più difficile il rapporto con una realtà fortemente arretrata, percorsa da uno spiritualismo bigotto e dogmatico, costruito su una precettistica dove conta soltanto una ritualità che sfiora il paganesimo e dove le domande non hanno cittadinanza. In questo racconto di formazione la protagonista scorge sia la crudeltà della perpetua-catechista (Scuncia) che l'affarismo maneggione del parroco, un Salvatore Cantalupo che, nel suo andare a riscuotere voti anziché denaro, sembra ripetere in abito talare il personaggio interpretato di Gomorra. Anticlericale e laico senza essere assertivo, Corpo celeste scansa il facile tema della pedofilia nella Chiesa per concentrarsi su un ordinario quasi altrettanto sconcertante, nel segno della più palmare visione marxiana della religione come oppio dei popoli.    

venerdì 27 maggio 2011

Et in terra pax

anno: 2010       
regia: BOTRUGNO, MATTEO * COLUCCINI, DANIELE  
genere: drammatico  
con Maurizio Tesei, Ughetta D'Onorascenzo, Michele Botrugno, Fabio Gomiero, Germano Gentile, Simone Crisari, Riccardo Flammini, Paolo Perinelli, Paola Marchetti, Alessandra Sani, Sandra Conti  
location: Italia
voto: 8,5

Bisogna esserci stati a Corviale, periferia ovest della capitale, bisogna aver penetrato quegli anfratti oscuri e fatiscenti del "serpentone", l'ecomostro più lungo d'Europa (un chilometro), aver visto con i propri occhi i cumuli di immondizia, i nomi divelti dai citofoni - epitome di una realtà sociale che ti priva del primo segno dell'identità, il nome -, le inferriate posticce davanti alle porte blindate, i graffiti ovunque, per capire cosa significa nascere e crescere in un contesto del genere. È una realtà che ti schiaccia, ti stritola, che annienta ogni sforzo di emancipazione. A emanciparsi ci prova Marco (Tesei), che vorrebbe rifarsi una vita dopo gli anni della galera ma che si trova accerchiato dagli amici di un tempo. E ci prova Sonia (D'Onorascenzo), studentessa che vive con la nonna e che dedica al lavoro presso la bisca locale il poco tempo che le rimane. Finirà vittima del branco, tre vitelloni sbandati che impiegano il loro tempo nichilista tra strisce di coca e atti di bullismo.
Dopo alcuni cortometraggi, i trentenni Matteo  Botrugno e Daniele  Coluccini esordiscono con un film che è un saggio di antropologia culturale, capace di guardare con impressionante verismo alle storie di questi ragazzi di strada che tanto avrebbero attirato l'attenzione di Pasolini. Alla consistenza dei contenuti e al nitore della messa in scena fa da sponda una maturità espressiva invidiabile, fatta di una sorvegliatissima direzione degli attori, tutti bravi e credibili, di un uso sapiente delle luci, della poesia di alcune scene e del ricorso spiazzante alla musica di Vivaldi.    

martedì 24 maggio 2011

Bob Dylan: un visionario fra i ciarlatani

di Piergiorgio Odifreddi

L’espressione “un visionario tra i ciarlatani” è di Stanislav Lem, autore di Solaris, ed era riferita a Philip Dick: un autore che si distinse, nel ciarlatanesco mondo della fantascienza, appunto per le sue visioni di mondi alternativi al nostro. Come lui stesso diceva: “se credete che questo mondo sia fuori di testa, aspettate di vedere gli altri”. Anche se poi tutto ciò che ci fu dato di vedere di questi mondi sono state le versioni forniteci dal non meno ciarlatanesco mondo del cinema, da Blade Runner a Truman Show a Minority Report.
L’espressione di Lem si adatta comunque perfettamente anche a Bob Dylan, e al mondo delle canzonette pop, rock e quant’altro. Perchè nel momento in cui i Beatles canticchiavano She loves you yeah o I want to hold your hand, lui componeva Blowing in the wind o The times they are a-changing. E nel momento in cui i primi scatenavano l’isteria delle ragazzine idiote, il secondo ispirava l’impegno dei movimenti di contestazione giovanile statunitensi.
Le parabole musicale dei Beatles e politica di Dylan si sono esaurite in una mezza dozzina d’anni. Entro la fine degli anni Sessanti i primi si erano sciolti, e il secondo aveva ormai intrapreso una carriera più propriamente artistica. Ciò che è successo dopo interessa gli affezionati della musica, ma non il resto del mondo. Il quale forse si stupisce di scoprire che oggi, 24 maggio, Bob Dylan compie settant’anni e continua imperterrito a girare il globo, facendo un centinaia di concerti l’anno.
A suo onore va il fatto che egli ha voluto identificarsi col suo ruolo. Lo si vede solo nei concerti, appunto, e della sua vita privata si sa poco o niente: come appunto dovrebbe essere per chiunque crei qualcosa che vale di per sè, e che non ha bisogno di essere confuso con altro. Un po’ come hanno scelto di fare scrittori come Salinger o Pynchon, affidando soltanto ai propri libri ciò che hanno da dare e da dire.
Sempre a suo onore va il fatto che, le poche volte che è finito nelle grinfie della cronaca, Dylan ha saputo divincolarsene con il sarcasmo e l’arguzia che caratterizzano l’atteggiamento delle persone intelligenti in un mondo idiota. Ad esempio, ad ungiornalista al quale disse che stava girando un film di cowboy, e che gli domandò se lui ne interpretava appunto uno, rispose: “No, interpreto mia madre”.
Un paio di anni fa ero negli Stati Uniti, e su tutti i giornali uscì la notizia che Dylan era stato arrestato. Si trovava in una città per fare un concerto, aveva visto un cartello “Vendesi” di fronte a una casa, si era avvicinato a guardare dalle finestre cosa si vendeva, e il suo atteggiamento aveva attirato i sospetti di una signora, che aveva chiamato la polizia. Spiegata la faccenda in commissariato, un poliziotto gli domandò: “Anche lei, però! Cosa stava facendo fuori da solo, disera, mentre piove?”. E lui rispose: “Stavo passeggiando”.
La relazione tra gli Stati Uniti e Bob Dylan sta tutta in quell’episodio. Da un lato, un mondo paranoico, nel quale anche una passeggiata viene considerata sospetta da chi se sta sempre chiuso in casa, a guardare film e programmi che non parlano d’altro che di violenza. E dall’altro lato, un poeta intelligente, che non può che cercare di risvegliare quel paese con parole pesanti come pietre che rotolano, e che a volte centrano fragorosamente il bersaglio.

sabato 21 maggio 2011

Segreti di famiglia (Tetro)

anno: 2009   
regia: COPPOLA, FRANCIS FORD
genere: drammatico
con Vincent Gallo, Alden Ehrenreich, Maribel Verdú, Silvia Pérez, Rodrigo De la Serna, Erica Rivas, Mike Amigorena, Adriana Mastrángelo, Klaus Maria Brandauer, Leticia Brédice, Sofía Castiglione, Carmen Maura, Francesca De Sapio
location: Argentina
voto: 4

Tra i Segreti di famiglia della famiglia Coppola ci deve essere il nome del deus ex-machina che permette a papà Francis di continuare a girare film e a sua figlia Sofia addirittura di rastrellare premi, come è accaduto con Somewhere. Dopo l'inconcludente Un'altra giovinezza, il regista di pietre miliari come Il padrino, La conversazione e Apocalypse now ci riprova con una sorta di fotoromanzo col quale racconta il difficile rapporto tra un diciottenne (Ehrenreich) e su fratello (Gallo), di una ventina d'anni più anziano, uno strano tipo con velleità letterarie che ha lasciato New York per stabilirsi a Buenos Aires. Tra figure di padri dispotici e famosi (Brandauer), tradimenti, sensi di colpa, morbosità assortite, il film si trascina per un paio d'ore con gran spolvero di mezzi espressivi: attori bravissimi, luci impeccabili, fotografia in bianco e nero da manuale (con i flashback a colori). Tutte cose inutili a fronte di un film algido e noiosissimo.    

giovedì 19 maggio 2011

Il ragazzo con la bicicletta (Le gamin au vélo)

anno: 2011       
regia: DARDENNE, LUC e JEAN-PIERRE
genere: drammatico
con Cécile de France, Thomas Doret, Jérémie Renier, Fabrizio Rongione, Egon Di Mateo, Olivier Gourmet
location: Belgio
voto: 6,5

I cineasti più neorealisti che ci siano in circolazione (a contendere loro lo scettro c'è solo Ken Loach) non potevano non richiamare quel film seminale che fu Ladri di biciclette per raccontare la vicenda di Cyril (Doret), un 12enne istituzionalizzato alla disperata ricerca di un padre che non lo vuole con sé (Renier). A prendersi cura di lui c'è Samantha (De France), la fatina buona che fa la parrucchiera e che per solidarietà con il ragazzino manda persino a monte il rapporto con il suo fidanzato. Nel suo incessante caracollare per la periferia belga a cavalcioni della sua bicicletta, Cyril impatta con Wes (Di Mateo), una sorta di Lucignolo ante-litteram, capetto di una baby gang. I due progettano insieme una rapina che rischia di finire in tragedia, ma che forse servirà a Cyril come viatico per una condotta più responsabile.
Con la loro inconfondibile cifra stilistica - fatta di macchina a spalla, iperrealismo degli ambienti, totale assenza di orpelli e musica ridotta a pochissime note, quelle di Beethoven - i fratelli Dardenne raccontano la parabola di un Pinocchio contemporaneo costretto a vivere in un mondo hobbesiano col quale difficilmente troverà mai un rapporto di cittadinanza. Asciutto, impermeabile a qualsiasi tentazione consolatoria, il film ha però meno mordente rispetto ad altre ragguardevoli opere dei due fratelli belgi.    

mercoledì 18 maggio 2011

The tree of life

anno: 2011       
regia: MALICK, TERRENCE 
genere: drammatico 
con Brad Pitt, Sean Penn, Jessica Chastain, Fiona Shaw, Kari Matchett, Joanna Going, Dalip Singh, Kimberly Whalen, Jackson Hurst, Crystal Mantecon, Brenna Roth, Jennifer Sipes, Zach Irsik, Brayden Whisenhunt, Danielle Rene, Will Wallace, Hunter McCracken, Tamara Jolaine, Lisa Marie Newmyer, Michael Showers, Tom Townsend, Adam Kang, Cole Cockburn, Alex Draguicevich, Jodie Moore, Margaret Hoard, Erinn Allison, Hannah Wells, Chris Orf, Patrick Bertucci, Robin Read, Michael E. Harvey, Christopher Ryan, Anne Nabors, Sonja Mlenar 
location: Usa
voto: 3

C'è da domandarsi cosa faranno quegli spettatori che al sabato sera, entrati in sala con un quarto d'ora di ritardo, si troveranno davanti a dinosauri e sequenze che stanno tra Superquark e il National Geographic. È probabile che gli avventori dei multiplex gireranno i tacchi pensando di aver sbagliato sala, mentre gli altri sospetteranno del caffé preso poco prima al bar. Già, perché abituato al letargo cinematografico (5 film in 40 anni), il regista Terrence Malick cerca proseliti nel campo della narcolessia propinando improbabili film d'autore che frullano insieme tematiche cosmogoniche con 2001 odissea nello spazio (non a caso tra le maestranze che hanno calcato il set c'è Douglas Trumbull, che curò gli effetti speciali del film di Kubrick), prediche da oratorio sulla dialettica tra Natura e Grazia e sul senso della vita, reminiscenze degli anni del catechismo. Tanto sfoggio di mezzi, citazionismo (il regista ha tradotto Heidegger - e si vede - e ha conseguito la laurea ad Harvard), tanta maestosa potenza figurativa per raccontare il rapporto difficile tra un padre autoritario e manesco (un Brad Pitt inerte) e il più grande dei suoi tre figli maschi, l'undicenne Jack (interpretato da adulto da uno Sean Penn ridotto a poco più di un cammeo), nel Midwest americano degli anni '50. La linearità narrativa è un optional: quello che nel film sembra contare - e che ha vellicato l'entusiamo di schiere di fanatici - è un estetismo fine a se stesso, accompagnato da dialoghi afasici, algido e incapace di emozionare - non fosse appunto per le immagini - per un solo istante. Sarà per tutti questi motivi che al Festival di Cannes lo hanno sonoramente fischiato.    

sabato 14 maggio 2011

Tornando a casa per Natale (Hjem til jul)

anno: 2010       
regia: HAMER, BENT 
genere: drammatico 
con Arianit Berisha, Sany Lesmeister, Nadja Soukup, Nina Zanjani, Igor Necemer, Trond Fausa Aurvåg, Fridtjov Såheim, Morten Ilseng Risnes, Sarah Bintu Sakor, Issaka Sawadogo, Joachim Calmeyer, Reidar Sørensen, Nina Andresen-Borud, Tomas Norström, Cecilie A. Mosli 
location: Norvegia
voto: 4

Ecumenismo e riappacificazione un tanto al chilo sono la cifra tematica del quarto lungometraggio di Bent Hamer, regista norvegese che non si è certo fatto le ossa a Hollywood (per lo spettatore le sue inquadrature sono sempre a rischio catalessi) ma che aveva promesso bene con i precedenti Kitchen stories, Factotum e Il mondo di Horten. Qui confeziona un film calligrafico a teorema, all'insegna del volemose bene, dove musulmani e cristiani si amano, kosovari e albanesi si sposano, i medici sono più buoni del dottor Divago e di Albert Schweitzer messi insieme e al massimo qualcuno si prende una badilata in testa. Tutto allo scopo di raccontare, attraverso l'espediente narrativo del film corale, un modo diverso di passare il Natale. Qualcuno potrebbe rimpiangere la ruvida schiettezza dei cinepanettoni, certamente più digeribili di questo film oloeografico, patinato e sentimentalista.    

venerdì 13 maggio 2011

Non dirlo a nessuno (Ne le dis à personne)

anno: 2006       
regia: CANET, GUILLAUME 
genere: noir 
con François Cluzet, Marie-Joseé Croze, André Dussollier, Kristin Scott Thomas, François Berléand, Nathalie Baye, Jean Rochefort, Marina Hands, Gilles Lellouche, Philippe Lefebvre 
location: Francia
voto: 5

Comincia come un thriller al chiaro di luna e finisce come una improbabile favoletta a lieto fine questo tour de force narrativo targato Francia tratto da un libro di Harlan Coben. Al centro della vicenda c'è un medico assai mite (Cluzet) che vede sparire all'improvviso la sua amatissima moglie. Otto anni più tardi qualcuno gli fa capire che la donna non è morta ma che vive altrove. Con tetragona pertinacia, lui cerca di sbrogliare la matassa ma finisce per essere braccato dalla polizia proprio per l'omicidio della moglie. La trama in realtà imbocca nuove strade e si nutre di personaggi aggiunti ogni dieci minuti, a sottolineare - casomai ce ne fosse bisogno - la protervia dei transalpini anche quando potrebbero rilassarsi un attimo per confezionale un normalissimo polar. Sicché, senza taccuino alla mano sul quale poter annotare centinaia di personaggi, fatti e nomi, flashback e flashforward e in mancanza di una dose massiccia di caffé, si perderebbe anche uno come Lucarelli. Peccato, perché cast e incipit promettevano assai bene…    

domenica 8 maggio 2011

Non torno a casa stasera (The rain people)

anno: 1969       
regia: COPPOLA, FRANCIS FORD
genere: drammatico
con James Caan, Shirley Knight, Robert Duvall, Marya Zimmet, Tom Aldredge, Laurie Crews, Margaret Fairchild, Sally Gracie, Alan Manson, Robert Modica, Andrew Duncan
location: Usa
voto: 3,5

Il senso di colpa per una maternità arrivata all'improvviso e non voluta può giocare brutti scherzi. È quanto accade a Natalie (Knight), che una mattina si sveglia con la consapevolezza di non volerne sapere più del suo matrimonio. Monta in macchina e comincia a solcare gli States in lungo e in largo. Nel suo viaggio alla ricerca di se stessa tira su un autostoppista (Caan). L'uomo è un ex giocatore di football americano regredito all'età mentale di un bambino dopo un brutto incidente. È con lui che inizia il tirocinio forzato di Natalie con le responsabilità verso gli altri.
Tema e stile nel solco del cinema indipendente americano (qui Coppola non era ancora quella de Il padrino), cura del dettaglio e piacere della messa a fuoco costituiscono la cifra estetica di un film che non regge lo scorrere del tempo, servito per di più da una protagonista inguardabile in tutti i sensi e da un racconto che procede uguale a se stesso con minime variazioni.
Premiato al Festival di San Sebastian.    

domenica 1 maggio 2011

Fa' la cosa sbagliata - The Wackness

anno: 2009   
regia: LEVINE, JONATHAN
genere: commedia
con Ben Kingsley, Josh Peck, Famke Janssen, Olivia Thirlby, Mary-Kate Olsen, Jane Adams (II), Method Man, Aaron Yoo, Talia Balsam, David Wohl, Bob Dishy, Joanna Merlin, Ken Marks, Robert Armstrong, Nick Schutt
location: Usa
voto: 5

Strane storie, quelle del cinema indipendente americano. A volte capaci di sorprenderti per inventiva e parsimonia di mezzi, altre di spiazzarti per crudezza. Altre ancora, come nel caso di Fa' la cosa sbagliata, di oscillare tra intenti innovativi del linguaggio filmico, stramberie narrative e banalità da teen movie. È su quest'ultima dimensione che si perde il film di Jonathan Levine, ambiento nell'East Side di Manhattan nel 1994, negli anni in cui il sindaco Giuliani usò il pugno di ferro contro malavita e "feccia". Protagonista ne è Luke Shapiro (Peck), un nerd adolescente figlio di due genitori incoscienti e litigiosi, che sbarca il lunario vendendo droghe di ogni genere nascoste all'interno di un chioschetto ambulante ed è impegolato in un assurdo rapporto di amicizia con uno strizzacervelli (Kingsley) che baratta le sedute per quantitativi di droghe tutt'altro che trascurabili. Tra i due si mette la figliastra dello psicanalista (Janssen), che nel giro di un week-end svergina Luke per poi mollarlo poche ore dopo.
Al Sundance il film ha vinto il premio del pubblico come miglior film drammatico. Devono aver visto un'altra cosa, dato che questo buddy movie ha tutta l'aria della commedia, con musica hip hop a go-go, immagini e didascalie che strizzano sfacciatamente l'occhio a un certo giovanilismo cercando la carineria e l'originalità a tutti i costi. A tratti il film ci riesce ma finisce col perdersi nel raccontino di un'iniziazione erotico-sentimentale.    

I quattrocento colpi

anno: 1959   
regia: TRUFFAUT, FRANCOIS 
genere: drammatico 
con Jean-Pierre Léaud, Claire Maurier, Albert Remy, Guy Decomble, Georges Flamant, Richard Kanayan, Patrick Aufferay, Robert Beauvais,  Bouchon, Jean-Claude Brialy, Yvonne Claudie, Luc Andrieux, Henri Virlojeux, Marius Laurey, Claude Mansard, Jacques Monod, Jeanne Moreau, Pierre Repp, François Truffaut, Jacques Demy, Francois Nocher, Daniel Couturier 
location: Francia  
voto: 8

Riposta la macchina da scrivere dopo anni di critica militante, il critico cinematografico François Truffaut cambia sponda per passare dietro quella da presa e squadernare subito le sue carte. Il suo primo lungometraggio è infatti un racconto di formazione che ha per protagonista un preadolescente difficile e ribelle (quel Jean Pierre Lead che negli anni a venire sarebbe stato l'alter ego dello stesso Truffaut). Il ragazzino vive con una madre che non fa altro che rimproverarlo e un patrigno che lo tollera a melepena. A scuola ne combina di tutti i colori e alla fine verrà messo in riformatorio. Ma la sua insopprimibile voglia di vita lo porterà a fuggire.
Già nel suo primo film (in bianco e nero) Truffaut mostra le enormi potenzialità del suo cinema, fatto di soggetti forti, attenzione al mondo dei più piccoli, rottura degli schemi convenzionali del cinema dei padri. Quanto basta per aprire la strada alla Nouvelle Vague (portandosi a casa il massimo alloro del Festival di Cannes) firmando un gioiellino che, pur con qualche ingenuità, si fa apprezzare ancora a distanza di anni.